Relazione introduttiva di Mariano Sciacca

«Una volta, le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso, ruppero con lui gli accordi e cospirarono tra loro, decidendo che le mani non portassero cibo alla bocca, né che, portatolo, la bocca lo accettasse, né che i denti lo confezionassero a dovere. Ma mentre intendevano domare lo stomaco, a indebolirsi furono anche loro stesse, e il corpo intero giunse a deperimento estremo. Di qui apparve che l’ufficio dello stomaco non è quello di un pigro, ma che, una volta accolti, distribuisce i cibi per tutte le membra. E quindi tornarono in amicizia con lui. Così senato e popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute.»

Apologo di Menenio Agrippa (anno 494 a.c.).

Carissimi amici, si è chiuso un anno terribile.

Abbiamo sofferto e parlato tanto, anche urlato, altri invece sono andati via.

Ci siamo spaccati la testa e il cuore, per capire, per guardarci dentro, assumerci le nostre responsabilità, al di là di quelle strettamente individuali.

Abbiamo pervicacemente voluto, creduto, testimoniato il valore di idee, progetti comuni e prospettive di rinnovamento.

Siamo anche stanchi, siamo anche increduli e fieri di essere ancora qui, nonostante la tempesta.

Pensiamo che c’è ancora una Carta da difendere, una Costituzione da testimoniare, una ragione per essere centrali senza parteggiare.

L’anno 2020  richiede ancora pazienza e voglia di essere costruttori.

Così ho scritto nel salutare il 2019 e oggi, come dice il nostro bellissimo manifesto, è UN NUOVO INIZIO.

Oggi rientro nei confini che mi sono statutariamente propri di Presidente, chiedendo al gruppo di riappropriarsi di una linea politica rigorosa e credibile; linea programmatica che sia di netta discontinuità rispetto al passato remoto che abbiamo lasciato alle spalle.

Quindi il mio è un saluto e un congedo.

Saluto tutti voi con sincero affetto e con un sorriso e a voi consegno, insieme alla segreteria nazionale, un gruppo ancora vivo e desideroso di andare avanti, forte della sua ragion d’essere scritta nella Costituzione italiana.

A voi la palla del gioco, la responsabilità delle scelte e la bellezza della scoperta e della sfida.

Mi congedo da voi e metto la presidenza a disposizione del mio gruppo.

Oggi e domani ci ascolteremo con attenzione e reciproca attenzione.

Siate testimoni seri e concreti dei nostri valori, costruttori fattivi di giustizia e araldi di novità per le nuove generazioni di magistrati che ci guardano e si aspettano che sia  veramente, e non solo a parole, un nuovo inizio.

E’ un congedo dalla carica che è doveroso, non fittizio, ma sopratutto funzionale affinchè tutti si sentano chiamati in gioco ancora di più.

Non è il momento delle tiepide aurette, del basso compromesso per ottenere una debole sopravvivenza.

E’ il momento delle scelte coraggiose che vadano al di là di steccati personali e territoriali, di strumentali calcoli elettorali, di trasformismi tradimentosi e tornacontismi.

Dobbiamo scegliere.

Dare senso alla nostra democrazia interna, offrire senso di appartenenza alle nuove generazioni, elaborare proposte programmatiche concrete che sappiamo volare alto, fedeli ai valori costituzionali.

E per questo dobbiamo cambiare.

Abbiamo perso l’onore, tre consiglieri, due elezioni, la fiducia di tanti colleghi.

Assistiamo ad un vergognoso attacco incubato silenziosamente al nostro interno, ammantato da parole per noi sacre, ridotte a mero veicolo distrattivo di consensi elettorali per un’operazione politica che risale a ben prima dell’estate 2019.

L’intera magistratura, non noi, sta subendo un’Opa ostile e autodistruttiva, che intende bipolarizzare in senso partitico e estremizzare il dibattito associativo, per piegare definitivamente la cultura associativa alla sterile contrapposizione urlata della scelta di campo a tutti i costi e a prescindere da valori e argomenti, schiava del preconcetto e negata al confronto ragionevole e mediato.

