Relazione di Enrico Infante

Qui il video dell’intervento del Segretario Generale Enrico Infante  ( a cura di Radio Radicale)

Premessa. Nei giorni che ci separano dal precedente Comitato di Coordinamento è cambiato il mondo o, per meglio dire,  ci è stato compiutamente disvelato un mondo che in precedenza era soltanto presentito, da tanti percepito a tratti e per lo più in maniera subliminale. Ed è apparso sotto gli occhi di tutti uno scenario che è devastante, e che rischia di travolgere quelle caratteristiche di piena autonomia ed indipendenza che sono il vanto della Giustizia italiana e che ne fanno un faro per tutte le altre magistrature nei Paesi a noi vicini per cultura e tradizioni.

E non mi riferisco, si badi, alle questioni di rilievo penale e disciplinare, che saranno accertate dalle competenti autorità nei tempi e nei modi delle relative procedure, con il pieno dispiegarsi del contraddittorio e di tutte le garanzie difensive che il nostro ordinamento conosce. No, mi riferisco al tradimento istituzionale che si è realizzato.

A che cosa è preordinato, infatti, tutto il nostro sistema di governo autonomo della magistratura se non ad assicurare ad ogni magistrato che i suoi trasferimenti o la sua designazione alla dirigenza di questo o quell’ufficio non dipenderà dai desiderata del potente di turno?

A che cosa è funzionale il modello espresso dall’art.105 della nostra Legge Fondamentale se non ad assicurare al magistrato che lo strumento del disciplinare non sarà utilizzato nei suoi confronti come un’arma contundente per rimuovere od allontanare giudici e pubblici ministeri “scomodi” per questo o quel ras, interno od esterno al mondo giudiziario?

Orbene, questo modello costituzionale è stato tradito.

Le fondamentali mission dell’assetto costituzionale della magistratura, appena ricordate, non sono state perseguite da chi era deputato a realizzarle. E tanto è accaduto per le complicità, gli accordi, le condiscendenze provenienti dal nostro mondo. Questo è il dramma che abbiamo registrato, questo è il tradimento istituzionale cui facevo cenno.

Tradimento istituzionale certo non di tutti i soggetti deputati a realizzare il governo autonomo della magistratura: e in questa sede va il mio grato riconoscimento ai consiglieri leali alla Costituzione, che a prezzo di solitudini ed emarginazioni hanno tenuto fede alla loro missione.  

La gravità dei fatti impone di interrogarsi a fondo su quanto è accaduto quale primo obiettivo del gruppo, anzi, quale suo primario dovere. È un’esigenza in un certo senso esistenziale, giacché gli episodi venuti alla luce hanno visto protagonisti  degli iscritti ad Unità per la Costituzione, e non semplici iscritti, ma soggetti che hanno rivestito, proprio in virtù dell’impegno qui dispiegato e vissuto, rilevantissimi ruoli istituzionali ed associativi. E allora, al di là delle nette prese di posizione che per prima la dirigenza di questo gruppo ha adottato (la presa di distanza e la stigmatizzazione di quanto accaduto da parte di Unità per la Costituzione ha preceduto qualsiasi altro intervento, tanto associativo quanto istituzionale), occorre scandagliare a fondo le condizioni strutturali che hanno permesso che si realizzasse ciò che è accaduto, al di là della ambizione dei singoli e delle inclinazioni personali di taluno. Unicamente l’analisi delle cause di fondo del fenomeno permetterà di individuare i rimedi strutturali che, auspicabilmente, precluderanno il suo reiterarsi.       

L’analisi si articolerà su quattro diversi livelli, prendendo in considerazione le classi di fattori che hanno  generato il brodo di coltura di quanto accaduto. Si prederanno così in considerazione le cause strutturali e i possibili rimedi a livello di ordinamento giudiziario – CSM – ANM – Unità per la Costituzione

1. Il contesto normativo.

Le condizioni legislative di possibilità di quanto accaduto discendono da alcune dissennate   opzioni della riforma Castelli-Mastella.

