Report CEDU 21.5.2019: Sottrazione internazionale dei minori

CLASSIFICAZIONE

DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE – PROIBIZIONE DELLA TORTURA – DIVIETO DI PUNIZIONI CORPORALI – INTERPRETAZIONE DELLA NOZIONE DI “GRAVE RISCHIO” – RAPPORTI FAMILIARI

RIFERIMENTI NORMATIVI

CONVENZIONE EDU, artt. 3 e 8

PRONUNCIA SEGNALATA

Corte E.D.U., 21 Maggio 2019, ric. n. 49450/17, O.C.I. e a. c. Romania

Abstract

La Corte EDU ha pronunciato una sentenza in tema di rapporti familiari, con specifico riferimento ad una controversia sulla custodia di bambini a seguito di maltrattamenti perpetrati da uno dei genitori, a carico della Romania riconoscendo che i ptovvedimenti giurisdizionali adottati  non avevano adeguatamente ponderato il grave rischio – previsto dall’art.13 della Convenzione de L’Aia in tema di sottrazione internazionale dei minori- al quale i minori sarebbero andati incontro  trasferendosi in Italia presso il padre.

Le affermazioni della Corte si muovono nel quadro giuridico fondamentale costituito dalla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, con cenni alla Convenzione dell’Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori e al Regolamento Bruxelles II bis.

1. La ricorrente, in proprio e quale  madre dei suoi figli P.A.R. e N.A.R., presentava ricorso alla Corte EDU lamentando la violazione degli artt. 3 e 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Il caso origina dalla denuncia penale per sottrazione di minori in un paese straniero, presentata dal marito della ricorrente a seguito del rifiuto di quest’ultima di rientrare in Italia, luogo abituale di residenza, insieme ai suoi figli, di doppia nazionalità(rumena e italiana). La stessa si era determinata a tale decisione in considerazione dei comportamenti violenti tenuti dal marito in danno dei figli e, anche, della sua persona, che l’avevano spinta a cercare rifugio in Romania.

2. Nel settembre 2015, il marito e padre dei minori aveva adito il Tribunale di Bucarest per il ritorno in Italia dei suoi due figli, invocando le previsioni della Convenzione dell’Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori e quelle del Regolamento (CE) n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle sentenze in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (“Regolamento Bruxelles II bis”). Difatti quest’ultimo non era d’accordo sul fatto che i figli rimanessero in modo permanente in Romania, ritenendo che la ricorrente avesse unilateralmente cambiato la residenza dei figli, dando luogo ad una sottrazione illecita.

La ricorrente si era opposta all’azione, allegando che il marito era un padre violento ed enunciando i comportamenti aggressivi tenuti e documentati da video-registrazioni. Spiegò, inoltre, che i figli si erano ben integrati nel nuovo ambiente e che gli stessi si rifiutavano di parlare con il padre, temendo di ritornare in Italia e di essere, nuovamente, soggetti ad abusi e violenze.

3. Nel gennaio 2016, il Tribunale di Bucarest accolse la domanda di ritorno dei bambini in Italia, paese di residenza abituale, concludendo che non  vi erano ragioni per opporsi alla richiesta avanzata dal padre. Ritenne, poi, che la madre aveva influenzato negativamente i bambini contro il padre e che la decisione di lasciare l’Italia era stata dettata da problemi coniugali.

Circa l’allegazione del grave rischio in cui i bambini sarebbero potuti incorrere per mano del padre, il Tribunale di Bucarest stabilì che “le prove dimostrano senza dubbio che il padre ha usato la forza fisica e la voce alta per disciplinare i suoi bambini. P.L.R. lo ha confermato nella sua dichiarazione dinanzi alla Corte. Il bambino ha diritto al rispetto della sua dignità, che comporta il divieto in qualsiasi circostanza di qualsiasi atto di violenza fisica o psicologica nei suoi confronti. È evidente che nulla può giustificare un allontanamento da questa norma”.

4. La ricorrente si oppose alla decisione del Tribunale, ma la Corte d’Appello di Bucarest confermò la decisione di primo grado.

La Corte  concluse, in particolare, evidenziando che “non si può dedurre che atti occasionali di violenza come quelli dimostrati dalle registrazioni, si ripresentino abbastanza spesso da costituire un grave rischio ai sensi dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja”. Da ultimo precisò che qualora, a seguito della decisione, fosse emerso un pregiudizio nei riguardi dei minori le autorità italiane avrebbero dovuto adottare le misure necessarie a contrastare eventuali fenomeni di abuso compiuti in loro danno.