In questi mesi ho visto tanti visi conosciuti allontanarsi, ma ho visto tanti visi sconosciuti avvicinarsi.

Il documento promosso da oltre sessanta giovani colleghi mi ha sinceramente reso felice, al pari dell’altra coraggiosa  mozione che ha dato l’avvio a questo congresso.

Oggi abbiamo davanti una libertà che, come sempre è in casi del genere, è libertà ardua da vivere e gestire.

La libertà della solitudine, la sfida del volersi incontrare, la forza aggregante delle sole idee e dell’impegno di tanti colleghi, senza avere posti e prebende da promettere e distribuire.

Oggi ci mettiamo la faccia, dobbiamo avere cervello e cuore, testimoniare valori.

Ho detto, subito dopo i fatti di maggio, che la mia generazione ha fallito e che è ora di lasciare spazio ai giovani.

E oggi lo ripeto.

Non propongo alcuna rottamazione di alcuno.

L’esperienza degli anni e delle cose degli uomini è un fardello importante da non disperdere, ma sono fortemente convinto che, senza stupidi giovanilismi, oggi è l’esperienza che va messa al servizio delle nuove generazioni di magistrati.

Apro quindi i lavori di questo congresso straordinario e anche oggi, ancora di più,  rivolgo un rispettoso, riconoscente saluto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, vigile, paziente custode del C.S.M..

Grazie Signor Presidente, punto di riferimento per l’intera magistratura italiana.

Ancora grazie per la loro autorevole presenza al Primo Presidente della Corte di Cassazione Giovanni Mammone e al Procuratore Generale Giovanni Salvi, al quale porgo sinceri auguri per un rinnovato ruolo della procura generale al servizio della magistratura italiana e dei cittadini.

La loro presenza ci onora e a maggior ragione ci stimola a rendere proficuo questo confronto.

Questo passaggio, come ho detto a maggio, chiama tutti ad un nuovo esercizio di democrazia partecipativa, a ritrovare un lessico familiare che ci accomuni e sconfigga i particolarismi e i localismi.

Oggi è, però, anche il momento dell’orgoglio  e della condivisione di una storia che va difesa e rinnovata con la fermezza che ci impone il dovere di rimanere fermi su di un progetto di servizio alla Costituzione, di servizio alla giurisdizione.

Un progetto di Impegno Costituzionale che rimane fermo lì davanti a noi.

Dicevo a maggio – e oggi ripeto – che siamo chiamati ad una riflessione alta sulla politica associativa e sul ruolo delle correnti, sul funzionamento del CSM e sulla sua credibilità, al di là delle singole persone coinvolte.

Siamo chiamati ad interrogarci sul ruolo delle correnti, senza fare diventare questo momento un’occasione autoassolutoria di vuota retorica e priva di concretezza e propositività.

Siamo chiamati a decidere quale debba essere ancora, se deve ancora essere, la ragion d’essere di Unità per la Costituzione, quale sia il suo progetto politico associativo, quali siano le azioni e le proposte concrete che vogliamo sottoporre ai nostri colleghi.

La scommessa di tutti i gruppi associativi, nessuno escluso, dentro l’A.N.M. è spiegare con parole nuove e fatti coerenti quanto sia importante – in un mondo dal pensiero atomizzato, disgregato, svilito dalle individualità e dall’ignoranza – il pensiero organizzato, frutto di confronto e riflessione tra le tante sensibilità culturali che sono l’in sé del diritto, dell’interpretazione, della giurisdizione.

La questione morale e la ferma consegna della tutela della legalità costituzionale costituiscono un punto di riferimento ineliminabile.

Siamo chiamati a pagare dei costi umani, culturali ed elettorali e ne dobbiamo accettare il peso con lungimiranza politica e culturale: il nostro futuro si decide da oggi e l’unica possibile ricetta che vedo, l’unico metodo al quale dobbiamo votarci è quello di essere rigorosi e coerenti.

Il dibattito precongressuale mi fa ben sperare: i tre documenti articolati e densi di analisi, idee e proposte concrete costituiscono il migliore viatico alla individuazione di una linea politica nuova, credibile e ricca di contenuti.

