Relazione del Massimario sul d.lgs. n. 7/2016 su “Depenalizzazione e abolitio criminis

a cura di Pietro Molino, Luigi Barone, Alessandro D’Andrea, Maria Emanuela Guerra

C O R T E   D I   C A S S A Z I O N E

UFFICIO DEL MASSIMARIO

Settore penale

Rel. n. III/01//2016                                                             Roma, 2 febbraio 2016

Novità legislative: Decreto Legislativo 15 Gennaio 2016, N. 7; Decreto Legislativo 15 Gennaio 2016, N. 8 (in G.U. n.17 del 22 gennaio 2016, entrata in vigore 6 febbraio 2016) 

Rif. Norm.:

Decreto Legislativo 15 Gennaio 2016, N. 7 

Decreto Legislativo 15 Gennaio 2016, N. 8

Legge 24 novembre 1981, n. 689

Gli interventi di depenalizzazione e di abolitio criminis del 2016: una prima lettura.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. L’intervento di depenalizzazione (D. Lgs. n. 8 del 2016).- 3. La depenalizzazione “cieca”. – 3.1. L’esclusione dei reati del codice penale.- 3.2. L’intervento sulle fattispecie aggravate. – 3.3. La disciplina delle fattispecie aggravate dalla ripetizione dell’illecito amministrativo. – 3.4. Le tre fasce edittali di sanzioni amministrative pecuniarie. – 4. La depenalizzazione “nominativa”. – 4.1. Le tre fasce di sanzioni amministrative e le eccezioni. – 5. I casi di mancato esercizio della delega. 6.  Le sanzioni accessorie. – 7. Profili procedimentali dei nuovi illeciti. – 8. Profili di diritto intertemporale. – 9. Il rapporto tra depenalizzazione, illecito amministrativo e tenuità del fatto. 10. L’intervento di abrogazione (D. Lgs. n. 7 del 2016). – 10.1. L’abrogazione degli artt. 485 e 486 cod. pen. – 10.2. L’abrogazione dell’ingiuria. – 10.3. L’abrogazione degli artt. 627 e 647 cod. pen.. – 10.4. La “riscrittura” del reato di danneggiamento. – 11. Le sanzioni pecuniarie civili. – 11.1. (segue) La disciplina.

1. Introduzione.

Con i decreti legislativi nn. 7 e 8 del 15 gennaio 2016 viene data esecuzione all’art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67, che ha conferito delega al Governo per la “Riforma della disciplina sanzionatoria” di reati; nel comma 2 e nel comma 3, lettera b), dell’art. 2 della legge delega sono contenuti i criteri e i principi direttivi per la trasformazione di reati in illeciti amministrativi, mentre le restanti disposizioni del comma 3 contengono criteri e principi direttivi per l’abrogazione di alcuni reati, con contestuale previsione, per i fatti corrispondenti, di sanzioni pecuniarie civili aggiuntive rispetto al risarcimento del danno.

Come evidenziato nelle relazioni governative di accompagnamento agli schemi dei due decreti, con questi interventi il legislatore intende dare concretezza ad una scelta politica volta a deflazionare il sistema penale, sostanziale e processuale, in ossequio ai principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione criminale: l’idea condivisa è che una penalizzazione generalizzata, seppure formalmente rispondente a intenti di maggiore repressività, si risolve di fatto in un abbassamento della tutela degli interessi coinvolti, nella misura in cui la macchina repressiva penale non è (e non può essere) calibrata per sanzionare un numero elevato di fatti, specie quando questi siano minori per grado di offensività.

Il primo strumento utilizzato è quello della depenalizzazione, cioè della trasformazione di taluni reati in illeciti amministrativi: l’affidamento all’autorità amministrativa dell’intervento punitivo per condotte di ridotta gravità rappresenta – nel pensiero del legislatore – la soluzione privilegiata, perché evita le inefficienze e le storture cui inevitabilmente va incontro il sistema penale quando il carico degli affari diventa numericamente eccessivo. Attraverso la riduzione del catalogo dei reati, inoltre, si intende combattere l’effetto di disorientamento che l’eccesso di prescrizioni provoca nei consociati, riducendo il rischio che l’incorrere nella commissione di un reato finisca col dipendere sempre più dal caso, con quanto ne consegue in termini di perdita di legittimazione dell’intervento punitivo.

Nella stessa ottica si pone, quale seconda modalità di intervento, la scelta di abrogare alcuni reati previsti da disposizioni del codice penale, con contemporanea sottoposizione dei corrispondenti fatti a “sanzioni pecuniarie civili” che si aggiungono al risarcimento del danno.

Con i limiti e le approssimazione di una prima lettura, la presente relazione intende offrire un rapido inquadramento delle linee portanti del duplice intervento normativo, tentando di indicare le possibili problematiche interpretative.

2. L’intervento di depenalizzazione (D. Lgs. n. 8 del 2016).

L’ambito applicativo della depenalizzazione è individuato dalla legge delega in base a due diversi criteri di selezione: uno di carattere formale, legato al tipo di trattamento sanzionatorio; l’altro di carattere sostanziale, dipendente dal riconoscimento che determinati comportamenti, pur mantenendo il carattere illecito, non sono più tuttavia ritenuti meritevoli di pena, potendo essere sanzionati in via amministrativa.

Il primo criterio è esplicitato nella lettera a) del comma 2 dell’articolo 2 della legge delega che, riferendosi a <<tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda>>, costituisce una clausola generale di depenalizzazione cd. “cieca”: il decreto legislativo n. 8/2016 dà attuazione al criterio attraverso l’art. 1, comma 1, che prevede, appunto, che <<Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda>>.

Il secondo criterio, contenuto nelle lettere b), c) e d) del comma 2 dell’articolo 2 della delega, opera invece una depenalizzazione cd. “nominativa”, indicando specificamente le fattispecie su cui intervenire: il decreto legislativo in commento attua tale previsione attraverso gli artt. 2 (Depenalizzazione dei reati del codice penale) e 3 (Altri casi di depenalizzazione).  

3. La depenalizzazione “cieca”.

La clausola generale di depenalizzazione “cieca” – già in passato[1] utilizzata dal legislatore  – incontra limiti ulteriori rispetto a quello costituito dal tipo di pena.

In particolare, il decreto – recependo le indicazioni della legge delega, che aveva (lettera adel comma 2 dell’art. 2) già individuato una lunga serie di materie[2] escluse dalla depenalizzazione, in considerazione dell’importanza dei beni giuridici tutelati – ha proceduto all’individuazione delle leggi disciplinanti quelle materie, raggruppandole nell’elenco allegato al decreto. Seguendo, poi, una tecnica legislativa già adoperata nel decreto legislativo n. 507/1999, in presenza di corpi normativi dal contenuto eterogeneo, quindi concernente solo in parte una materia esclusa, il legislatore delegato ha provveduto a precisare singolarmente le disposizioni di quella legge sottratte alla depenalizzazione: tale criterio potrebbe peraltro ingenerare qualche problema interpretativo, laddove si dovessero rinvenire fattispecie di reato rientranti nelle materie “eccettuate” ma non ricomprese, per effetto di imprecisione legislativa, nei testi normativi richiamati nell’elenco.    

Al contrario, la netta formulazione della clausola generale di depenalizzazione ha impedito al Governo di operare mediante la previa individuazione specifica, una per una, delle fattispecie destinate ad essere colpite dalla degradazione in illecito amministrativo, individuazione che viene dunque rimessa all’operazione ermeneutica dell’interprete.

3.1. L’esclusione dei reati del codice penale.

Ai sensi del comma 3 dell’art. 1 del decreto delegato, la depenalizzazione generale di cui al comma 1 non si applica ai reati previsti dal codice penale.

La disposizione non trova immediato riscontro nella legge delega, nella quale la clausola generale di depenalizzazione sembra fare indistinto riferimento a “tutti” i reati puniti con sola pena pecuniaria, senza distinzione fra fattispecie contemplate nel codice penale e ipotesi previste dalle leggi penali speciali.

I motivi di tale scelta sono esplicitati nella relazione governativa, dove si afferma che a favore della esclusione milita un duplice ordine di argomenti.

In primo luogo, si evidenzia che nel momento in cui lo stesso legislatore delegante, nel dettare alla lettera b) del comma 2 le direttive specifiche relative al codice penale, ha inserito nell’elenco dei reati da depenalizzare anche talune fattispecie codicistiche punite con la sola pena pecuniaria (segnatamente, gli artt. 659, comma 2[3] e 726[4]), ciò sta a significare che la clausola generale non è da ritenere operativa nei confronti del codice, poiché in caso contrario – in presenza, cioè, di una depenalizzazione dei reati codicistici puniti con sola pena pecuniaria – non avrebbe avuto alcun senso l’inserimento di tali ipotesi contravvenzionali tra quelle da depenalizzare.

Per altro verso, si sottolinea che, se la clausola generale di depenalizzazione operasse nei confronti del codice, si produrrebbero risultati vistosamente asistematici, in quanto <<…l’effetto depenalizzante andrebbe a colpire fattispecie delittuose, bensì sanzionate con la sola multa, ma facenti parte di complessi normativi organicamente deputati alla tutela di beni molto significativi, come ad esempio l’amministrazione della giustizia; mentre alcune fattispecie contravvenzionali sicuramente meno significative non sarebbero depenalizzate in quanto rientranti nelle materie escluse, come ad esempio quelle previste dagli artt. 727-bis, comma 2, e 703, comma 1, cod. pen…>>.

Le ragioni indicate dal legislatore delegato a sostegno della operata esclusione dei reati codicistici, pur a fronte di alcune obiezioni sollevate nei primi commenti[5], non paiono in ogni caso rappresentare – su un piano meramente formale – un travalicamento dei poteri conferiti dal Parlamento, alla luce del constante insegnamento del giudice delle leggi[6] in ordine alla possibilità, nelle situazioni (quale quella in esame) di scarsa chiarezza del legislatore delegante, di individuareper relationem i principi ed i criteri direttivi non espressamente indicati nella delega: la Corte costituzionale ha sempre affermato[7], infatti, che l’indicazione dei principi e dei criteri direttivi di cui all’art. 76 della Carta non elimina ogni discrezionalità nell’esercizio della delega, ma la circoscrive, in modo che resti salvo il potere di valutare le specifiche e complesse situazioni da disciplinare[8]; peraltro, già nella sentenza n. 158 del 1985, la Corte costituzionale aveva chiarito che <<le direttive, i principi ed i criteri servono, per un verso, a circoscrivere il campo della delega, sì da evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l’hanno determinata, per un altro, devono, però, consentire al potere delegato la possibilità di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare>>.

3.2. L’intervento sulle fattispecie aggravate.

Affrontando il problema dei reati puniti nella fattispecie base con la sola pena pecuniaria, la cui ipotesi aggravata è però sanzionata con pena detentiva – sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria – il legislatore delegato, nell’intento di attribuire il massimo ambito applicativo alla clausola generale, ed in assenza di limitazioni previste in tal senso dalla legge delega[9], ha scelto (articolo 1) di mantenere la previsione di depenalizzazione per le fattispecie base, precisando che, in questo caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome, in ragione del venir meno della natura penale di quella base.

Come sottolineato dallo stesso Presidente della Commissione ministeriale incaricata della redazione degli schemi di decreti delegati[10], la trasformazione in fattispecie autonome risponde alla evidente necessità di eliminare ogni incertezza sulla sorte delle fattispecie aggravate, potendo altrimenti ritenersene – con gravi ed intollerabili conseguenze sul piano della certezza del diritto – sia la caducazione per effetto del venir meno dell’illecito penale di base, sia, all’opposto, la loro sopravvivenza, in tal caso facendo dipendere il confine fra illecito amministrativo e reato dall’esito del giudizio di bilanciamento; un giudizio che, invece, d’ora in avanti non è più suscettibile, in caso di riconosciuta presenza e prevalenza delle attenuanti, di ricondurre la risposta punitiva sul piano della mera sanzione pecuniaria.

Nonostante l’assenza di una indicazione specifica nel testo della legge n. 67 del 2014, anche in questa occasione la scelta adottata dal decreto non sembra – ad una prima cauta analisi – oltrepassare, sul piano formale, i principi ed i criteri direttivi della delega, che devono comunque consentire al potere delegato di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare nella fisiologica attività di “riempimento” che lega i due livelli normativi; al riguardo, può essere utile richiamare l’insegnamento della Corte costituzionale[11], per il quale la delega legislativa non elimina ogni discrezionalità del legislatore delegato (i cui margini risultano più o meno ampi a seconda del grado di specificità dei principi e criteri direttivi fissati dal legislatore delegante): di modo che per valutare, di volta in volta, se il legislatore delegato abbia ecceduto tali margini, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia ad essa rispondente, nella misura in cui il controllo di costituzionalità riguarda le difformità della norma delegata rispetto a quella delegante e non le scelte del legislatore che investono il merito della legge delegata.

Una volta risolta, per effetto della espressa qualificazione normativa, la questione della natura delle “nuove” fattispecie, il passaggio da elemento circostanziale ad elemento costitutivo del reato è suscettibile di incidere, quanto meno sul piano teorico e fatta salva la verifica delle effettive ricadute sulle fattispecie concretamente interessate:

–                   sul regime di imputazione, passando da quello stabilito dall’art. 59 commi 1 e 2 cod. pen. (tendenziale necessità almeno della colpa, se si tratta di aggravanti; tendenziale sufficienza della loro oggettiva presenza, se si tratta di attenuanti), a quello risultante dall’art. 42 comma 2 cod. pen. (per i quali è di regola necessario il dolo, salva espressa previsione della colpa);

–                   sul luogo e sul tempo del reato, e dunque sulla individuazione del momento consumativo e del dies a quo, nella prescrizione ai sensi dell’art. 158 cod. pen.;

–                   sul regime di contestazione all’imputato, diverso da quello previsto per gli elementi costitutivi (v. artt. 417 lett. b e 516-518 cod. proc. pen.);

–                   sulla disciplina del concorso di persone nel reato (laddove, mentre l’art. 118 cod. pen. si occupa delle sole circostanze, i precedenti artt. 116 e 117 riguardano i soli elementi costitutivi del reato).

Scarsissime se non nulle ripercussioni sono da attendersi – considerato il generale modesto livello edittale delle nuove ipotesi autonome – sul piano della determinazione della competenza processuale basata sulla misura della pena ai sensi dell’art. 4 cod. proc. pen., dell’applicazione delle misure cautelari ai sensi dell’art. 278 cod. proc. pen., dell’arresto in flagranza e del fermo di indiziato di delitto ai sensi dell’art. 379 cod. proc. pen., sulla chiamata in giudizio mediante citazione diretta o tramite udienza preliminare.

3.3. La disciplina delle fattispecie aggravate dalla ripetizione dell’illecito amministrativo.

Come ampiamente sottolineato nella relazione governativa, la scelta operata dal decreto ha comportato la necessità di una disposizione di coordinamento per disciplinare le ipotesi in cui la fattispecie aggravata – punita con pena detentiva – sia fondata sulla reiterazione dell’illecito depenalizzato: anche in questo caso, l’assenza di una norma di raccordo avrebbe comportato incertezze, potendosi ragionevolmente ritenere[12] che la fattispecie aggravata decada per effetto del venir meno dell’elemento costitutivo, rappresentato appunto dalla “recidiva” in senso tecnico penalistico, ossia per l’assenza di un illecito penale accertato e ascrivibile all’autore della nuova infrazione.

L’art. 5 dispone dunque che <<quando i reati trasformati in illeciti amministrativi  ai  sensi del  presente  decreto  prevedono  ipotesi  aggravate  fondate  sulla recidiva ed  escluse  dalla  depenalizzazione,  per  recidiva è da intendersi la reiterazione dell’illecito depenalizzato>>[13].

Il termine “recidiva” menzionato nell’art. 5 del decreto è dunque da intendersi in senso improprio; una rapida ricognizione in ambiti extrapenalistici consente, peraltro, di evidenziare che la perseveranza nell’illecito non mantiene sempre la stessa denominazione, adoperandosi talvolta il lemma “recidiva”[14], talora invece l’espressione “reiterazione”, in modo da abbinare quest’ultima all’illecito amministrativo e quella di “recidiva” esclusivamente al reato[15].

