Relazione del Massimario sul d.lgs. n. 2121/15 su “Diritti, assistenza e protezione vittime reato”

a cura di Mariaemanuela Guerra

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Ufficio del Massimario e del Ruolo

Servizio Penale

Rel. III/02/2016                                                           Roma, 2 febbraio 2016

Novità legislative: d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212

Rif. Norm: d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212;

Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012.

Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato: prima lettura del d.lgs. 212 del 2015

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le modifiche all’art. 90 cod. proc. pen: a) la perizia per l’accertamento della minore età. – b) (segue) L’estensione dei soggetti che possono esercitare le facoltà e i diritti in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato. – 3. Il diritto all’informazione. – 3.1. (segue). La comunicazione dell’evasione e della scarcerazione alle persone offese dei delitti commessi con violenza alla persona.-  4. La particolare vulnerabilità della persona offesa. – 5. Il diritto all’interpretazione e alla traduzione. – 6. Le modifiche alle disposizioni di attuazione del cod. proc. pen. in tema di presentazione di denuncia e proposizione di querela. – 7. Brevi osservazioni sui profili intertemporali e sulle conseguenze processuali in caso di inosservanza delle nuove disposizioni.

1.   Premessa.

Il Decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212 [1] attua la delega normativa conferita al Governo dalla legge 6 agosto 2013, n. 96, in particolare dall’articolo 1 nonché dall’allegato B, per il recepimento della Direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012,che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

Preliminarmente è da precisare che a differenza delle fonti convenzionali ed europee, il nostro ordinamento non utilizza il termine “vittima” bensì quelli di “persona offesa dal reato” o di  “danneggiato” (posizioni non sempre sovrapponibile in capo allo stesso soggetto), concentrando l’attenzione più sull’effetto lesivo subito – rispettivamente la lesione o messa in pericolo del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice violata, ovvero il danno risarcibile cagionato dal reato – che sulla posizione soggettiva della vittima[2].

L’articolo 2 della Direttiva definisce la vittima come la «persona fisica che ha subìto un danno, anche fisico, mentale o emotivo o perdite economiche causati direttamente dal reato»[3]. Tale nozione appare più estesa rispetto a quella di “persona offesa” accolta nel nostro ordinamento, ben potendo ricomprendere anche “il danneggiato”, ossia colui che subisce in modo diretto un danno dal reato senza essere il titolare del bene giuridico leso.  

Comunemente ritenuto lo Statuto dei diritti delle vittime[4], la Direttiva 2012/29/UE mira a realizzare, con uno strumento più efficace rispetto alla decisione quadro 2001/220/GAI utilizzata in precedenza, l’armonizzazione nei Paesi dell’Unione dei diritti delle vittime lungo tutto l’arco del procedimento penale, dalle indagini al processo e anche successivamente allo stesso.

Tra le diverse fonti europee nella materia penale, dedicate alle vittime  sono da ricordare: la Direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti; la Direttiva 2011/36/UE, che stabilisce norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nell’ambito della tratta di esseri umani e introduce disposizioni comuni in materia di protezione delle vittime; la Direttiva 2011/99/UE, volta ad istituire l’Ordine di protezione europeo (OPE); la Direttiva 2011/92/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile. 

L’obiettivo primario della direttiva 2012/29/UE è assicurare a tutte le vittime, e non soltanto a particolari gruppi di esse, parità di condizioni in materia di informazione, assistenza e protezione, indipendentemente dal luogo di svolgimento del processo: l’esistenza di differenze ed impedimenti legati alla diversa cittadinanza o al diverso luogo di residenza della vittima rispetto a quello di commissione del reato, infatti, non solo si tradurrebbe in una violazione del principio di libera circolazione delle persone – che rappresenta una delle basi giuridiche degli interventi europei in materia di tutela delle vittime già prima del Trattato di Lisbona – ma costituirebbe anche un ostacolo alla realizzazione del programma di Stoccolma, volto al consolidamento di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione[5].

Ebbene, il recepimento delle diverse prescrizioni contenute in materia di diritti e facoltà riconosciute alle vittime segna senza dubbio un importante segnale di mutamento di prospettiva del nostro modello  processuale  che tradizionalmente attribuisce alla persona offesa poteri incisivi solo quando risulta portatrice di interessi civilistici, sfocianti nella costituzione di parte civile.

Peraltro, la sostanziale marginalizzazione del ruolo della persona offesa nel processo penale non è stata superata nemmeno a seguito della riforma costituzionale sul giusto processo del 1999, che nel declinare i caratteri del “fair trail”, nell’art. 111 fa esclusivo riferimento alla persona accusata senza alcun cenno ai diritti o ai poteri della persona offesa.

E se non può disconoscersi come negli ultimi anni, anche sotto la spinta degli impegni sovranazionali assunti dal nostro Paese, il legislatore abbia progressivamente introdotto importanti modifiche nella disciplina penale, sostanziale e processuale, con la precipua finalità di ampliare i diritti e le facoltà esercitabili nel processo dalle persone offese, nondimeno è da evidenziare che si tratta sempre di interventi mirati alle persone offese di specifici reati nominativamente indicati, come, appunto, la legge n. 172 del 2012 di ratifica della Convenzione di Lanzarote, per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale; il d.lgs. n. 24 del 2014 relativo alle vittime di tratta; il d.l. n. 93 del 2013, convertito dalla l. n. 119 del 2013, riguardante le vittime della violenza di genere e domestica. 

Il decreto n. 212 del 2015 contiene esclusivamente modifiche di natura processuali; in particolare, all’articolo 1 sono previste le modifiche al codice e all’art. 2 alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice stesso. 

Le ragioni del carattere così “snello” di tale provvedimento normativo sono spiegate nella relazione di accompagnamento del decreto che, appunto, precisa: «Il diritto interno, già fortemente orientato a garantire diritti, assistenza e protezione alle vittime di reato, viene modificato solo marginalmente dal decreto, ritenendosi, all’esito di un capillare lavoro di analisi e di verifica della relativa concordanza, che molte delle disposizioni di tutela previste dalla Direttiva siano già presenti e che, per l’effetto, l’ordinamento sia sostanzialmente conforme, fatte salve le specifiche disposizioni introdotte.».

2.   Le modifiche all’art. 90 cod. proc. pen.: a) la perizia per l’accertamento della minore età.

Il riconoscimento della minore età della persona offesa assume particolare rilievo non solo ai fini della qualificazione giuridica del fatto contestato o della specificazione della sua maggiore o minore gravità (con rifermento, appunto, alla configurabilità di determinate fattispecie o circostanze aggravanti che incentrano il disvalore del fatto sulla minore età della vittima), ma anche dal punto di vista processuale, ai fini della adozione delle specifiche misure di protezione per le vittime minori di età.

Come noto, le tecniche scientifiche normalmente utilizzate per stabilire l’età fanno ricorso all’auxologia, che si avvale di accertamenti radiologici per valutare la maturazione scheletrica e gli stadi di sviluppo dentale della persona.

L’art. 1, comma 1, lettera a),n. 1), del d. lgs. 212 del 2015 aggiunge il comma 2-bis all’art. 90 cod. proc. pen., introducendo l’obbligo per il giudice, in caso di dubbio sulla minore età della persona offesa, di procedere ad accertamento tecnico, sancendo al contempo che, ove l’incertezza permanga pur all’esito della verifica disposta, la minore età si presume ai fini della applicazione delle norme processuali.

Pare evidente, nell’ottica del necessario equilibrio tra le garanzie dell’imputato e quelle della parte offesa, che la presunzione della minore età avrà rilievo soltanto con riferimento all’applicazione delle norme previste a protezione della parte offesa, con esclusione, pertanto, di quelle che possono aggravare la posizione dell’imputato (come, a titolo esemplificativo, la contestazione di una circostanza aggravante).

Con la nuova previsione il legislatore, dunque, ha stabilito un meccanismo processuale di salvaguardia che, da un lato obbliga il giudice ad effettuare una perizia sull’età della persona offesa e, quindi, a non accontentarsi di altri accertamenti più generici, dall’altro, impone di considerare la persona offesa come appartenente alla fascia di età che gli riconosce maggiore tutela, nel caso i dubbi non vengano fugati.

E’ evidente l’analogia di tale disposizione con quella contenuta nell’articolo 8 delle disposizioni  sul processo minorile, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, volta, però, a disciplinare l’ipotesi di dubbio sull’età dell’imputato.

La nuova disposizione intende colmare una lacuna del sistema, peraltro, già emersa in sede di attuazione della direttiva n. 2011/36/UE in tema di tratta; in quell’occasione, infatti, il d.lgs. n. 24 del 2014, all’art. 4, ha previsto che nei casi in cui sussistano fondati dubbi sulla minore età del minore non accompagnato vittima di tratta e l’età non sia accertabile da documenti identificativi, è da attivare una procedura multidisciplinare volta alla determinazione dell’età, le cui fasi e la distribuzione delle competenze dei soggetti istituzionali coinvolti sono da definirsi nel dettaglio con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (ad oggi, tuttavia, non ancora adottato). Ebbene, suddetta attività, che prevede il coinvolgimento di personale specializzato e, se del caso, delle autorità diplomatiche, pare collocarsi in un momento diverso e verosimilmente anteriore rispetto a quello in cui il giudice dispone l’accertamento tecnico. Più precisamente, infatti, quanto previsto dal d.lgs. del 2014 sembra riferirsi al momento del primo contatto con i minori non accompagnati vittime di tratta, per l’accesso immediato all’assistenza, al sostegno e alla protezione, mentre la perizia di cui al comma 2-bis dell’art. 90 cod. proc. pen. si colloca evidentemente in una prospettiva processuale.

Il nuovo comma 2-bisprevede la possibilità che il giudice disponga la perizia anche d’ufficio: pare potersi ragionevolmente affermare che l’autorità sia da identificare di volta in volta nel giudice procedente e che tale accertamento tecnico possa essere sollecitato anche dalle parti, soprattutto nei casi in cui il giudice non sia ancora venuto a conoscenza del problema (come a titolo esemplificativo in fase di indagini preliminari).

E’ da rilevare come il riferimento all’istituto della perizia richiami la disciplina contenuta negli artt. 220 e ss. del codice di rito, e, di conseguenza, implichi la necessità degli avvisi e delle garanzie per le parti; ed allora, nell’ipotesi di incertezza sulla minore età della vittima nella fase iniziale delle indagini, il pubblico mistero potrebbe trovarsi nella necessità di valutare se proseguire nel segreto le attività investigative, per non pregiudicarne gli esiti, oppure provocare l’intervento del giudice perché disponga l’accertamento peritale con la conseguente discovery.

La nuova disposizione potrebbe porre problemi applicativi con riferimento alla fase delle indagini preliminari. Ed infatti, se intesa in modo rigoroso si potrebbe ritenere che a seguito di tale novella l’accertamento “auxologico” possa essere disposto soltanto dal giudice, ricorrendo all’incidente probatorio. Secondo questa prospettiva, tuttavia, potrebbe sorgere la questione del coordinamento della nuova norma sia con l’art. 360 cod. proc. pen., che attribuisce al pubblico ministero la facoltà di disporre accertamenti tecnici non ripetibili, sia con l’art. 349 cod. proc. pen., che individua tra le attività della polizia giudiziaria finalizzate all’identificazione delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, i rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché “altri accertamenti”.

