Rassegna cassazione penale giugno 2016

a cura di Luigi Giordano

RAPPORTO DI CAUSALITA’ – CAUSA SOPRAVVENUTA SUFFICIENTE A DETERMINARE L’EVENTO.

La Corte di Cassazione, Sez. IV, con sentenza n. 15493 depositata il 14 aprile 2016, ha affermato che è configurabile l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta. (Nella fattispecie la S.C. ha escluso il nesso causale tra l’errore del pediatra, che aveva sottovalutato l’urgenza di un intervento sanitario adeguato in ambiente ospedaliero, ed il decesso del paziente, giacché l’evento letale era stato determinato da un gravissimo errore dell’anestesista, qualificato dalla Corte “rischio nuovo e drammaticamente incommensurabile”, rispetto a quello innescato dalla prima condotta).

CIRCOSTANZE – CONCORSO

Con sentenza n. 74 del 2016, la Corte Costituzionale ha nuovamente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.

REATO CONTINUATO – AUMENTO DELLA PENA NEL CASO DI IMPUTATO RECIDIVO

La Sez. V, all’udienza del 12 aprile 2016, nel procedimento n. 18935 ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: “Se il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all’art. 81, quarto comma, cod. pen. nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, stesso codice, operi anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti”.

Al riguardo, secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato (cfr. da ultimo Cass. n. 20100 del 2016), il limite di aumento minimo per la continuazione, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen., si applica nei soli casi in cui l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede e non anche quando egli sia ritenuto recidivo reiterato in relazione agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione del cui trattamento sanzionatorio si discute.  

CONCORSO DI PERSONE NEL REATO – ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE.

La Corte di Cassazione, Sez. II, con sentenza del 19 maggio 2016, ha affermato che il cd. concorso esterno in associazioni di tipo mafioso anche straniere non è un istituto di creazione giurisprudenziale, ma è incriminato in forza della clausola generale di cui all’art. 110 cod. pen. che estende l’ambito delle fattispecie penalmente rilevanti in modo da ricomprendere i casi in cui il soggetto agente non ha posto in essere la condotta tipica, ma ha fornito un contributo atipico, casualmente rilevante e consapevole, alla condotta tipica posta in essere da uno o più concorrenti. Ne deriva che è pienamente rispetto il principio di legalità e che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 110 e 416-bis cod. pen. che non contrastano con gli art. 7 CEDU e 117 Cost. nella parte in cui permettono di incriminare il concorso esterno nell’associazione mafiosa.

La Sez. I, della Suprema Corte, in data 13 maggio 2016, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla configurabilità del concorso esterno nell’associazione per delinquere di cui all’art. 416 cod. pen.  

PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO

Con sentenza n. 13681 del 2016 (Imputato Tushaj, ud. 25 febbraio 2016, depositata in data 6 aprile 2016), le Sezioni unite hanno affermato che l’art. 131-biscod. pen. si applica ad ogni fattispecie criminosa, in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla medesima norma. Il comportamento è abituale quando l’autore ha commesso, anche successivamente, più reati della stessa indole, oltre quello oggetto del procedimento. Alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto consegue l’applicazione, demandata al Prefetto, delle sanzioni amministrative accessorie stabilite dalla legge. L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la deducibilità e la rilevabilità di ufficio di tale causa di esclusione della punibilità. 

Con sentenza n. 13682 del 2016, (Imputato Coccimiglio, ud. 25 febbraio 2016, depositato il 6 aprile 2016), le Sezioni unite hanno affermato che La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., è compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcoolimetrico, previsto dall’art. 186, comma 7, cod. strada.

ESTINZIONE DEL REATO – OBLAZIONE – PROCEDIMENTO PER DECRETO.

La Prima Sezione penale, richiamando la sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 14 del 28 gennaio 2015, ha affermato che è ammissibile la domanda di oblazione presentata, in sede di opposizione a decreto penale di condanna, in via subordinata rispetto alla richiesta di applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen.

DEPENALIZZAZIONE

Secondo Cass., sez. V, n. 19464 del 2016, depositata il 10 maggio 2016, in tema di giudizio di cassazione, l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna per una delle fattispecie criminose abrogate dal d. lgs. 15 gennaio 2016 n. 7 comporta la revoca della statuizioni civili. In senso contrario si sono espresse, Cass. Sez. V, n. 19516 del 2016; Cass. Sez. V, n. 24099 del 2016; Sez. V, n. 24299 del 2016; in senso conforme, Cass. Sez. V, n. 21721 del 2016).

In data 15 giugno 2016, la Sez. II, della Suprema Corte ha rimesso la questione alle Sezioni unite.

PROFESSIONISTI – MEDICI E CHIRURGHI – COLPA SANITARIA – ART. 3 LEGGE 8 NOVEMBRE 2012 N.189

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 23283 del 2016 , u.p. del 11  maggio 2016  – depositata il 6 giugno 2016, in tema di responsabilità sanitaria, ha affermato che  l’intervenuta  parziale abrogatio criminis realizzata dall’art. 3 legge  n. 189 del 2012  in relazione alle ipotesi di omicidio e lesioni colpose connotate da colpa lieve, comporta che nei procedimenti relativi a tali reati,  pendenti in sede di merito alla data di entrata in vigore della novella,  il giudice, in applicazione  dell’art. 2, comma 2 cod. pen., deve procedere d’ufficio all’accertamento del grado di colpa, in particolare, verificando se la condotta tenuta dal sanitario poteva dirsi aderente ad accreditate linee guida.

MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA – INTERCETTAZIONI AMBIENTALI

Le Sezioni unite, in data 28 aprile 2016, nel procedimento Scurato hanno affrontato la seguente questione: Se – anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 cod. pen., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa – sia consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti, mediante l’installazione di un “captatore informatico” in dispositivi elettronici portatili (ad es., personal computer, tablet, smartphone ecc.). la soluzione adottata è positiva, limitatamente a procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, anche terroristica (a norma dell’art. 13 d.l. n. 152 del 1991), intendendosi per tali quelli elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., nonché quelli comunque facenti capo a un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – ARRESTI DOMICILIARI

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16964 del 30/3/2016, dep. il 22/3/2016, Presidente  A. Prestipino, Rel. L. Agostinacchio, decidendo in materia di autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., ha affermato che la nozione di “indispensabili esigenze di vita” deve essere interpretata tenendo conto della necessità di tutelare i diritti inviolabili della persona individuati dall’art. 2 Cost. e non in senso meramente materiale o economico (Fattispecie in cui la S.C. ha annullato l’ordinanza del riesame che aveva rigettato la richiesta di un padre, finalizzata a garantire il rapporto genitoriale, di poter incontrare la figlia minore fuori dal domicilio di restrizione, nei tempi prescritti nel provvedimento di separazione legale).

Le Sezioni unite, in data 28 aprile 2016, nel procedimento Lovisi, hanno affrontato la seguente questioni: Se il giudice, investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con c.d. “braccialetto elettronico”, o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, in caso di indisponibilità di tale dispositivo elettronico, debba applicare la misura più grave della custodia in carcere ovvero quella meno grave degli arresti domiciliari. La soluzione adottate è la seguente: “Il giudice, escluso ogni automatismo nei criteri di scelta delle misure, qualora abbia accertato l’indisponibilità del suddetto dispositivo elettronico, deve valutare, ai fini dell’applicazione o della sostituzione della misura coercitiva, la specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità di ciascuna di esse in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – RIESAME.

La Corte di cassazione, Sez. V,  8 gennaio 2016 dep. 4 maggio 2016, n. 18571, ha affermato che anche nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della ordinanza applicativa di una misura cautelare personale, nei casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni, il Tribunale del riesame può disporre, il deposito dell’ordinanza in un termine superiore ai trenta giorni, indicati nell’art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen, ma comunque non superiore ai quarantacinque giorni da quello della decisione, secondo quanto previsto dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen.

MANIFESTAZIONI SPORTIVE – OBBLIGO DI PRESENTAZIONE AD UN UFFICIO O COMANDO DI POLIZIA –  ART. 6, COMMA 2, L. N. 401 DEL 1989.

In tema di violenza negli stadi, la Terza Sezione, nel procedimento n. 24819 del 8 aprile 2016 (dep. 15 giugno 2016), Pres. Aldo Fiale, Rel. Enrico Mengoni, ha affermato che competente a decidere sulla richiesta di revoca o di modifica del provvedimento impositivo dell’obbligo, previsto dall’art. 6 comma 2, L. n. 401 del 1989, di comparire ad un ufficio o comando di polizia in coincidenza di manifestazioni sportive, è il giudice per le indagini preliminari già investito della convalida del provvedimento medesimo.

PROCEDIMENTI SPECIALI – PATTEGGIAMENTO – ACCORDO CONCERNENTE UN REATO PRESCRITTO – EFFETTI.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza  n. 18953,  del 25 febbraio 2016 Cc., dep. 6 maggio 2016, hanno affermato che ai fini del valido esercizio del diritto di rinuncia alla prescrizione è necessaria la forma espressa, che non ammette equipollenti, sicché la richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato, o il consenso prestato alla proposta del pubblico ministero, non possono di per sé valere come rinuncia.

GENERICITA’ O INDETERMINATEZZA IMPUTAZIONE

Con sentenza del 12 maggio 2016, depositata in data 8 giugno 2016, n. 23832, la Sez. VI, Pres. V. Rotundo, Rel. C. Citterio, ha affermato che, in caso di genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità prevista dall’art. 429, comma 2, cod. pen., senza previamente sollecitare il pubblico ministero ad integrare o precisare la contestazione. In senso contrario, di recente, Cass. Sez. VI, del 25 novembre 2015, depositata il 25 febbraio 2016, n. 7756, secondo cui è affetto da abnormità il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell’imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla, poiché, alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell’abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica.  

PROCEDIMENTO ESECUTIVO – CONTINUAZIONE

La Corte di Cassazione, nel procedimento n. 20113, u.p. del 27 novembre 2015, depositata il 13 maggio 2016  del 2016, ha affermato che, nell’ipotesi in cui venga riconosciuta, la continuazione tra più reati, oggetto, alcuni, di condanna all’esito di giudizio abbreviato e, altri, di condanna all’esito di giudizio ordinario, la riduzione ex art. 442 cod. proc. pen. va applicata, – qualora il reato più grave sia stato giudicato con il rito speciale – sulla pena finale determinata dopo l’aumento disposto per i reati satellite, anche se definiti con il rito ordinario; qualora invece il giudice procedente individui, quale reato più grave, quello giudicato con rito ordinario, la riduzione di pena dovrà essere disposta per i soli reati satellite giudicati con rito abbreviato. In senso contrario, da ultimo, Cass. n. 3764 del 21/10/2015 Cc.  (dep. 28/01/2016 ), secondo cui L’applicazione in sede esecutiva della continuazione tra reati giudicati con il rito ordinario e altri con il rito abbreviato, comporta che soltanto a questi ultimi – siano essi reati satellite o violazione più grave – deve essere applicata la riduzione di un terzo della pena, a norma dell’art. 442, comma secondo, cod. proc. pen.

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