Gli aspetti di problematicità non si arrestano, tuttavia, al solo profilo lessicale.

Un primo interrogativo, su un piano più generale, concerne la sufficienza della norma di coordinamento a porre la previsione incriminatrice al riparo da possibili dubbi di costituzionalità per effetto della costruzione di un reato il cui elemento oggettivo consiste, nella sostanza, in un mero illecito amministrativo, sia pure ripetuto; in questa sede, si può solo prudentemente osservare che nella valutazione complessiva potrebbe trovare rilievo la nozione fluida e sostanzialistica della “natura penale” di una disposizione interna, per come emergente dalla giurisprudenza della Corte EDU e della stessa CGUE[16].

Ulteriori quesiti si prospettano con riferimento alla portata concettuale e all’ambito applicativo della recidiva.

In merito al primo profilo, ci si domanda se, al fine di accertare, in concreto, la situazione di ripetizione della violazione amministrativa che integra la fattispecie di reato, debba farsi riferimento – considerato per un verso l’utilizzo del termine “reiterazione” e, per altro aspetto, il rimando generale alle disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689, operato dall’art. 6 del d. lgs. n. 8 del 2016 ai fini della applicazione delle (nuove) sanzioni amministrative in esso previste – all’art. 8-bis[17] della legge n. 689/81, introdotto dal d. l.vo. 30 dicembre 1999, n. 507, che disciplina, appunto, la “reiterazione” degli illeciti amministrativi.

Secondo tale disposizione, infatti, si ha reiterazione (reiterazione generica) quando in capo allo stesso soggetto vengono accertate con provvedimento esecutivo più sanzioni amministrative della stessa indole nell’arco del medesimo quinquennio, anche se accertate con un unico provvedimento esecutivo. Il comma 2 dell’art. 8-bis precisa, poi, che sono della stessa indole <<le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono o per le modalità della condotta, presentano una sostanziale omogeneità o caratteri fondamentali comuni>>. Vale a dire che, per aversi reiterazione, gli illeciti amministrativi devono vertere sulla medesima materia e le condotte ivi previste devono essere in qualche modo connesse.La reiterazione è specifica se è violata più volte la medesima disposizione di legge (comma 3), implicando una maggiore gravità.

Queste previsioni non dovrebbero interferire – ad un primo sommario esame – con l’oggetto delle “nuove” ipotesi penali, costituite sempre da reiterazione “specifica”, ossia dalla reiterazione della identica condotta, che prima costituiva reato anche se commessa singolarmente e che d’ora in avanti integra solo un illecito amministrativo.

Sempre a mente dell’art. 8-bis, la reiterazione non opera, poi, se le violazionisuccessive alla prima sono commesse in tempi ravvicinati e sono <<riconducibili ad una programmazione unitaria>>(comma 4). Tale norma introduce una sorta di “mini continuazione” nell’illecito amministrativo, istituto che, di regola, è proprio solo dell’ordinamento penale. La norma, pur non ritenendo di estendere al sistema sanzionatorio amministrativo l’istituto della continuazione, ha disposto che il medesimo disegno nella violazione delle leggi amministrative escluda l’applicabilità della reiterazione.

A fronte di tale disposizione, allora, la previsione di fattispecie penali costituite dalla mera reiterazione della stessa violazione amministrava suscita qualche interrogativo sul se il giudice penale, posto di fronte ad un secondo illecito amministrativo riconducibile, secondo il suo apprezzamento, ad una programmazione unitaria con un primo illecito già accertato e sanzionato, abbia o meno il potere di escludere la reiterazione e dunque di ritenere insussistente il nuovo reato, che in quella “recidiva” si sostanzia;  allo stesso modo, nel caso in cui due o più violazioni riconducibili ad una programmazione unitaria siano già state oggetto di un accertamento amministrativo che ne abbia ritenuto la natura unitaria (e dunque non reiterata), e il giudice penale sia chiamato a valutare un’ulteriore infrazione parimenti omogenea che però, per qualsivoglia ragione, sia sfuggita al processo amministrativo già concluso.

Come noto, infatti, in ambito penale l’intervenuta irrevocabilità della decisione sul primo o sui primi reati non impedisce che il giudice, tanto della cognizione quanto della esecuzione, possa applicare la continuazione, posto che <<la disciplina del reato continuato deve trovare applicazione tutte le volte che le diverse violazioni della legge penale siano state commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Ove tale requisito sia accertato, il reato continuato non può essere escluso per il fatto che tra i vari episodi sia intervenuta una sentenza di condanna o sia sopraggiunta l’irrevocabilità di una tale sentenza>> (così testualmente, Sez. 1, n. 930 del 16 febbraio 1995, Modolo, Rv. 200506).

Nel silenzio legislativo, potrebbero dunque sorgere conflitti interpretativi sulla sussistenza di una matrice unitaria ed omogenea delle violazioni – di per sé idonea, ai sensi dell’art. 8-bis sopra citato, a determinare una reductio ad unitatem del duplice o multiplo illecito – difficilmente potendosi ipotizzare, peraltro, che il giudice penale sia privato, in omaggio ad un dato meramente formale quale quello del precedente accertamento amministrativo, del potere/dovere di verificare l’esistenza stessa di un illecito amministrativo “reiterato” (e non legato dalla mini-continuazione, che tale reiterazione invece esclude), che  rappresenta l‘in sé delle nuove fattispecie penali disegnate dalla novella.

Il secondo ordine di problemi, sollecitati dalla riforma con specifico riguardo alla recidiva, attiene al suo ambito operativo.

Secondo, invero, l’insegnamento della Suprema Corte, affermatosi in materia di guida senza patente (fra le altre: Sez. 4, n. 40617, 30/04/2014, Mauro, Rv. 260304), ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della “recidiva nel biennio”, di cui al comma 13 dell’art. 116 del Cod. della Strada, rileva la data del passaggio in giudicato della sentenza relativa al fatto-reato precedente rispetto a quello per il quale si procede, e non la data di commissione dello stesso.

Quid iuris, dunque, a seguito della depenalizzazione del primo reato e della conseguente assenza, d’ora in avanti, di una sentenza irrevocabile relativa a tale fatto di reato?

In assenza di elementi contrari, ragioni logiche e sistematiche depongono nel senso che il presupposto del (nuovo) reato costituito dalla reiterazione di un illecito amministrativo consiste, sul piano formale, nella esistenza di una provvedimento irrevocabile che abbia accertato la (prima) violazione amministrativa e abbia irrogato la conseguente (nuova) sanzione.

I dubbi interpretativi evidenziati si intersecano – evidentemente – con le incertezze sul versante applicativo/processuale, posto che il legislatore delegato, mentre regola in modo articolato il passaggio dall’ambito penale a quello amministrativo, individuando l’autorità competente per l’irrogazione delle nuove sanzioni amministrative e disciplinando la trasmissione degli atti per le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore del decreto (di cui si dirà più oltre), non fornisce indicazioni in ordine alla procedimentalizzazione della situazione opposta, in cui dalla commissione del secondo illecito amministrativo deriva la competenza del giudice penale.

3.4. Le tre fasce edittali di sanzioni amministrative pecuniarie.

Con riferimento alla clausola generale di depenalizzazione, il legislatore delegato (articolo 1, comma 5) ha fissato tre gruppi di reati puniti con la multa o l’ammenda: non superiore nel massimo a 5.000 euro il primo, a 20.000 euro il secondo, ovvero superiore a 20.000 euro il terzo. Ad essi corrispondono tre fasce sanzionatorie comprese, nell’ambito della più generale cornice edittale stabilita al comma 2, lett. e) della legge delega, rispettivamente, tra 5.000 e 10.000 euro, tra 5.000 e 30.000 euro, ovvero tra 10.000 e 50.000 euro.

L’art. 1 comma 6 del decreto in commento stabilisce, inoltre, che se per le violazioni attinte dalla clausola di depenalizzazione generale è prevista una pena pecuniaria proporzionale, anche senza la determinazione dei limiti minimi o massimi, la somma dovuta a titolo di sanzione amministrativa è pari all’ammontare della multa o dell’ammenda, ma non può, in ogni caso, essere inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000.

4. La depenalizzazione “nominativa”.

Come già anticipato, l’ambito della depenalizzazione non coincide con la sfera di operatività della clausola generale (“cieca”), estendendosi anche ad altre fattispecie criminose, oggetto di specifica indicazione nominativa da parte del legislatore delegante, come detto recepite, sia pur non integralmente, dal legislatore delegato negli artt. 2 e 3 del decreto in commento.

In dottrina[18] è stato evidenziato come, nonostante la tendenziale eterogeneità delle figure di reato interessate, al loro interno sia comunque possibile distinguere alcuni nuclei tipologici, e cioè:

a)          specifiche figure di reato collocate nel codice penale, originariamente punite con pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria, ovvero punite con la sola pena pecuniaria ma escluse, per quanto anzidetto, dalla depenalizzazione generale: si tratta dei delitti previsti dagli articoli 527, co.1, e 528 cod. pen., limitatamente alle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, in materia di atti osceni e pubblicazioni e spettacoli osceni, nonché delle contravvenzioni previste dagli articoli 652, 661, 668 e 726 cod. pen., concernenti specificamente le ipotesi di rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto, di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, di abuso della credulità popolare, di rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive e, infine, di atti contrari alla pubblica decenza;

b)          delitto di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, di cui all’art. 2, comma 1-bis d.l. 12.9.1983 n. 463, conv. in l. 11.11.1983 n. 638, sostituito dalla seguente formulazione: <<L’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento  delle  ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto della violazione>>[19].

a)          determinate contravvenzioni punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, previste nella legislazione complementare. Nello specifico si tratta della contravvenzione prevista dall’art. 11, comma 1, legge 8 gennaio 1931, n. 234[20] (Norme per l’impianto e l’uso di apparecchi radioelettrici privati e per il rilascio delle licenze di costruzione, vendita e montaggio di materiali radioelettrici); della contravvenzione prevista dall’art.171-quater della legge sul diritto d’autore (legge n. 633/1941); della contravvenzione prevista dall’art. 3 d. lgs. lgt. 10.8.1945 n. 506 (Disposizioni circa la denunzia dei beni che sono stati oggetto di confische, sequestri o altri atti di disposizione adottati sotto l’impero del sedicente governo repubblicano), della contravvenzione prevista dall’articolo 15, comma 2, legge 28.11.1965 n. 1329 (Provvedimenti per l’acquisto di nuove macchine utensili); della contravvenzione prevista dall’articolo 16, comma 4, d.l. 745/1970, in tema di abusiva installazione o esercizio di impianti di distribuzione automatica di carburanti per uso di autotrazione; della contravvenzione prevista dall’articolo 28, comma 2, d.P.R. 309/1990, in materia di coltivazione di piante proibite nel territorio nazionale, senza le prescritte autorizzazioni[21].

4.1. Le tre fasce di sanzioni amministrative e le eccezioni.

Circa le nuove cornici edittali delle sanzioni amministrative, sia con riguardo ai reati del codice penale (di cui all’articolo 2) che agli altri casi di depenalizzazione (di cui all’articolo 3), il legislatore delegato ha fissato limiti sulla base di un criterio generale ispirato a principi di proporzione, ragionevolezza e coerenza sistematica: 1) sanzione amministrativa da 5.000 a 15.000 euro per le contravvenzioni punite con l’arresto fino a sei mesi; 2) sanzione amministrativa da 5.000 a 30.000 euro per le contravvenzioni punite con l’arresto fino a un anno; 3) sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro per i delitti e le contravvenzioni puniti con una pena detentiva superiore a un anno.

Il criterio predetto fa peraltro eccezione in alcune circostanze.

In primo luogo, con riguardo al reato di cui all’articolo 527 cod. pen., per il quale – a giudizio del legislatore delegato, nell’esercizio del potere di compiere simili valutazioni conferitogli dall’articolo 2, comma 2, lettera e) della legge delega – la cornice edittale rivela una severità non più aderente all’attuale disvalore sociale dell’illecito: il decreto dispone, pertanto, che l’originaria pena prevista nel primo comma, della reclusione da tre mesi a tre anni, sia sostituita dalla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000; per l’ipotesi di reato aggravata di cui al secondo comma, trasformata in reato autonomo, è stabilita la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi.

Secondariamente, quando l’illecito da depenalizzare, pur essendo riconducibile all’ipotesi sanzionatoria più severa, è stato provvisto di un massimo edittale inferiore, e ciò allo scopo di consentire l’operatività degli aumenti stabiliti per le ipotesi aggravate, nel rispetto del limite massimo di 50.000 euro imposto dalla delega.

5. I casi di mancato esercizio della delega.

Il legislatore delegato non ha esercitato la delega in riferimento ai reati di cui agli articoli 659 cod. pen. e 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. 

Nella relazione di accompagnamento si giustifica la scelta effettuata, in entrambi i casi, affermando che si tratta di fattispecie che intervengono su materie “sensibili” per gli interessi coinvolti, in cui lo strumento penale appare come indispensabile per la migliore regolazione del conflitto con l’ordinamento innescato dalla commissione della violazione.

Sempre nella relazione governativa, si fa richiamo all’assenza di pericoli di infedeltà alla delega passibili di censure di incostituzionalità, posto che ciascuna previsione di depenalizzazione ha autonomia strutturale rispetto all’intero contesto di prescrizioni impartite al legislatore delegato.

6.  Le sanzioni accessorie.

Nel silenzio della delega, il legislatore delegato ha ritenuto di non comminare sanzioni accessorie per gli illeciti risultanti dalla clausola generale di depenalizzazione c.d. “cieca”, nella dichiarata difficoltà di formulare, sia sul piano redazionale che di compatibilità con i limiti derivanti dalla delega, una disposizione altrettanto generale di conversione delle (eventuali) originarie pene accessorie.

L’articolo 4 comma 1 del decreto prevede, invece, le sanzioni amministrative accessorie della sospensione della concessione, della licenza, dell’autorizzazione o di altro provvedimento  amministrativo che consente l’esercizio dell’attività da un minimo di dieci giorni a un massimo di tre mesi, nel caso di reiterazione specifica di uno dei seguenti illeciti depenalizzati: articolo 668 cod. pen.; articolo 171-quater della legge 22 aprile 1941, n. 633; articolo  28, comma  2,  d.P.R. n. 309 del 1990). Al comma 2 è previsto che, allo stesso modo, provvede il giudice con la sentenza di condanna qualora sia competente, ai sensi dell’articolo 24 della legge 24 novembre 1981, n. 689, a decidere su una  delle violazioni indicate nel comma 1. 

Non sono state interessate, invece, le fattispecie di illecito depenalizzate nominativamente quando inserite in un più generale contesto normativo in cui siano presenti illeciti non depenalizzabili: per queste ipotesi il legislatore ha ritenuto di non prevedere pene accessorie, al fine di evitare l’incongruente compresenza, nello stesso corpo normativo, di illeciti amministrativi muniti di sanzioni accessorie e di illeciti penali sprovvisti di tali pene[22].

Sempre per quanto riguarda gli illeciti risultanti dalla depenalizzazione c.d. “nominativa”, il legislatore delegato è intervenuto su quelle norme che già prevedevano la pena accessoria, trasformandola in sanzione amministrativa, limitatamente all’illecito depenalizzato e in quanto corrispondente al contenuto sanzionatorio indicato dalla delega: ciò è avvenuto con la modifica dell’articolo 8 della legge n. 234 del 1931, che contempla provvedimenti di sospensione o di revoca delle licenze in presenza di fatti costituenti reato, previsione che è stata estesa allo scopo di renderla applicabile anche con riguardo all’illecito depenalizzato.

7. Profili procedimentali dei nuovi illeciti. 

Con riferimento agli aspetti sostanziali e procedimentali dei nuovi illeciti amministrativi, le indicazioni di delega contenute nella lettera e) del comma 2 dell’articolo 2 della legge n. 67/2014 sono in linea con la disciplina fornita dalla legge 24 novembre 1981, n. 689; nello specifico, il legislatore delegato ha optato, per disciplinare i “nuovi” illeciti depenalizzati, per il richiamo, ove compatibili, alle disposizioni delle sezioni I e II del capo I della citata legge n. 689 del 1981 (articolo 6 del decreto).