Inoltre, gli accertamenti tecnici oggetto della perizia, potrebbero sollevare, sul piano giuridico, gli ulteriori problemi, da un lato, della idoneità degli stessi a fornire una riposta sufficientemente attendibile per superare la presunzione di minore età di cui al secondo periodo dell’art. 90, comma 2-bis, cod. proc. pen., dall’altro, della possibilità di eseguirli coattivamente.

Ed invero, riguardo alla prima tematica, è da richiamare la giurisprudenza, che, in materia di accertamento della minore età dell’imputato, si è espressa nel senso di considerare gli accertamenti radiologici sul polso uno strumento che permette di superare ogni incertezza sull’età in quanto consentono di valutare il processo di accrescimento dell’organismo nell’età evolutiva.[6]

Par quanto attiene alla seconda questione, è da ricordare come la Corte Costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 224, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui consente che il giudice, nell’ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell’indagato o dell’imputato o di terzi. In sostanza, ha ritenuto che la disposizione in questione, stante la sua genericità e la conseguente indeterminatezza delle misure coattive che possono essere disposte nell’ambito degli accertamenti peritali, consente ogni tipo di provvedimento coercitivo astrattamente riconducibile alla nozione di “provvedimento necessario per l’esecuzione delle operazioni peritali”, ponendosi, dunque, in contrasto con la riserva di legge prevista dall’art. 13 Cost., comma 2, disposizione che non ammette forma alcuna di limitazione della libertà personale se non “nei casi e modi stabiliti dalla legge”.[7]

Inoltre, è da menzionare che la Corte di Cassazione, con riferimento all’accertamento radiologico effettuato nei confronti dell’imputato, ha affermato la legittimità della «coercizione personale per l’espletamento di una perizia medica (nella specie indagine radiologica) alla quale l’imputato rifiuti di sottoporsi»  [8]; ed, ancora, in occasione di accertamenti radiologici effettuati per scoprire la sostanza stupefacente nascosta all’interno del corpo, ricomprendendo tale attività nell’ambito delle facoltà inerenti all’ispezione personale dell’indagato, ha ritenuto che «possa rientrare nelle modalità esecutive dell’ispezione dato che la radiografia consente soltanto una estensione del controllo attuabile che, attraverso l’uso della tecnica radiologica (o anche di altra tecnica), non è limitato al solo aspetto esterno dell’indagato ma è esteso anche all'”ispezione” all’interno del corpo umano.».[9]

Tuttavia, è da rammentare che in seguito alla ratifica del Trattato di Prum[10] è stato introdotto nel codice di procedura penale l’art. 224-bis cod. proc. pen., che stabilisce le condizioni per poter effettuare perizie coattive che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale, finalizzate al prelievo di campioni biologici o a scopi identificativi. [11]

Ebbene, è da notare che quest’ultima disposizione elenca tra gli atti idonei ad incidere sulla libertà personale gli “accertamenti medici” senza altra specificazione, ovvero senza distinguere tra quelli più o meno invasivi; una lettura rigorosa di tale norma potrebbe, pertanto, far propendere per ritenere che l’accertamento auxologico, in quanto accertamento medico, possa essere effettuato coattivamente solo nei limiti e con le forme dell’art. 224-bis cod. proc. pen. 

D’altro lato, invece, si potrebbe pure sostenere che la specifica indicazione normativa contenuta nell’art. 90, comma 2-bis, cod. proc. pen., sia sufficiente per legittimare accertamenti coattivi nel rispetto del principio della riserva di legge e di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost.

b)  (segue) L’estensione dei soggetti che possono esercitare le facoltà e i diritti in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato.

L’art. 1, comma 1, lett a), n. 2, novella il comma 3 dell’art. 90 cod. proc. pen.,in attuazione della disposizione di cui all’articolo 2, lettera b), della Direttiva che impone di includere nella nozione di familiari, oltre al coniuge, anche “la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo”. In particolare, viene aggiunta la previsione che, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, estende le facoltà e i diritti esercitabili anche «alla persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente.».

Tale norma è di particolare interesse in quanto riconosce valore giuridico ad una situazione di fatto, rimandando, necessariamente, per la concreta individuazione della stessa, ad una valutazione effettuata caso per caso sulla base degli elementi offerti dall’interessato che ben potranno avere forma e contenuto estremamente diversificati.

3.   Il diritto all’informazione.

L’articolo 1, comma 1, lett. b) introduce nel codice di rito due articoli che disciplinano il diritto all’informazione della persona offesa.

Sul presupposto che l’accesso all’informazione sia la condizione fondamentale affinché il processo penale possa svolgere le funzioni di “scudo” e di “spada” a favore della parte offesa[12], e cioè sia in grado, non solo di garantire la protezione dall’imputato e dalla violenza del processo (la c.d. vittimizzazione secondaria), ma anche di offrire la possibilità di una efficace difesa delle proprie ragioni, viene codificato un obbligo generale di fornire alla parte offesa un’informazione dettagliata sui diritti riconosciutigli dalla legge.

In primo luogo, viene aggiunto l’articolo 90-bis, rubricato “Informazioni alla persona offesa”  : la norma recepisce le disposizioni della Direttiva, finalizzate a mettere la persona offesa in condizione di comprendere ed essere compresa sin dal primo contatto con l’autorità procedente.

Ed infatti, l’articolo contiene l’elenco di una serie di informazioni tecnico-giuridiche da comunicare in una lingua comprensibile, utili ad orientare la persona offesa durante lo svolgimento delle indagini e nell’eventuale fase processuale.

In particolare, tali informazioni riguardano: le modalità di presentazione degli atti di denuncia o querela, il ruolo che assume nel corso delle indagini e del processo, il diritto ad avere conoscenza della data, del luogo del processo e della imputazione e, ove costituita parte civile, il diritto a ricevere notifica della sentenza, anche per estratto;la facoltà di ricevere comunicazione dello stato del procedimento e delle iscrizioni di cui all’articolo 335, commi 1 e 2, cod. proc. pen.;la facoltà di essere avvisata della richiesta di archiviazione;la facoltà di avvalersi della consulenza legale e del patrocinio a spese dello Stato; le modalità di esercizio del diritto all’interpretazione e alla traduzione di atti del procedimento; le eventuali misure di protezione che possono essere disposte in suo favore;i diritti riconosciuti dalla legge nel caso in cui risieda in uno Stato membro dell’Unione europea diverso da quello in cui è stato commesso il reato; le modalità di contestazione di eventuali violazioni dei propri diritti; le autorità cui rivolgersi per ottenere informazioni sul procedimento; le modalità di rimborso delle spese sostenute in relazione alla partecipazione al procedimento penale;la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni derivanti da reato; la possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all’articolo 152 cod. pen. o attraverso la mediazione, prevista dagli articoli 464-bis e seguenti cod proc. pen. e relative disposizioni di attuazione (articoli 4 e 5 della legge 22 aprile 2014, n. 67); le facoltà spettanti nei procedimenti in cui l’imputato formula richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova o in quelli in cui è applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto; le strutture sanitarie presenti sul territorio, le case famiglia, i centri antiviolenza e le case rifugio.

Si tratta di una comunicazione molto ampia volta, evidentemente, a rendere la persona offesa  pienamente consapevole dei diritti e facoltà che la legge le riconosce, che, secondo la normativa europea, costituiscono lo standard minimo che la legislazione di ogni Stato membro deve prevedere.[13] 

Invero, la norma ripropone alcuni degli obblighi informativi già contemplati nel codice: l’art. 101, comma 2, infatti, a seguito della modifica del 2013, già assicurava che «Al momento dell’acquisizione della notizia di reato il pubblico ministero e la polizia giudiziaria informano la persona offesa dal reato di tale facoltà(di nominare un difensore).La persona offesa è altresì informata della possibilità dell’accesso al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’articolo 76 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni.

Ed ancora, con riferimento alle forme di protezione e sostegno, l’ordinamento già ne imponeva la comunicazione all’atto della denuncia di alcune categorie di reati: più precisamente, l’attenzione del legislatore era concentrata alle persone offese, ritenute particolarmente vulnerabili, dei delitti di maltrattamenti in famiglia, tratta di persone, sfruttamento sessuale di minori, violenza sessuale, atti sessuale con minorenne, corruzione di minorenne e atti persecutori, stabilendo, all’art. 11 del d.l. n. 11 del 2009 – convertito dalla legge n. 38 del 2009 –  come modificato dal d.l. n. 93 del 2013, che «Le forze  dell’ordine, i  presidi  sanitari  e  le  istituzioni pubbliche …. hanno l’obbligo di fornire  alla  vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in  particolare,  nella  zona  di  residenza  della vittima. Le forze dell’ordine, i presidi sanitari  e  le  istituzioni pubbliche provvedono a mettere in contatto la vittima  con  i  centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta.».

Di conseguenza, il nuovo art. 90-bis si può ritenerenorma generale, ad un tempo fonte di nuovi obblighi informativi e ricognitiva di quelli già esistenti, che sostanzialmente controbilancia la comunicazione indicata nell’art. 369-bis c.p.p. della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge alla persona sottoposta alle indagini. 

La maggior parte dei diritti e delle facoltà costituenti oggetto di avviso ai sensi dell’art. 90-biserano già assicurati dal codice di rito [14], per altri indicati dalla Direttiva, invece, si è reso necessario un intervento sul codice processuale: così è stato con riferimento al diritto all’interprete e al traduttore e al diritto di informazione, su richiesta, della scarcerazione o evasione dell’imputato, del condannato o dell’internato.

Con particolare riferimento al procedimento di archiviazione, appare opportuno ricordare che il codice, accanto al procedimento ordinario – che prevede a favore della parte offesa il diritto ad essere avvisata della richiesta del P.M., qualora abbia dichiarato di volere essere informata, di estrarre copia degli atti del fascicolo e di proporre opposizione al giudice – riconosce una tutela rafforzata ad una particolare categoria di vittime, aggiuntiva rispetto alle garanzie minime prescritte dalla normativa europea. Ed infatti, il comma 3-bis dell’art. 408 cod. proc. pen., introdotto dal d.l. n. 93 del 2013, convertito dalla l. n. 119 del 2013, stabilisce l’obbligatorietà della notifica dell’avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa dei delitti commessi con violenza alla persona, da effettuarsi, appunto, anche in assenza di richiesta della medesima. [15]

Da un punto di vista pratico la polizia giudiziaria e il pubblico ministero forniranno, sin dal primo contatto con la vittima, l’insieme delle sopraindicate comunicazioni in un atto scritto predisposto nella lingua comprensibile all’interessato.

Tuttavia, per garantire effettività alla previsione codicistica sarà importante che gli operatori che vengono in contatto con le persone offese nelle diverse fasi processuali vengano adeguatamente formati, in modo da poter offrire un servizio di effettiva assistenza e informazione alle singole persone offese, affinché possano essere messe nella condizione di essere coscienti delle conseguenze della propria denuncia e di prendere consapevoli decisioni in merito alla loro partecipazione al procedimento.

