Relazione sul tirocinio ex art. 73 D.L. 69/2013 (convertito con legge 9 agosto 2013, n. 98) di Ilaria Menzione e Federica Iandolo

Introduzione

L’articolo 73 del D.L. 69/2013 (convertito con legge 9 agosto 2013, n. 98), modificato dagli articoli 50 e 50-bis del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114)  prevede che i laureati in giurisprudenza più meritevoli possano accedere, a domanda e per una sola volta, a stage di formazione teorico-pratica della durata di diciotto mesi presso gli uffici giudiziari, per assistere e coadiuvare i magistrati delle Corti di appello, dei tribunali ordinari, degli uffici requirenti di primo e secondo grado, degli uffici e dei tribunali di sorveglianza, dei tribunali per i minorenni nonché i giudici amministrativi dei TAR e del Consiglio di Stato.

L’intenzione del legislatore sarebbe di riservare tale tirocinio ai laureati con un buon curriculum accademico, così da incentivare e favorire il prosieguo del loro percorso formativo, finalizzato ad accedere alla carriera giudiziaria, amministrativa o anche forense.

Pertanto, sono normativamente determinati i requisiti per l’accesso al tirocinio:

laurea in giurisprudenza all’esito di un corso di durata almeno quadriennale

media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo ovvero punteggio di laurea non inferiore a 105/110;

non aver compiuto i trenta anni di età

requisiti di onorabilità, ovvero non aver riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzioni e non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o sicurezza.

Qualora le domande superino i posti disponibili presso gli uffici giudiziari, costituiscono titolo preferenziale, nell’ordine, la media degli esami sopra indicati, il punteggio di laurea e la minore età anagrafica.
A parità dei requisiti sopraindicati, si attribuisce preferenza ai corsi di perfezionamento in materie giuridiche successivi alla laurea. 

I tirocinanti, in numero non superiore a due, sono affidati ad un magistrato formatore che si è reso disponibile, ovvero è designato dal capo dell’ufficio.
Soltanto negli ultimi sei mesi del tirocinio il magistrato può chiedere l’assegnazione di un nuovo ammesso allo stage, per garantire continuità nell’attività di assistenza.
Il magistrato formatore coordina e controlla l’attività svolta dai tirocinanti.
Al magistrato formatore non spetta alcun compenso aggiuntivo o rimborso spese per l’attività svolta in relazione allo stage formativo. 
Essa è considerata ai fini della valutazione della professionalità e del conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi di merito.
Al termine dello stage, il magistrato formatore redige una relazione sullo svolgimento dell’attività da parte del tirocinante, che è trasmessa al capo dell’ufficio giudiziario.

Svolgimento del tirocinio ed obblighi del tirocinante

I tirocinanti assistono e coadiuvano il magistrato nello svolgimento delle attività ordinarie, sia per quanto concerne le attività preparatorie all’udienza che le operazioni svolte durante le udienza nonché studio e approfondimento delle questioni giuridiche, ricerche giurisprudenziali e redazione di bozze di provvedimento.
Gli ammessi allo stage possono accedere ai fascicoli processuali, partecipare alle udienze e alle camere di consiglio (salvo il giudice ritenga di non ammetterli).
I tirocinanti non possono, tuttavia, avere accesso ai fascicoli processuali quando sorga un conflitto d’interessi, con riferimento, in particolare, ai procedimenti trattati dall’avvocato presso il quale svolgono il tirocinio.
I tirocinanti partecipano, inoltre, ai corsi di formazione organizzati per i magistrati e ai corsi di formazione, almeno semestrali, a loro dedicati, secondo i programmi indicati dalla Scuola superiore della magistratura.

Gli ammessi allo stage hanno l’obbligo di riservatezza e di astensione dalla deposizione testimoniale in relazione alle informazioni e notizie acquisite durante il periodo di formazione.
I tirocinanti non possono svolgere attività difensiva presso l’ufficio giudiziario a cui appartiene il magistrato formatore, né in favore delle parti dei procedimenti che si sono svolti dinanzi al giudice formatore, anche nelle successive fasi o gradi di giudizio.
Gli ammessi allo stage possono svolgere, purché compatibili, altre attività quali il dottorato di ricerca, il tirocinio forense, la frequenza delle scuole di specializzazione per le professioni legali.
Qualora i tirocinanti siano iscritti alla pratica forense o ad una scuola di specializzazione, l’attività di formazione si svolge in collaborazione con i consigli dell’Ordine degli avvocati e con le Scuole di specializzazione per le professioni legali.
Il tirocinio formativo può essere interrotto, su decisione del capo dell’ufficio giudiziario, per ragioni organizzative o per il venir meno del rapporto fiduciario con lo stagista.

La funzione teorico-pratica del tirocinio.

L’utilità da attribuire al tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari, dipende da una valutazione puramente soggettiva, derivante dall’esperienza personale di ciascun tirocinante. Vero che una relazione non potrebbe contenere l’esperienza di tutti, per questo attraverso una breve sintesi, si è cercato di evidenziare gli aspetti comuni alle diverse esperienze messe a confronto.

Certamente, rappresenta l’occasione per poter indagare e scoprire la “forma mentis” del magistrato. Potrà sembrare banale ma, in realtà, non lo è affatto.

Con questa espressione si intende il diverso modo del magistrato di approcciarsi, di ragionare e di valutare una determinata vicenda processuale.

Generalmente, il giovane laureato, al termine del proprio percorso universitario, si appresta ad affacciarsi al mondo giuridico attraverso il canale più immediato, il praticantato presso uno studio legale. Il dominus gli insegnerà a redigere gli atti, a relazionarsi con i clienti e a svolgere attività in udienza, formando così, il futuro avvocato.