5. Nel luglio 2017  il padre dei minori, attraverso un ufficiale giudiziario in Romania, si attivò al fine di dare esecuzione alle pronunce rese dai giudici nazionali.

Successivamente l’ufficiale giudiziario, unitamente al padre dei minori e ad uno psicologo, prese atto  del rifiuto dei bambini di tornare in Italia. Ciò indusse l’autorità di protezione dei minori a richiedere un provvedimento giudiziario per attuare un programma di consulenza psicologica nei confronti dei bambini, approvato dalla Corte di Tulcea, determinando la sospensione del procedimento di esecuzione iniziato. Il risultato del rapporto, redatto all’esito della consulenza psicologica, confermò l’ostilità da parte dei bambini ad intrattenere qualsiasi contatto con il padre.

6. Nel marzo 2018, il padre dei minori chiese l’esecuzione in Romania di un provvedimento del Tribunale di Parma che aveva confermato l’esclusiva potestà genitoriale.

Nel luglio 2018 la ricorrente si oppose  all’applicazione di tale provvedimento.

Pochi giorni dopo, il Tribunale sospese il procedimento di esecuzione, a seguito della richiesta della madre, rilevando che il rifiuto dei bambini di tornare in Italia con il padre era già stato stabilito.

7. La madre dei minori ed i figli proposero quindi ricorso alla Corte EDU, lamentando la violazione dell’art. 8 della Convenzione, in virtù della pronuncia dei giudici, i quali avevano ordinato il ritorno in Italia dei bambini senza tener conto del grave rischio cui sarebbero stati soggetti per mano del padre, nonché dell’art.3 CEDU.

Orbene, va ricordato che l’art. 8 CEDU sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, prevedendo che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Reclamavano, altresì, la violazione dell’art. 3 della Convenzione, il quale prescrive che nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti.

La Corte giudicò il ricorso ammissibile.

8. I ricorrenti sostennero l’obbligo del Governo di assicurare un ambiente sicuro per i bambini, scevro da violenze domestiche e punizioni corporali. La garanzia di tale interesse avrebbe dovuto prevalere su quella del genitore a stare insieme ai suoi bambini. Asserirono, inoltre, che i tribunali nazionali non avevano esaminato compiutamente la situazione familiare e, conseguentemente, non avevano interpretato correttamente l’interesse superiore dei bambini.

Tanto risultava dal fatto che i giudici nazionali avessero trasferito ogni responsabilità alle autorità italiane, attribuendo loro compiti di sorveglianza circa il benessere dei bambini.

Da ultimo, la ricorrente segnalava che, dopo tre anni in Romania, i figli si erano ben integrati nel nuovo ambiente.

9. Il Governo, preliminarmente, asserì che i procedimenti diretti alla restituzione dei bambini erano finalizzati unicamente a verificare l’ammissibilità della richiesta, ma non a sostituire le procedure riguardanti l’attribuzione dell’autorità genitoriale e la custodia dei figli.

Ammise che vi era stata un’interferenza con il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare, giustificandola con il fatto che la stessa fosse prevista dalla legge, perseguisse uno scopo legittimo e fosse proporzionata a tale scopo.

Il Governo dichiarò, altresì, che i tribunali nazionali avevano esaminato le accuse di “grave rischio” e che la decisione di far ritornare i bambini nel luogo di residenza abituale fosse basata sulla convinzione che il sistema italiano sarebbe stato in grado di proteggere i diritti dei bambini e di fronteggiare eventuali fenomeni di abuso e violenza.

10. I Giudici di Strasburgo ribadiscono, sulla scorta di quanto affermato in una precedente pronuncia (Corte edu, X v. Lettonia, ric. n. 27853/09, § 92/108), che il ritorno di un minore non può essere ordinato automaticamente o meccanicamente nei casi in cui è applicabile la Convenzione dell’Aja.

I fattori che costituiscono un’eccezione al ritorno immediato del minore, in applicazione degli artt. 12, 13 e 20 della Convenzione dell’Aja, dovranno essere presi in considerazione dal Giudice, il quale avrà il compito di assumere una decisione sufficientemente motivata in tal senso. Tuttavia, tali fattori dovranno essere valutati ai sensi dell’art. 8 della Convenzione.

La Corte edu riafferma ancora una volta che l’interesse del bambino deve essere di primaria importanza.

A livello normativo precisa, altresì, che la Convenzione dell’Aja deve essere interpretata e applicata nel contesto del Regolamento Bruxelles II bis, quando gli Stati coinvolti sono parti di entrambe le normative.

