Relazione di Mariano Sciacca all’assemblea generale UPC del 14.5.2021

Veni, creator Spiritus,
mentes tuorum visita,
imple superna gratia,
quae tu creasti pectora

Essere testimoni di verità,
non squallidi timorosi ripetitori dell’esistente
(Vito Mancuso)

Carissimi amici,

oggi sono sinceramente felice di essere nuovamente insieme a voi in presenza e a distanza.

Oggi è un momento di festa, una festa alla quale tutti siamo chiamati a contribuire e partecipare con spirito e cuore , con intelligenza, voglia di ascoltarsi e capacità prospettica di guardare avanti insieme.

Benvenuto e ringraziamenti

Benvenuti a tutti e buon inizio di lavori, tutti resi più forti del lavoro svolto in tutti questi mesi dai delegati dell’Assemblea Costituente ai quali va il mio più sincero ringraziamento.

Permettetemi un grazie particolare, un grandissimo abbraccio, pieno di affetto e ammirazione, per la presidente della Costituente l’inossidabile Mirella Cervadoro, alla quale è doveroso tributare un grande applauso.

Applauso che va,  insieme ad un grazie altrettanto sincero alle presidenti delle sottocommissioni dell’assemblea costituente Milena Falaschi, Katia Mainolfi, Mariella Roberti e Gabriella Viglione, senza la cui pervicacia, passione e rigore – qualità tutte meravigliosamente femminili – probabilmente non saremo arrivati fino alla fine del tunnel per raccontare il nuovo viaggio che vi aspetta.

A tutti i delegati e ai partecipanti a questa assemblea generale rivolgo, infine, un caloroso benvenuto e un augurio di buon lavoro nella piena certezza che sapranno valutare al meglio i lavori dell’Assemblea Costituente e offrire ai cittadini e alla magistratura italiana una rinnovata immagine di pulizia e credibilità .

Credibilità e pulizia della quale abbiamo tutti un estremo bisogno, tanto più in giorni così oscuri quale quelli che stiamo vivendo e che ci consegnano purtroppo ancora una volta un’immagine drammatica dello Stato della giustizia italiana e della magistratura.

Ancora oggi siamo chiamati a parlar chiaro, ad essere rigorosi, a fare testimonianza, non solo a parole, di coerenza e di fedeltà ai valori costituzionali.

Oggi ci viene richiesto un ennesimo giuramento di fedeltà alla Toga e alla Carta Costituzionale, dovendo esprimere con parole chiare e con un linguaggio semplice il definitivo rifiuto e abbandono di ogni logica da basso impero, di ogni compromesso al ribasso, di ogni mercimonio di pubbliche funzioni piegato a logiche esclusivamente utilitaristiche e personalistiche .

Dobbiamo sapere essere testimoni di una tradizione onorevole e disonorata parlando una lingua nuova che veicoli proposte nuove.

Nati dal Caos

 Vorrei potere dire che siamo rinati dal Caos.

Come descrivere altrimenti la valanga che ci ha sommersi dal maggio 2019 sino ai nostri giorni?

In greco antico Caos viene reso come voragine; e in effetti la sensazione di vuoto, di disperazione, di colpa che ha attanagliato molti di noi ben si addice alla metafora della voragine di storie personali, di vita, di istituzioni che sono state travolte e svilite.

Il Caos però viene anche interpretato come spazio libero, vuoto che consente l’atto della creazione e oggi credo e spero sapremo essere creatori, artefici di un futuro collettivo che, senza rinnegare il passato e i suoi valori, sappia proiettarsi verso un progetto nuovo.

A questo caos dobbiamo dire grazie.

Grazie della ritrovata libertà di decidere, di scegliere dopo un lungo, troppo lungo, periodo di silenzio delle coscienze e di predominio delle coventicole e delle lobby personali, territoriali e istituzionali.

Abbiamo nuovamente, in campo aperto e senza reti di protezione, sperimentato il sapore inebriante della libertà.

Ci siamo dati un compito immane: mettere ordine dopo il Caos.

Vedere l’incendio. Essere pompieri

Per essere Creatori consapevoli occorre, proprio come ci ricorda Mancuso, vedere l’incendio del Nichilismo che avanza e volere essere pompieri che non dormono.

L’incendio divampa intorno: si nutre di nichilismo, di populismo, di una cieca voglia distruttiva che in nome di una pretesa legittimazione derivante da quanto è accaduto, pretende di dispensare certezze, condanne, sino ad invocare apertamente l’intervento del Potere Politico con finalità punitive.

Oggi noi siamo una minoranza.