In particolare, quanto alla competenza, l’articolo 7 del decreto n. 8/2016 prevede, al comma 1, che per le violazioni di cui all’articolo 1 sono tenuti a ricevere il rapporto – e ad applicare le relative sanzioni – le autorità competenti ad irrogare le altre sanzioni amministrative già previste dalle leggi che contemplano le violazioni stesse, ricorrendosi, nel caso di mancata previsione, al criterio residuale a norma dell’art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689; al comma 2, che per le violazioni di cui all’articolo 2, il prefetto è competente a ricevere il rapporto e ad irrogare le sanzioni amministrative; al comma 3, che per le violazioni di cui all’articolo 3 sono competenti a ricevere il rapporto e ad irrogare le sanzioni amministrative: a) le autorità competenti ad irrogare le sanzioni amministrative già indicate nella legge 22 aprile 1941, n. 633, nel decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre  1983,  n.  638,  e  nel  decreto  del  Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309; b) il Ministero dello sviluppo economico in relazione all’articolo 11 della legge 8 gennaio 1931, n. 234; c) l’autorità comunale competente al rilascio dell’autorizzazione all’installazione o all’esercizio di impianti  di distribuzione  di  carburante  di  cui all’articolo 1 del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32; d) il Prefetto per le restanti leggi indicate all’articolo 3.

8. Profili di diritto intertemporale.

Il legislatore delegato si è dichiaratamente confrontato con l’assenza, nella legge delega, di una disciplina transitoria e, di conseguenza, con il dubbio interpretativo se tale mancanza fosse il segno della volontà del delegante di affidarsi alle regole fissate dall’articolo 2 cod. pen. e dall’articolo 1 legge n. 689 del 1981: con la conseguenza – consacrata in plurime sentenze di legittimità, anche nella massima composizione (Sez. U, n. 25457/2012)[23] – che, in assenza di disposizioni transitorie, l’infrazione commessa non è più sanzionabile, nemmeno a livello amministrativo, se successivamente depenalizzato.

Il silenzio della delega è stato interpretato in senso opposto, ritenendosi che l’assenza di indicazioni non implicasse il divieto di apporre una disposizione transitoria: e ciò allo scopo – espressamente affermato nella relazione di accompagnamento – di scongiurare il rischio di una sperequazione tra chi ha commesso il fatto depenalizzato prima della riforma e chi lo ha commesso dopo, posto che, nel silenzio normativo, soltanto a quest’ultimo (e non al primo) sarebbe, come detto, applicabile (alla luce della cennata giurisprudenza) la sanzione amministrativa prevista per il nuovo illecito.

Sul piano della legittimità formale dell’intervento, possono richiamarsi le considerazioni già in precedenza espresse sul potere del legislatore delegato di valutare le specifiche e complesse situazioni da disciplinare, esercitando una discrezionalità che – secondo la ricordata giurisprudenza costituzionale – travalica la delega conferita solo quando si pone in modo divergente rispetto alle finalità che l’hanno determinata: in tale prospettiva, pare di poter solo affermare che il silenzio, sul punto specifico, del legislatore delegante non sia inequivocabilmente interpretabile come un divieto espresso, dal quale consegua automaticamente l’illegittimità costituzionale della previsione di una disciplina transitoria.  

Nel merito, la scelta legislativa parte dalla considerazione che il rango costituzionale del principio di irretroattività delle sanzioni punitive amministrative presuppone l’omogeneità della natura dell’illecito penale e di quello (punitivo) amministrativo, convergenti nell’identica “materia penale”[24], come delineata, altresì, dalla giurisprudenza della Corte EDU. Muovendo, dunque, da tale omogeneità, la depenalizzazione di reati “degradati” a illeciti amministrativi dà luogo ad una vicenda sostanzialmente di successione di leggi, nella quale trova attuazione il principio di retroattività in mitius, pienamente realizzato dall’applicazione retroattiva delle più favorevoli sanzioni amministrative in luogo di quelle originarie penali, sempre che sia garantito (come in questo frangente avviene per espressa previsione del comma 3 dell’articolo 8 del decreto, di cui appena oltre) che la nuova sanzione sia irrogata in un ammontare non superiore al massimo di quella originaria.

Sulla base di tali dichiarate opzioni interpretative, nel decreto n. 8/2016 sono stati inseriti gli articoli 8 e 9, rispettivamente dedicati all’applicabilità delle sanzioni amministrative agli illeciti commessi anteriormente e alla trasmissione degli atti del procedimento penale all’autorità amministrativa, traendo decisiva ispirazione dalle già collaudate disposizioni contenute nel citato decreto legislativo n. 507 del 1999 (articoli 100-102).

L’art. 8 (comma 1) dispone, in particolare, che le disposizioni che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili. 

Come già prima osservato, ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del decreto non può tuttavia essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’articolo 135 cod. pen.. A tali fatti non si applicano le sanzioni amministrative accessorie introdotte dal decreto, salvo che le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie.

Se, invece, i procedimenti penali per i reati depenalizzati dal decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabile, il giudice dell’esecuzione, procedendo nei modi indicati dall’articolo 667, comma 4, del codice di rito (cioè con ordinanza emessa senza formalità e comunicata alla parti), revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti.

Queste le scansioni procedurali individuate dall’art. 9:

–                   nei casi previsti dalla disciplina transitoria, l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, dispone la trasmissione all’autorità competente  degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data;

–                   se l’azione penale non è stata esercitata, la trasmissione degli atti è disposta direttamente dal pubblico ministero che, in caso di procedimento già iscritto, l’annota nel registro delle notizie di reato. Se invece il reato risulta estinto per qualsiasi causa, il pubblico ministero richiede l’archiviazione al Gip competente;

–                   qualora l’azione penale sia stata già esercitata, il giudice pronuncia, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.[25], sentenza inappellabile perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente;

–                   quando, infine, è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell’impugnazione dichiara che il fatto non è previsto dalla legge come reato[26], decidendo sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

9. Il rapporto tra depenalizzazione, illecito amministrativo e tenuità del fatto.

Il tema appena affrontato sollecita, a chiusura del breve esame delle norme contenute nel d. lgs. n. 8/2016, una breve riflessione sul rapporto fra l’intervento di depenalizzazione e l’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto recentemente – attraverso l’introduzione dell’art. 131-bis, cod. pen. – su input, anch’esso, della legge n. 67 del 2014[27].

Sul piano teorico, questa seconda forma di intervento si distingue nettamente da quella della depenalizzazione, per la quale, tutti i reati, a prescindere dalle modalità attraverso cui in concreto sono stati consumati, vengono meno; laddove con la “tenuità del fatto” non sono punibili, in via astratta, quei reati, sanzionati nel massimo con la pena di cinque anni di reclusione o con la pena pecuniaria, soltanto se nel concreto siano risultati di scarsa offensività.

Nel primo caso, il legislatore stabilisce a priori le condotte che non costituiscono più reato; nel secondo caso, il legislatore attribuisce al giudice il potere di decidere se il fatto sottoposto al suo esame non meriti di essere punito, verificando se esso, per le modalità esecutive, per la sua occasionalità, per la lievità del danno o del pericolo cagionato abbia arrecato un’offesa troppo lieve per meritare una sanzione penale.

Entrambi gli istituti muovono dall’esigenza di scremare l’area penale dai reati cd. bagatellari, colpendo, il primo (la depenalizzazione), quelli cd. bagatellari propri, ritenuti ormai privi di offensività[28]; il secondo (la tenuità del fatto) quelli bagatellari impropri, attraverso il meccanismo deflattivo della diversion, quando essi mostrano in concreto una esigua lesività, tale da far perdere l’interesse ad un loro perseguimento penale[29].

Il punto di possibile criticità attiene alla coesistenza sistemica tra il fatto ritenuto non più di interesse penale, ma pur sempre sanzionato a livello amministrativo, e quello, in via astratta più grave e quindi ritenuto ancora bisognoso della tipizzazione penale, ma in concreto non punito, ove ritenuto inoffensivo: l’effetto che in concreto può presentarsi è che il soggetto autore di un determinato fatto rientrante tra quelli oggetto della depenalizzazione in commento, se prima di tale intervento poteva beneficiare della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., a seguito dell’entrata in vigore del decreto n. 8/2014 è comunque destinatario – in ragione della clausola intertemporale inserita dal legislatore delegato – di una sanzione amministrativa di carattere afflittivo.  

L’eccentricità potrebbe accentuarsi con riferimento a tutte quelle fattispecie (ad esempio, la guida senza patente) che, come sopra evidenziato, nella forma, un tempo aggravata ed adesso autonoma, continuano ad appartenere alla sfera del penalmente rilevante, ma che potrebbero in concreto, in presenza dei presupposti di legge, non comportare la punibilità del reo se ritenuti di particolare tenuità, a fronte delle meno gravi ipotesi base della medesima fattispecie, oggi depenalizzate, che non sottraggono l’autore da una sanzione amministrativa.

Della questione, la Corte ha avuto modo di occuparsene indirettamente nella recente sentenza Sez. 4, n. 44132 del 9 settembre 2015, Longoni, Rv. 264829, che, nell’affrontare la connessa e controversa questione attualmente rimessa al vaglio delle Sezioni Unite[30], relativa all’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. ai reati per i quali sono previste soglie di non punibilità, ha evidenziato come sul piano funzionale i due illeciti, amministrativo e penale, presentino differenze evidenti e rilevanti, che definiscono autonomi statuti[31].

Sarà interessante verificare, allora, la tenuta di una tale impostazione ricostruttiva, di fronte alla speculare situazione derivante dalla depenalizzazione di illeciti potenzialmente attingibili dalla “tenuità” ed ora puniti con inevitabili sanzioni pecuniarie, il cui carattere afflittivo può risultare in concreto gravoso, in dipendenza dell’ammontare della somma.  

10.L’intervento di abrogazione (D. Lgs. n. 7 del 2016).

L’art 2, comma 3, lett. a) della legge n. 67 del 2014 ha conferito delega al Governo per procedere all’abrogazione dei reati previsti da specifiche disposizioni del codice penale; la successiva lett. c) della disposizione, <<fermo il diritto al risarcimento del danno>>, ha dato mandato al Governo di<<istituire adeguate sanzioni pecuniarie civili in relazione ai reati di cui alla lettera a)>>.

Come evidenziato nella relazione di accompagnamento, il Parlamento mira a espungere dall’alveo del penalmente rilevante alcune ipotesi delittuose previste nel codice penale a tutela della fede pubblica, dell’onore e del patrimonio, che sono accomunate dal fatto di incidere su interessi di natura privata e di essere procedibili a querela, ricollocandone il disvalore sul piano delle relazioni private; al contempo, il legislatore delegante intende riconsiderare il ruolo tradizionalmente compensativo attribuito alla responsabilità civile nel nostro ordinamento, affiancando alle sanzioni punitive dì natura amministrativa un ulteriore e innovativo strumento di prevenzione dell’illecito, nella prospettiva del rafforzamento dei principi di proporzionalità, sussidiarietà ed effettività dell’intervento penale.

I reati oggetto di abrogazione devono, dunque, essere trasformati in illeciti sottoposti a (inedite) sanzioni pecuniarie civili, chiamate a svolgere una finalità preventiva e repressiva tipica delle sanzioni punitive[32], testimoniata dai principi e criteri direttivi previsti per la commisurazione, di cui alla successiva lett. e): si prevede, infatti, che le sanzioni civili siano “proporzionate” non all’entità del danno inferto, quanto <<alla gravità della violazione, alla reiterazione dell’illecito, all’arricchimento del soggetto responsabile, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche>>.

In applicazione della delega, l’art. 1 del decreto n. 7 del 2016 dispone l’abrogazione di una serie di delitti del codice penale.

In dettaglio.

10.1. L’abrogazione degli artt. 485 e 486 cod. pen.

L’art. 2, comma 3, lett. a), n. 1) della legge n. 67/2014 prescrive al legislatore delegato di abrogare i <<delitti di cui al libro secondo, titolo VII, capo H, limitatamente alle condotte relative a scritture private, ad esclusione delle fattispecie previste all’articolo 491, ossia dei documenti privati equiparati ad atti pubblici agli effetti della pena>>: in adempimento della delega, il decreto n. 7/2016 dispone (art. 1, lett.aeb) l’abrogazione dei delitti codicistici di falsità in scrittura privata, di cui all’art. 485, e di falsità di foglio firmato in bianco, di cui all’art. 486.

Questi gli adattamenti (contenuti nell’art. 2 del decreto ed illustrati nella relazione di accompagnamento) delle norme collegate a quelle abrogate, resisi necessari per effetto della sopravvenuta irrilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto scritture private diverse dal testamento olografo o dalla cambiale o titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore:

a)          è stato riformulato l’art. 488, eliminando il riferimento alle “scritture private” e circoscrivendo il richiamo (in precedenza esteso ai “due articoli precedenti”, in funzione di applicazione “residuale”) al solo art. 487;

b)          in conseguenza della soppressione dell’art. 485, è stato abrogato il secondo comma dell’art. 489, avente ad oggetto l’ipotesi di uso di atto falso in scrittura privata, da parte di chi non sia concorso nella falsità; l’ipotesi particolare dell’uso di testamento olografo o di cambiale o titolo di credito falso, da parte di chi non sia concorso nella falsità, è invece presa in considerazione dall’art. 491, comma 2;

c)          il riferimento alla scrittura privata vera, contenuto nell’art. 490, è stato sostituito dal richiamo al testamento olografo o alla cambiale o titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, in aggiunta al dolo specifico contemplato dall’art. 489, comma 2 (in origine applicabile in virtù dell’art, 490, comma 2);

d)          anche il secondo comma dell’art. 490 è stato oggetto di abrogazione, risultando ormai privo di qualunque funzionalità in rapporto alle falsità in scritture private eccettuate dalla depenalizzazione (alle quali la previsione in tema di dolo specifico risultade planoapplicabile, per effetto della riformulazione degli artt. 490 e 491);

e)          in sede di riformulazione dell’art. 491 cod. pen. (la cui nuova rubrica è: «Falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito»), la rilevanza penale delle condotte di falsificazione prese in considerazione agli artt. 476 (482), 487 e 488, con riferimento agli atti pubblici, è stata estesa agli oggetti materiali presi in considerazione dalla legge delega in funzione limitativa della depenalizzazione, ossia il testamento olografo, la cambiale o il titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore. Per effetto dell’abrogazione degli artt. 485 e 486 (e della riscrittura dell’art. 488), la natura giuridica della disposizione di cui all’art. 491, comma 1, è destinata, dunque, a mutare: al posto dell’originaria circostanza aggravante (applicabile agli artt. 485, 488 e 490), subentra una nuova fattispecie autonoma. Viene, inoltre, confermato il trattamento sanzionatorio già previsto nella formulazione originaria dell’art. 491 (in luogo della pena stabilita dall’articolo 485 cod. pen. per le falsità materiali in scrittura privata), ossia l’applicabilità delle pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell’articolo 476 e nell’articolo 482 (a seconda che il fatto sia commesso dal pubblico ufficiale oppure da un soggetto privato). Il capoverso dell’art. 491 concerne la disciplina applicabile al soggetto che, non avendo preso parte alla falsificazione, faccia uso degli atti suddetti (testamento olografo, cambiale, ecc.), rinviando –quod poenam– alla previsione di cui all’art. 489 (uso di atto pubblico falso);

f)          in conseguenza del venir meno della rilevanza penale delle falsità aventi ad oggetto scritture private (e della sostanziale inapplicabilità della disposizione alle falsità in scritture private eccettuate dalla depenalizzazione), è stato eliminato dalla formulazione dell’art. 491-bis (Documenti informatici) il riferimento ai documenti informatici privati aventi efficacia probatoria;

g)          infine, il disposto dell’art. 493-bis (Casi di perseguibilità a querela) è stato adeguato:  all’abrogazione degli artt. 485 e 486, eliminando, appunto, il riferimento ai predetti articoli; alla riformulazione degli artt. 488, 489, 490 e 491, con la conseguente limitazione del campo di applicazione dell’art. 493-bis alle sole disposizioni aventi ad oggetto condotte incidenti su un testamento olografo o su una cambiale o titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore (artt. 490 e 491), prevedendo la procedibilità d’ufficio, nel primo caso, e la punibilità a querela della persona offesa, nel secondo.

