Rassegna Cassazione civile ottobre – metà novembre 2015

di Andrea Penta

Con sentenze pubblicate in data 17.11.2015, le Sezioni Unite (23460/15 e 23461/15), nel dichiarare il ricorso inammissibile, hanno statuito che, in materia di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111, ultimo comma, Cost. affida alla Corte di cassazione – non include anche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell’Unione europea, neppure sotto il profilo dell’osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dovendosi tener conto, da un lato, che nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato – quale giudice di ultima istanza – garantire, nello specifico ordinamento di settore, la conformità del diritto interno a quello dell’Unione, se del caso avvalendosi dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, mentre, per contro, l’ordinamento nazionale contempla – per reagire ad una lesione del principio di effettività della tutela, conseguente ad una decisione del giudice amministrativo assunta in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell’Unione – altri strumenti di tutela, attivabili a fronte di una violazione del diritto comunitario che sia grave e manifesta.

Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2400 del 2015, nel solco di Cass. sent. n. 4184 del 2012, che si è pronunciata in tema di trascrizione di un matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, ha statuito l’importante principio per cui nel nostro sistema giuridico di diritto positivo il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre effetti perché non previsto tra le ipotesi legislative di unione coniugale. Il nucleo affettivo relazionale che caratterizza l’unione omoaffettiva, invece, riceve un diretto riconoscimento costituzionale dall’art. 2 Cost., e mediante il processo di adeguamento e di equiparazione imposto dal rilievo costituzionale dei diritti in discussione può acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali scaturenti dalla relazione in questione. Per questa ragione la Corte di Cassazione ha escluso la contrarietà all’ordine pubblico del titolo matrimoniale estero, pur riconoscendone l’inidoneità a produrre nel nostro ordinamento gli effetti del vincolo matrimoniale. L’operazione di omogeneizzazione può essere svolta dal giudice comune, e non soltanto dalla Corte costituzionale, in quanto tenuto ad un’interpretazione delle norme non solo costituzionalmente orientata, ma anche convenzionalmente orientata (Corte Cost. sent. n. 150 del 2012).

A prescindere, quindi, dalla catalogazione squisitamente dogmatica del vizio che affligge il matrimonio celebrato (all’estero) tra persone dello stesso sesso (che si rivela, ai fini della soluzione della questione controversa, del tutto ininfluente), deve concludersi che, secondo il sistema regolatorio di riferimento (per come dianzi riassunto), un atto siffatto risulta sprovvisto di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento.

La Sezione Prima Civile, Sentenza 2 novembre 2015, n. 22352 (Presidente F. Forte – Relatore M. Ferro), in materia di impugnazione di sentenza dichiarativa di fallimento, ha stabilito che, per il perfezionamento della notificazione telematica, deve aversi riguardo unicamente alla sequenza procedimentale prevista dalla legge e, quindi, alla ricevuta di accettazione, che fornisce la prova dell’avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata, e alla ricevuta di avvenuta consegna, che fornisce la prova che un messaggio leggibile è giunto all’indirizzo dichiarato dal destinatario, mentre non ha rilievo l’annotazione con la quale il cancelliere abbia invitato il creditore istante – prima ancora che il sistema generasse la ricevuta di avvenuta consegna – ad attivare il meccanismo sostitutivo previsto dall’art. 15, comma 3, l.fall.

La Sezione Sesta (Sezione Sesta-Seconda Civile, Ordinanza interlocutoria 17 novembre 2015, n. 23527, Presidente S. Petitti, Relatore P. D’Ascola) ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di un ricorso involgente la questione – oggetto di contrasto – se, ai fini della competenza territoriale, ove il contratto non predetermini l’importo del corrispettivo e questo sia autodeterminato dal creditore nell’atto introduttivo del giudizio, il “forum destinatae solutionis” sia presso il domicilio del creditore (art. 1182, comma 3, c.c.) o presso il domicilio del debitore (art. 1182, comma 4, c.c.).

Dal canto suo, La Sezione Lavoro (Sezione Lavoro, Ordinanza interlocutoria 23 ottobre 2015, n. 21654, Pres. P. Stile, Relatore A. Doronzo) ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, su cui vi è contrasto, relativa al riconoscimento, anche in favore dei medici iscritti a corsi di specializzazione anteriormente al 31 dicembre 1982, del diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE.

Con sentenza del 22 ottobre 2015, n. 21528 la seconda Sezione civile della Corte di cassazione ritorna ad occuparsi della ricorrente questione dell’efficacia probatoria dei verbali di accertamento in tema di violazioni al codice della strada, distinguendo tra il caso in cui il suo contenuto è liberamente apprezzabile e quello in cui, invece, è confutabile solo con la querela di falso.