E allora occorre avere la capacità di sapere vivere con saggezza e lungimiranza la nostra condizione di minoranza, con la consapevolezza che, ormai lontani dai fasti dell’essere stata maggioranza regnante, possiamo fare tesoro dell’opportunità che tale condizione di libertà porta con se in una logica di servizio alla comunità.

Il caos e il dolore di questo periodo ci hanno riportato a quella che il prof. Mancuso chiama emozione vitale, ovvero la riscoperta che senza passione ed emozione per la vita che risuona, senza la riscoperta della giustizia interiore, non può esserci  alcuna giustizia reale.

Forse questa infinita traversata nel deserto lascerà in ognuno di noi la consapevolezza che bisogna stare lontani dalla mortificante ricerca del Potere fine a se stesso.

Essere autentici. Autenticamente umani.

Questo richiede sincerità e autenticità.

L’uomo autentico, magistralmente illuminato dal prof. Mancuso, è l’uomo filosofico: l’uomo che pensa, discute, rivede continuamente le proprie credenze, mettendosi in perenne relazione con l’Altro da se in funzione della verità, del bene, della giustizia (e non di ciò che la communis opinio chiama vero, buono, giusto).

Recensendo Mancuso è stato detto che nella disgraziata inautenticità dell’Italia, terra di raccomandazioni e corruzione, forse sta preparandosi un ritorno alla buona filosofia, finalmente libera dal minuetto irrilevante delle guerre culturali” (“La Stampa Tuttolibri”, 19 dicembre 2009)

Buona filosofia che vede il suo cardine metodologico, ma ancor prima sostanziale e spirituale nella logica relazionale per la quale esistiamo, creiamo e ci inveriamo nella relazione tra esseri umani.

In questi mesi abbiamo riscoperto il piacere della relazione umana tra di noi.

Abbiamo, piano piano, ripreso a fidarci e  a confidare ciascuno nell’altro.

Non era scontato.

Abbiamo sperimentato dentro il gruppo  una nuova dimensione di libertà.

In questo drammatico interminabile periodo abbiamo sperimentato un dono terribile e sfidante qual’è la libertà: da gruppo – quale siamo stati – vittima e carnefice al tempo stesso di ricatti di esclusioni di trame più o meno oscure di fronte ai fatti del maggio 2019 siamo stati costretti a guardarci allo specchio e come Dorian Gray abbiamo dovuto prendere atto dell’ orripilante ritratto che ci stava davanti e che noi stessi avevamo contribuito a dipingere.

Quale libertà?

In un suo intervento Mancuso si è chiesto e ci anche oggi ci chiede:

  • gli esseri umani vogliono davvero esseri liberi?
  • oppure se in realtà non cercano altro che una grande potenza a cui consegnare tutti insieme questa scomoda e inquietante condizione detta libertà?

Dostoevskij – ci ricorda Mancuso – sostiene nella celebre Leggenda del Grande Inquisitore: il cardinale capo dell’Inquisizione riconosce Cristo tornato sulla terra, lo imprigiona e nella notte gli tiene una vera e propria lezione di psicologia e di filosofia del potere in cui sostiene che gli esseri umani sono mossi da un angoscioso  interrogativo: «Dinnanzi a chi inchinarci?».

Essi infatti non cercano la libertà, perché «nulla mai è stato per l’uomo e per la società più intollerabile della libertà».

Il senso della vita, quella vera, può scaturire solo come faticoso esercizio della libertà e in quanto tale non può essere imposto ad alcuno.

La libertà dice la differenza specifica dell’uomo rispetto al resto del mondo naturale, nomina ciò che fa dell’uomo il fenomeno più sublime che l’universo abbia finora prodotto, sublime proprio nel senso filosofico del termine, di ciò che al contempo atterrisce e conquista, spaventa e affascina.

…. In ogni caso, nel bene e nel male, la questione della libertà concerne il nucleo più intimo dell’antropologia, riguarda la risposta alla domanda che per Kant riassume tutto il senso del pensiero: “Che cosa è l’uomo?” (Vito Mancuso, La vita autentica)

Fatica e pazienza.

La libertà va vissuta, declinata, soffertamente va testimoniata.

Ci vuole fatica, tanta fatica, pazienza e autocontrollo.

Nello Rossi, in una bellissima relazione dall’evocativo titolo “L’etica professionale dei magistrati: non un’immobile Arcadia, ma un permanente campo di battaglia” cita un passo di Albert Camus: «anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice»

A maggio 2019 scrissi che dovevamo avere la capacità per il futuro di dire di no quando un no va detto, di volerlo ribadire quand’anche abbia costi collettivi e sociali.

Sappiate dire di no e progettare per i nostri figli un futuro di costruzione che sfugga al relativismo e al nichilismo del siete tutti uguali.