È nella  gerarchizzazione delle Procure e nella massima discrezionalità nella nomina dei direttivi che devono essere individuate le precondizioni normative di ciò che è successo. Non è un caso che soltanto per le Procure della Repubblica si raggiunga quel livello di interesse da parte di alcuni esponenti politici, e di pressione e blandizie da parte di costoro, che è una delle principali cause della degenerazione che abbiamo sotto i nostri occhi. Tutto ciò non sarebbe mai accaduto se anche il mondo delle Procure fosse pienamente espressivo della diffusività del potere giudiziario. Se il Legislatore del 2006 non avesse disegnato un Procuratore Capo “quasi onnipotente” (salvo i provvidenziali temperamenti della normazione consiliare costituzionalmente ispirata), non vi sarebbe stato tanto indebito interesse per la nomina di questo o di quel Procuratore Capo.

Dobbiamo allora chiedere con forza al Legislatore una radicale inversione di rotta sulla via della gerarchizzazione delle Procure. Dobbiamo tornare anche su quel versante ad avere ad avere un potere giudiziario diffuso.

Una battaglia impervia, stante la verosimile iniziale contrarietà del Legislatore, ma che deve vedere Unità per la Costituzione in prima linea. Dobbiamo preparare noi il terreno, sul piano della proposta culturale, nel dibattito associativo, nel rapporto con l’Accademia e con il Foro. Questo deve essere un tratto prioritario ed un elemento distintivo del nostro impegno costituzionale.

Un altro degli incunaboli che hanno reso possibile che si verificasse quel che è accaduto è costituito dalla amplissima discrezionalità riconosciuta al Consiglio per la nomina dei semidirettivi e dei direttivi. Tale ampia discrezionalità rende possibili le pratiche distorte cui abbiamo assistito  da un duplice angolo visuale: favorisce il dilagare di un sempre più diffuso carrierismo tra i magistrati e consegna agli organi decisionali vere e proprie clausole in bianco, dietro cui possono celarsi prevaricazioni in capo a chi è deciso ad approfittare delle falle del sistema.

Se tale amplissima discrezionalità costituisce allora una della cause remote di quanto accaduto, essa deve essere radicalmente ridotta.

Non già con le riforme cui pensa il Ministro, a dare credito alle indiscrezioni di stampa: gli automatismi quantitativi e la matematizzazione del lavoro giudiziario darebbero luogo unicamente all’affermarsi del modello di un un magistrato-burocrate, paradossalmente pigro nell’approfondire le ragioni di fondo delle questioni che si trova ad affrontare, dimentico della complessità dei fenomeni sociali, tutto intento a soddisfare ansie da prestazione, ad accumulare “medagliette”, ad acquisire incarichi ausiliari per costruire un curriculum che suoni altisonante secondo la modulistica ministeriale.

Occorre ben altro.

In primis bisognerà innalzare i requisiti di legittimazione per concorrere agli incarichi semidirettivi e direttivi. Ciò produrrà il benefico effetto culturale di contrastare il virus del carrierismo, che invero sempre più va diffondendosi pure nelle generazioni più giovani.

Ma fondamentale è la individuazione di criteri oggettivi per ridurre e governare la discrezionalità. È ora di rivedere finalmente il Testo Unico della dirigenza giudiziaria stabilendo una preferenza degli indicatori specifici sugli indicatori generici, delineando così percorsi professionali riconoscibili che possano condurre a ricoprire ruoli apicali.  Ciò probabilmente richiederà modifiche legislative alle norme di legge di cui il Testo Unico sulla dirigenza è specificazione regolamentare. Ed è allora il momento di chiederle con forza al Legislatore.

