Relazione di sintesi sulla giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di applicazione dell’art. 617 quater c.p.

dott. De Marzo

La giurisprudenza di legittimità, successivamente alla sentenza della Corte di Strasburgo del 08/12/2013, nel procedimento Ricci c. Italia, si è occupata  dell’art. 617-quater cod. pen., in termini quantitativamente piuttosto ridotti e con riguardo a temi complessivamente estranei alle questioni poste dalla citata decisione.

Non risulta, pertanto, che la Corte abbia avuto modo di pronunciarsi nuovamente, dopo Sez. 5, n. 4011 del 19/05/2005 – dep. 01/02/2006, Ricci, Rv. 233594, sulla questione del bilanciamento tra gli interessi protetti dalla norma incriminatrice, soprattutto sul versante della diffusione delle comunicazioni, e il diritto alla libertà d’espressione.

All’epoca Cass. n. 4011 del 2005, non massimata sul punto, aveva ritenuto in motivazione quanto segue.

Non vi è alcun dubbio che l’esercizio del diritto di cronaca, di critica e di satira debba essere riconosciuto nel modo più ampio possibile non solo perché tali diritti trovano il loro presupposto in una fondamentale norma costituzionale – art. 21 Cost. – che stabilisce il diritto dei cittadini alla libera manifestazione del pensiero, ma anche perché è un fondamentale diritto dei cittadini quello di essere informati di quanto accade nel modo più ampio e completo possibile e con il mezzo più incisivo scelto dal comunicatore. Nel caso di specie, però, l’esercizio del diritto di satira è malamente invocato. Infatti in questo processo non si discute di una notizia diffamatoria diffusa coperta dalla scriminante in discussione, ma si discute della divulgazione illegittima di comunicazioni intercettate non perché in sè diffamatorie, ma perché carpite in modo fraudolento o perché, pur lecitamente acquisite, non potevano essere divulgate. Quindi appare un fuor d’opera discutere della sussistenza o meno dei requisiti necessari per il riconoscimento della esimente in parola, ovvero, della verità della notizia, dell’interesse pubblico alla sua diffusione e della continenza espressiva. Il divieto di divulgazione di comunicazioni intercettate, infatti, trova il suo presupposto in un’altra norma costituzionale di primaria importanza quale è quella di cui all’art. 15 Cost. Si tratta, quindi, di due diritti – diritto alla segretezza delle comunicazioni e diritto alla libera manifestazione del pensiero – di rango costituzionale che vanno opportunamente coordinati e rispettati. Cosicché appare logico ritenere che l’esercizio del diritto di satira agisca, rendendolo penalmente non punibile, sul contenuto della comunicazione diffusa che sia in sè diffamatoria, ma che non possa rendere non punibile la precedente attività di acquisizione fraudolenta di comunicazioni o di divulgazione illegittima, nel senso dinanzi indicato, delle comunicazioni intercettate e penalmente protette – quelle c.d. chiuse. 

La Corte europea, invece, aveva criticato tale impostazione e, in particolare, il rilievo secondo il quale la protezione delle comunicazioni relative a un sistema informatico o telematico esclude per principio ogni possibile bilanciamento con l’esercizio della libertà di espressione. Al contrario, secondo la Corte di Strasburgo, anche quando vengono diffuse informazioni riservate, occorre esaminare più aspetti distinti, ossia gli interessi in gioco, il controllo esercitato dai giudici nazionali, il comportamento del ricorrente e la proporzionalità della sanzione comminata  (par. 54 della sentenza 08/12/2013 cit).

Come s’è detto, non risultano pronunce successiva della Corte di Cassazione che si siano occupate del tema del bilanciamento degli interessi, con riferimento alla applicazione dell’art. 617 –quatercod. pen.

Invece, ha trovato spazio, sia pure nell’ambito di procedimenti per diffamazione, il tema della legittimità della irrogazione della pena detentiva.

Ad es., Sez. 5, n. 39195 del 26/01/2015, Torru, Rv. 264834, ha ritenuto legittima, in relazione all’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, l’inflizione della pena detentiva in ipotesi di condanna per il delitto di diffamazione a mezzo stampa commesso mediante pubblicazione di una notizia non rispondente al vero, nella piena consapevolezza di tale falsità da parte del giornalista, configurandosi in tal caso una delle “ipotesi eccezionali” individuate dalla giurisprudenza della Corte EDU (la sentenza richiama in motivazione, Corte europea dei diritti dell’uomo. 24 settembre 2013, Belpietro c. Italia; 27 novembre 2012, Mengi c. Turchia; 22 aprile 2010, Fatallayev c. Azerbaigian; 6 dicembre 2007 Katrami c. Grecia).

Anche le pronunce sul tema non sono numerose: ciò parrebbe trovare spiegazione nel rilievo, tratto dall’esame della casistica, che raramente, in tema di diffamazione, viene irrogata la pena detentiva.