Marcate le differenze quando vanno segnate, valorizzate il percorso comune quando v’è la possibilità della costruzione.

Abbiamo pensato – perché sì, lo abbiamo pensato per tantissimi mesi – che tutto fosse perso che una storia associativa così ricca di contributi per la democrazia italiana fosse andata dispersa sotto la conclamata riduzione di quella storia a squallido mercimonio.

Molti ci hanno preso per pazzi, siamo stati anche derisi ed individuati come una triste risposta – destinata con il tempo all’autodissoluzione – dinanzi ad uno sfacelo che non poteva conoscere rimedio.

Ma insieme siamo oggi qui saldi nei nostri valori, forti dell’utopia, vivificati dalla speranza dell’impensabile … convinti che ancora sia possibile ricostruire al nostro interno una comunità fondata sui valori e sugli ideali che hanno portato molti di noi a scegliere di indossare una toga per avere l’onore di lavorare al servizio e nel nome del popolo italiano.

Senza utopia non c’è speranza

Oscar Wilde nel 1891 scriveva: «Una carta geografica che non comprenda l’isola di Utopia non merita nemmeno uno sguardo, perché escluderebbe l’unico paese al quale l’Umanità approda in continuazione» (L’anima dell’uomo sotto il socialismo).

La capacità di utopia però, chiamata da Ernst Bloch «il principio speranza», è imparentata con un superamento della ragione calcolante e per questo all’uomo coi piedi per terra appare spesso irrazionalità e follia.

Sii realista, chiedi l’impossibile.” ci ricorda Camus.

Oggi finalmente ci troviamo qui a Roma per coltivare utopicamente e rinnovare ancora una volta un patto fondativo con la speranza che i peccati originali che lo fondano, insieme ai valori costituzionali, non siano mai più messi da parte, dimenticati o ancor peggio smentiti dalla pratica.

Oggi si chiede a tutti i magistrati di Unità per la Costituzione l’approvazione del nuovo Patto Etico e dello Statuto ed anche, permettetemi, un giuramento di fedeltà a quel patto e a quei valori.

Il primo patto Etico: la Costituzione italiana

Dobbiamo ricordarci sempre che la nostra ragione sociale è la Costituzione italiana, il primo fondante Patto Etico rivolto a tutti i cittadini italiani e con un aggravio di responsabilità a noi magistrati.

Abbiamo portato con noi un pesante fardello che ci ha profondamente segnato nel corpo e nell’animo nella consapevolezza che proprio una storia associativa pluridecennale richiedesse un impegno straordinario di testimonianza di quei valori .

La ricerca del “particulare” del Guicciardini, la rincorsa alla soddisfazione dell’interesse personale , la strumentalizzazione della democrazia partecipativa a fini egoistici fino a ridurla ad un triste simulacro sono l’esatto contrario dell’etica costituzionale che dovrebbe, per riprendere sempre una riflessione del prof. Mancuso, essere la nostra personale e collettiva religione civile.

Osserva Mancuso: La religione civile è la particolare disposizione della mente per cui un antico romano concepiva Roma più importante di sé, o per cui i politici americani ripetono God bless America sapendo che è l’ America l’ idea che tiene insieme gli americani. È superficiale pensare che la società sia la semplice somma degli individui.

L’ Italia non ha una religione civile e questo è il suo problema più grave.

L’ Italia è ai primissimi posti in Europa quanto a corruzione.

La corruzione lacera il legame sociale producendo un diffuso senso di sfiducia e sfilacciamento nel Paese e un’ immagine negativa all’ estero.

Occorre chiedersi come mai siamo così corrotti e corruttori. Anche senza la retorica degli “italiani brava gente”, io non penso che la causa di tale fenomeno sia che gli italiani, individualmente presi, siano moralmente peggiori degli altri europei. Penso piuttosto che la causa sia la mancanza, all’ interno della coscienza comune, di un’ idea superiore rispetto all’ Io e ai suoi interessi.

Essere Maestri di se stessi

In questo terribile periodo – in cui sono stato chiamato come voi a fare una sincera autocritica e rivisitazione del mio impegno associativa – la dottrina e la riflessione del  professore Mancuso – come avete capito – mi sono state amichevolmente accanto.

La sua penultima pubblicazione I quattro maestri mi ha condotto per mano attraverso un percorso da discepolo che cerca risposte, ma che sa anche che il suo destino è emanciparsi da questa sua transeunte condizioni.

E I quattro Maestri mi sono così stati accanto, ciascuno con il suo Dono.

Socrate l’educatore alla virtù, cioè a essere una persona giusta. Il suo discepolo ideale vuole studiare se stesso in profondità, per diventare capace di ragionare, di pensare, di agire.