Sarà questa anche un’occasione per richiamare la politica alle sue responsabilità e di controbattere ad una vulgata tesa a rappresentare l’accaduto come frutto di un contesto di fattori cui la politica è estranea e che vede soltanto il mondo giudiziario sul metaforico “banco degli imputati”.

Così non è: le cause remote del clima ambientale favorevole a quanto accaduto sono da ritracciarsi nella riforma Castelli-Mastella. È ora di richiamare il decisore politico alle sue responsabilità.

E ancora, a livello di riforme ordinamentali: occorrerà porre un freno una volta per tutte alle “porte girevoli” tra fuori ruolo, incarichi direttivi, autogoverno. Il c.d. bagno di giurisdizione (espressione che non mi piace: l’esercizio della giurisdizione dovrebbe essere il proprium di ogni magistrato, ciò per cui abbiamo deciso di fare questo mestiere) deve essere effettivo, duraturo e divenire una condicio sine qua non per aspirare ad incarichi semidirettivi e direttivi.

Sui magistrati in politica, nulla più è da aggiungere alle reiterate e oramai risalenti prese di posizione dell’ANM, adottate primariamente su impulso di Unità per la Costituzione: chi ha ricoperto un mandato politico deve essere collocato al di fuori del circuito della giurisdizione ed adibito all’esercizio di funzioni amministrative.  

2. La crisi attuale e il CSM.

In prospettiva immediata bisognerà in primis salvaguardare la sua autorevolezza agli occhi dei destinatari della sua azione e, in via mediata, agli occhi della collettività. Occorre allora che i “già autosospesi” non risultino mai determinanti per alcun provvedimento, circolare, risoluzione. Se così non fosse, il destinatario di qualsiasi atto che li veda come attori decisivi rinverrebbe una ragione di critica radicale di tale provvedimento proprio nel fatto che sia il frutto dei “già autosospesi” e ciò creerebbe un clima di frustrazione, scarsa credibilità, critica asperrima nella “base”, il quale clima potrebbe costituire oggettivamente una sponda a qualsiasi riforma deteriore dell’organo di autogoverno.

Perciò occorre tentare la via, se possibile, del gentlemen’s agreement.

Se le considerazioni di sopra saranno condivise dagli attori consiliari, tutte le future decisioni di spicco del Consiglio dovranno essere prese col più ampio consenso, su una base “alta”, di forti e solidi valori condivisi tra tutte le sensibilità presenti nell’istituzione, “neutralizzando” l’influenza degli “ex autosospesi”.

Unicamente percorrendo questo stretto sentiero si potrà tentare un’azione di recupero della credibilità e del prestigio dell’organo di autogoverno. Fondamentale si rivelerà essere, allora, il senso di responsabilità di tutti i soggetti consiliari.  

Quanto alle prospettive future, bisogna pensare e proporre una nuova legge elettorale. La proposta è necessaria, la sua urgenza oramai evidente.

Quale legge elettorale? Una che stemperi, nella misura più alta possibile, il rischio del reiterarsi di quei fenomeni  degenerativi che si sono appena disvelati in tutta la loro drammatica gravità. E quindi certo una legge elettorale che stemperi  il ruolo delle correnti e che valorizzi la storia e il profilo personale dei vari candidati, ma che al contempo sia di ostacolo al riproporsi di opachi trasversalismi che, la cronaca recente lo insegna, sono il brodo di coltura delle degenerazioni cui abbiamo assistito.

Nessuno ha ricette magiche in tasca. Nel confronto tra tutti, esercitando quella dimensione collegiale dell’intelligenza cui facevo rinvio a chiusura di un mio precedente intervento, valuteremo senza pregiudizi le varie proposte in campo: quella dei piccoli collegi territoriali, del voto unico trasferibile, del proporzionale con correttivi, e quant’altro.

C’è da studiare, da confrontarsi e quindi da proporre, alla luce delle due linee-guida sopra richiamate.