Peraltro, è da evidenziare come alcune delle comunicazioni elencate nell’art. 90-bis sono espresse con formule generiche che non sono di agevole riduzione in un avviso predisposto in forma standardizzata: basti pensare alle informazioni in merito al «ruolo che assume rispetto alle indagini e al processo» (lett. a), «alle misure di protezione attivabili» (lett. f), «alle modalità di contestazione di eventuali violazioni dei diritti» (lett. h), od ancora «alle autorità cui rivolgersi per ottenere informazioni sul procedimento» (lett. i).

La Direttiva dedica particolare attenzione non solo alla formazione degli operatori che entrano in contatto con le vittime – dagli agenti di polizia al personale amministrativo giudiziario, dall’autorità giudiziaria agli avvocati – ma, altresì, raccomanda espressamente lo sviluppo di “punti unici di accesso” o “sportelli unici” dedicati ai bisogni delle vittime, nonché incoraggia gli Stati membri a sostenere analoghi servizi di assistenza privati (artt. 8 e 25 e considerando 61, 62, 63).

E’ da rilevare come attualmente non esistano uffici o strutture di sostegno all’iniziativa legale della persona offesa istituzionalizzate. Per questa ragione in sede di esame parlamentare, la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, nell’esprimere il parere sullo schema di decreto legislativo predisposto dal Governo, ha espresso l’opportunità di introdurre disposizioni volte a prevedere la costituzione, all’interno di ogni tribunale, di un apposito ufficio per le vittime di reato, al cui funzionamento preporre un magistrato, con la facoltà di avvalersi della collaborazione dei servizi sociali e delle associazioni in favore delle vittime.[16]

Tale osservazione, tuttavia, non è stata accolta dal Governo in considerazione della non sostenibilità nell’immediatezza degli oneri economici conseguenti alla istituzione di un nuovo  “sportello delle vittime” che presuppone necessariamente una sinergia tra diverse amministrazioni.

3.1. (segue). La comunicazione dell’evasione e della scarcerazione alle persone offese dei delitti commessi con violenza alla persona.

La seconda norma aggiunta al codice di rito in tema di informazione è l’articolo 90-ter, rubricato “Comunicazioni dell’evasione e della scarcerazione”, che integra l’attuale regime delle comunicazioni di cui all’articolo 299, commi 2-bis, 3 e 4-bis, cod. proc. pen.,in tema di sostituzione o revoca di misure cautelari, prevedendo che «fermo quanto previsto dall’articolo 299, nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona sono immediatamente comunicati alla persona offesa che ne faccia richiesta, con l’ausilio della polizia giudiziaria, i provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva, ed è altresì data tempestiva notizia, con le stesse modalità, dell’evasione dell’imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell’internato all’esecuzione della misura di sicurezza detentiva». Tale disposizione attua l’articolo 6, par. 5, della Direttiva che, infatti, obbliga gli Stati membri a garantire alla vittima la possibilità, su richiesta, di essere informata senza ritardo della scarcerazione o dell’evasione della persona indagata, imputata o condannata. Sempre conformemente alla Direttiva, la previsione reca un inciso che legittima la mancata comunicazione, anche se richiesta, quando «….risulti il pericolo concreto di un danno per l’autore del reato»: in sostanza, il legislatore ha individuato quale motivo ostativo l’emergenza di concreti elementi da cui desumere la possibilità di azioni ritorsive contro l’imputato, il condannato o l’internato in stato di libertà.

In merito alla interpretazione del termine “scarcerazione”, ci si chiede se possa intendersi in senso ampio e, quindi, riferirsi a tutti i casi in cui si verifichi una modifica del regime detentivo che comporti l’uscita dell’autore del reato dallo stato custodiale, anche per brevi periodi, a seguito della concessione di misure alternative alla detenzione o di benefici penitenziari, quali i permessi-premio o licenze. La maggiore o minore estensione inciderebbe in modo significativo sulla quantità di avvisi da effettuare alla persona offesa che ne abbia fatto richiesta così come la sua più ampia applicazione richiederebbe un costante coordinamento e scambio di informazioni aggiornate tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti.

Riguardo alla finalità di tale comunicazione ci si è chiesti se, accanto all’immediato effetto di “messa in stato di allerta” della persona offesa, il legislatore abbia voluto consentire un’interlocuzione della stessa, soprattutto nei casi di scarcerazione per concessione di misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario; in altri termini, se l’informazione alla parte offesa, che persegue l’evidente finalità di una maggiore tutela e adeguata partecipazione della stessa al procedimento, possa tradursi anche in un suo coinvolgimento nelle vicende evolutive della pena o delle misure applicate all’autore del reato, magari tramite la presentazione di memorie per esprimere le proprie osservazioni, questione che solleva il tema delicatissimo del limite sino a cui possa spingersi il riconoscimento di un ruolo agli interessi privati della persona offesa nella giustizia penale.

In proposito, può essere utile richiamare la pronuncia della Corte di giustizia, Gueye e Sanchez del 15 settembre 2011[17] secondo cui non è riconosciuto alla vittima alcun diritto nella determinazione della pena da irrogare e dell’entità della stessa, sottolineando come la Decisione quadro 2001/220/GAI (successivamente sostituita con la Direttiva 2001/29/UE)  riconosca in capo alle vittime unicamente diritti di natura processuale, non estendendo la tutela al diritto sostanziale.

E’ da evidenziare, inoltre, come l’obbligo di comunicazione sia comunque circoscritto ai procedimenti per “delitti commessi con violenza alla persona”, intendendo il legislatore tradurre con tale espressione l’indicazione contenuta nella direttiva al par. 6 dell’art. 6, che prescrive la comunicazione della scarcerazione o dell’evasione, «almeno nei casi in cui sussista un pericolo o un rischio concreto di danno» nei confronti della vittima. Sul punto si può osservare come il d.lgs. n. 212 in sostanza richiami una categoria di reati ritenuti come tali pericolosi per la vittima, mentre, invece, la direttiva pare orientata ad una valutazione della situazione di rischio personale che possa essere in concreto riconosciuta sulla base della natura e gravità del reato e il rischio di ritorsioni, con l’unica esclusione dei reati minori per i quali, appunto, esiste un debole rischio di danno per le vittime (minor offences, nel testo ufficiale inglese, che nel diritto europeo si riferisce ad una categoria di reati paragonabili alle nostre contravvenzioni). (v. considerando 32). 

Ebbene, tale espressione potrebbe creare problemi nella sua pratica applicazione in quanto non pare affatto pacifica l’identificazione di quali siano i soggetti vittime di “delitti commessi con violenza alla persona”.

Più in generale, sulla nozione di violenza alla persona, infatti, si registrano diversi orientamenti; ed infatti, è controverso in primo luogo, se tale categoria comprenda soltanto i reati le cui fattispecie legali astratte siano connotate dall’elemento della violenza alla persona, ovvero anche tutti quelli che, in concreto, si siano manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa; in secondo luogo, se per violenza debba intendersi soltanto quella fisica o anche quella morale o minaccia; in terzo luogo, se la “violenza alla persona” come limite al diritto all’informazione della persona offesa debba ritenersi circoscritta soltanto a quella manifestatasi nelle relazioni interpersonali di tipo domestico o affettivo, ovvero riferita a tutte le forme di condotte  violente anche con vittima occasionale.

In particolare, si segnala un contrasto interpretativo in merito all’ambito di applicazione degli artt. 299, 408, comma 3-bis cod. proc. pen. che limitano gli obblighi di informazione della revoca o sostituzione della misura cautelare, da un lato, e del deposito dell’avviso di archiviazione, dall’altro, ai delitti commessi con violenza alla persona.

Nello specifico, è da menzionare che le Sezioni Unite, con sentenza n. 4305 del 29/01/2015, Fossati, hanno affermato che  i delitti di cui all’art. 612-bis e 572 cod. pen. siano da ricomprendere tra quelli commessi con violenza alla persona, per i quali l’art. 408, comma 3-bis, cod. proc. pen. prevede la notifica obbligatoria alla persona offesa dell’avviso di richiesta di archiviazione.[18]

Analoga questione si registra anche riguardo all’ambito di operatività della clausola che esclude il regime di favore, della non punibilità e della perseguibilità a querela, dei delitti contro il patrimonio commessi ai danni di congiunti, di cui all’art.. 649, terzo comma,  cod. pen., quando si tratta di  “delitti commessi con violenza alle persone”. [19]

In primo luogo, infatti, in base ad una lettura estensiva teleologicamente orientata alla protezione della persona nella sua integrità, l’espressione “violenza alla persona” dovrebbe essere intesa come riferita ad una categoria generale di reati connotati dalla violenza, fisica o morale, esercitata nei confronti delle vittime, in grado, pertanto di ricomprendere delitti quali gli atti persecutori o i maltrattamenti contro familiari o conviventi che non prevedono necessariamente quali modalità di estrinsecazione della condotta la violenza fisica.

Secondo altra prospettiva, invece, si potrebbe profilare una diversa interpretazione più rigorosa alla lettera della legge, e ritenere che l’estensione della locuzione “violenza alla persona” anche alla violenza morale snaturerebbe il concetto giuridico di violenza quale estrinsecazione di energia fisica da tenere distinta dalla minaccia, alla quale viene, proprio per questo, affiancata quale modalità alternativa di estrinsecazione della condotta illecita in diverse fattispecie.

Si può evidenziare, peraltro, che l’espressione “violenza alla persona”, intesa con riferimento ai delitti chesi manifestano con violenza fisica, potrebbe risultare troppo ristrettaed estesa al contempo.

Da un lato, infatti, escluderebbe oltre che i delitti di atti persecutori o maltrattamenti in famiglia anche tutti quelli, realizzabili per tipizzazione normativa indifferentemente con violenza o minaccia, nei quali la condotta si estrinsecasse esclusivamente nelle forme della minaccia, come a titolo esemplificativo l’ipotesi di violenza sessuale o di violenza privata. Dall’altro, invece, ricomprenderebbe i delitti commessi con violenza esercitata non in modo mirato nei confronti di una determinata persona, per i quali, pertanto, il rischio residuo di per­sistente recidiva riguarda non tanto la vittima occasionalmente coinvolta, quanto piuttosto la rei­terazione di fatti analoghi in dan­no di altri, come per i delitti di rapina o resistenza a pubblico ufficiale. Ed invero, desta qualche perplessità sul piano della ragionevolezza sia escludere la notifica nei primi casi, sia consentirla negli ultimi.

In proposito, si ritiene che rivestano particolare interesse le prime applicazioni da parte della giurisprudenza del concetto “violenza alla persona” che perimetra l’ambito applicativo degli obblighi informativi alle persone offese nella materia cautelare, contenuti nell’art. 299 cod. proc. pen., stante la identità diratiodi quelli introdotti dal nuovo art. 90-ter  cod. proc. pen.