10.2. L’abrogazione dell’ingiuria.

L’art. 2, comma 3, lett. a), n. 2) della legge n. 67/2014 prescrive di abrogare il delitto di cui all’art. 594 cod. pen.; nel compiere la delega (art. 1, lett.c), il legislatore delegato ha proceduto ai necessari adattamenti – cfr. articolo 2, comma 1, lett. g), h), i) del decreto n. 7/2016 – degli artt. 596 (Esclusione della prova liberatoria), 597 (Querela della persona offesa ed estinzione del reato) e 599 (Ritorsione e provocazione), circoscrivendo il raggio di operatività delle previsioni in essi contenute alla sola fattispecie di diffamazione.

10.3. L’abrogazione degli artt. 627 e 647 cod. pen.

In esecuzione della delega contenutanell’art. 2, comma 3, lett. a), n. 3 e n. 6) della legge n. 67/2014, il decreto n. 7/2016 (art. 1 lett. d) ed e) dispone l’abrogazione dei delitti di sottrazione di cose comuni e di appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito.

L’abolizione dei reati di cui agli artt. 627 e 647 cod. pen. potrebbe avere ripercussioni concrete sul delitto di cui all’art. 648 cod. pen., tutte le volte in cui l’oggetto della condotta di ricettazione è costituito da cose a loro volta oggetto dei primi delitti, ora espunti dal catalogo penale; al riguardo, deve peraltro ricordarsi come la costante giurisprudenza di legittimità confina tale effetto alle sole condotte di ricettazione commesse successivamente alla entrata in vigore della soppressione dei reati presupposti, sul principio che <<la provenienza da delitto dell’oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, di talché l’eventuale abrogazione o le modifiche di tale norma non assumono rilevanza ai sensi dell’art. 2 cod. pen., e la rilevanza del fatto, sotto il profilo in questione, deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui è intervenuta la condotta tipica di ricezione della cosa od intromissione affinché altri la ricevano>>[33].

Si è ritenuto che potrebbero esservi riflessi anche sul delitto di calunnia, per esempio nella tipica ipotesi di falsa denuncia di smarrimento di assegno dopo la sua consegna al prenditore (proposta per impedire la riscossione dello stesso o il protesto in mancanza di provvista), in quanto la natura di reato di pericolo della fattispecie di cui all’art. 368 cod. pen. potrebbe far escludere la configurabilità della calunnia per effetto del venire meno del reato ex art. 647 cod. pen., sia quando esso costituisce l’oggetto diretto della falsa incolpazione, sia quando opera come reato presupposto della falsa accusa di ricettazione: in attesa delle prime pronunce della giurisprudenza, dalla più volte[34] ritenuta sufficienza, per l’integrazione del reato di pericolo ex art. 368 cod. pen., della possibilità che l’autorità giudiziaria dia inizio al procedimento per accertare il reato incolpato con danno per il normale funzionamento della giustizia, potrebbe derivare la permanenza della perseguibilità per la calunnia già consumata prima della intervenuta depenalizzazione; salvo non ritenere, in linea con diversa opinione, che nella particolare ipotesi di falsa denuncia di smarrimento di assegno, in ragione della certa rintracciabilità del soggetto emittente (per effetto dei dati riportati sul mezzo di pagamento), il reato oggetto della falsa incolpazione sia sempre e soltanto il furto, e non quello di cui all’art. 647 o 648 cod. pen., e che quindi l’intervenuta depenalizzazione non incida, tanto per il passato che il futuro, sul delitto di calunnia.

10.4. La “riscrittura” del reato di danneggiamento.

Il decreto legislativo n. 7/2016 contiene, infine, alcune modifiche delle disposizioni codicistiche concernenti i delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose.

Va premesso che l’art. 2, comma 3, lett. a), n. 4, della legge delega contempla l’abrogazione delle ipotesi di cui agli artt. 631 (Usurpazione), 632 (Deviazione di acque e modificazioni dello stato dei luoghi) e 633 (Invasione di terreni o edifici), primo comma, cod. pen., <<escluse le ipotesi di cui all’art. 639-bis>> (Casi di esclusione della perseguibilità a querela), ovvero i casi in cui le condotte tipiche riguardino acque, terreni, fondi o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico.

Il legislatore delegato ha ritenuto, tuttavia, di non esercitare la delega con riferimento alla abrogazione delle fattispecie di reato di cui agli articoli 631, 632, 633 procedibili a querela aventi ad oggetto acque, fondi o immobili privati, rimarcandone la natura di condotte che, seppur attualmente ancora di scarsa incidenza sul carico giudiziario, meritano di conservare rilievo penale, in quanto attengono a fenomeni di occupazione di luoghi privati purtroppo in via di espansione.

Il decreto ha inteso, poi, dare attuazione all’art. 2, comma 3, lett. a), n. 5, della delega, che prevede l’abrogazione del (solo) primo comma dell’art. 635 cod. pen. (Danneggiamento), non attraverso una formale previsione di soppressione (al pari di quelle precedenti), bensì mediante la riformulazione di tale disposizione, con la contestuale “trasformazione” delle ipotesi circostanziali di cui al comma secondo di tale articolo in corrispondenti fattispecie autonome (articolo 2, comma 1, lett.l).

Nella relazione di accompagnamento si rende ragione di tale scelta metodologica, rivendicando trattarsi non di una riscrittura arbitraria delle disposizioni incriminatrici ad opera del legislatore delegato (teoricamente chiamato dalla legge delega soltanto ad un’opera di depenalizzazione e non a quella di una diversa costruzione delle fattispecie penali non toccate dall’intervento depenalizzante), quanto piuttosto del tenere conto, nella scrittura materiale di quanto delegato dal Parlamento, delle espunzioni che sono conseguenza della previsione di depenalizzazione, al fine di assicurare la piena intellegibilità della disposizione incriminatrice; valgono – anche in questo caso – le osservazioni in precedenza formulate in ordine ai margini di discrezionalità e di scelta nell’esercizio della delega, alla luce della giurisprudenza costituzionale.

In concreto, il nuovo art. 635 cod. pen. (Danneggiamento) dispone che <<Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili  cose  mobili  o  immobili  altrui  con violenza  alla  persona  o  con  minaccia  ovvero  in  occasione   di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall’articolo 331, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni>>. Il legislatore delegato ha, dunque, ritenuto di indicare come condotta di danneggiamento che conserva rilievo penale quella commessa su beni, sia pubblici che privati, in occasione dello svolgimento di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, reputando che l’esecuzione del danneggiamento durante lo svolgimento di una manifestazione pubblica sia una condotta intrinsecamente minacciosa, dì particolare effetto intimidatorio e pericolosità sociale, tale da meritare una espressa menzione.

Il nuovo comma 2 dell’art. 635 contempla ora – come detto – ipotesi autonome di reato, laddove dispone che alla stessa pena prevista dal primo comma soggiace chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili le categorie di beni già previste nella precedente formulazione della norma.

Le modifiche, infine, apportate in chiave di coordinamento agli artt. 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635­-quinquies cod. pen., dipendono dal fatto che il riferimento normativo alla circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell’articolo 635 non è più attuale, in quanto “superato” dalla nuova formulazione della incriminazione (articolo 2, comma 1, lett.m,n,o,p).

11. Le sanzioni pecuniarie civili.

L’elemento di evidente novità del decreto recante l’abrogazione di alcune fattispecie di reato è la previsione di una inedita figura sanzionatoria, quella delle “sanzioni pecuniarie civili”.

In particolare, il Capo secondo del decreto n. 7/2016 (artt. 3-13), intitolato <<Illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie civili>>, ha ad oggetto sia la tipizzazione degli illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie civili, in attuazione dell’art. 2, comma 3, lett. c) e d), della legge delega, sia le norme di disciplina di carattere sostanziale e processuale.

Il carattere informativo e ricognitivo della presente relazione circoscrive l’analisi alla descrizione delle principali caratteristiche della nuova figura introdotta (sulla falsariga della relazione di accompagnamento allo schema del decreto), cui si aggiunge una limitata esplorazione dei primi profili di problematicità evidentemente legati all’assenza di sicuri conforti normativi e giurisprudenziali.  

L’articolo 3 (Responsabilità civile per gli illeciti sottoposti a sanzione pecuniaria) costituisce la norma fondante del nuovo sistema: il primo comma della disposizione prevede che, qualora i fatti previsti dal successivo comma 4 siano commessi dolosamente, obblighino, oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, a norma delle leggi civili, anche al pagamento della sanzione civile pecuniaria stabilita dalla legge. Il legislatore ha dunque previsto che solo la commissione di uno di tali illeciti in forma dolosa può comportare l’applicazione aggiuntiva di una sanzione punitiva di natura civile, adottando una scelta disciplinare omogenea rispetto al coefficiente soggettivo d’imputazione in origine previsto in sede penale ai fini della responsabilità.

Il secondo comma chiarisce che il termine prescrizionale per l’obbligo del pagamento della sanzione pecuniaria civile è lo stesso di quello concernente il risarcimento del danno (richiamando espressamente l’art. 2947, comma 1, cod. civ.).

La puntuale tipizzazione degli illeciti – contenuta, come detto, nell’art. 4 del decreto – tiene conto del tenore letterale della legge delega e, cioè, da un lato, della previsione dell’istituzione di sanzioni pecuniarie civili <<in relazione ai reati di cui alla lettera a)>> e, dall’altro, di quanto prescritto dalla delega a proposito dell’individuazione tassativa <<delle condotte alle quali si applica>> la sanzione pecuniaria civile; nel dare contenuto alle fattispecie, il legislatore delegato ha tuttavia – in linea di principio – mantenuto immutati i confini delle fattispecie abrogate[35].

Per quanto concerne, invece, la determinazione dei limiti edittali, in conformità alla prescrizione proveniente dal delegante di indicare tassativamente <<l’importo minimo e massimo della sanzione>>, il legislatore ha ritenuto preferibile, considerata la natura civilistica delle sanzioni pecuniarie, prevedere due distinte clausole generali sanzionatorie, caratterizzate da un grado di crescente afflittività: la prima spazia da euro cento ad euro ottomila; la seconda da euro duecento ad euro dodicimila; conseguentemente, gli illeciti civili sono stati ripartiti in due gruppi corrispondenti alle due previsioni sanzionatorie sopraindicate, secondo la loro diversa gravità desunta dalle originarie pene.

Con particolare riferimento all’illecito di ingiuria, il decreto ha adattato i contenuti normativi dell’art. 599 cod. pen. al nuovo contesto della tutela sanzionatoria civile: si prevede, infatti, che il giudice possa non applicare la sanzione pecuniaria civile sia in caso di ritorsione (articolo 4, comma 2), che in caso di provocazione (articolo 4, comma 3). Il legislatore delegato ha giudicato, inoltre, inopportuno prevedere per l’illecito civile di ingiuria una disposizione analoga a quella contemplata dall’art. 596 cod. pen. in tema di esclusione della prova liberatoria: alla base di tale scelta sono state poste sia esigenze di semplificazione, sia, soprattutto, la convinzione che, a seguito della depenalizzazione dell’ingiuria, sia preferibile rimettere la questione al prudente apprezzamento del giudice civile. Infine, il decreto prevede un trattamento sanzionatorio più afflittivo (articolo 4, comma 4, lett e), per le ipotesi di “ingiuria qualificata”, in cui l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato o sia commessa in presenza di più persone (originariamente previste dall’art. 594, commi 3 e 4, cod. pen.).

Con particolare riguardo agli illeciti civili aventi ad oggetto falsità in scritture private (articolo 4, comma 4, lett.a,b,c,d), il legislatore delegato ha stimato conveniente – in considerazione della stretta connessione con l’azione di risarcimento del danno – eliminare i riferimenti normativi al fine di profitto, circoscrivendo la punibilità alle sole ipotesi effettivamente produttive di danno.

11.1. (segue) La disciplina.

Nel silenzio della legge delega in ordine alla disciplina dei nuovi illeciti civili, il legislatore delegato ha provveduto ad individuare due aspetti fondamentali caratterizzanti il nuovo istituto.

La prima scelta è quella di affidare al giudice civile la competenza ad irrogare le sanzioni pecuniarie civili, ritenendola logica conseguenza del ruolo accessorio attribuito dal delegante all’istanza punitiva rispetto al profilo compensativo.

La seconda opzione concerne la previsione della devoluzione delle somme esatte a titolo di sanzioni pecuniarie civili in favore dello Stato, sub specie della Cassa delle ammende.

La disposizione non trova riscontro in una direttiva della legge delega, che però sul punto è stata interpretata in senso quanto meno non ostativo, pur nel contesto di un quadro normativo caratterizzato da scelte dissonanti (posto che nell’ordinamento sono previste anche ipotesi in cui del provento della pena privata beneficia la persona offesa dall’illecito, come nel caso, ad esempio, dell’art. 12 l.n. 47 del 1948, c.d. legge sulla stampa, in riferimento alla riparazione pecuniaria, prevista in aggiunta rispetto al risarcimento dei danni): a favore della destinazione pubblicistica della sanzione, la relazione governativa di accompagnamento allo schema di decreto pone la funzione general-preventiva e compensativa sottesa alla minaccia della sanzione pecuniaria civile, nonché la vocazione pubblicistica di quest’ultima, che renderebbe incoerente la destinazione del provento alla persona offesa.

Il decreto fissa, poi, le regole essenziali alle quali deve uniformarsi il giudice civile in sede di accertamento della responsabilità, dal punto di vista sostanziale.

L’art. 5 (criteri di commisurazione delle sanzioni pecuniarie) stabilisce che, in sede di determinazione dell’importo, il giudice si attenga ad un parametro di proporzionalità alla gravità della violazione, alla reiterazione dell’illecito, all’arricchimento del soggetto responsabile, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della propria azione, alla personalità e alle condizioni economiche dell’agente.

L’espresso riferimento all’indice di commisurazione rappresentato dalla reiterazione dell’illecito ha reso, perciò, indispensabile disciplinare i presupposti e le condizioni necessarie perché l’illecito sia considerato “reiterato”: l’art. 6 (Reiterazione dell’illecito) prevede che si abbia reiterazione quando l’illecito civile è compiuto entro quattro anni dalla commissione, da parte dello stesso soggetto, di un’altra violazione sottoposta a sanzione pecuniaria civile che sia della stessa indole e che sia stata accertata con provvedimento esecutivo. Sempre in rapporto alla reiterazione quale indice di commisurazione della sanzione, i commi 2 e 3 della disposizione in esame precisano, rispettivamente, la nozione di “violazioni della stessa indole” in termini sostanzialmente omogenei alle indicazioni normative di cui all’art. 8-bis l. n. 689 del 1981, in tema di reiterazione della violazione amministrativa.

L’articolo 7 (Concorso di persone) prende, invece, in considerazione l’eventualità che alla realizzazione di uno o più illeciti previsti all’articolo 4 cooperino più individui, disponendo –  in linea con quanto stabilito dall’art. 5 l.n. 689 del 1981 – che, in tal caso, ciascun concorrente soggiaccia alla correlativa sanzione pecuniaria civile.

Gli articoli 8 e 9 sono dedicati alla disciplina processuale.


Il legislatore delegato, anche tenuto conto della funzione marcatamente general-preventiva sottesa alla comminatoria della sanzione pecuniaria civile e delle connotazioni pubblicistiche del profilo “punitivo”, ha inteso non far dipendere l’applicazione della sanzione pecuniaria dalla volontà della “persona offesa”, ritenendo tale opzione sostanzialmente imposta dalla previsione della destinazione pubblicistica del provento della stessa. E’ previsto, dunque, che il giudice possa irrogare la sanzione pecuniaria civile solo nel caso in cui accolga la domanda di risarcimento del danno. 
Nel silenzio del legislatore delegante, non è stata introdotta alcuna norma di disciplina volta a incidere sul quantum di prova necessario ai fini dell’inflizione della sanzione punitiva, ritenendosi sufficiente il raggiungimento del livello probatorio normalmente occorrente in un processo civile e, in particolare, ai fini della decisione sulla domanda di risarcimento del danno: la scelta di uniformare lo standard probatorio, allineandolo a quello contemplato nell’ordinamento civile, è giustificata – nella relazione di accompagnamento – da esigenze di coerenza e di funzionalità pratico-applicativa.