3. La crisi attuale e l’ANM.

Una gravissima ferita politica si è aperta  con quella vera e propria negazione della realtà di recente operata da MI. Tale formazione associativa non riesce proprio a vedere quel gravissimo tradimento istituzionale di cui in premessa.

Con MI, con questa MI, ogni ipotesi di lavoro in comune è impraticabile. Non è infatti possibile una collaborazione con chi disconosce il pericolo esiziale che l’autonomia e l’indipendenza della magistratura stanno oggi correndo in ragione di prassi riprovevoli di cui questa MI non riesce neppure a cogliere il disvalore.

Nell’Associazione occorre ripartire con chi ci sta. Abbiamo uomini, esperienze, personalità, sensibilità per contribuire al meglio alla guida dell’associazione.

Pure in seno alla vita associativa va posto come essenziale il tema delle paratie stagne alcontinuum  impegni associativi – autogoverno, tanto “in andata” quanto “in ritorno”. Noi, per amor di verità, queste paratie stagne le abbiamo sempre chieste negli ultimi anni di CDC. Altri gruppi, guarda caso proprio quelli dei sedicenti novatori, hanno adottato prassi del tutto opposte: l’intero gruppo dirigente di AeI è trasmigrato in massa dal CDC dell’ANM al CSM o al Ministero.

Il tentativo di collaborazione dovrà certo essere tentato pure con loro, ma Unità per la Costituzione non subirà alcun tentativo di rivendicazione di primati etici da chi mai ha avuto il minimo riguardo all’esigenza di autonomia tra associazionismo, autogoverno, incarichi ministeriali. Saremo nettissimi nell’esigere che la prossima giunta ANM, e la prossima stagione costituente dell’Associazione, si caratterizzino per la negazione delcontinuumimpegni associativi – autogoverno, in andata e in ritorno. 

4. La crisi attuale e Unità per la Costituzione.

Occorre una franca e  radicale riflessione su quanto è accaduto. Non è sufficiente appagarsi della prontezza nella reazione all’emersione di quel vero e proprio tradimento istituzionale che pure vi è stata e che rivendichiamo con forza noi tutti, Presidenza Segretario e Segreteria : posizioni nette e umanamente dolorose sono state assunte immediatamente, e all’unanimità.

Ma dobbiamo riconoscere che quanto accaduto è avvenuto (per lo meno anche) “a casa nostra”. E allora bisognerà procedere ad una vera e propria rifondazione. Sulla indiscussa fecondità della nostra base valoriale, dobbiamo chiederci dove abbiamo errato. Quali pratiche hanno consentito che tutto ciò che è accaduto fosse possibile.

Pratiche, si badi, non persone, e ciò non solo perché nel DNA di una formazione sociale che si ispira ai valori costituzionali non può che esservi il ripudio di ogni forma di “caccia alle streghe”, ma pure perché dobbiamo riconoscere che verosimilmente quel che è avvenuto è frutto anche di errati metodi che tra noi hanno allignato e in fine prevalso, metodi ispirati all’opacità e all’assenza di previo confronto e franco dialogo tra tutti.

Occorreranno allora nuove regole sulle formazione delle volontà e delle proposte che matureranno in seno al gruppo. Occorrerà eliminare qualsiasi traccia di legame vassallatico tra gruppi, entità, territori.

Bisognerà, pure per il gruppo, porre mano al tema delle incompatibilità. Sarà necessario un credibile e autonomo collegio dei probiviri.

Dovrà partire un percorso rifondativo,  che non potrà che vedere come snodo essenziale la prossima assemblea generale della corrente.

E al termine di questo percorso sono speranzoso che non solo avremo ritrovato le ragioni dello stare insieme,  ma che sapremo offrire alla magistratura associata tutta una via per cercare di superare uno dei periodi più cupi e pericolosi per il modello costituzionale di governo autonomo della magistratura. 

Foggia-Roma, li 15.6.2019

Enrico Giacomo Infante