La Corte EDU sancisce che gli Stati membri dovrebbero impegnarsi a tutelare in modo effettivo la dignità dei bambini, predisponendo un quadro giuridico comprensivo di misure idonee ad evitare maltrattamenti e violenze.

Una volta ammessa da parte del Governo dell’interferenza con il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare, la Corte osserva che tale ingerenza è prevista dalla legge (art. 12 Convenzione dell’Aja “Qualora un minore sia stato illecitamente trasferito o trattenuto ai sensi dell’articolo 3, e sia trascorso un periodo inferiore ad un anno, a decorrere dal trasferimento o dal mancato ritorno del minore, fino alla presentazione dell’istanza presso l’Autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato contraente dove si trova il minore, l’autorità adita ordina il suo ritorno immediato. L’Autorità giudiziaria o amministrativa, benché adita dopo la scadenza del periodo di un anno di cui al capoverso precedente, deve ordinare il ritorno del minore, a meno che non sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente. Se l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto ha motivo di ritenere che il minore è stato condotto in un altro Stato, essa può spendere la procedura o respingere la domanda di ritorno del minore) e che, pertanto, essa persegue l’obiettivo di tutelare l’interesse superiore dei bambini.

I Giudici di Strasburgo si domandano se tale ingerenza fosse necessaria in uno stato democratico e se le autorità si siano prodigate rapidamente ed effettivamente al fine di dare adeguata protezione agli interessi dei bambini, in casi di lesione dei valori in gioco. Inoltre, si soffermano su quanto addotto dai ricorrenti e, in particolare, sull’interpretazione della nozione di “grave rischio” data dalle corti nazionali.

11. La Corte ribadisce che, in seno ad una domanda di rimpatrio, spetta in primo luogo alle autorità nazionali dello Stato coinvolto stabilire l’interesse superiore del bambino e valutare il caso alla luce delle disposizioni contemplate all’interno della Convenzione dell’Aja.

La Corte rileva che la ricorrente ha debitamente provato le violenze subite dai figli attraverso video-registrazioni attestanti episodi di abuso. Tali circostanze erano state confermate in sede giudiziaria dal padre, il quale aveva ammesso di aver usato la forza fisica per educare e disciplinare i bambini.

Il Tribunale aveva accertato che i bambini erano stati sottoposti a violenza per mano del padre e pur condannando in termini generali gli abusi compiuti in danno di minori ed affermando il diritto al rispetto della dignità, aveva però  stabilito che si trattasse di occasionali atti di violenza non reiterati  che non potevano dunque costituire un “grave rischio”.

La Corte evidenzia che l’interesse superiore dei bambini, il quale si estrinseca nel rispetto dei loro diritti e della loro dignità, è la pietra angolare della protezione offerta ai minori contro le punizioni corporali, le quali ultime non possono essere tollerate, dovendo gli Stati sforzarsi di proibirle espressamente sia nella legge sia nella pratica.

12. Giova sottolineare che entrambi gli Stati coinvolti sono parti del Regolamento Bruxelles II bis, applicabile al caso in esame.

Il Regolamento, basato sulla Convenzione dell’Aja, si fonda sul principio di reciproca fiducia tra gli Stati membri dell’Unione Europea.

Secondo la Corte, la sussistenza di una fiducia tra gli Stati non vale, però, ad ammettere che lo Stato in cui si trovano i minori li trasferisca in un ambiente in cui risulta elevato il rischio di violenza domestica, sul presupposto che le autorità dello Stato in cui i minori hanno la residenza siano in grado di trattare e contrastare eventuali abusi.

13. La Corte ritiene che i giudici nazionali avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione al potenziale rischio di maltrattamento in cui sarebbero potuti incorrere i bambini, qualora fossero stati rimandati in Italia, quantomeno garantendo l’adozione di accordi specifici per salvaguardarne i diritti.

Si è quindi ritenuto che i tribunali nazionali non avevano esaminato in maniera adeguata le accuse di “grave rischio” per i minori, riconoscendo la sussistenza della violazione dell’art. 8 della Convenzione.

14. La Corte ha in conclusione dichiarato fondato il ricorso, constatando la violazione dell’art. 8 della Convenzione e ritenendo assorbita la lamentata violazione dell’art. 3 CEDU nell’affermazione della lesione del diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Lo Stato romeno è stato condannato al pagamento in favore dei ricorrenti della somma pari ad € 12.500,00 a titolo di danni non patrimoniali ed € 3.645,00 in favore della madre in relazione ai costi e alle spese sostenute per il giudizio.