Il terzo comma dell’articolo 8 in esame stabilisce che il giudice non possa applicare la sanzione pecuniaria civile qualora l’atto introduttivo sia stato notificato nella peculiare forma stabilita dal codice di procedura civile in caso di persona irreperibile.
Poiché nel processo penale la stessa legge n. 67 del 2014 ha introdotto norme che consentono di pervenire alla condanna solo laddove l’imputato abbia avuto conoscenza certa del procedimento a suo carico, al fine di assicurare analoghe garanzie nell’ambito della tutela sanzionatoria civile, si è escluso che il giudice possa irrogare la sanzione laddove la notifica dell’atto introduttivo sia avvenuta nelle forme di cui all’art. 143 cod. proc. civ., concernente le modalità di notificazione a persona irreperibile. Peraltro, le predette garanzie e cautele vengono meno laddove, anche nel corso del giudizio, emerga con certezza che il convenuto, sebbene non costituitosi, abbia avuto conoscenza della pendenza del procedimento.


In funzione di “chiusura” delle norme di disciplina di natura processuale, il comma 4 dell’articolo 8 stabilisce che, ai fini dell’applicazione della sanzione pecuniaria civile, si osservano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili: il riferimento all’applicazione delle disposizioni del codice di procedura civile è spiegato anche come mezzo di assicurazione circa il rispetto delle garanzie processuali minime per l’irrogazione di una sanzione che, per quanto di natura civilistica[36], ha una ineliminabile componente afflittiva che, in qualche modo, potrebbe assimilarla ad una sanzione tipica della “materia penale”, alla stregua della giurisprudenza della Corte EDU sui diritti convenzionali all’equo processo.

L’articolo 9 (Pagamento della sanzione) rinvia ad un successivo decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, per quel che concerne la disciplina delle modalità e del termine di pagamento, nonché delle forme di riscossione dell’importo dovuto; la medesima disposizione prevede, altresì, la possibilità e le modalità di rateizzazione dell’adempimento, il divieto di copertura assicurativa e la non trasmissibilità agli eredi dell’obbligo di pagamento (sulla falsariga di quanto già previsto dall’art. 7 legge n.689/1981, in tema di illeciti amministrativi), in considerazione del carattere “personale” della responsabilità da illecito sottoposto a sanzione civile pecuniaria.

Si è prevista espressamente la rateizzazione per ragioni di omogeneità con le sanzioni amministrative, stante comunque la successiva previsione della devoluzione dei proventi alla Cassa delle ammende quale istituto pubblico, e non ai privati.

Come già accennato, nel silenzio della delega, il decreto (art. 10 – Destinazione del provento della sanzione) ha ritenuto maggiormente in linea con la finalità general-preventiva attribuita dal legislatore all’istituto delle sanzioni pecuniarie civili prevedere che i proventi di queste ultime siano devoluti a favore della Cassa delle ammende. Peraltro, a favore della soluzione adottata, si è pure indicata la necessità di non accrescere il contenzioso civile che, invero, sarebbe alimentato facendo intravedere all’offeso una seria possibilità di arricchimento[37].

Al fine di assicurare la concreta operatività della disposizione in materia di reiterazione, l’articolo 11 (Registro informatizzato dei provvedimenti in materia di sanzioni pecuniarie civili) stabilisce che, con decreto del Ministro della Giustizia, siano adottate norme aventi ad oggetto la tenuta di un registro, in forma automatizzata, per l’iscrizione dei provvedimenti con cui il giudice applica la sanzione pecuniaria civile.

Nel silenzio della legge delega riguardo alla disciplina intertemporale, il legislatore – analogamente a quanto operato in sede di depenalizzazione – ha ritenuto di introdurre (articolo 12) una disciplina transitoria per i fatti commessi in epoca anteriore alla data di entrata in vigore del decreto, per i quali non sia già intervenuta una pronuncia irrevocabile, prevedendo, in deroga alla regola generale sull’efficacia della legge nel tempo indicata dall’art. 11 disp. prel. cod. civ., l’applicazione della sanzione pecuniaria civile quando la parte danneggiata decida di agire in sede civile per ottenere il risarcimento del danno e disponendo in tal caso l’applicazione delle disposizioni relative al processo civile.

In ordine ai procedimenti penali in corso, se ancora in fase di indagine il Pubblico Ministero dovrà evidentemente procedere secondo le forme consuete, richiedendo l’archiviazione perché il fatto non è (più) previsto come reato; se invece l’azione penale è stata esercitata, trova applicazione la regola generale dell’art. 129 cod. proc. pen., per la quale il giudice, “in ogni stato e grado del processo”, dichiara di ufficio con sentenza che il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato.

L’ipotesi invece di già intervenuta condanna irrevocabile per uno dei reati oggetto di abrogazione è specificamente regolata dal comma secondo dell’art. 12 del d. lgs. n. 7/2016, secondo il quale <<Se i procedimenti penali  per  i  reati  abrogati  dal  presente decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in  vigore,  con sentenza   di   condanna   o   decreto   irrevocabili,   il   giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando  che  il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Il giudice  dell’esecuzione  provvede  con l’osservanza delle  disposizioni  dell’articolo  667,  comma  4,  del  codice   di procedura penale>>.

Un ultimo interrogativo riguarda la possibilità per il giudice penale, contestualmente alla sentenza di proscioglimento perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, di provvedere sul risarcimento del danno reclamato dall’eventuale parte civile e, congiuntamente, sulle parallele nuove sanzioni pecuniarie civili; facoltà che risponderebbe al fine di non costringere la parte civile a coltivare una nuova defatigante azione davanti al giudice civile, con quanto ne consegue anche in termini di pericolo di prescrizione dell’illecito civile medesimo.

Al riguardo, l’assenza di una disposizione transitoria analoga a quella indicata dall’art. 9, comma 3, del decreto legislativo n. 8 del 2016 – secondo cui nei procedimenti penali per i reati depenalizzati da quel decreto, quando  è  stata  pronunciata  sentenza  di  condanna, il  giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è  previsto  dalla legge come reato, decide sull’impugnazione  ai  soli  effetti  delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli  interessi civili – sembrerebbe far propendere per la opposta soluzione secondo cui il giudice deve limitarsi alle statuizioni penali, essendo onere della parte offesa (anche ove costituita come parte civile nel processo penale così definito), di promuovere eventuale azione davanti al giudice civile, competente anche per l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie civili; la parallela regola individuata per la depenalizzazione pare, infatti, costituire un’eccezione, nominativamente prevista (al pari dell’art. 578 cod. proc. pen.), alla disciplina generale di cui all’art. 538 cod. proc. pen. – secondo cui il giudice penale decide anche sulla responsabilità civile solo quando pronuncia sentenza di condanna – e come tale, dunque, non suscettibile di applicazione analogica.

Redattori:

Pietro Molino

Luigi Barone

Alessandro D’Andrea

Maria Emanuela Guerra

                                                                 Il vice direttore

                                                                 Giorgio Fidelbo

DECRETO LEGISLATIVO 15 gennaio 2016, n. 7

Disposizioni in materia di abrogazione di  reati  e  introduzione  di illeciti con sanzioni pecuniarie civili,  a  norma  dell’articolo  2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67.

(GU n.17 del 22-1-2016, vigente al: 6-2-2016) 

Capo I
ABROGAZIONE DI REATI E MODIFICHE AL CODICE PENALE

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

  Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

  Vista la legge 28 aprile 2014, n. 67, recante «Deleghe  al  Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del  sistema sanzionatorio.   Disposizioni   in   materia   di   sospensione   del procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli irreperibili», e in particolare l’articolo 2, comma 3;

  Visto  il  regio  decreto  19  ottobre  1930,  n.   1398,   recante «Approvazione del testo definitivo del codice penale»;

  Vista la legge 24 novembre 1981,  n.  689,  recante  «Modifiche  al sistema penale»;

  Visto l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

  Vista la preliminare  deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri, adottata nella riunione del 13 novembre 2015;

  Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni  della  Camera  dei deputati e del Senato della Repubblica;

  Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri,  adottata  nella riunione del 15 gennaio 2016;

  Su proposta del  Ministro  della  giustizia,  di  concerto  con  il Ministro dell’economia e delle finanze;

E m a n a

il seguente decreto legislativo:

Art. 1

Abrogazione di reati

  1. Sono abrogati i seguenti articoli del codice penale:

    a) 485;

    b) 486;

    c) 594;

    d) 627;

    e) 647.

Art. 2

Modifiche al codice penale

  1. Al regio decreto 19 ottobre 1930, n.  1398,  sono  apportate  le seguenti modificazioni:

    a)  l’articolo  488  e’  sostituito  dal  seguente:  «488.  Altre falsita’  in  foglio  firmato   in   bianco.   Applicabilita’   delle disposizioni sulle falsita’ materiali. – Ai casi di  falsita’  su  un foglio firmato in bianco diversi da  quelli  preveduti  dall’articolo 487 si applicano le disposizioni sulle  falsita’  materiali  in  atti pubblici.»;

    b) all’articolo 489, il secondo comma e’ abrogato;

    c) all’articolo 490:

      1) il primo comma e’ sostituito  dal  seguente:  «Chiunque,  in tutto o in parte, distrugge, sopprime od  occulta  un  atto  pubblico vero o, al fine di recare a se’ o ad altri un vantaggio o  di  recare ad altri un danno,  distrugge,  sopprime  od  occulta  un testamento olografo, una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o  al  portatore  veri,  soggiace  rispettivamente  alle  pene stabilite negli articoli 476, 477 e 482, secondo  le  distinzioni  in essi contenute.»;

      2) il secondo comma e’ abrogato;

    d) l’articolo 491 e’ sostituito dal seguente: «491.  Falsita’  in testamento olografo, cambiale o titoli di credito. – Se alcuna  delle falsita’ prevedute dagli articoli precedenti riguarda  un  testamento olografo,  ovvero  una  cambiale  o  un  altro  titolo   di   credito trasmissibile per girata o al portatore e il  fatto  e’  commesso  al fine di recare a se’ o ad altri un vantaggio o di recare ad altri  un danno, si applicano le pene  rispettivamente  stabilite  nella  prima parte dell’articolo 476 e nell’articolo 482.

  Nel caso di contraffazione o alterazione degli atti di cui al primo comma, chi ne fa uso, senza essere concorso nella falsita’,  soggiace alla pena stabilita nell’articolo 489  per  l’uso  di  atto  pubblico falso.»;

    e) l’articolo  491-bis  e’  sostituito  dal  seguente:  «491-bis.

Documenti informatici.  –  Se  alcuna  delle  falsita’  previste  dal presente capo  riguarda  un  documento  informatico  pubblico  avente efficacia probatoria, si applicano le disposizioni  del  capo  stesso concernenti gli atti pubblici.»;

    f) l’articolo 493-bis e’ sostituito dal seguente: «493-bis.  Casi di perseguibilita’ a querela. – I delitti previsti dagli articoli 490 e 491,  quando  concernono  una  cambiale  o  un  titolo  di  credito trasmissibile per girata o al  portatore,  sono  punibili  a  querela della persona offesa.

  Si procede d’ufficio, se i fatti previsti dagli articoli di cui  al precedente comma riguardano un testamento olografo.»;

    g) all’articolo 596:

      1) al comma primo, le parole «dei  delitti  preveduti  dai  due articoli precedenti» sono sostituite  dalle  seguenti:  «dal  delitto previsto dall’articolo precedente»;

      2) al comma quarto,  le  parole  «applicabili  le  disposizioni dell’articolo 594,  primo  comma,  ovvero  dell’articolo  595,  primo comma» sono sostituite dalle seguenti: «applicabile  la  disposizione dell’articolo 595, primo comma»;

    h) all’articolo 597, comma primo, le parole «I delitti  preveduti dagli articoli  594  e  595  sono  punibili»  sono  sostituite  dalle seguenti: «Il delitto previsto dall’articolo 595 e’ punibile»;

    i) all’articolo 599:

      1) la rubrica e’ sostituita dalla seguente: «Provocazione.»;

      2) i commi primo e terzo sono abrogati;

      3) nel secondo comma, le parole «dagli  articoli  594  e»  sono sostituite dalle seguenti: «dall’articolo»;

    l)   l’articolo   635   e’   sostituito   dal   seguente:   «635.

Danneggiamento. – Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili  cose  mobili  o  immobili  altrui  con violenza  alla  persona  o  con  minaccia  ovvero  in  occasione   di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall’articolo 331, e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

  Alla stessa pena soggiace chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili le seguenti cose altrui:

    1. edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all’esercizio di un culto o cose  di  interesse  storico  o  artistico  ovunque  siano ubicate o immobili compresi nel perimetro dei centri storici,  ovvero immobili  i  cui  lavori  di  costruzione,  di  ristrutturazione,  di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati o  altre delle cose indicate nel numero 7) dell’articolo 625;

    2. opere destinate all’irrigazione;

    3. piantate di viti, di alberi o arbusti  fruttiferi,  o  boschi, selve o foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento;

    4. attrezzature  e  impianti  sportivi  al  fine  di  impedire  o interrompere lo svolgimento di manifestazioni sportive.

  Per i reati di cui al primo e  al  secondo  comma,  la  sospensione condizionale  della  pena  e’  subordinata   all’eliminazione   delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il  condannato non si oppone, alla prestazione di attivita’ non retribuita a  favore della collettivita’ per un tempo determinato, comunque non  superiore alla durata della pena sospesa, secondo  le  modalita’  indicate  dal giudice nella sentenza di condanna.»;

    m) l’articolo 635-bis, secondo comma, e’ sostituito dal seguente:

«Se il fatto e’ commesso con violenza alla  persona  o  con  minaccia ovvero con abuso della qualita’ di operatore del sistema, la pena  e’ della reclusione da uno a quattro anni.»;

    n) l’articolo 635-ter, terzo comma, e’ sostituito  dal  seguente:

«Se il fatto e’ commesso con violenza alla  persona  o  con  minaccia ovvero con abuso della qualita’ di operatore del sistema, la pena  e’ aumentata.»;

    o)  l’articolo  635-quater,  secondo  comma,  e’  sostituito  dal seguente: «Se il fatto e’ commesso con violenza alla  persona  o  con minaccia ovvero con abuso della qualita’ di operatore del sistema, la pena e’ aumentata.»;

    p) l’articolo  635-quinquies,  terzo  comma,  e’  sostituito  dal seguente: «Se il fatto e’ commesso con violenza alla  persona  o  con minaccia ovvero con abuso della qualita’ di operatore del sistema, la pena e’ aumentata.».

Capo II
ILLECITI SOTTOPOSTI A SANZIONI PECUNIARIE CIVILI

Art. 3

Responsabilita’ civile per gli illeciti sottoposti

a sanzioni pecuniarie

  1. I fatti previsti dall’articolo seguente, se  dolosi,  obbligano, oltre che alle restituzioni e al risarcimento del  danno  secondo  le leggi civili, anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile ivi stabilita.

  2. Si osserva la  disposizione  di  cui  all’articolo  2947,  primo comma, del codice civile.

Art. 4

Illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie

  1. Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro  cento  a  euro ottomila:

    a) chi offende l’onore o  il  decoro  di  una  persona  presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica  o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa;

    b) il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a se’ o ad altri un profitto, s’impossessa della cosa comune, sottraendola  a chi la detiene, salvo che il fatto sia commesso su cose  fungibili  e il valore di esse non ecceda la quota spettante al suo autore;

    c) chi distrugge, disperde, deteriora o  rende,  in  tutto  o  in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui,  al  di  fuori  dei casi di  cui  agli  articoli  635,  635-bis,  635-ter,  635-quater  e 635-quinquies del codice penale;

    d) chi, avendo trovato denaro o cose da  altri  smarrite,  se  ne appropria,  senza  osservare  le  prescrizioni  della  legge   civile sull’acquisto della proprieta’ di cose trovate;

    e) chi, avendo trovato un tesoro, si appropria,  in  tutto  o  in parte, della quota dovuta al proprietario del fondo;

    f) chi si appropria di cose delle quali sia  venuto  in  possesso per errore altrui o per caso fortuito.

  2. Nel caso di cui alla lettera a) del primo comma,  se  le  offese sono reciproche, il giudice puo’ non applicare la sanzione pecuniaria civile ad uno o ad entrambi gli offensori.