La sentenza, Sez. 1, n. 49339 del 29/10/2015, Gallani, ha affermato che: “L’ampiezza del riferimento lessicale alla “violenza alla persona” che deve connotare le modalità commissiva dell’azione delittuosa non può consentire sul piano ermeneutico alcuna distinzione tra le diverse forme di violenza-fisica, psicologica, morale in cui la stessa può concretizzarsi, né fra fattispecie consumate o tentate, sempre che queste ultime siano pervenute ad uno stadio tale di attuazione della condotta da aver dato luogo alla concreta estrinsecazione di atti di violenza, che costituiscano elemento qualificante imprescindibile dell’insorgenza dell’obbligo di notifica previsto dalla legge, la cui finalità è quella di apprestare uno strumento di tutela sul piano processuale a una platea indifferenziate di persone offese da una ampia gamma di delitti e non permette alcun automatico recepimento, ai relativi effetti, dei risultati dell’elaborazione giurisprudenziale della nozione di “violenza alle persona” operata da questa Corte in tema di delitti contro il patrimonio commessi in danno di congiunti – ai diversi e più limitati effetti di diritto sostanziale di circoscrivere l’operatività della speciale causa di non punibilità prevista dall’art 649 c.p., la cui giustificazione razionale costituisce oggetto di critiche sempre più serrate da parte della dottrina e della giurisprudenza sotto il profilo dei suoi contenuto anacronistici”.

E’, altresì, opportuno menzionare una pronuncia di merito che, muovendo nella stessa pro­spettiva interpretativa, diretta, appunto, a circoscrivere il portato della disciplina normati­va in modo coerente con la fina­lità dell’intervento normativo, ha contenuto la disciplina degli obblighi informativi in merito alla richiesta di revoca o di sostituzione della misura coercitiva per i delitti commessi con violenza alla persona, a quelli esclusivamente maturati in un contesto di relazioni fra persona offesa e prevenuto. In particolare, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, con ordinanza 4/11/2013, Laazizi [20], ha ritenuto che la comunicazione prescritta dal comma 2-bis dell’art. 299 cod. proc. pen. si applica solo nelle ipotesi di delitti in cui la violenza alla persona non è occasionalmente diretta nei confronti della vitti­ma, ma lo è in modo mirato, evi­dentemente in ragione di tali pregressi rapporti. Pertanto, ha precisato il giudice, solo in tale evenienza è giusto e doveroso che la vittima sappia del mutamento del regime caute­lare, proprio perché tale mutamento può riflettere i propri effetti sul rischio possibile di recidiva. Per converso, un’informativa indiscriminata, anche per fatti che si caratterizzino per l’occa­sionalità del rapporto tra l’auto­re e la vittima, apparirebbe del tutto ultronea. In tali situazioni, infatti, il rischio residuo di per­sistente recidiva riguarda non tanto la vittima occasionalmente coinvolta, quanto piuttosto la rei­terazione di fatti analoghi in dan­no di altri.

Infine, può essere utile citare la circolare n. 13/2013 emessa dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Trento  che, sulla stessa linea del Tribunale di Torino, ritiene di limitare l’ambito applicativo degli obblighi informativi ai reati connotati di violenza domestica e di genere, ivi compresi i delitti di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori in quanto ascrivibili a tale contesto oggettivo.[21]

Per ricostruire tale nozione una indicazione importante, comunque, pare potersi trarre dalla Direttiva che il d.lgs 212 è volto ad attuare.

Ebbene, l’art. 2 ne individua l’ambito di applicazione avendo riguardo alle vittime da intendersi come le persone fisiche che hanno subito un danno non soltanto fisico ma anche mentale, emotivo o economico; i considerando 17, 18, richiamano le nozioni di “violenza di genere” e “violenza nell’ambito di relazioni strette”, quali situazioni che giustificano una particolare protezione delle vittime, le quali includono, accanto alla violenza fisica, quella “sessuale, psicologica o economica”; inoltre, il considerando 38 individua tra le vittime esposte ad un rischio elevato di danno quelle della violenza reiterata nelle relazioni strette e della violenza di genere, condotte illecite che richiamano senza dubbio il reato di atti persecutori e di maltrattamenti contro familiari e conviventi. 

Per completezza, inoltre, può essere utile richiamare altre fonti convenzioni o di diritto europeo vincolanti per il nostro Paese che hanno affrontato e definito il concetto di violenza personale.

Con legge 27 giugno 2013 n. 77, il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa dell’11 maggio 2011  sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.[22]

Per quanto attiene alla definizione di violenza che rientra nel campo di applicazione della Convenzione, all’art. 3  sono descritte tre diverse tipologie: violenza nei confronti delle donne, violenza domestica e violenza di genere.[23] Il tratto che le accomuna è con tutta evidenza la completa parificazione tra violenza fisica e psicologica all’interno del più generale concetto di violenza, da cui, conseguentemente, discende una nozione di vittima riferita a qualsiasi persona fisica che subisce tali forme di violenza. Da rilevare, inoltre, che gli artt. 33 e 34 prevedono la necessaria penalizzazione da parte degli Stati firmatari delle condotte di violenza psicologica e di atti persecutori (stalking).[24]

L’aspirazione fondamentale, enunciata nei considerando, di “vivere liberi dalla violenza” implica, quindi, il diritto alla conservazione dell’integrità psico-fisica della propria persona di fronte ad attacchi ingiustificati; è da sottolineare, inoltre, che i diversi percorsi indirizzati alla protezione delle vittime di violenza individuati dalla Convenzione si incentrano sulla necessità di salvaguardare la sicurezza della persona, parte integrante dell’integrità psichica dell’individuo. [25]

La Direttiva 2011/36/UE per la prevenzione e la re­pressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, ha indicato quali “violenze gravi alla persona” la tortura, l’uso forzato di droghe, lo stupro e altre forme di violenza psicologica, fisica o sessuale. Ebbene, tale disposizione è stata integralmente recepita nel nostro ordinamento dall’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24, recante, appunto, “Attuazione della direttiva 2011/36UE relativa alla prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI”.[26]

Ed ancora, in merito alle politiche di contrasto nei confronti della violenza viene in rilievo laDirettiva 2011/99/UE, volta ad istituire l’Ordine di protezione europeo (OPE), attuata con decreto legislativo 11 febbraio 2015, n. 9.[27]

Ebbene, è importante sottolineare che i destinatari delle misure di protezione sono le vittime (anche potenziali, così come dispone il considerando n. 11 della direttiva 2011/99) di reati che mettano in pericolo la vita, l’integrità fisica o psichica, la libertà personale, la sicurezza o l’integrità sessuale del soggetto da proteggere. E’ da evidenziare, altresì, come la citata direttiva, attribuisca posizione di particolare rilievo alle vittime della violenza di genere o nelle relazioni strette, quali violenze fisiche, molestie, aggressioni sessuali, stalking, intimidazioni o altre forme indirette di coercizione. (v. considerando n. 9 della direttiva).

In definitiva, dalla lettura delle fonti sovranazionali sopracitate emerge come il l’espressione “violenza alla persona” sia sempre intesa in senso ampio, comprensiva non solo delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche e che lo stalking rientri tra le ipotesi “significative” di violenza di genere che richiedono particolari forme di protezione a favore delle vittime.

Ebbene, tali indicazioni, rientrando tra le regole vincolanti per gli Stati che delineano il diritto dell’Unione delle vittime, costituiscono un fondamentale riferimento per addivenire aduna interpretazione delle norme interne conforme al diritto europeo.[28]

4.   La condizione di particolare vulnerabilità

L’art. 1, comma 1, lett. b), accogliendo le osservazioni formulate dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, ha introdotto l’art. 90-quater cod. proc. pen.  che, in un’ottica di rafforzamento della protezione delle vittime di reato non solo “dall’autore del reato” ma anche “dal processo”, con riferimento ai fenomeni di c.d. vittimizzazione secondaria, definisce la “condizione di particolare vulnerabilità”. In particolare, vengono indicati gli indici in base ai quali desumere tale particolare condizione, agli effetti delle disposizioni processuali; essi si identificano: nell’età e nello stato di infermità o di deficienza psichica, nel tipo di reato, nelle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione di tale condizione, inoltre, si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato.

Da tale previsione emerge la volontà di costruire un concetto di vulnerabilità della persona offesa aspecifico, cioè “sganciato”, dalla tipologia dei reati per cui si procede o dalle caratteristiche personali della vittima. E se ciò risponde alle precise indicazioni di fonte europea, tuttavia, è da puntualizzare che la Direttiva all’art. 22, nell’introdurre il concetto elastico di “specifiche esigenze di protezione” della singola persona offesa, pare configurare una sorta di microprocedimento per la valutazione delle stesse in cui un ruolo fondamentale è affidato ai servizi di assistenza alle vittime (artt. 8 e 9).

Nell’art. 90-quater cod. proc. pen., invece, non viene specificato quale sia il soggetto abilitato a fornire gli elementi di valutazione della particolare vulnerabilità, che pare, pertanto, rimessa agli operatori giudiziari che di volta in volta vengono in contatto con la parte offesa.

E’ da ricordare che su questo punto la Camera dei Deputati aveva invitato il Governo a considerare l’opportunità di attribuire tale specifico compito al Pubblico Ministero, chiamato a dichiarare la particolare vulnerabilità con decreto, su comunicazione della polizia giudiziaria, avvalendosi pure dei servizi sociali, anche tramite accertamento tecnico psicologico. In particolare, nel parere reso la rubrica dell’art. 90-quater c.p.p. si intitolava, “Dichiarazione dello stato di vulnerabilità della vittima e del testimone”; la proposta era indirizzata all’introduzione di un provvedimento dichiarativo che poteva riguardare anche i testimoni, da notificarsi alle parti, revocabile in ogni momento in cui fossero mutati gli elementi alla base della valutazione.

Tale osservazione non è stata, tuttavia, accolta dal Governo che ha considerato tale previsione superflua, ritenendo che l’autorità giudiziaria che procede possa comunque apprezzare lo stato di vulnerabilità ai fini specifici dell’atto da compiere, senza che l’emissione anticipata di un provvedimento dichiarativo della particolare vulnerabilità possa accrescerne le potenzialità di tutela. Inoltre, sempre nella relazione governativa si è osservato, come la previsione di provvedimento aprirebbe la questione della sua eventuale impugnabilità con le conseguenti connesse problematiche relative alla durata del procedimento e all’appesantimento della procedura. Anche la proposta estensione delle tutele e delle protezioni ai testimoni vulnerabili è stata esclusa dal momento che la Direttiva, cui il d.lgs. n. 212 dà attuazione, è circoscritta alla tematica delle vittime di reati.

L’accertamento dello stato di particolare vulnerabilità ha importanti ricadute sul piano processuale  poiché il d.lgs. in esame, adeguando l’ordinamento alle prescrizioni dell’art. 23 della Direttiva, fa derivare numerose misure a tutela della persona offesa dai rischi di vittimizzazione secondaria, intimidazioni o ritorsioni, originariamente previste solo per i procedimenti penali relativi a specifici reati, oggetto di preventiva elencazione da parte del legislatore.