Inizialmente, il tirocinante, nonostante abbia già svolto attività di praticantato legale, nell’affiancare il magistrato affidatario aiutandolo nello svolgimento delle attività, noterà, immediatamente, di avere una visione giuridica del tutto differente. Avrà contezza di ciò che ai fini processuali potrebbe essere rilevante per l’avvocato, ma del tutto indifferente al magistrato; magari quest’ultimo, non si sarà neanche rappresentato la vaga possibilità di prendere in considerazione quel determinato dato processuale, su cui l’avvocato intende costruire la propria difesa.

Infatti, già dopo 12 mesi, a fronte dei 18 che sono l’attuale durata del tirocinio, il tirocinante avrà la sensazione di riuscire finalmente a vedere a 360°, di avere una visione completa di una controversia giuridica, valutandola sia con gli occhi del magistrato che dell’avvocato. Il che non è di poco conto!

Questo, se compreso, è uno dei punti chiave dell’esperienza formativa, perché consente al giovane laureato di essere parte di “un’esperienza professionalizzante davvero unica”.  

Altresì, al termine del percorso, riuscirà a capire quali vesti indossare nella vicenda processuale: “avvocato o magistrato”.

Ciascuna delle fasi in cui è strutturata l’attività di tirocinio assume la sua importanza: l’attività preparatoria è strumentale all’organizzazione del ruolo del magistrato; l’attività di partecipazione all’udienza consente di assistere al confronto tra il magistrato e l’avvocato, potendo così anche interagire; infine, l’attività successiva all’udienza è quella in cui il tirocinante partecipa materialmente all’attività ordinaria del magistrato affidatario.

Rappresenta anche, un momento di confronto e di scambio tra i diversi laureati finalizzato alla crescita professionale.

Tuttavia, nonostante gli aspetti positivi che una tale esperienza presenta, non può esimersi dal soffermarsi anche sulle criticità.

Non è intenzione delle scriventi sollevare polemiche, ma ancora non appaiono segni tangibili della scelta legislativa di creare la figura del tirocinante presso l’ufficio giudiziario.

Occorrerebbe indagare “la ratio” che ha spinto il legislatore in tale direzione.

Vero è che al termine dei 18 mesi di tirocinio, il giovane “formato” avrà un titolo che:

  • costituisce titolo per l’accesso al concorso per magistrato ordinario;
  • è valutato per un periodo pari ad un anno di tirocinio forense e notarile;
  • è valutato per un periodo pari ad un anno di frequenza delle scuole di specializzazione per le professioni legali;
  • costituisce titolo di preferenza per la nomina a giudice onorario di tribunale e a vice procuratore onorario;
  • costituisce titolo di preferenza, a parità di merito, nei concorsi indetti dall’amministrazione della giustizia, dall’amministrazione della giustizia amministrativa e dall’Avvocatura dello Stato.
  • costituisce titolo di preferenza, a parità di titoli e di merito, nei concorsi indetti da altre amministrazioni dello Stato.

Ma è altrettanto vero che dopo 18 mesi, una risorsa formata verrà sostituita con una nuova leva da formare.

Proposte

Il magistrato affidatario dopo aver impiegato il proprio tempo e le proprie energie nel formare un tirocinante, si troverà a doverlo sostituire.

Un tirocinante formato avrà indubbiamente arricchito il proprio bagaglio culturale e professionale, ma si sarà dedicato ad un’attività che non darà alcuna prospettiva futura.

Chiaro è sicuramente l’intento del legislatore di dotarsi di brillanti laureati da inserire nel percorso formativo, lo si denota dai requisiti necessari per poter presentare la domanda.

Si propone, quindi, di evitare di trasformare un’occasione formativa, in un inutile appesantimento del carico di lavoro del magistrato affidatario e, in un’ennesima esperienza che il giovane laureato italiano potrà inserire nel proprio curriculum.

Il legislatore dovrebbe concedere una chance, a chi ha duramente lavorato per 18 mesi al fianco di un magistrato, creando un accesso ad hoc nell’amministrazione della giustizia. Dare finalmente un’occasione, a chi con sacrificio, ha sempre raggiunto determinati risultati.

Il tirocinante, cioè, al termine della sua attività formativa, in base alla valutazione del magistrato potrebbe essere inserito quale suo ausiliario.

Si tratterebbe di un soggetto, che, diversamente dal cancelliere, dovrebbe supportare il giudice nell’attività di studio dei fascicoli e nella redazione dei provvedimenti.

Peraltro, altra proposta che si vorrebbe avanzare concerne la possibilità di svolgere parte del tirocinio (ad esempio, soltanto per qualche mese) durante il periodo universitario ovvero al fine di redigere una tesi sperimentale.

A fronte dell’utopistica proposta, stante l’entità della richiesta di tirocinanti, proveniente dai diversi uffici giudiziari, il legislatore potrebbe estendere l’accesso a tutti i laureati in giurisprudenza, non meno bravi di chi ha conseguito una media di almeno 27/30 ovvero un voto di laurea non inferiore al 105/110, utilizzando gli attuali requisiti d’accesso per stilare, soltanto successivamente, una graduatoria di merito. Offrendo così, l’opportunità formativa al laureato in giurisprudenza, senza alcuna preventiva condizione.

Indiscusso è il momento formativo, ma di dubbia provenienza è il suo fine. Rappresenta l’incrocio tra le attuali problematiche: la difficile collocazione nel mondo del lavoro del laureato in giurisprudenza, la carenza di organico presso gli uffici giudiziari e l’annosa questione della durata dei processi.

In merito, potrebbe valutarsi l’opportunità  di formalizzare una nuova figura, da inquadrare all’interno dell’organico dell’amministrazione giudiziaria.

Dott.ssa Ilaria Menzione

Dott.ssa Federica Iandolo

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