  3. Non e’ sanzionabile chi ha commesso il fatto previsto dal  primo comma,  lettera  a),  del  presente  articolo,  nello   stato   d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.

  4. Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro duecento a euro dodicimila:

    a) chi, facendo uso o lasciando  che  altri  faccia  uso  di  una scrittura privata da lui falsamente formata o da lui alterata, arreca ad altri un danno.  Si  considerano alterazioni  anche  le  aggiunte falsamente  apposte  a  una  scrittura  vera,  dopo  che  questa   fu definitivamente formata;

    b) chi, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale  abbia il possesso per un titolo che importi  l’obbligo  o  la  facolta’  di riempirlo, vi scrive o fa scrivere  un  atto  privato  produttivo  di effetti  giuridici,  diverso  da  quello  a  cui  era   obbligato   o autorizzato, se dal fatto di farne uso o di lasciare che se ne faccia uso, deriva un danno ad altri;

    c)  chi,  limitatamente  alle  scritture   private,   commettendo falsita’ su un foglio firmato in bianco diverse  da  quelle  previste dalla lettera b), arreca ad altri un danno;

    d) chi, senza essere concorso nella falsita’, facendo uso di  una scrittura privata falsa, arreca ad altri un danno;

    e) chi, distruggendo, sopprimendo od occultando  in  tutto  o  in parte una scrittura privata vera, arreca ad altri un danno;

    f) chi commette il fatto di cui  al  comma  1,  lettera  a),  del presente   articolo,   nel   caso   in    cui    l’offesa    consista nell’attribuzione di un fatto determinato o sia commessa in  presenza di piu’ persone;

  5. Le disposizioni di cui alle lettere a), b), c),  d)  ed  e)  del comma 4, si applicano anche nel caso in cui le falsita’ ivi  previste riguardino  un  documento  informatico privato   avente   efficacia probatoria.

  6. Agli effetti delle disposizioni di cui al comma 4,  lettere  a), b), c), d) ed  e)  del  presente  articolo,  nella  denominazione  di «scritture private» sono compresi  gli  atti  originali  e  le  copie autentiche di essi, quando a  norma  di  legge  tengano  luogo  degli originali mancanti.

  7. Nei casi di cui al  comma  4,  lettere  b)  e  c)  del  presente articolo, si  considera  firmato  in  bianco  il  foglio  in  cui  il sottoscrittore abbia lasciato bianco un qualsiasi spazio destinato  a essere riempito.

  8. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 del presente  articolo  si applicano anche nel caso di cui al comma 4, lettera f), del  medesimo articolo.

Art. 5

Criteri di commisurazione delle sanzioni pecuniarie

  1. L’importo della sanzione pecuniaria civile  e’  determinato  dal giudice tenuto conto dei seguenti criteri:

    a) gravita’ della violazione;

    b) reiterazione dell’illecito;

    c) arricchimento del soggetto responsabile;

    d) opera svolta dall’agente  per  l’eliminazione  o  attenuazione

delle conseguenze dell’illecito;

    e) personalita’ dell’agente;

    f) condizioni economiche dell’agente.

Art. 6

Reiterazione dell’illecito

  1. Si ha reiterazione nel  caso  in  cui  l’illecito  sottoposto  a sanzione pecuniaria civile sia  compiuto  entro  quattro  anni  dalla commissione, da parte dello stesso soggetto, di  un’altra  violazione sottoposta a sanzione pecuniaria civile, che sia della stessa  indole e che sia stata accertata con provvedimento esecutivo.

  2. Ai fini della presente legge, si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e  quelle  di  disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono  o  per  le modalita’ della condotta, presentano una  sostanziale omogeneita’  o caratteri fondamentali comuni.

Art. 7

Concorso di persone

  1. Quando piu’ persone concorrono in un illecito di cui al presente capo, ciascuna di esse soggiace alla sanzione pecuniaria  civile  per esso stabilita.

Art. 8

Procedimento

  1.  Le  sanzioni  pecuniarie  civili  sono  applicate  dal  giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento del danno.

  2.  Il  giudice  decide  sull’applicazione  della  sanzione  civile pecuniaria al termine del giudizio, qualora  accolga  la  domanda  di risarcimento proposta dalla persona offesa.

  3. La sanzione pecuniaria civile non puo’ essere  applicata  quando l’atto introduttivo del giudizio e’ stato notificato nelle  forme  di cui all’articolo 143 del codice di procedura  civile,  salvo  che  la controparte si sia costituita in giudizio o risulti con certezza  che abbia avuto comunque conoscenza del processo.

  4. Al procedimento, anche ai fini dell’irrogazione  della  sanzione pecuniaria  civile,  si  applicano  le  disposizioni  del  codice  di procedura civile, in quanto compatibili con  le  norme  del  presente capo.

Art. 9

Pagamento della sanzione

  1. Con decreto del Ministro della giustizia,  di  concerto  con  il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro il  termine di sei  mesi  dall’entrata  in  vigore  del  presente  decreto,  sono stabiliti  termini  e  modalita’  per  il  pagamento  della  sanzione pecuniaria civile, nonche’ le forme per la  riscossione  dell’importo dovuto.

  2.  Il  giudice  puo’  disporre,  in  relazione   alle   condizioni economiche del condannato, che il pagamento della sanzione pecuniaria civile sia effettuato in rate mensili da due a  otto.  Ciascuna  rata non puo’ essere inferiore ad euro cinquanta.

  3. Decorso inutilmente, anche per una sola rata, il termine fissato per il pagamento, l’ammontare residuo della  sanzione  e’  dovuto  in un’unica soluzione.

  4. Il condannato puo’ estinguere la sanzione civile  pecuniaria  in ogni momento, mediante un unico pagamento.

  5. Per il pagamento della sanzione pecuniaria civile non e’ ammessa alcuna forma di copertura assicurativa.

  6. L’obbligo  di  pagare  la  sanzione  pecuniaria  civile  non  si trasmette agli eredi.

Art. 10

Destinazione del provento della sanzione

  1. Il provento della  sanzione  pecuniaria  civile  e’  devoluto  a favore della Cassa delle ammende.

Art. 11

Registro informatizzato dei provvedimenti

in materia di sanzioni pecuniarie

  1. Con apposito decreto del Ministro della giustizia sono  adottate le disposizioni  relative  alla  tenuta  di  un  registro,  in  forma automatizzata, in cui sono iscritti i provvedimenti  di  applicazione delle sanzioni pecuniarie civili, per gli effetti di cui all’articolo 6.

Art. 12

Disposizioni transitorie

  1. Le disposizioni relative alle  sanzioni  pecuniarie  civili  del presente decreto si applicano anche ai fatti  commessi  anteriormente alla  data  di  entrata  in  vigore  dello  stesso,  salvo   che   il procedimento penale sia stato definito con  sentenza  o  con  decreto divenuti irrevocabili.

  2. Se i procedimenti penali  per  i  reati  abrogati  dal  presente decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in  vigore,  con sentenza   di   condanna   o   decreto   irrevocabili,   il   giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando  che  il fatto non e’ previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Il giudice  dell’esecuzione  provvede  con  l’osservanza delle  disposizioni  dell’articolo  667,  comma  4,  del  codice   di procedura penale.

Art. 13

Disposizioni finanziarie

  1. Con riferimento alle minori entrate derivanti dalle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e  12,  valutate  in  euro  129.873,00  per l’anno 2016 e in euro 86.582,00 annui a decorrere dall’anno 2017,  si provvede con quota parte dei risparmi derivanti dall’attuazione degli articoli 1 e 2.

  Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica Italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

DECRETO LEGISLATIVO 15 gennaio 2016, n. 8

Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67.

(GU n.17 del 22-1-2016, vigente al: 6-2-2016) 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

  Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

  Vista la legge 28 aprile 2014, n. 67, recante «Deleghe  al  Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del  sistema sanzionatorio.   Disposizioni   in   materia   di   sospensione   del procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli irreperibili», e in particolare l’articolo 2, comma 2;

  Visto  il  regio  decreto  19  ottobre  1930,  n.   1398,   recante «Approvazione del testo definitivo del codice penale»;

  Vista  la  legge  8  gennaio  1931,  n.  234,  recante  «Norme  per l’impianto e l’uso di apparecchi  radioelettrici  privati  e  per  il rilascio  delle  licenze  di  costruzione,  vendita  e  montaggio  di materiali radioelettrici»;

  Vista la legge 22 aprile 1941,  n.  633,  recante  «Protezione  del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio»;

  Visto il decreto legislativo luogotenenziale  10  agosto  1945,  n. 506, recante «Disposizioni circa la denunzia dei beni che sono  stati oggetto  di  confische,  sequestri,  o  altri  atti  di  disposizione adottati sotto l’impero del sedicente governo repubblicano»;

  Vista la legge 28 novembre 1965, n.  1329,  recante  «Provvedimenti per l’acquisto di nuove macchine utensili»;

  Visto il decreto-legge 26 ottobre 1970,  n.  745,  convertito,  con modificazioni,  dalla  legge  18  dicembre  1970,  n.  1034,  recante «Provvedimenti straordinari per la ripresa economica»;

  Visto il decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463,  convertito,  con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, recante  «Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e  per  il  contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari  settori  della  pubblica amministrazione e proroga di tali termini»;

  Visto il decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, recante «Testo unico delle leggi in materia di disciplina  degli stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza»;

  Visto il decreto legislativo 11 febbraio 1998, n.  32,  recante  la «Razionalizzazione del sistema di  distribuzione  dei  carburanti,  a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera  c),  della  legge  15  marzo 1997, n. 59»;

  Vista la legge 24 novembre 1981,  n.  689,  recante  «Modifiche  al sistema penale»;

  Visto l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

  Vista la preliminare  deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri, adottata nella riunione del 13 novembre 2015;

  Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni  della  Camera  dei Deputati e del Senato della Repubblica;

  Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri,  adottata  nella riunione del 15 gennaio 2016;

  Sulla proposta del Ministro della giustizia,  di  concerto  con  il Ministro dell’economia e delle finanze;

E m a n a

il seguente decreto legislativo:

Art. 1

Depenalizzazione di reati puniti  con  la  sola  pena  pecuniaria  ed

 esclusioni

  1.  Non  costituiscono  reato  e  sono   soggette   alla   sanzione amministrativa  del  pagamento  di  una  somma  di  denaro  tutte  le violazioni per le quali e’  prevista  la  sola  pena  della  multa  o dell’ammenda.

  2. La disposizione del comma 1 si applica anche ai  reati  in  esso previsti che, nelle  ipotesi  aggravate,  sono  puniti  con  la  pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria. In  tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome  di reato.

  3. La disposizione del comma 1 non si applica ai reati previsti dal codice penale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma  6, e a quelli compresi nell’elenco allegato al presente decreto.

  4. La disposizione del comma 1 non si applica ai reati  di  cui  al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

  5. La sanzione amministrativa pecuniaria, di cui al primo comma, e’ cosi’ determinata:

    a) da euro 5.000 a euro 10.000 per i reati puniti con la multa  o l’ammenda non superiore nel massimo a euro 5.000;

    b) da euro 5.000 a euro 30.000 per i reati puniti con la multa  o l’ammenda non superiore nel massimo a euro 20.000;

    c) da euro 10.000 a euro 50.000 per i reati puniti con la multa o l’ammenda superiore nel massimo a euro 20.000.

  6. Se per le violazioni previste dal comma 1 e’ prevista  una  pena pecuniaria proporzionale, anche senza la  determinazione  dei  limiti minimi o massimi, la somma dovuta e’ pari all’ammontare della multa o dell’ammenda, ma non puo’, in ogni  caso,  essere  inferiore  a  euro 5.000 ne’ superiore a euro 50.000.

Art. 2

Depenalizzazione di reati del codice penale

  1. All’articolo 527 del codice penale sono  apportate  le  seguenti modificazioni:

    a) nel primo comma, le parole «e’ punito con la reclusione da tre mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti:  «e’  soggetto  alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000»;

    b) nel secondo comma, le parole «La pena e’ aumentata da un terzo alla meta’» sono sostituite dalle seguenti: «Si applica la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi.».

  2. All’articolo 528 del codice penale sono  apportate  le  seguenti modificazioni:

    a) nel primo comma, le parole «e’ punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con  la  multa  non  inferiore  a  euro  103»  sono sostituite dalle seguenti: «e’ soggetto alla sanzione  amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000»;

    b)  nel  secondo  comma,  le  parole  «Alla  stessa  pena»   sono sostituite dalle seguenti: «Alla stessa sanzione»;

    c) nel terzo comma, le parole «Tale pena si applica inoltre» sono sostituite dalle seguenti: «Si applicano la reclusione da tre mesi  a tre anni e la multa non inferiore a euro 103».

  3. All’articolo 652 del codice penale sono  apportate  le  seguenti modificazioni:

    a) nel primo comma, le parole «e’ punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309» sono sostituite dalle seguenti: «e’ soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000  a euro 15.000»;

    b) nel secondo comma, le parole «e’ punito con l’arresto da uno a sei mesi ovvero con l’ammenda da euro 30 a euro 619» sono  sostituite dalle seguenti: «e’ soggetto alla sanzione amministrativa  pecuniaria da euro 6.000 a euro 18.000».

  4. All’articolo 661 del codice penale, le parole «e’  punito»  sono sostituite con le seguenti: «e’ soggetto» e le parole «con  l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro  1.032»  sono  sostituite dalle seguenti: «alla  sanzione  amministrativa  pecuniaria  da  euro 5.000 a euro 15.000».

  5. All’articolo 668 del codice penale sono  apportate  le  seguenti modificazioni:

    a) nel primo comma, le parole «e’ punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 309» sono sostituite dalle seguenti: «e’ soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000  a euro 15.000»;

    b)  nel  secondo  comma,  le  parole  «Alla  stessa  pena»   sono sostituite dalle seguenti: «Alla stessa sanzione»;

    c) nel terzo comma, le parole  «la  pena  pecuniaria  e  la  pena detentiva  sono  applicate  congiuntamente»  sono  sostituite   dalle seguenti: «si applica la sanzione amministrativa pecuniaria  da  euro 10.000 a euro 30.000».

  6. L’articolo 726 del codice penale  e’  sostituito  dal  seguente:  «Chiunque, in un luogo pubblico  o  aperto  o  esposto  al  pubblico, compie atti contrari alla pubblica decenza e’ soggetto alla  sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 10.000».

Art. 3

Altri casi di depenalizzazione

  1. Alla legge 8 gennaio 1931, n. 234, sono  apportate  le  seguenti modificazioni:

    a) all’articolo 8, primo comma, in fine, dopo la  parola  «reato» sono  aggiunte  le  seguenti:  «,  o  delle  sanzioni  amministrative pecuniarie, qualora si tratti di illeciti amministrativi»;

    b) all’articolo 11:

      1) al primo comma, le parole «reato piu’ grave, con una ammenda da lire 40.000 a lire 400.000 o con l’arresto fino a due  anni»  sono sostituite dalle seguenti: «reato,  con  la  sanzione  amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000»;

      2) il secondo  comma  e’  sostituito  dal  seguente:  «Chiunque commette la violazione indicata nel primo comma, dopo avere  commesso la stessa violazione accertata con provvedimento esecutivo, e’ punito con l’arresto fino a tre anni o con  l’ammenda  da  euro  30  a  euro 309.»;

      3) al terzo comma dell’articolo 11, le parole «Si fa luogo alla confisca, a termini del Codice di procedura penale»  sono  sostituite dalle seguenti: «Si fa luogo a confisca amministrativa»;

    c) l’articolo 12 e’ abrogato.

  2. Alla legge 22 aprile 1941, n. 633, sono  apportate  le  seguenti modificazioni:

    a) all’articolo 171-quater, primo comma, le  parole  «piu’  grave reato, e’ punito con l’arresto sino ad un anno  o  con  l’ammenda  da lire un milione a lire dieci milioni» sono sostituite dalle seguenti:

«reato, e’ soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria  da  euro 5.000 a euro 30.000»;

    b) all’articolo 171-sexies, comma  2,  le  parole  «e  171-ter  e 171-quater» sono sostituite dalle  seguenti:  «171-ter  e  l’illecito amministrativo di cui all’articolo 171-quater».