Buddha il medico, colui che ha lo sguardo di chi vede e sente il dolore che emerge da ogni vivente e ne prova compassione.

Confucio il politico, ovvero colui che ha a cuore l’essere umano in quanto animale sociale, per lui ciascuno si compie non individualmente ma socialmente.

Gesù, il profeta ovvero l’Uomo che coltiva l’utopia per la giustizia, il valore più alto, ancora più dell’amore e ne fa testimonianza sino all’estremo sacrificio.

Mancuso ci consegna il dovere di essere non meri educatori, ma maestri e testimoni di giustizia e di verità nella propria vita, riscoprendo l’umanità nell’uomo che è unica strada possibile attraverso la quale la realizzazione delle vita può compiersi, chiamando teoria e prassi – insieme alle parole ai fatti – ad una composizione reale e relazionale.

Se il prof. Mancuso me lo consente, ricorderei che la scorsa domenica Rosario Angelo Livatino è stato beatificato.

Egli – il più giovane dei 28 magistrati uccisi in servizio – possiamo  idealmente consacrarlo in modo laico come il “Quinto Maestro” perché, vivendo una vita nella quale le parole si sono sempre accompagnate ai fatti, è riuscito a portare i quattro doni sino al suo estremo sacrificio.

Rosario Livatino che sembra oggi parlare a tutti noi con drammatica attualità: l’indipendenza del giudice è anche “nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza” (Il ruolo del giudice nella società che cambia Conferenza tenuta dal giudice Rosario Livatino il 7 aprile 1984 presso il Rotary Club di Canicattì)

Oggi è arrivato il momento della vostra assunzione di responsabilità.

Congedo

Per quanto mi riguarda è arrivato il momento del definitivo congedo dall’impegno associativo.

Se verranno – come spero – approvati i valori, i contenuti e il metodo che l’Assemblea Costituente ha elaborato, si deve aprire da subito una stagione politica di uomini e donne nuove che sappiano testimoniare e concretizzare quei valori e quei contenuti.

Uomini e donne che della fermezza, come della capacità di dialogo e di mediazione, dovranno fare il loro metro.

Siate fedeli a voi stessi, alla Costituzione e sappiate difendere l’Associazione nazionale magistrati da chi la vuole stracciare,

Rivendicate il pluralismo culturale come l’unico antidoto alla sottomissione della magistratura italiana.

Dite a gran voce, senza tema di smentita, che il bipolarismo giudiziario incombente sarà la tomba dell’autonomia e indipendenza del Potere giudiziario e la tomba della separazione dei poteri, se verranno aperte le porte a riforme incostituzionali: costruire una magistratura schiacciata tra due opposti estremismi conduce necessariamente verso una politicizzazione della giurisdizione inconciliabile con l’imparzialità che dobbiamo ogni giorno rappresentare nelle nostre aule.

Confermate con i fatti e i comportamenti, e non solo a parole,  i capisaldi dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura.

Rifuggite gli schemi stantii dello stanco vociare associativo delle conventicole e delle lobby e date nuova linfa all’A.N.M., rimanendo sempre in ascolto dei colleghi e degli uffici.

Ribadite, senza stanchezza, la magistratura italiana senza un sua capacità di riflettere in modo moderato e non pregiudiziale, è morta come soggetto collettivo portatore di un orizzonte culturale costituzionale.

Ma, soprattutto, in questo clima avvelenato di azzeramento della credibilità dell’istituzione giudiziaria continuate ad essere testimoni concreti di rigore, moralità pubblica e privata e professionalità, certi che i magistrati devono tornare distinguersi solo per funzione

Decine, se non centinaia, di giovani magistrati si sono incredibilmente avvicinati all’impegno associativo attivo dentro Unità per la Costituzione proprio in questi mesi.

Tantissimi altri si sono sentiti chiamati all’impegno associativo senza bandiere a tutela della giurisdizione e della toga lordata.

A loro dico il mio grazie perché mi consentono di andare via con il sorriso e la speranza.

A tutti auguro di potere fare a schiena dritta un percorso all’altezza della sfida etica e ordinamentale che l’oggi ci propone.

Il diritto a giudicare.

Amici miei, consentitemi di abbracciarvi con questo passo di Albert Camus.

Visto che non si potevano condannare gli altri
senza giudicare immediatamente se stessi,
bisognava incolpare se stessi per aver diritto di giudicare gli altri.

Visto che ogni giudice prima o poi finisce penitente,
bisognava far la strada in senso inverso,
esercitare il mestiere di penitente per poter finire giudice.

ALBERT CAMUS

Dichiaro aperta l’assemblea generale di Unità per la Costituzione.

Mariano Sciacca