In particolare, a seguito del riconoscimento di tale stato:

a)    è assicurata in ogni caso la possibilità della riproduzione audiovisiva delle dichiarazioni della persona offesa: in proposito, pare potersi affermare che la particolare vulnerabilità della persona offesa integri una situazione di “assoluta indispensabilità” (che, in base al comma 4 dell’art. 134 cod. proc. pen., consente tale tipologia di documentazione degli atti) tipizzata dal legislatore (art. 1, comma 1, lett. c).

E’ da precisare che in questo caso il nostro legislatore ha esteso una garanzia che la Direttiva imponeva soltanto per le audizioni della persona offesa minore (art. 24, par. 1, lett. a).

La registrazione audiovisiva, direttamente fruibile da tutte le parti del processo ha indubbiamente un positivo effetto sulla semplificazione e velocizzazione dei procedimenti, in quanto verosimilmente consente di contenere nel minimo il numero delle audizioni del soggetto vulnerabile. Inoltre, riprendendo le argomentazioni della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, è «una misura coerente anche con le indicazioni della giurisprudenza della Corte di legittimità che assegna un valore inquinante alle domande suggestive (che possono essere poste anche all’inizio della progressione dichiarativa, ovvero durante le audizioni investigative, senza che la correttezza dell’esame sia controllabile). La misura si manifesta opportuna anche in relazione al fatto che le difese spesso (legittimamente) basano le loro strategie difensive proprio sul dubbio circa l’eteroinduzione dei contenuti accusatori in fase investigativa. Fase a volte «oscura», che la videoregistrazione renderebbe finalmente fruibile a garanzia dell’accusato e della parte lesa»;

b)    è sancita l’irripetibilità delle dichiarazioni della persona offesa che sia stata sentita in sede di incidente probatorio o in dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate: il ri-esame è ammesso solo – in linea con le altre situazioni “a rischio” già previste dall’art. 190-bis cod. proc. pen. – se riguarda fatti o circostanze diversi o se il giudice o una parte lo ritengono necessario in base a specifiche esigenze (art. 1, comma  1, lett. e);

c)    la polizia giudiziaria e il pubblico ministero, quando devono assumere a sommarie informazioni la persona offesa, possono avvalersi di un esperto; devono assicurare che la stessa non abbia contatti con la persona accusata (in occasione della richiesta di s.i.t.) e che non sia chiamata più volte a rendere tali informazioni (art. 1, comma  1, lett. f) e g),  d.lgs. n. 212 del 2015 che hanno novellato rispettivamente gli artt. 351 e 362 cod. proc. pen.);

d)    il pubblico ministero – anche su richiesta della persona offesa – o l’accusato possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza dell’offeso (art. 1, comma  1, lett. h),  d.lgs. n. 212 del 2015 che ha novellato l’art. 392 comma 1-bis cod. proc. pen.);

e)    il giudice, su istanza della persona offesa o del suo difensore, dispone l’adozione di modalità protette (art. 1, comma  1, lett. i) e art. 1, comma 1, lett. i) n. 1,  d.lgs. n. 212 del 2015, che hanno rispettivamente aggiunto il comma 5-quater all’art. 398  e sostituito il  comma 4-quater dell’art. 498 cod. proc. pen.).

In un prospettiva più ampia, sembra potersi sostenere che suddette misure, pur costituendo indubbiamente una forma di protezione per le vittime, mirando a scongiurare i condizionamenti e le suggestioni, concorrono a garantire, anche nell’interesse nell’imputato, la genuinità della prova su cui si basa un giusto processo.

5.   Il diritto all’interpretazione e alla traduzione

L’articolo 1, comma 1, lettera d), con la finalità di potenziare il diritto di effettiva e consapevole partecipazione al processo delle parti offese, interviene sulla materia dell’interpretariato e della traduzione, dettando specifiche disposizioni, in attuazione dell’art. 7 della Direttiva, che vanno ad integrare e completare quelle introdotte con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 32,di attuazione della direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, con riferimento alla posizione dell’imputato.

Il nuovo articolo 143-bis cod. proc. pen., rubricato “Altri casi di nomina dell’interprete”  prevede che l’autorità procedente (quindi non soltanto il giudice ma anche il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, a seconda della fase in cui si trova il procedimento) nomini interpreti e traduttori al fine di permettere alla persona offesa che non comprende la lingua del processo di parteciparvi sin dalla fase iniziale delle indagini preliminari. Si ritiene, pertanto, che tale disposizione proceda lungo il percorso teso alla valorizzazione della figura dell’interprete e del traduttore nel processo penale, da considerarsi non più soltanto come ausiliario del giudice ma soprattutto in veste di garante tecnico dell’equità del processo, accanto all’ufficio difensivo, per assicurare effettività alla partecipazione dei soggetti coinvolti qualunque sia la lingua da loro conosciuta.

Alla luce della relazione illustrativa del testo legislativo e della rubrica dell’art. 143-bis si può trarre la volontà del legislatore di conferire a tale disposizione una portata complementare rispetto a quella di cui all’art. 143, che, oltre alle prescrizioni a tutela dell’imputato, contiene, pertanto, anche quelle generali in tema di interpretariato e traduzione. Di conseguenza, nonostante l’assenza di un richiamo espresso, non pare azzardato affermare che siano applicabili anche agli interpreti ed i traduttori nominati per la parte offesa le previsioni di cui ai commi 4, 5 e 6 dell’art. 143 cod. proc. pen., ovvero che: l’accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall’autorità giudiziaria; la conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano; l’interprete e il traduttore sono nominati anche quando il giudice, il pubblico ministero o l’ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare; la nomina del traduttore per gli adempimenti di cui ai commi 2 e 3 è regolata dagli articoli 144 e seguenti del titolo quarto del libro secondo; la prestazione dell’ufficio di interprete e di traduttore è obbligatoria.

Il primo comma del nuovo articolo 143-bis riproduce il vecchio testo del secondo comma dell’articolo 143 cod. proc. pen., stabilendo che l’autorità procedente nomini un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intellegibile, ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. Si tratta di una previsione che completa la disciplina generale in materia di interpretariato e traduzione degli atti a cui, pertanto, va coordinata: per quanto concerne la traduzione delle dichiarazioni, si ritiene che la disposizione riguardi le dichiarazioni dei testimoni e dei soggetti diversi dall’imputato e dalla persona offesa, poiché per questi ultimi opera la disciplina, rispettivamente, di cui all’art. 143, come modificato dal d.lgs. n. 32 del 2014, e 143-bis, commi 2, 3, e 4 cod. proc. pen., di nuova introduzione; per quanto attiene alla traduzione dei documenti, si osserva che tale previsione sia comunque da coordinare con l’art. 242, comma 1, cod. proc. pen., in base al quale la traduzione di un documento redatto in lingua diversa da quella italiana è disposta dal giudice solo «se ciò è necessario alla sua comprensione»

Il secondo comma prevede che l’autorità procedente nomina, anche d’ufficio, un interprete quando occorre procedere all’audizione della persona offesa che non conosce la lingua italiana, nonché nei casi in cui la stessa intenda partecipare all’udienza e abbia fatto richiesta di essere assistita dall’interprete.

L’assistenza linguistica si fonda sulla non conoscenza della lingua italiana che, alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte, non discende automaticamente dal mero status di straniero o apolide ma presuppone necessariamente un accertamento di fatto.[29]

Per rispondere alle esigenze di celerità e di immediatezza, inoltre, il terzo comma consente che l’assistenza dell’interprete possa essere assicurata, ove possibile, anche mediante l’utilizzo delle tecnologie di comunicazione a distanza, sempreché la presenza fisica dell’interprete non sia necessaria per permettere alla persona offesa di esercitare correttamente i propri diritti o comprendere il procedimento. Tale previsione consentirebbe, pertanto di poter fruire più facilmente e con minori costi dell’assistenza linguistica senza che l’interprete, specie se di una lingua o un dialetto rari, si debba spostare frequentemente sul territorio. 

Infine, al quarto comma si prevede il diritto della parte offesa allogolotta di ottenere la traduzione gratuita, anche per estratto, di atti o parti di atti del procedimento, utili per l’esercizio dei suoi diritti. La disposizione consente la traduzione in forma orale se l’autorità procedente ritiene che non ne derivi pregiudizio ai diritti della persona offesa, in conformità al par. 6 dell’art. 7 della Direttiva.  

La norma sancisce la gratuità per la parte offesa dell’assistenza dell’interprete e del traduttore, in precisa attuazione di quanto richiede la Direttiva. Tuttavia, pare potersi affermare che stante la attuale previsione contenuta nell’art. 5 del Testo unico delle spese di giustizia, d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, tali costi integrino comunque spese processuali ripetibili dal condannato. Ed infatti, a seguito della modifica introdotta con il d.lgs n. 32 del 2014 le spese degli ausiliari del magistrato sono ripetibili, ad eccezione di quelle per gli interpreti e traduttori nominati nei casi previsti dall’art. 143 cod. proc. pen., che riguarda esclusivamente l’assistenza linguistica assicurata all’imputato.     

6.   Le modifiche alle norme di attuazione del codice di procedura penale in tema di proposizione o presentazione di denuncia o querela.

L’articolo 2 del decreto reca le modifiche alle disposizioni di attuazione, coordinamento e transitorie al codice di procedura penale.

In particolare, alla lettera a) viene inserito l’articolo 107-ter disp. att.,rubricato “Assistenza dell’interprete per la proposizione o presentazione di denuncia o querela”,che prevede in favore della persona offesa che non conosce la lingua italiana, la facoltà di presentare la denuncia o proporre la querela utilizzando una lingua a lei conosciuta, sempre che presentazione o proposizione avvengano dinnanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto. Oltre a ciò, viene stabilito che, negli stessi casi e previa richiesta, la parte offesa può ottenere la traduzione, in una lingua a lei conosciuta, dell’attestazione della ricezione della denuncia o della querela.

In sostanza, il legislatore in ragione degli oneri organizzativi e finanziari che comporta, ha regolato l’esercizio del diritto di proposizione o presentazione di denuncia o querela della parte offesa alloglotta, individuando nelle Procure della Repubblica del capoluogo del distretto gli uffici giudiziari maggiormente capaci sul territorio di dotarsi della necessaria traduzione.

L’art. 2, comma 1, lett. b), introduce l’articolo 108-ter disp. att., (“Denunce e querele per reati commessi in altro Stato dell’unione europea”)  secondo il quale, per reati commessi in altri Stati dell’Unione europea quando la persona offesa denunciante o querelante sia residente o abbia il domicilio nel territorio dello Stato, il Procuratore della Repubblica trasmette al Procuratore generale presso la Corte di appello le denunce o le querele, affinché ne curi l’invio all’autorità giudiziaria competente. La disposizione dà attuazione alla previsione di cui all’articolo 17, par. 3, della Direttiva, che espressamente impone agli Stati membri di provvedere affinché l’autorità competente dinanzi alla quale la vittima presenta la denuncia la trasmetta senza indugio all’autorità competente dello Stato membro in cui è stato commesso il reato, qualora la competenza ad avviare il procedimento non sia esercitata dallo Stato membro in cui è stata presentata la denuncia.