Questi documenti potranno costituire la base per una riflessione unitaria che idealmente unica in un unico abbraccio generazioni diverse di magistrati, colleghi il merito alla legittimità e costruisca strade alla luce del sole tra le tante province italiane, forti di una solidarietà nazionale reale, avvinti in una trama trasparente di valori, idee e proposte.

La via è stretta e non già perché siano pochi gli argomenti e misere le idee sostenute, ma perché l’attuale dibattito politico all’interno dell’ANM, così come accade nella società italiana, vuole imporre un confronto asfittico e sottomesso alla imperiosa bipolarizzazione politica che attualmente vorrebbe costringere il confronto culturale in una scelta di campo, innaturale e suicida tra opposti poli.

Noi ancora oggi diciamo di no.

Lasciamo a fantomatici neomovimenti sulla carta la promozione di una maschera posticcia e evidentemente strumentale a meri calcoli elettorali, ben poco rispettosa dell’intelligenza dei magistrati italiani.

La terzietà costituzionale non è un contenitore vuoto ad usum dei quisque de populo, ma è Storia nella carne viva della Costituzione e suo fondamento strutturale che dal congresso di Gardone in poi abbiamo testimoniato e onorato.

Come ci ricorda una delle mozioni congressuali, il vuoto ideale – al quale nessuno si è sottratto, per convenienza, per debolezza, per abitudine o per carenza di fiducia in un reale ‘cambiamento di rotta’ – è stato il terreno fertile in cui si sono inseriti quei comportamenti spregiudicati, privi di eticità e caratterizzati da totale assenza di lealtà istituzionale e associativa, che le vicende dei mesi scorsi hanno messo in luce. Comportamenti che avrebbero dovuto essere impediti o repressi ben prima e che, invece, sono stati irresponsabilmente trascurati e, di fatto, oggettivamente favoriti, portando così alla creazione e al consolidamento di centri potere connotati da forti personalismi, atti a ridurre l’impegno associativo e di gruppo in aspettative di carriera all’interno e finanche al di fuori della magistratura.

La questione morale – con cui da anni la magistratura sembra evitare di fare i conti – va oggi affrontata con serietà, non solo riconoscendo che in ambito associativo le aggregazioni si fondano sui valori e non sugli interessi, ma praticando tale imperativo, che oggi troppo spesso viene disatteso nei fatti.

Anche per questo il tentativo di chi persegue un bipolarismo associativo apolitico appare in contrasto con il disegno costituzionale dell’ordine giudiziario e va, dunque, rifiutato, perché rivendicare il diritto dei magistrati di associarsi e di organizzarsi in gruppi ideali costituisce l’unica alternativa al lobbismo e perché l’esistenza di corpi intermedi costituisce l’unica forma trasparente di partecipazione alle istituzioni democratiche.

Ed ancora come ci insegnano i nostri colleghi più giovani: 

–              il pluralismo dell’associazionismo giudiziario è garanzia di autentica indipendenza e di effettiva autonomia del magistrato

–              la semplificazione o riduzione della vita associativa alla mera contrapposizione tra “progressisti” e “moderati”, tra innovatori e conservatori, oltre ad emulare la contrapposizione partitica ed a riprodurre i conflitti che hanno caratterizzato la vita politica del Paese, rende concreto il pericolo di una forte connotazione politica del magistrato, del tutto lontana dall’essenza costituzionale del suo ruolo di garanzia per tutti i cittadini;

–              il non collateralismo ideologico è fulcro della credibilità del magistrato, che non può (e non deve essere) omologato né a destra, né a sinistra.

–              Che noi non siamo e non vogliamo essere né moderati, né progressisti: noi vogliamo essere innanzitutto Magistrati, attenti tanto alle questione retributive, sindacali e organizzative, quanto alla tutela della legalità costituzionale e alla salvaguardia dei suoi fondamenti, ovvero la tutela della persona umana in ogni sua declinazione e la promozione dell’uguaglianza sostanziale tra tutti gli essere umani, cittadini o meno che siano.

Ed ancora.