In altri termini, in sede di opposizione a provvedimento irrogativo della sanzione amministrativa e di opposizione diretta, in sede giurisdizionale, avverso il verbale di accertamento per violazioni al codice della strada, e con riferimento all’ammissibilità della contestazione e della prova nei relativi giudizi, non deve aversi riguardo alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente ed immediatamente dal pubblico ufficiale ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione (che devono essere necessariamente confutate, ove contestate, con l’apposito rimedio della querela di falso), ma esclusivamente a circostanze che esulano dall’accertamento, quali l’identificazione dell’autore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell’elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità, ovvero rispetto alle quali l’atto è insuscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà.

Alla stregua di tali principi, la Suprema Corte ha rigettato, nella fattispecie esaminata nella selezionata sentenza, il ricorso sul presupposto che, per confutare l’attestazione del pubblico ufficiale in ordine alla mancata esposizione della ricevuta di pagamento della sosta da parte dell’automobilista, occorreva che quest’ultimo proponesse querela di falso (che, invece, non era stata in concreto formulata).

In tema di art. 936 c.c.  (opere fatte da un terzo con materiali propri), nel decidere il ricorso n. 15916/2011, sempre la seconda Sezione (Pres. Oddo, Est. Migliucci) ha ritenuto che: il proprietario del fondo, che abbia optato a norma dell’art. 936, 1° co., c.c. per la ritenzione di una costruzione realizzata sul suo fondo dal terzo con materiali propri in difformità di concessione edilizia o di strumenti urbanistici, è tenuto alla corresponsione della indennità prevista dal 2° co., cit. art., nel caso in cui in pendenza del giudizio per la declaratoria della accessione della costruzione al suolo sia intervenuta sanatoria della illiceità dell’opera. Anche in tale caso l’indennità dovuta al terzo, sia che si determini in relazione all’incremento arrecato al fondo, sia che si abbia riguardo al valore dei materiali ed al prezzo della mano d’opera, va determinata con riferimento all’epoca dell’incorporazione.

Per la terza Sezione, è configurabile la responsabilità di un Comune ex art. 2049 c.c., con obbligo dello stesso di risarcire il danno cagionato ai genitori, allorché il Sindaco abbia disposto l’allontanamento di una minore dalla casa familiare, sulla base di una segnalazione (rivelatasi infondata) degli addetti ai servizi sociali, i quali avevano sollecitato l’immediata adozione del provvedimento, senza avvertire la necessità di ulteriori e più approfondite indagini da parte dei competenti organi giudiziari (Sentenza 16 ottobre 2015, n. 20928, Presidente G. Salmè, Estensore R. Lanzillo).

Sempre la terza Sezione ha chiarito che, in caso di immissioni che superino la soglia di tollerabilità, è dovuto il risarcimento del danno alla persona anche in assenza di un pregiudizio alla salute, a condizione che risulti leso il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione e alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, anche in ragione del rilievo che al diritto al rispetto della propria vita privata e familiare viene attribuito dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Sentenza 16 ottobre 2015, n. 20927, Presidente G. Salmè, Estensore L. Rubino).

La terza Sezione si è altresì segnalata in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, affermando che l’osservanza da parte di un nosocomio – pubblico o privato – delle dotazioni ed istruzioni previste dalla normativa vigente per le prestazioni di emergenza non è sufficiente ad escludere la responsabilità per i danni subiti da un paziente in conseguenza della loro esecuzione, essendo comunque necessaria l’osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza (Sentenza 19 ottobre 2015, n. 21090, Presidente G. Salmè, Estensore F. De Stefano).

In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ai fini dell’osservanza del termine di proponibilità della domanda è sufficiente il deposito del ricorso, giacché il deposito degli atti prescritto dall’art. 3, comma 3, della l. n. 89 del 2001, novellato dalla l. n. 134 del 2012, può sopravvenire fino alla decisione del giudice o nel termine da lui appositamente concesso (Sezione Sesta-Seconda Civile, Sentenza del 6 novembre 2015, n. 22763, Presidente S. Petitti, Relatore F. Manna).

La sentenza redatta in formato elettronico dal giudice e da questi sottoscritta con firma digitale, ai sensi dell’art. 15 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, non è affetta da nullità per difetto di sottoscrizione, attesa l’applicabilità al processo civile del cd. “Codice dell’amministrazione digitale” (Terza Sezione Civile, Sentenza 10 novembre 2015, n. 22871, Presidente G. Salmè, Estensore G.L. Barreca).

Nello stesso ambito, Cassazione civile, sez. VI, sentenza 10 novembre 2015, n. 22892, ha sostenuto che la posta elettronica certificata costituisce oggetto di una informazione di carattere aggiuntivo finalizzata alle comunicazioni di cancelleria e destinata a surrogarsi, anche agli effetti della notifica degli atti, ad una domiciliazione mancante.

La Suprema Corte ha specificato altresì che la PEC non è quindi destinata a prevalere sulla domiciliazione che il difensore abbia volontariamente effettuato presso la cancelleria del giudice adito in conformità dell’art. 82 del R.D. n. 37 del 1934. E ciò indipendentemente dalla circostanza che il difensore medesimo abbia specificato o meno a qual fine intendesse indicare la propria PEC, non avendo egli il potere di modificare gli effetti di tale indicazione.

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