Pare evidente che tale disposizione sia da coordinare con le norme che disciplinano l’ambito di applicazione della legge penale italiana (artt. 6 e ss cod. pen.) in quanto la condizione per trasmettere la notizia di reato è che non ricorra la giurisdizione dello Stato ricevente la denuncia o la querela.

7.   Brevi osservazioni sui profili intertemporali e sulle conseguenze processuali in caso di inosservanza delle nuove disposizioni.

Per quanto attiene agli aspetti di diritto intertemporale, è da evidenziare come il decreto non contenga una disciplina transitoria e, pertanto, le nuove norme sono applicabili dalla data della loro entrata in vigore (20 gennaio 2016), in base al generale principio tempus regist actum che regola la successione nel tempo delle norme processuali.

Infine, in merito alle conseguenze della nuova disciplina sul piano processuale, si rileva che il legislatore non ha previsto specifiche sanzioni processuali a presidio delle disposizioni introdotte, rimanendo perciò invariato il quadro normativo vigente.  

Peraltro, stante il principio di tassatività dei casi di nullità, eventuali inosservanze non parrebbe che possano nemmeno integrare casi di nullità di ordine generale, ai sensi dell’art. 178, primo comma, lett. c)[30], e cioè lesioni concernenti «l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza» nel processo, non solo perché l’offeso assume la veste di “parte privata” solo successivamente alla eventuale costituzione di parte civile, ma soprattutto perché i casi di nullità riferiti alla posizione della parte offesa sono normativamente circoscritti alla violazione delle norme concernenti la sua citazione in giudizio.

Sarà, pertanto, in sede di applicazione che si misureranno le conseguenze pratiche delle eventuali violazioni, fermo restando il generale obbligo di osservanza delle norme, sancito all’art. 124 cod. proc. pen.

Oltre a ciò si può osservare che le eventuali ordinanze emesse nel corso del processo con le quali il giudice si sia pronunciato nel senso di negare la necessità dell’assistenza linguistica alla parte offesa oppure l’applicazione delle regole per l’audizione della persona offesa “particolarmente vulnerabile”, potrebbero essere contestate esclusivamente con l’impugnazione della sentenza, ai sensi dell’art. 586 cod. proc. pen., con i limiti e le condizioni che il codice, all’art. 572 cod. proc. pen., prevede in tema di impugnazione per la parte offesa anche costituitasi parte civile.

In ogni caso, non può escludersi che le eventuali inosservanze delle norme in tema di assunzione “protetta” o “assistita” delle dichiarazioni della parte offesa “particolarmente vulnerabile”, incidendo sulla regolarità dell’istruttoria, potrebbero rilevare per valutare l’attendibilità e la genuinità delle stesse, in applicazione delle regole generali in tema di prova dichiarativa.

Il redattore

Mariaemanuela Guerra

Il vice direttore

Giorgio Fidelbo

DECRETO LEGISLATIVO 15 dicembre 2015, n. 212

 Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento  europeo  e  del Consiglio, del 25  ottobre  2012,  che  istituisce  norme  minime  in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato  e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI. (15G00221) (GU n.3 del 5-1-2016) 

Vigente al: 20-1-2016   

 IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

    Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;  

Vista  la  direttiva  2012/29/UE  del  Parlamento  europeo  e   del Consiglio, del 25  ottobre  2012,  che  istituisce  norme  minime  in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato  e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI;  

Visto l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;  

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, recante approvazione del codice di procedura penale;

   Vista la legge 6 agosto 2013, n. 96, recante delega al Governo  per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di  altri  atti dell’Unione europea –  Legge  di  delegazione  europea  2013,  e  in particolare l’articolo 1 nonche’ l’allegato B;  

Vista la preliminare  deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri, adottata nella riunione del 4 settembre 2015;  

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni  della  Camera  dei deputati e del Senato della Repubblica;

   Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri,  adottata  nella riunione dell’11 dicembre 2015;

   Sulla proposta del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e  del Ministro della giustizia, di concerto con  i  Ministri  degli  affari esteri e della cooperazione internazionale e  dell’economia  e  delle finanze;

Emana

 il seguente decreto legislativo:

 Art. 1

Modifiche al codice di procedura penale

    1. Al codice di procedura penale,  approvato  con  il  decreto  del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, sono apportate le seguenti modificazioni:

     a) all’articolo 90:

       1) dopo il comma 2, e’ inserito il seguente:

         «2-bis. Quando vi  e’  incertezza  sulla  minore  eta’  della persona offesa dal reato,  il  giudice  dispone,  anche  di  ufficio, perizia. Se, anche dopo la perizia, permangono dubbi, la minore  eta’ e’ presunta, ma soltanto ai fini dell’applicazione delle disposizioni processuali.»;

       2) al comma 3, dopo le parole: «prossimi  congiunti  di  essa», sono aggiunte le seguenti: «o da  persona  alla  medesima  legata  da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente»;

     b) dopo l’articolo 90 sono inseriti i seguenti:       «Art. 90-bis. (Informazioni alla persona  offesa).  –  1.  Alla persona offesa, sin dal primo contatto  con  l’autorita’  procedente, vengono fornite, in una lingua a lei comprensibile,  informazioni  in merito:

         a) alle modalita’ di presentazione degli atti di  denuncia  o querela, al ruolo che assume nel corso delle indagini e del processo, al diritto ad avere conoscenza della data, del luogo del  processo  e della imputazione e,  ove  costituita  parte civile,  al  diritto  a ricevere notifica della sentenza, anche per estratto;

         b) alla facolta’ di ricevere comunicazione  dello  stato  del procedimento e delle iscrizioni di cui all’articolo 335, commi 1 e 2;

         c) alla  facolta’  di  essere  avvisata  della  richiesta  di archiviazione;

         d) alla facolta’ di avvalersi della consulenza legale  e  del patrocinio a spese dello Stato;

         e)    alle    modalita’    di    esercizio    del     diritto all’interpretazione e alla traduzione di atti del procedimento;

         f) alle eventuali misure di  protezione  che  possono  essere disposte in suo favore;

         g) ai diritti  riconosciuti  dalla  legge  nel  caso  in  cui risieda in uno Stato membro dell’Unione europea diverso da quello  in cui e’ stato commesso il reato;

         h) alle modalita’ di contestazione  di  eventuali  violazioni dei propri diritti;

         i) alle autorita’ cui rivolgersi  per  ottenere  informazioni sul procedimento;

         l) alle  modalita’  di  rimborso  delle  spese  sostenute  in relazione alla partecipazione al procedimento penale;

         m) alla possibilita’ di chiedere il  risarcimento  dei  danni derivanti da reato;

         n) alla possibilita’ che il  procedimento  sia  definito  con remissione di querela di cui all’articolo 152 del codice penale,  ove possibile, o attraverso la mediazione;

         o) alle facolta’ ad essa spettanti nei  procedimenti  in  cui l’imputato formula richiesta  di  sospensione  del  procedimento  con messa alla prova o in quelli  in  cui  e’  applicabile  la  causa  di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto;

         p) alle strutture sanitarie  presenti  sul  territorio,  alle case famiglia, ai centri antiviolenza e alle case rifugio.

       Art.    90-ter. (Comunicazioni    dell’evasione     e     della scarcerazione). – 1. Fermo quanto  previsto  dall’articolo  299,  nei procedimenti per delitti commessi con  violenza  alla  persona  sono immediatamente  comunicati  alla  persona offesa   che   ne   faccia richiesta, con l’ausilio della polizia giudiziaria,  i provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva,ed e’ altresi’ data tempestiva  notizia,  con  le  stesse  modalita’, dell’evasione dell’imputato in stato  di  custodia  cautelare  o  del condannato,  nonche’  della volontaria  sottrazione   dell’internato all’esecuzione  della  misura  di  sicurezza detentiva,  salvo   che risulti, anche nella ipotesi di cui  all’articolo  299,  il pericolo concreto di un danno per l’autore del reato.

       Art. 90-quater.  (Condizione di particolare vulnerabilita’).  –

1. Agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilita’ della persona offesa e’ desunta,  oltre che dall’eta’ e dallo stato di infermita’ o di  deficienza  psichica, dal tipo di reato, dalle modalita’ e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si  tiene  conto  se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se e’ riconducibile  ad  ambiti  di  criminalita’  organizzata  o  di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani,  se si caratterizza per finalita’ di discriminazione,  e  se  la  persona offesa   e’   affettivamente,   psicologicamente o   economicamente dipendente dall’autore del reato.»;

     c) al comma 4 dell’articolo 134 e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo:  «La  riproduzione  audiovisiva  delle  dichiarazioni  della persona offesa in condizione di particolare vulnerabilita’ e’ in ogni caso  consentita,  anche  al  di  fuori  delle  ipotesi  di  assoluta indispensabilita’.»;

     d) dopo l’articolo 143 e’ inserito il seguente:

       «Art. 143-bis. (Altri  casi  di  nomina  dell’interprete).-  1. L’autorita’ procedente nomina un interprete quando  occorre  tradurre uno scritto in lingua straniera  o  in  un  dialetto  non  facilmente intellegibile ovvero quando la persona che  vuole  o  deve  fare  una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La  dichiarazione  puo’ anche essere fatta per iscritto  e  in  tale  caso  e’ inserita  nel verbale con la traduzione eseguita dall’interprete.

       2. Oltre che nei casi di cui al comma 1 e di  cui  all’articolo 119, l’autorita’ procedente nomina, anche  d’ufficio,  un  interprete quando occorre procedere all’audizione della persona offesa  che  non conosce la lingua italiana nonche’ nei casi in cui la stessa  intenda partecipare all’udienza e abbia fatto richiesta di essere  assistita dall’interprete.

       3. L’assistenza dell’interprete  puo’  essere  assicurata,  ove possibile,   anche mediante   l’utilizzo   delle   tecnologie    di comunicazione   a   distanza, sempreche’   la    presenza    fisica dell’interprete non sia necessaria per consentire alla persona offesa di  esercitare  correttamente  i  suoi  diritti  o   di comprendere compiutamente lo svolgimento del procedimento.