Qualcuno afferma che il bipolarismo è già realtà.

Tuttavia si tratta di un’affermazione falsa oltre che pericolosa.

È falsa nella realtà delle cose, perché proprio in seguito alla crisi di maggio i corpi intermedi sembrano proliferare, piuttosto che raggrupparsi.

È falsa anche sotto un profilo strutturale poiché non vi è alcuna ragione che all’interno del corpo elettorale rappresentato dalla magistratura si formino solo due raggruppamenti. Il Csm non è un organo politico e le correnti non rappresentano istanze sociali, come accade per i partiti, ma semplicemente diversi modi di rapportarsi alla funzione, che rimane unica e che deve essere governata dai principi ispiratori dettati dalla Costituzione.

È pericolosa, perché, storicamente il compito del CSM è proprio l’opposto, ovvero impedire che tramite le decisioni relative alla carriera e allo status venga condizionata l’autonomia e l’indipendenza di ogni singolo magistrati.

Abbiamo un programma dei lavori denso e non semplice.

Dobbiamo elaborare una linea politica rigorosa, fedele alla nostra storia pluralista, attenta alle esigenze dei magistrati e alle loro condizioni di lavoro e alle loro aspettative professionali, capace di rinnovare l’impegno associativo dei tanti delusi, delle migliaia di colleghi che non vanno neanche più a votare per mancanza di fiducia nel sistema e nel governo autonomo della magistratura.

Dobbiamo individuare quale sia il migliore percorso di rinnovamento e riorganizzazione interna del gruppo, oltre che nei contenuti e nelle proposte operative, anche nelle persone, nelle cariche statutarie, ivi compreso il Centro studi nazionale.

Gli undici punti elaborati in una delle mozioni congressuali sulla riorganizzazione del Centro studi nazionale costituiscono il migliore viatico in tal senso.

La credibilità dell’associazionismo, che non sia servo di un puro e becero sindacalismo degli interessi individuali, passa attraverso la capacità di elaborare una riflessione culturale adeguata che investa:

  • l’effettività dei diritti e delle libertà nella pratica quotidiana delle aule giudiziarie,
  • l’attuazione dei valori costituzionali al cospetto di una Costituzione materiale in magmatica evoluzione,
  • la promozione dello statuto individuale e collettivo del magistrato che sappia essere al passo con  le sfide del tempo presente.

Dobbiamo in questi due giorni costruire un percorso che possa mediare l’esigenza di restituzione al gruppo di una nuova dirigenza autorevole e propositiva con un percorso realmente costituente.

Abbiamo davanti due appuntamenti elettorali difficili che dobbiamo affrontare in modo efficace e credibile.

Su questo punto permettetemi di essere chiaro e diretto, fornendo alcune indicazioni di metodo:

  • non è più tempo di rivendicare riconoscimenti individuali o territoriali: nei momenti di svolta ciò che unifica e vivifica sono le idee  e le proposte. Faremmo torto alle nostre fatiche di questi mesi se ricadessimo in sterili contrapposizioni tra fazioni e conventicole;
  • dobbiamo mobilitare le migliori energie del gruppo, valorizzando il merito professionale e l’impegno associativo;
  • dobbiamo promuovere sempre e ad ogni costo una reale democrazia interna che favorisca la partecipazione di tutti, renda trasparente il percorso decisionale e dia fiducia ai giovani colleghi, sempre comprensibilmente perplessi di fronte all’impegno associativo e alle dinamiche interne ai gruppi;
  • dobbiamo essere garanti della piena autorevolezza alle cariche statutarie alle quali spetta di delineare e portare a compimento la linea politica del gruppo;
  • chi offrirà la disponibilità o sarà richiesto di assumere incarichi di direzione nazionale  sarà onerato di un onere, ma la responsabilità del nuovo percorso ricade su noi tutti;
  • dobbiamo avere capacità culturale di innovare l’offerta associativa tanto nel metodo che nei contenuti e nelle proposte: una delle mozioni fornisce preziosissimi spunti concreti, molti dei quali personalmente condivido in quanto testimoniano l’aspirazione delle giovani generazioni di magistrati a pretendere da noi il cambiamento non a parole, ma con i fatti concreti.
  • E’ finito il tempo delle vuote declinazioni di linee politiche o di declamazioni di parole alta prive di concrete prospettive di realizzazione.