  3. All’articolo 3 del decreto legislativo luogotenenziale 10 agosto 1945, n. 506, sono apportate le seguenti modificazioni:

    a) le parole «e’ punito con l’arresto non inferiore nel minimo  a sei mesi o  con  l’ammenda  non  inferiore  a  lire  2.000.000»  sono sostituite dalle seguenti: «e’ soggetto alla sanzione  amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000»;

    b) le parole «la pena e’ dell’arresto non inferiore a tre mesi  o dell’ammenda non inferiore a lire 1.000.000»  sono  sostituite  dalle seguenti: «si applica la sanzione amministrativa pecuniaria  da  euro 10.000 a euro 30.000».

  4. All’articolo 15 della legge 28 novembre 1965, n.  1329,  secondo comma, le parole «e’ punito con la pena dell’ammenda da lire  150.000 a lire 600.000 o con l’arresto fino a tre mesi» sono sostituite dalle seguenti: «e’ soggetto alla  sanzione  amministrativa pecuniaria  da euro 5.000 a euro 15.000».

  5. L’articolo 16, quarto comma, del decreto-legge 26 ottobre  1970, n. 745, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre  1970, n.  1034,  e’   sostituito   dal   seguente:   «All’installazione   o all’esercizio di impianti in mancanza di concessione  si  applica  la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000.».

  6. L’articolo 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre  1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre  1983, n. 638, e’ sostituito dal seguente:

  «1-bis. L’omesso versamento delle ritenute di cui al comma  1,  per un importo superiore a euro 10.000 annui, e’ punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo omesso non e’  superiore  a  euro  10.000  annui,  si  applica  la  sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore  di lavoro  non   e’   punibile,   ne’   assoggettabile   alla   sanzione amministrativa, quando provvede al versamento  delle  ritenute  entro tre  mesi  dalla  contestazione  o   dalla   notifica   dell’avvenuto accertamento della violazione.».

  7. All’articolo 28, comma  2,  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, le parole «e’ punito, salvo che il fatto costituisca reato piu’ grave, con l’arresto sino ad un  anno  o con l’ammenda da  lire  un  milione  a  lire  quattro  milioni»  sono sostituite  dalle  seguenti:  «e’  soggetto,  salvo  che   il   fatto costituisca reato, alla sanzione amministrativa  pecuniaria  da  euro 5.000 a euro 30.000».

Art. 4

Sanzioni amministrative accessorie

  1. In caso di reiterazione specifica di  una  delle  violazioni  di seguito  indicate,   l’autorita’   amministrativa   competente,   con l’ordinanza   ingiunzione,   applica   la   sanzione   amministrativa accessoria  della  sospensione  della  concessione,  della   licenza, dell’autorizzazione  o  di  altro  provvedimento  amministrativo  che consente l’esercizio dell’attivita’ da un minimo di dieci giorni a un massimo di tre mesi:

    a) articolo 668 del codice penale;

    b) articolo 171-quater della legge 22 aprile 1941, n. 633;

    c) articolo  28,  comma  2,  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.

  2. Allo stesso modo provvede il giudice con la sentenza di condanna qualora sia competente, ai sensi  dell’articolo  24  della  legge  24 novembre 1981, n. 689, a decidere su una  delle  violazioni  indicate nel comma 1.

  3. Per gli illeciti amministrativi di cui al comma 1,  in  caso  di reiterazione specifica, non e’ ammesso il pagamento in misura ridotta ai sensi dell’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Art. 5

Disposizione di coordinamento

  1. Quando i reati trasformati in illeciti amministrativi  ai  sensi del  presente  decreto  prevedono  ipotesi  aggravate  fondate  sulla recidiva ed  escluse  dalla  depenalizzazione,  per  recidiva  e’  da intendersi la reiterazione dell’illecito depenalizzato.

Art. 6

Disposizioni applicabili

  1.   Nel   procedimento   per   l’applicazione    delle    sanzioni amministrative previste dal presente decreto si osservano, in  quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del  capo  I  della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Art. 7

Autorita’ competente

  1. Per le violazioni di  cui  all’articolo  1,  sono  competenti  a ricevere il rapporto e ad applicare  le  sanzioni  amministrative  le autorita’ amministrative competenti ad  irrogare  le  altre  sanzioni amministrative  gia’  previste  dalle  leggi   che   contemplano   le violazioni stesse; nel caso  di  mancata  previsione,  e’  competente l’autorita’ individuata a  norma  dell’articolo  17  della  legge  24 novembre 1981, n. 689.

  2. Per le  violazioni  di  cui  all’articolo  2,  e’  competente  a ricevere il rapporto e ad  irrogare  le  sanzioni  amministrative  il prefetto.

  3. Per le violazioni di  cui  all’articolo  3,  sono  competenti  a ricevere il rapporto e ad irrogare le sanzioni amministrative:

    a) le autorita’ competenti ad irrogare le sanzioni amministrative gia’ indicate nella legge 22 aprile 1941, n. 633,  nel  decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre  1983,  n.  638,  e  nel  decreto  del Presidente  della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309;

    b)  il  Ministero   dello   sviluppo   economico   in   relazione all’articolo 11 della legge 8 gennaio 1931, n. 234;

    c)    l’autorita’     comunale     competente     al     rilascio dell’autorizzazione all’installazione o all’esercizio di impianti  di distribuzione  di  carburante  di  cui  all’articolo  1  del  decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32;

    d)  il  prefetto  con  riguardo  alle  restanti  leggi   indicate all’articolo 3.

Art. 8

Applicabilita’ delle sanzioni amministrative

alle violazioni anteriormente commesse

  1. Le disposizioni del presente decreto che sostituiscono  sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata  in  vigore  del  decreto stesso, sempre che il procedimento penale non sia stato definito  con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili.

  2. Se i procedimenti penali per i reati depenalizzati dal  presente decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in  vigore,  con sentenza   di   condanna   o   decreto   irrevocabili,   il   giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando  che  il fatto non e’ previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Il giudice  dell’esecuzione  provvede  con  l’osservanza delle  disposizioni  dell’articolo  667,  comma  4,  del  codice   di procedura penale.

  3. Ai fatti commessi prima della data  di  entrata  in  vigore  del presente   decreto   non   puo’   essere   applicata   una   sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al  massimo  della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’articolo 135 del codice penale. A tali fatti non si applicano le sanzioni amministrative accessorie introdotte dal presente decreto, salvo che le  stesse  sostituiscano  corrispondenti pene accessorie.

Art. 9

Trasmissione degli atti all’autorita’ amministrativa

  1.  Nei  casi  previsti  dall’articolo  8,  comma  1,   l’autorita’ giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente   decreto,    dispone    la   trasmissione    all’autorita’ amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi, salvo che  il  reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data.

  2.  Se  l’azione  penale  non  e’  stata  ancora   esercitata,   la trasmissione  degli  atti  e’  disposta  direttamente  dal   pubblico ministero che, in caso  di  procedimento  gia’  iscritto,  annota  la trasmissione nel registro delle notizie di reato. Se il reato risulta estinto  per  qualsiasi  causa,  il   pubblico   ministero   richiede l’archiviazione a norma del codice di procedura penale; la  richiesta ed il decreto del giudice che la accoglie possono  avere  ad  oggetto anche elenchi cumulativi di procedimenti.

  3. Se l’azione penale e’ stata esercitata, il giudice pronuncia, ai sensi dell’articolo 129 del  codice  di  procedura  penale,  sentenza inappellabile perche’ il fatto  non  e’  previsto  dalla  legge  come reato, disponendo la trasmissione degli atti a  norma  del  comma  1.

Quando  e’  stata  pronunciata  sentenza  di  condanna,  il   giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non e’ previsto  dalla legge come reato, decide  sull’impugnazione  ai  soli  effetti  delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono  gli  interessi civili.

  4. L’autorita’ amministrativa notifica gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica  entro  il termine di novanta giorni e a quelli residenti  all’estero  entro  il termine di trecentosettanta giorni dalla ricezione degli atti.

  5. Entro sessanta giorni dalla notificazione  degli  estremi  della violazione l’interessato e’ ammesso al pagamento in  misura  ridotta, pari alla meta’ della sanzione, oltre alle spese del procedimento. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

  6. Il pagamento determina l’estinzione del procedimento.

Art. 10

Disposizioni finanziarie

  1.  Le  amministrazioni  interessate  provvedono  agli  adempimenti previsti dal presente decreto, senza nuovi o maggiori oneri a  carico della  finanza  pubblica,  con  le  risorse  umane,   strumentali   e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

  Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica Italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Allegato

(Art. 1)

ELENCO  DELLE  LEGGI  CONTENENTI  REATI  PUNITI  CON  LA  SOLA   PENA PECUNIARIA ESCLUSI DALLA DEPENALIZZAZIONE A NORMA DELL’ART. 2 DELLA LEGGE N. 67/2014

    AVVERTENZA: i riferimenti agli atti normativi si intendono estesi agli  eventuali,  successivi   provvedimenti   di   modifica   o   di integrazione.

Edilizia e urbanistica

    1. Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante “Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari in materia edilizia”.

    2. Legge 2 febbraio 1974, n. 64, recante  “Provvedimenti  per  le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”.

    3. Legge  5  novembre  1971,  n.  1086,  recante  “Norme  per  la disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato,  normale  e precompresso ed a struttura metallica”.

Ambiente, territorio e paesaggio

    1.  Decreto  legislativo  6  novembre  2007,  n.   202,   recante “Attuazione  della  direttiva  2005/35/CE  relativa  all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni”.

    2. Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante  “Norme  in materia ambientale”.

    3.  Decreto  legislativo  11  maggio  2005,   n.   133,   recante “Attuazione della direttiva 2000/76/CE, in materia  di  incenerimento dei rifiuti”.

    4. Decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65, recante  “Attuazione delle   direttive   1999/45/CE    e    2001/60/CE    relative    alla classificazione, all’imballaggio  e  all’etichettatura  di  preparati pericolosi”, limitatamente all’art. 18, comma 1, quando ha ad oggetto le sostanze  e  i  preparati  pericolosi  per  l’ambiente,  per  come definiti dall’art. 2, comma 1, lettera q).

    5.  Decreto  legislativo  25  febbraio  2000,  n.  174,   recante “Attuazione della direttiva 98/8/CE  in  materia  di  immissione  sul mercato di biocidi”.

    6.  Decreto  legislativo  3  febbraio  1997,   n.   52,   recante “Attuazione della  direttiva  92/32/CE  concernente  classificazione, imballaggio   ed   etichettatura    delle    sostanze    pericolose”, limitatamente all’art. 36, comma 1, quando ha ad oggetto le  sostanze e i preparati pericolosi per l’ambiente, per come definiti  dall’art. 2, comma 1, lettera q).

    7. Legge  11  febbraio  1992,  n.  157,  recante  “Norme  per  la protezione  della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il   prelievo venatorio”.

    8.  Legge  26  aprile  1983,  n.   136,   recante   norme   sulla “Biodegradabilita’ dei detergenti sintetici”.

    9. Legge 31 dicembre 1962, n. 1860, concernente “Impiego pacifico dell’energia nucleare”.

Alimenti e bevande

    1. Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, recante “Disposizioni  urgenti  per  il  settore agricolo,  la  tutela  ambientale  e   l’efficientamento   energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e  lo  sviluppo delle imprese, il  contenimento  dei  costi  gravanti  sulle  tariffe elettriche, nonche’  per  la  definizione  immediata  di  adempimenti derivanti dalla normativa europea”, limitatamente all’art.  4,  comma 8.

    2.  Decreto  legislativo  21  maggio  2004,   n.   169,   recante “Attuazione della  direttiva  2002/46/CE  relativa  agli  integratori alimentari”.

Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

    1. Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante  “Attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia  di  tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”.

    2. Legge 27 marzo 1992, n.  257,  recante  “Norme  relative  alla cessazione dell’impiego dell’amianto”.

    3. Legge  16  giugno  1939,  n.  1045,  recante  “Condizioni  per l’igiene  e  l’abitabilita’  degli  equipaggi  a  bordo  delle   navi mercantili  nazionali”,  con  riguardo  alla  violazione,  sanzionata dall’art. 90,  delle  disposizioni  di  cui  agli  articoli  34,  39, limitatamente ai locali di lavoro, 40, 41, 44, comma 2, limitatamente alla  installazione  di  impianti  per  la  distribuzione   di   aria condizionata nella sala nautica e nei  locali  della  timoneria,  45, limitatamente ai locali destinati al  lavoro,  66,  limitatamente  ai posti fissi di lavoro, 73, 74, 75, 76.

Sicurezza pubblica

    1. Regio decreto 18 giugno 1931, n.  773,  recante  “Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”.

Giochi d’azzardo e scommesse

    1. Regio decreto-legge 19 ottobre 1938, n. 1933, recante “Riforma delle leggi sul lotto pubblico”.

Armi ed esplosivi

    1. Legge  9  luglio  1990,  n.  185,  recante  “Nuove  norme  sul controllo delle esportazioni, importazioni e transito  dei  materiali di armamento”.

    2. Legge 18 aprile 1975, n. 110, recante “Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle  armi,  delle  munizioni  e degli esplosivi”.

    3. Legge 23 dicembre 1974, n. 694,  recante  la  “Disciplina  del porto delle armi a bordo degli aeromobili”.

    4. Legge 23 febbraio 1960, n. 186, recante “Modifiche  al  R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 3152, sulla  obbligatorieta’  della  punzonatura delle armi da fuoco portatili”.

Elezioni e finanziamento ai partiti

    1. Legge  21  febbraio  2014,  n.  13,  recante  “Abolizione  del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e  la democraticita’  dei  partiti   e   disciplina   della   contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore”.

    2. Legge 27 dicembre 2001, n. 459, recante “Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero”.

    3. Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533,  recante  “Testo unico delle leggi recanti  norme  per  l’elezione  del  Senato  della Repubblica”.

    4. Legge 10 dicembre 1993,  n.  515,  recante  “Disciplina  delle campagne elettorali per l’elezione della Camera  dei  deputati  e  al Senato della Repubblica”.

    5. Legge 25 marzo 1993, n. 81, concernente “Elezione diretta  del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale”.

    6.  Legge  18  novembre  1981,  n.  659,  recante  “Modifiche  ed integrazioni alla legge 2 maggio 1974, n. 195, sul  contributo  dello Stato al finanziamento dei partiti politici”.

    7. Legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente “Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia”.

    8. Legge 25 maggio 1970, n. 352, recante  “Norme  sui  referendum previsti  dalla  Costituzione  e  sulla  iniziativa  legislativa  del popolo”.

    9. Legge 17 febbraio 1968, n. 108, recante “Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale”.

    10. Decreto del Presidente della Repubblica  20  marzo  1967,  n. 223, recante  “Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi  per  la disciplina dell’elettorato attivo e per  la  tenuta  e  la  revisione delle liste elettorali”.

    11. Decreto del Presidente della Repubblica 16  maggio  1960,  n. 570, recante “Testo unico  delle  leggi  per  la  composizione  e  la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali”.

    12. Decreto del Presidente della Repubblica  30  marzo  1957,  n. 361, recante “Approvazione del testo unico delle leggi recanti  norme per la elezione della Camera dei deputati”.

    13. Legge 8 marzo 1951, n. 122, recante “Norme  per  le  elezioni dei Consigli provinciali”.

Proprieta’ intellettuale e industriale

    1. Legge 22 aprile 1941, n. 633, concernente la  “Protezione  del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”.

[1] Ad esempio, nell’articolo 32 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

[2] Si tratta delle seguenti materie: edilizia e urbanistica; ambiente, territorio e paesaggio; alimenti e bevande; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; sicurezza pubblica; giochi d’azzardo e scommesse; armi ed esplosivi; elettorale e finanziamento ai partiti; proprietà intellettuale e industriale. Pur non essendo formalmente inclusa tra le eccezioni riduttive, la materia dell’immigrazione (di cui al d.lgs. 25.7.1998 n.286) rimane esclusa – sia pur indirettamente – dalla operatività della clausola generale, per effetto dell’espressa previsione di cui all’art. 2, co. 3, lett. b, che mantiene la rilevanza penale delle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in tale materia, che siano punite con la sola pena pecuniaria.