       4. La persona offesa che non  conosce  la  lingua  italiana  ha diritto alla traduzione gratuita di atti, o parti degli  stessi,  che contengono informazioni utili all’esercizio  dei  suoi  diritti.  La traduzione puo’ essere disposta sia in forma orale che per  riassunto se l’autorita’ procedente ritiene che non ne  derivi pregiudizio  ai diritti della persona offesa.»;

     e) al comma 1-bis dell’articolo 190-bis dopo  le  parole:  «degli anni sedici» sono inserite le seguenti:  «e,  in  ogni  caso,  quando l’esame  testimoniale richiesto  riguarda  una  persona  offesa   in condizione di particolare vulnerabilita’»;

     f) al comma 1-ter  dell’articolo  351  e’  aggiunto  il  seguente periodo: «Allo stesso modo  procede  quando  deve  assumere  sommarie informazioni da una persona offesa, anche maggiorenne, in  condizione di particolare vulnerabilita’. In ogni caso assicura che  la  persona offesa particolarmente vulnerabile, in occasione della  richiesta  di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona  sottoposta ad indagini  e  non  sia  chiamata  piu’  volte  a  rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessita’ per le indagini.»;

     g) al comma 1-bis  dell’articolo  362  e’  aggiunto  il  seguente periodo: «Allo stesso modo provvede  quando  deve  assumere  sommarie informazioni da una persona offesa, anche maggiorenne, in  condizione di particolare vulnerabilita’. In ogni caso assicura che  la  persona offesa particolarmente vulnerabile, in occasione della  richiesta  di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona  sottoposta ad indagini  e  non  sia  chiamata  piu’  volte  a  rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessita’ per le indagini.»;

     h) al comma 1-bis  dell’articolo  392  e’  aggiunto  il  seguente periodo: «In ogni caso, quando la persona offesa versa in  condizione di  particolare vulnerabilita’,  il  pubblico  ministero,  anche  su richiesta della stessa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della sua testimonianza.»;

     i) all’articolo 398, dopo il comma 5-ter e’ aggiunto il seguente:«5-quater. Fermo quanto previsto  dal  comma  5-ter,  quando  occorre procedere all’esame di una persona offesa che versa in condizione  di particolare vulnerabilita’  si  applicano  le  diposizioni  di   cui all’articolo 498, comma 4-quater.»;

     l)  all’articolo  498,  il  comma  4-quater  e’  sostituito   dal seguente: «4-quater. Fermo  quanto  previsto  dai  precedenti  commi, quando occorre procedere all’esame di una persona offesa che versa in condizione di particolare vulnerabilita’, il giudice, se  la  persona offesa o il suo difensore ne  fa  richiesta, dispone  l’adozione  di modalita’ protette.». 

Art. 2

 Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale

    1. Alle norme di attuazione, di  coordinamento  e  transitorie  del codice di procedura penale, approvate con il decreto  legislativo  28 luglio 1989, n. 271, sono apportate le seguenti modificazioni:

     a) dopo l’articolo 107-bis e’ inserito il seguente:

       «Art. 107-ter. (Assistenza dell’interprete per la  proposizione o presentazione di denuncia o querela).- 1. La persona offesa che non conosce la lingua italiana, se presenta denuncia  o  propone  querela dinnanzi alla  procura  della  Repubblica  presso  il  tribunale  del capoluogo del distretto, ha diritto di utilizzare una  lingua  a  lei conosciuta.  Negli  stessi  casi  ha  diritto  di  ottenere,   previarichiesta,  la  traduzione   in   una   lingua   a   lei   conosciuta dell’attestazione di ricezione della denuncia o della querela.»;

     b) dopo l’articolo 108-bis e’ inserito il seguente:

       «Art. 108-ter. (Denunce e querele per reati commessi  in  altro Stato dell’Unione europea). – 1. Quando la persona offesa denunciante o querelante sia residente o abbia il domicilio nel territorio  dello Stato, il  procuratore  della  Repubblica  trasmette  al  procuratore generale presso la Corte di appello le denunce o le querele per reati commessi in  altri  Stati  dell’Unione  europea, affinche’  ne  curi l’invio all’autorita’ giudiziaria competente.».

Art. 3

Disposizioni finanziarie

    1. Agli  oneri  derivanti  dall’attuazione  del  presente  decreto, valutati in euro 1.280.000,00 annui, a decorrere dall’anno  2016,  si provvede  mediante corrispondente  riduzione  del   Fondo   per   il recepimento della normativa europea di cui all’articolo 41-bis  della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

   2. Ai sensi dell’articolo 17, comma 12,  della  legge  31  dicembre 2009, n. 196, il Ministro della giustizia  provvede  al  monitoraggio degli oneri di cui al presente decreto  e  riferisce  in  merito  al Ministro dell’economia e delle finanze. Nel  caso si  verifichino  o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsionidi cui al comma 1, il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro della giustizia,  provvede,  con  proprio  decreto,  alla riduzione, nella misura necessaria alla  copertura  finanziaria  del maggior  onere  risultante  dall’attivita’  di monitoraggio,   delle dotazioni  finanziarie  rimodulabili  di  parte   corrente   di cui all’articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31  dicembre  2009, n. 196, nell’ambito del programma «Giustizia civile e  penale»  della missione «Giustizia» dello stato di previsione  del  Ministero  della giustizia.

   3. Il Ministro dell’economia e  delle  finanze  e’  autorizzato  ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.   Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

     Dato a Roma, addi’ 15 dicembre 2015

MATTARELLA

Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri

Orlando, Ministro della giustizia

Gentiloni Silveri, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale

Padoan, Ministro dell’economia e delle finanze

Visto, il Guardasigilli: Orlando 

[1] recante “Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.”, pubblicato sulla G.U. Serie Generale n.3 del 5.01.2016,entrato in vigore il 20 gennaio 2016.

[2] Sottolinea come l’introduzione del concetto di vittima sia avvenuta in settori ancillari del diritto processuale: così, infatti, nella normativa sulla competenza del giudice di pace, con gli istituti del ricorso immediato e della mediazione; nella disciplina penitenziaria, per il tramite dei parametri di concessione delle misure alternative e di scelta del luogo di detenzione domiciliare, L. LUPARIA, L’Europa e una certa idea di vittima (ovvero come una direttiva può mettere in discussone il nostro modello processuale), in L’integrazione europea attraverso il diritto processuale penale, (a cura di) R. MASTROIANNI, D. SAVY, Editoriale scientifica, 2013, pag. 91.

[3] Direttiva 2012/29/UE, art. 2, par. 1, lett.a) e b): «Articolo 2. Definizioni.1. Ai fini della presente direttiva si intende per: a) «vittima»: una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato; un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona; «familiare»: il coniuge, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo, i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima…..omissis».

[4] La base giuridica della direttiva è l’art. 82, par. 2, lett. c) del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione, in base al quale i diritti delle vittime della criminalità rientrano tra le materie in cui il Parlamento europeo ed il Consiglio possono stabilire norme minime attraverso direttive di armonizzazione penale: «Art. 82.…omissis…2.Laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziari e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materia penali aventi dimensioni transnazionale, il Parlamento europeo ed il Consiglio possono stabilire norme minime deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria. Queste tengono conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli  ordinamenti giuridici degli Stati membri. Esse riguardano:….. omissis; c) i diritti delle vittime della criminalità;….».

[5] adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009. La relativa tabella di marcia è stata approvata con risoluzione 10 giugno 2011 del Consiglio (la c.d. tabella di marcia di Budapest), in G.U.U.E. n. 187 del 28/06/2010.

[6] cfr. Sez. 4, sent. n. 16946 del 20/03/2015, M., Rv. 263448; Sez. 4, sent. n. 8164 del 03/02/2006, Duric, Rv. 233914.  

[7] Corte cost., sent. n. 238 del 1996.

[8]Sez.1, sent. n. 498 del 27/02/1989, Salvan, Rv. 180898.

[9] Sez. 4, sent. n. 6284 del 02/12/2005, dep. 17/02/2006, Euchi, Rv. 232959; Sez. 7, sent. n. 32547 del 7/06/2012, Euchi.

[10] con legge 30 giugno 2009, n. 85.

[11] «ART. 224-bis. (Provvedimenti del giudice per il compimento su persone viventi di prelievi di campioni biologici o accertamenti medici). 1. Se per l’esecuzione della perizia è necessario procedere al prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi, ovvero ad accertamenti medici e non vi è il consenso della persona sottoposta all’esame del perito, il giudice, anche d’ufficio, dispone con ordinanza motivata l’esecuzione obbligatoria del prelievo o dell’accertamento, se esso risulta assolutamente indispensabile per la prova dei fatti e si procede per taluno dei delitti per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o per un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale è prevista la reclusione superiore nel massimo a tre anni. 2. L’ordinanza che dispone il prelievo obbligatorio contiene, a pena di nullità rilevabile anche di ufficio:

a) le generalità della persona sottoposta all’esame o quanto altro valga ad identificarla; b) la descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate;
c) l’indicazione specifica del prelievo o dell’accertamento da effettuare e delle ragioni che lo rendono assolutamente indispensabile per l’accertamento del fatto; d) l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora stabiliti per il compimento dell’atto e delle modalità di compimento; e) l’avviso che l’interessato può farsi assistere da una persona di fiducia;
f) l’avviso che, in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, potrà essere ordinato l’accompagnamento coattivo.

3. L’ordinanza è notificata all’interessato, alla persona sottoposta alle indagini e al suo difensore almeno tre giorni prima di quello stabilito per l’esecuzione delle operazioni peritali.

4. Le operazioni sono eseguite nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto.

5. Non possono in alcun caso essere disposte operazioni che contrastano con espressi divieti previsti dalla legge, ovvero che mettono in pericolo la vita, l’integrità fisica, la salute della persona o del nascituro, o che, secondo la scienza medica, possono provocare sofferenze di non lieve entità.

6. Qualora il soggetto invitato a presentarsi per essere sottoposto alle attività indicate nel comma 1 non compare senza addurre un legittimo impedimento, il giudice dispone che sia accompagnato, anche coattivamente, nel luogo, nel giorno e nell’ora stabiliti. L’uso di mezzi di coercizione fisica è consentito per il solo tempo strettamente necessario all’esecuzione del prelievo o dell’accertamento. Si applicano le disposizioni dell’articolo 132, comma 2.».

[12] Cfr. S. ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, in S. ALLEGREZZA, H. BELLUTA – M. GIALUZ, L. LUPARIA, Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Giappichelli, 2012, pag.1. 

[13] Singolarmente la norma non prevede tra gli avvisi quelli relativi al diritto di richiedere di essere avvisati della richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari (art. 299, commi 3 e 4-bis cod. proc. pen.), nonché della scarcerazione o evasione del condannato internato (art. 90-ter cod. proc. pen.).

[14] così, infatti, il diritto a presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento e di indicare elementi di prova (con esclusione del giudizio di cassazione) (art. 90); di richiedere ed ottenere la comunicazione delle iscrizioni contenute nel registro delle notizie di reato (art. 335); di ricevere l’informazione di garanzia (art. 369); di nominare un difensore e accedere al patrocinio a spese dello Stato (art. 101); di essere informata della revoca o sostituzione delle misure cautelari (e della relativa richiesta) (art. 299); di richiedere al pubblico ministero di promuovere l’incidente probatorio e prendere visione dei relativi atti (artt. 390 e 401); di assistere agli atti garantiti del pubblico ministero e ricevere l’avviso del loro deposito (artt. 360 e 366); di interloquire sulla proroga del termine di durata delle indagini (art. 406); di intervenire in merito alla richiesta del P.M. di archiviazione (art. 409); di richiedere al Procuratore generale l’avocazione delle indagini (art. 413); di essere citata per l’udienza preliminare (art. 419); di essere informata del rinvio a giudizio immediato (art. 456) e del giudizio abbreviato (art. 438); di sollecitare il pubblico ministero affinché proponga impugnazione agli effetti penali (art. 572).