Mi avvio alla conclusione.

I fatti di maggio non vanno archiviati come un incidente di percorso, ma devono essere considerati “una occasione collettiva” per riflettere su noi stessi e sul futuro che vogliamo contribuire a dare alla lunga storia dell’associazionismo giudiziario italiano.

E’ importante tornare a una sana competizione tra “gruppi” con programmi e valori collettivi ben diversificati.

E’ fondamentale che Unità per la Costituzione non si riduca ad un “sindacatino” dei giudici concentrato sui soli problemi retributivi, di status e di carriera, ma torni ad essere “corrente” di pensiero giurisdizionale – rivendicando l’accezione positiva del termine – con un universo valoriale ben definito e connotata da precise scelte di campo a cominciare dalla tutela della qualità e della dignità della funzione giurisdizionale con carichi di lavoro ragionevoli e risorse adeguate quali presupposti ormai irrinunciabili ai fini della costante attualizzazione del principio costituzionale di cui all’art. 104 comma 1 della Carta Costituzionale: “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”…

Nel congedarmi da voi, scusandomi della lunghezza di questo intervento introduttivo, voglio richiamare un passo che un’anima eletta qual’era Don Tonino Bello ci ha consegnato proprio sulle nuove generazioni:

 “Noi ci affanniamo, sì, ad organizzare convegni per i giovani, facciamo la vivisezione dei loro problemi su interminabili tavole rotonde, li frastorniamo con l’abbaglio del meeting, li mettiamo anche al centro dei programmi pastorali, ma poi resta il sospetto che, sia pure a fin di bene, più che servirli, ci si voglia servire di loro.

Perché, diciamocelo con franchezza, i giovani rappresentano sempre un buon investimento. Perché sono la misura della nostra capacità di aggregazione e il fiore all’occhiello del nostro ascendente sociale.

Servire i giovani, invece, è tutt’altra cosa.

Significa considerarli poveri con cui giocare in perdita, non potenziali ricchi da blandire furbescamente in anticipo.

Significa ascoltarli.

Deporre i panneggi del nostro insopportabile paternalismo.

Cingersi l’asciugatoio della discrezione per andare all’essenziale.

Far tintinnare nel catino le lacrime della condivisione, e non quelle del disappunto per le nostre sicurezze predicatorie messe in crisi.

Asciugare i loro piedi, non come fossero la pròtesi dei nostri, ma accettando con fiducia che percorrano altri sentieri, imprevedibili, e comunque non tracciati da noi.

Significa far credito sul futuro, senza garanzie e senza avvalli.

Scommettere sull’inedito di un Dio che non invecchia.

Rinunciare alla pretesa di contenerne la fantasia.

Camminare in novità di vita verso quei cieli nuovi e quelle terre nuove a cui si sono sempre diretti i piedi di Giovanni, l’apostolo dagli occhi di aquila, che è morto ultracentenario senza essersi stancato di credere nell’amore.

Significa, soprattutto, essere certi che dopo i giorni dell’amarezza c’è un’alba di resurrezione pure per loro.

E c’è anche una pentecoste.

La quale farà un rogo di tutte le scorie di peccato che invecchiano il mondo.

Saremo capaci di essere una Chiesa così serva dei giovani, da investire tutto sulla fragilità dei sogni?

Vi lascio con questa domanda profetica che parla a tutti della voglia e della capacità di sognare.

Solo così potremmo tentare di convincere le nuove generazioni di magistrati che Unità per la Costituzione è ancora un centro reale e credibile di elaborazione culturale; un affidabile centro di proposta associativa che non cede alle sirene dei lumi di chiesa o dei lumi di officina, per citare il mio amato Montale. 

Costituzionalmente terzi.

Fedeli solo alla toga e alla Costituzione italiana.

Sine spe ac metu.

Grazie a tutti.

Mariano Sciacca


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