[3] Nel d. lgs. n. 8 del 2016 l’art. 659 comma 2 cod. pen. non è indicato tra i reati depenalizzati, significando dunque che sul punto specifico il governo non ha inteso esercitare la delega.

[4] Seppure quest’ultimo a seguito del passaggio alla competenza del giudice di pace.

[5] A. Gargani, Tra sanzioni amministrative e nuovi paradigmi punitivi: la legge delega di riforma della disciplina sanzionatoria (art.2 l.28.4.2014 n. 67), in La legislazione penale, 2015, 7, pag. 14, che sottolinea come “…sul piano logico-sistematico, l’argomento secondo cui l’esclusione dei reati previsti dal codice penale dalla sfera di operatività della clausola generale troverebbe implicita conferma nell’inclusione – tra le c.d. eccezioni espansive di cui all’art. 2 co. 2 lett. b – di due contravvenzioni già trasformabili in illeciti amministrativi, ai sensi della clausola generale, non dà conto della ragione per la quale il legislatore abbia indicato tassativamente le materie escluse dalla depenalizzazione, senza prevedere espressamente un’esclusione così significativa come quella concernente i reati codicistici…”; lo stesso Autore sottolinea come faccia propendere per la tesi estensiva anche la lettura dei lavori preparatori (cfr. Scheda di lettura n.7/2 in riferimento al progetto di legge A.C. 331 927-B; Camera dei Deputati del 4.2.2014).

[6] Tra le tante, cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 87 del 1989, 126 del 1996, 383 del 1998.

[7] Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 156 del 1987.

[8] Nella sentenza n. 224 del 1990 la Consulta evidenzia che i «principi e criteri direttivi» presentano nella prassi una fenomenologia estremamente variegata, che oscilla da ipotesi in cui la legge delega pone finalità dai confini molto ampi e sostanzialmente lasciate alla determinazione del legislatore delegato, a ipotesi in cui la stessa legge fissa «principi» a basso livello di astrattezza, finalità specifiche, indirizzi determinati e misure di coordinamento definite o, addirittura, pone principi inestricabilmente frammisti a norme di dettaglio disciplinatrici della materia o a norme concretamente attributive di precise competenze.

[9] Limitazioni che erano state inserite, invece, in analoghi provvedimenti legislativi: ad es., l’art. 32 co. 2 l. 689/1981, esclude espressamente dalla depenalizzazione i reati per i quali sia prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, “che, nelle ipotesi aggravate, siano puniti con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria”.

[10] F. Palazzo, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture (a proposito della legge n. 67/2014), in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 4, 2014, pag. 1693 e ss..

[11] Cfr. Corte cost., sentenza n. 163 del 2000

[12] Nel passato, in materia di contrabbando, Sez. 3, n. 7582, 30 marzo 1994, Cola, Rv. 198407 aveva affermato che “Devono ritenersi depenalizzati ai sensi dell’art. 39 legge 24 novembre 1981, n. 689, come modificato dall’art. 2 legge 28 dicembre 1993, n. 562, i delitti di contrabbando puniti con la sola multa, nonostante sia per essi prevista, nelle ipotesi aggravate (art. 295 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), anche la pena detentiva; né osta alla (subentrata) previsione del fatto come illecito amministrativo la circostanza che sia stata eventualmente contestata all’imputato la speciale recidiva di cui all’art. 296 del suddetto d.P.R., che aggrava la sanzione con la previsione della reclusione congiunta alla multa, in quanto, attesa la generale depenalizzazione dei delitti predetti, tale recidiva non è più configurabile, ne’ nell’ipotesi di recidiva semplice (comma primo) ne’ in quella di recidiva reiterata (comma secondo), entrambe collegate alla commissione “di un altro delitto di contrabbando per il quale la legge stabilisce la sola multa”, vale a dire ad un fatto che ora non è più previsto come reato”.

[13] Fa eccezione a tale clausola generale di coordinamento, di cui all’articolo 5 del decreto, l’ipotesi di depenalizzazione “nominativa” che riguarda l’articolo 11 della legge n. 234 del 1931. Il primo comma del citato articolo è stato depenalizzato (in attuazione dell’articolo 2, comma 2, lettera d), n. 1, della delega), mentre il secondo comma prevede un aumento di pena per la recidiva con riferimento alla reiterazione della violazione descritta nel primo comma: pertanto, per assicurare l’operatività della disposizione del secondo comma, il legislatore delegato ha provveduto a riformularlo, individuando (art. 3, comma 1, lettera b), n. 2, del decreto) la pena applicabile.

[14] Nel codice della navigazione (art. 1218 bis r.d. 30 marzo 1942, n. 327), nel codice della strada (cfr., verbi gratia, gli artt. 82, comma 10, e 143, comma 12, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), nel codice delle assicurazioni private (art. 329, comma 1, d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209), nel codice del consumo (artt. 62, comma 2, e 67 septies decies, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), nel codice dell’ambiente (artt. 279, comma 7, e 296, comma 5, d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152), nel codice delle pari opportunità tra uomo e donna (art. 41, comma 1, d.lgs. 11 aprile 2006, 198), nel codice dell’ordinamento militare (cfr., exempli gratia, artt. 1359, comma 4, e 2106, comma 2, d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66), nel testo unico di pubblica sicurezza (art. 31 bis, comma 3, r.d. 18 giugno 1931, n. 773), nel testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (art. 196, comma 1, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), nella disciplina del commercio (artt. 22, comma 2, e 29, comma 3, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114; art. 57 r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033[11]) e in numerosi c.c.n.l..

[15] Emblematica di questa tendenza ondivaga è la legge 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale.

[16] Cfr., sul punto, Rel. n. 35/2014, Uff. Massimario, Considerazioni sul principio del ne bis in idemnella recente giurisprudenza europea: la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia.

[17] Art. 8-bis della legge n. 689/81: «Salvo quanto previsto da speciali disposizioni di legge, si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione amministrativa, accertata con provvedimento esecutivo, lo stesso soggetto commette un’altra violazione della stessa indole. Si ha reiterazione anche quando più violazioni della stessa indole commesse nel quinquennio sono accertate con unico provvedimento esecutivo. Si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono o per le modalità della condotta, presentano una sostanziale omogeneità o caratteri fondamentali comuni. La reiterazione è specifica se è violata la medesima disposizione. Le violazioni amministrative successive alla prima non sono valutate, ai fini della reiterazione, quando sono commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria. La reiterazione determina gli effetti che la legge espressamente stabilisce. Essa non opera nel caso di pagamento in misura ridotta. Gli effetti conseguenti alla reiterazione possono essere sospesi fino a quando il provvedimento che accerta la violazione precedentemente commessa sia divenuto definitivo. La sospensione è disposta dall’autorità amministrativa competente, o in caso di opposizione dal giudice, quando possa derivare grave danno. Gli effetti della reiterazione cessano di diritto, in ogni caso, se il provvedimento che accerta la precedente violazione è annullato».

[18] A. Gargani, op. cit., pag. 10.

[19]Si attua in tal modo una previsione che aveva più volte (da ultimo, Sez. 3, n. 20547 del 14/04/2015, Carnazza, Rv. 263632) costretto la Cassazione, nel vigore della sola legge delega, a ricordare che <<Il delitto previsto dall’art. 2, comma primo bis, D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni in legge 11 novembre 1983, n. 638, che punisce l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, non può ritenersi abrogato per effetto diretto della legge 28 aprile 2014, n. 67, posto che tale atto normativo ha conferito al Governo una delega, implicante la necessità del suo esercizio, per la depenalizzazione di tale fattispecie e che, pertanto, quest’ultimo, fino all’emanazione dei decreti delegati, non potrà essere considerato violazione amministrativa>>.

[20] Nel trasformare in illecito amministrativo la contravvenzione prevista dall’articolo 11 della legge n. 234 del 1931 (che detta norme per l’impianto e l’uso di apparecchi radioelettrici privati e per il rilascio delle licenze di costruzione, vendita e montaggio di materiali radioelettrici), l’art. 3, comma 1, del d. lgs. n. 8 del 2016 ha conseguentemente abrogato (lettera c) l’articolo 12 della legge n. 234 del 1931, che si riferisce ai controlli che gli ufficiali di pubblica sicurezza e gli ufficiali di polizia giudiziaria, in caso di fondato sospetto di contravvenzione alle disposizioni dell’articolo 1 del regio decreto 8 febbraio 1923, n. 1067, possono eseguire, sotto forma di perquisizioni domiciliari, secondo le formalità prescritte dagli articoli 167 e 171 del codice di procedura penale: è stata così accolta la condizione, posta dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati, di abrogare l’articolo 12 della legge n. 234 del 1931, e non semplicemente espungere il richiamo all’illecito depenalizzato, perché altrimenti (in caso cioè di semplice espunzione del richiamo) l’articolo 12 si riferirebbe unicamente ad una disposizione priva di efficacia, in quanto il regio decreto n. 1067 del 1923, recante “Norme per il servizio delle comunicazioni senza filo”, è stato abrogato dal c.d. “taglia leggi” del 2008 (D.L. n. 112 del 1998, articolo 24).

[21] E’ appena il caso di evidenziare che la fattispecie, ora depenalizzata, di cui all’art. 28, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, attiene alla sola inosservanza delle prescrizioni dettate in materia di autorizzazione alla coltivazione di piante da stupefacenti (cioè alla coltivazione “lecita”, oggi affidata ad alcuni centri di ricerca autorizzati), mentre non presenta alcuna interferenza, vista anche la clausola di riserva presente nella disposizione (<<Salvo che il fatto costituisca reato>>), con la coltivazione illecita sanzionata ex art. 73 del d.P.R. medesimo.    

[22] Nella relazione di accompagnamento si cita il caso dell’articolo 528 cod. pen., del quale sono stati depenalizzati, in attuazione della delega, il primo e il secondo comma, che pure avrebbero potuto comportare la previsione di una sanzione amministrativa accessoria, che non è stata tuttavia introdotta, proprio per evitare una asimmetria con la disposizione del terzo comma, che mantiene la rilevanza penale, pur in assenza di una pena accessoria.

[23] Sez. U, n. 25457 del 29 marzo 2012, Campagne Rudie, Rv. 252694.

[24] Cfr. Corte cost., sentenza n. 104 del 2014.

[25] In sede di stesura definitiva del decreto è stato eliminato il riferimento alla mancata opposizione delle parti alla pronuncia della sentenza inappellabile di assoluzione o di non luogo a procedere per intervenuta depenalizzazione, risultando di maggiore chiarezza espositiva il riferimento all’articolo 129 c.p.p. che, per giurisprudenza consolidata, deve trovare collocazione negli ordinari momenti processali che consentono l’emanazione di una sentenza, con le garanzie per le parti di volta in volta previste.

[26] Con specifico riguardo ai giudizi pendenti in Cassazione, l’esito ordinario dovrebbe, salvo errori, individuarsi nell’annullamento senza rinvio, salva l’ipotesi di rinvio per la rideterminazione della pena quanto la condanna abbia riguardato altri reati non toccati dal decreto in oggetto. Più problematica l’ipotesi in cui la Corte debba apprezzare la depenalizzazione a fronte di ricorso manifestamente infondato o comunque inammissibile: al riguardo, (si cfr. le indicazioni operative formulate dalla Procura di Trento, in www.penalecontemporaneo.it), l’operatività della previsione intertemporale sembrerebbe da escludere nel solo caso di ricorso inammissibile perchè tardivamente proposto, in quanto inidoneo ad instaurare un valido rapporto processuale (cfr. Sez. U., n. 33040 del 26 febbraio 2015, Jazouli, Rv. 264207), con conseguente necessità di agire in sede esecutiva per far rilevare che il fatto non è più previsto come reato.

[27] Tra le deleghe conferite al Governo nel Capo I, in chiave di razionalizzazione del sistema sanzionatorio e di deflazione del sistema penale, la legge n. 67/2014 contemplava anche la previsione di una causa di non punibilità, incentrata sulla scarsa rilevanza del fatto (art. 1 co. 1 lett. m).

[28] Con riferimento ai reati degradati ad illeciti amministrativi, oggetto del decreto delegato in commento, nella Relazione si chiarisce che sono stati presi in considerazione “sia l’impatto dell’intervento sul carico giudiziario sia la necessità di espungere dal sistema penale fattispecie desuete o non più conformi ai principi di laicità e pluralismo del nostro ordinamento costituzionale.

[29] In dottrina, G. Fidelbo, Giudice di Pace (nel dir. proc. pen.) in D. disc. pen., Agg., Torino, 2004, pag. 36.

[30] Sez. IV, Ordinanza n. 49824 del 3 dicembre 2015, Tushaj.

[31] Nel dichiarare che la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., è applicabile anche al reato di guida in stato di ebbrezza, non essendo incompatibile con il giudizio di particolare tenuità la previsione di diverse soglie di rilevanza penale all’interno della fattispecie tipica, la sentenza Longoni rammenta che già con la sentenza n. 7394/1994[31] le S.U. hanno affermato che l’illecito amministrativo è dotato di piena autonomia normativa rispetto all’illecito penale, facendo propria la c.d. “teoria della diversità” che nega qualsiasi rapporto di continuità tra illecito penale ed illecito amministrativo, e che la già citata sentenza Sez. U. n. 25457/2012, Campagne Rudie, Rv. 252694 ha escluso ogni sospetto di contrasto della diversa soluzione con l’ art. 3 Cost. per irragionevolezza “di una disciplina giuridica che preveda la totale impunità di coloro che hanno commesso un illecito penale, successivamente depenalizzato, e la responsabilità – sia pure solo sul piano dell’illecito amministrativo – di coloro che hanno commesso la stessa violazione dopo la depenalizzazione”; secondo inoltre la pronunciaLongoni, inoltre, l’interpretazione avallata dalle Sezioni Unite non trova ostacolo nella giurisprudenza della Corte EDU, che sembra esprimere invece adesione alla tesi di una distinzione unicamente di grado tra illecito penale ed illecito amministrativo, in quanto l’insegnamento del giudice sovranazionale è dettato al solo fine di estendere le garanzie della Convenzione ad ogni forma di espressione di un diritto punitivo.

[32] Colloca l’intervento all’interno di “…unprocesso di crescente eticizzazione della responsabilità civile…”  A. Gargani, op. cit., pag. 14.

[33] Sez. 2, n. 36281 del 4 luglio 2003, Paperini, Rv. 228412; Sez. 3, n. 30591 del 3 giugno 2014, Seck, Rv. 259957

[34]  Così Sez. 6, n. 12673 del 21 novembre 1988, Caronna, Rv. 180011; Sez. 6, n. 8142 del 10 dicembre 1991 (dep. 22 luglio 1992), De Donato, Rv. 191392; Sez. 6, n. 35800 del 29 marzo 2007, Acefalo, Rv. 237421.

[35] Danno luogo a sanzione pecuniaria civile le seguenti condotte:

a) chi offende l’onore o  il  decoro  di  una  persona  presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa;

b) il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sé o ad altri un profitto, s’impossessa della cosa comune, sottraendola  a chi la detiene, salvo che il fatto sia commesso su cose  fungibili  e il valore di esse non ecceda la quota spettante al suo autore;

c) chi distrugge, disperde, deteriora o  rende,  in  tutto  o  in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui,  al  di  fuori  dei casi di  cui  agli  articoli  635,  635-bis,  635-ter,  635-quater  e 635-quinquies del codice penale;

d) chi, avendo trovato denaro o cose da  altri  smarrite,  se  ne appropria,  senza  osservare  le  prescrizioni  della  legge   civile sull’acquisto della proprietà di cose trovate;  e) chi, avendo trovato un tesoro, si appropria,  in  tutto  o  in parte, della quota dovuta al proprietario del fondo; 

f) chi si appropria di cose delle quali sia  venuto  in  possesso per errore altrui o per caso fortuito

[36] L’entità massima delle sanzioni pecuniarie civili non è – nella relazione di accompagnamento – ritenuta tale che le stesse sanzioni possano essere qualificate sostanzialmente penali ai fini delle necessarie verifiche di conformità, del procedimento con le quali sono irrogate, alle previsioni convenzionali sull’equo processo.

[37] Così, F. Palazzo,Nel dedalo delle riforme…, cit., pag. 1699.

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