[15] L’art. 11 della Direttiva prescrive agli Stati membri di garantire, almeno alle vittime di gravi reati (serious crimes, nel testo ufficiale inglese), il diritto di impugnare una decisione di non esercitare l’azione penale secondo le norme del diritto nazionale. Al par. 3, inoltre, impone agli Stati membri di assicurare che le vittime siano comunque informate, senza indebito ritardo, del proprio diritto di ricevere e di ottenere, previa richiesta, (upon request, nel testo ufficiale inglese), informazioni sufficienti per decidere se chiedere il riesame di una decisione di non esercitare l’azione penale. «Articolo 11. Diritti in caso di decisione di non esercitare l’azione penale. 1. Gli Stati membri garantiscono alla vittima, secondo il ruolo di quest’ultima nel pertinente sistema giudiziario penale, il diritto di chiedere il riesame di una decisione di non esercitare l’azione penale. Le norme procedurali per tale riesame sono determinate dal diritto nazionale. 2 Laddove, a norma del diritto nazionale, il ruolo della vit­tima nel pertinente sistema giudiziario penale è stabilito soltanto in seguito alla decisione di esercitare l’azione penale contro l’autore del reato, gli Stati membri garantiscono almeno alle vittime di gravi reati il diritto di chiedere il riesame di una decisione di non esercitare l’azione penale. Le norme procedurali per tale riesame sono determinate dal diritto nazionale. 3 Gli Stati membri provvedono a che la vittima sia infor­mata, senza indebito ritardo, del proprio diritto di ricevere e di ottenere informazioni sufficienti per decidere se chiedere il rie­same di una decisione di non esercitare l’azione penale, previa richiesta. 4 Qualora la decisione di non esercitare l’azione penale sia adottata dalla massima autorità responsabile dell’esercizio del­l’azione penale avverso le cui decisioni non è possibile chiedere la revisione secondo il diritto nazionale, la revisione può essere svolta dalla stessa autorità. 5  I paragrafi 1, 3 e 4 non si applicano a una decisione di non esercitare l’azione penale se tale decisione si traduce in una composizione extragiudiziale, sempre che il diritto nazionale disponga in tal senso.».

[16] Il parere espresso dalla Commissione II Giustizia della Camera dei Deputati il 27 ottobre 2015 è consultabile sul sito istituzionale della Camera dei deputati: http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2015/10/27
/leg.17.bol0529.data20151027.com02.pdf 

[17] Corte giustizia, 15/09/ 2011, Cause C-483 e C-1/10, Guye e Sanchez. La questione rimessa alla Corte  ha preso le mosse da due casi di violazione del divieto di avvicinamento e comunicazione con la persona offesa: in entrambi i casi le vittime si opponevano all’irrogazione della sanzione manifestando l’intento sia di riprendere i contatti con i condannati sia di accedere alla mediazione penale. Dall’autorità giudiziaria spagnola è stato chiesto alla Corte di giustizia se il diritto europeo, con la Decisione quadro 2001/220/GAI, riconosca alle vittime il diritto di incidere sulle scelte punitive degli Stati membri.

[18] Di tale pronuncia si conosce soltanto l’informazione provvisoria. La questione era stata rimessa con ordinanza della Sez. 5,  n. 42220 del 9 luglio 2015, F. in proc. C.; cfr., L. PIRAS, L’espressione “violenza alla persona” e il suo significato. La parola è rimessa alle Sezioni Unite, in Diritto & Giustizia, 2015, fasc. 30, pag. 4.

[19] Un primo orientamento, condiviso dalla giurisprudenza maggioritaria, sostiene che con la formula di chiusura dell’art. 649 cod. pen. il legislatore, richiamando soltanto la violenza alle persone, avrebbe inteso la violenza esclusivamente materiale o fisica, manifestando, pertanto, l’intenzione di conservare il regime di favore della non punibilità o della perseguibilità a querela, di cui ai primi due commi, con riferimento ai delitti contro il patrimonio commessi con minaccia (Sez. 2, n. 636 del 9/04/1965, Pulin, Rv. 099588; Sez. 2, n. 3718 del 18/05/1990, Belgiorno, Rv. 186762; Sez. 2, n. 8470 del 26/07/1995, Pozzobon, Rv. 202336; Sez. 2, n. 20110 del 5/04/2002, Bernini, Rv. 221854; Sez. 2, n. 13694 del 15/03/2005, Scibile, Rv. 231051; Sez. 2, n. 16023 del 17/03/2005, Loritto, Rv. 231785; Sez. 2, n. 12403 del 27/02/2009, Freguglia, Rv. 244054; Sez. 2, n. 18273 del 19/01/2011, Frigerio, Rv. 250083; Sez. 2, n. 24643 del 21/03/2012, Errini, Rv. 252833; Sez. 2, n. 32354 del 10/05/2013, Gallano, Rv.255982; Sez. 2, n. 19298 del 15/04/2015, Di Domenico, non mass. sul punto.); altro indirizzo, maggioritario in dottrina, invece, assegna all’inciso “violenza alle persone” un significato inclusivo anche della violenza psichica o morale e, quindi, della minaccia, purché si tratti di violenza effettiva e non soltanto presunta, come nell’ipotesi di cui all’articolo 634, secondo comma, cod. pen. (Sez. 2, n. 8428 del 9/06/1988, Bruni, Rv. 178968; Sez. 6, n. 19299 del 18/12/2007, dep. 14/05/2008, Casale, RV 240500; Sez. 6, n. 35528 del 4/07/2008, Paskovic e altri, Rv. 241512).

[20] Pubblicata on line in http://www.procuratrento.it/allegatinews/A_2829.pdf

[21] Consultabile on line in: http://www.procuratrento.it/allegatinews/A_2549.pdf

[22] Tale Convenzione è entrata in vigore dall’1 agosto 2014, dopo aver raggiunto il numero minimo di Paesi firmatari e, pertanto, attualmente è a tutti gli effetti atto vincolante per il nostro Paese.

[23] «Articolo 3 – Definizioni.Ai fini della presente Convenzione: a) con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; b) l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima; c) con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini; d) l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato; e) per “vittima” si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b; f) con il termine “donne” sono da intendersi anche le ragazze di meno di 18 anni.

[24] pur lasciando alle Parti la possibilità di esprimere riserva di prevedere sanzioni non penali (art. 78, par. 3).

[25] Cfr. G. BATTARINO, Note sull’attuazione in ambito penale e processuale penale della convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, in   http://www.penalecontemporaneo.it.

[26] «Articolo 1.  Principi generali. 1. Nell’attuazione  delle  disposizioni   del   presente   decreto legislativo,  si  tiene  conto,  sulla  base   di   una   valutazione individuale della vittima, della specifica situazione  delle  persone vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, gli anziani, i disabili, le donne, in particolare  se  in  stato  di  gravidanza,  i genitori singoli con figli minori, le persone con disturbi  psichici, le persone che hanno subito torture, stupri o altre  forme  gravi  di violenza psicologica, fisica, sessuale o di genere.».

[27] In estrema sintesi, l’OPE è una decisione con la quale l’autorità di un Paese dell’Unione dispone che gli effetti di una misura di protezione – disposta a tutela di una persona vittima di reato – si estendano al territorio di un altro Paese membro nel quale la persona protetta risieda o soggiorni o dichiari di voler risiedere o soggiornare (artt. 1 e 2, n. 1, Direttiva 2011/99/UE e art. 2, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 9 del 2015). Si tratta evidentemente di un importante strumento di cooperazione giudiziaria finalizzato a rafforzare la protezione di quelle vittime che vogliano esercitare il loro diritto di cittadini dell’Unione di circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri(considerandon. 6 Dir. 2011/99/UE e art. 1 d.lgs. 9/2015).

Il decreto legislativo di recepimento n. 9 del 2015, agli artt. 5 e 9, circoscrive il riconoscimento dell’OPE alle misure cautelari dell’allontanamento della casa familiare (art. 282 bis c.p.p.) e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.).

[28] Sul tema della interpretazione conforme, cfr., per tutti, F.CHERUBINI, L’obbligo di interpretazione conforme “sconfina” nel terzo pilastro: note a margine della sentenza Pupino, inStudi sull’integrazione europea, 2006, fasc. 1, pag. 157; M. CAIANIELLO, Il Caso Pupino, riflessioni sul nuovo ruolo riconosciuto al giudice, in L’interpretazione conforme al diritto comunitario in materia penale, a cura di F. SGUBBI e G. INSOLERA, B.U.P., 2007, 89; da ricordare,  altresì, la fondamentale pronuncia Corte giustizia, 21/06/2005, causa C-105/03, Pupino, che ha affermato, la doverosità della interpretazione conforme della normativa processuale in materia di garanzie per le vittime di reato per adeguare il diritto interno alle prescrizioni contenute nel diritto europeo, sempreché tale interpretazione non aggravii la responsabilità penale dell’imputato o comunque non si traduca in un interpretazione contra legem.

Senza dimenticare la possibilità per il giudice nazionale di richiedere alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, una pronuncia pregiudiziale sulla compatibilità della norma interna, che limita gli obblighi informativi a favore delle persone offese dei delitti commessi con violenza fisica alla persona, con le prescrizioni derivanti dal diritto europeo in tema di tutela delle vittime, con particolare riferimento alle disposizioni della Direttiva 2001/29/UE.      

In dottrina si è anche prospettato che l’interpretazione del concetto di violenza alla persona in chiave restrittiva, potrebbe giustificare il ricorso per illegittimità alla Corte costituzionale, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., delle norme che la contengono, per omessa previsione delle condotte minaccia o violenza morale, doverosa, invece, stante il carattere vincolante della direttiva 2012/29/UE (il cui termine di recepimento è scaduto il 16 novembre 2015) e delle altri fonti europee vincolanti, G.SEPE, Violenza di genere e consultazioni della persona offesa nelle vicende estintive delle misure cautelari, in http://www.dirittopenalecontemporaneo.it .

[29] Sez. 3, sent. n. 11514 del 27/02/2015, Morante Zarate, Rv. 262980; Sez. F, sent. n. 44016 del 04/09/2014, Vjerdha, Rv. 260997.

La Corte ha, altresì, affermato che «In tema di traduzione degli atti, l’accertamento relativo alla conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana, previsto dall’art. 143, cod. proc. pen., come modificato dal D.Lgs n. 32 del 2014, non deve necessariamente essere compiuto personalmente dall’autorità giudiziaria, in quanto la conoscenza della lingua italiana può essere verificata anche sulla base degli elementi risultanti dagli atti di polizia giudiziaria, rimanendo comunque salva la facoltà per il giudice di compiere ulteriori verifiche ove tali elementi non siano concludenti.(Fattispecie in cui la Corte ha considerato immune da vizi l’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva ritenuto accertata la conoscenza della lingua italiana sulla base della annotazione della polizia giudiziaria in cui si dava atto che l’indagato aveva in italiano declinato le proprie generalità, risposto alle domande rivoltegli, affermato di non voler sottoscrivere alcun atto se non alla presenza del difensore, ed aveva intrattenuto con questi un colloquio di circa quindici minuti in lingua italiana).»,Sez. 5, sent. n. 52245 del 09/10/2014, Viharev, Rv. 262101.

[30] «Art. 178. (Nullità di ordine generale) -È sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario ; b) l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e la sua partecipazione al procedimento; c) l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante.».

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