Richiesta parere preventivo Adunanza Plenaria Cassazione francese su Maternità surrogata

CLASSIFICAZIONE

Maternità surrogata – Trascrizione dell’atto di nascita in favore della madre sociale – Divieto- Contrasto con l’art.8 CEDU- Protocollo n.16 annesso alla CEDU- Richiesta di parere preventivo alla Corte edu

RIFERIMENTI NORMATIVI

Convenzione EDU, Pfrotocollo n.16 annesso alla CEDU

PRONUNCIA SEGNALATA

Arrêt n° 638, 5  ottobre 2018 (10-19.053) -Cour de cassation- Assemblée plénière 

Abstract.

La richiesta di parere preventivo rimessa all’esame della Grande Camera della Corte edu dalla Cour de Cassation francese è, a quanto consta, la prima applicazione del Protocollo n.16 annesso alla CEDU. La stessa, originata da una richiesta di riesame di una pronunzia del giudice di legittimità formulata da una coppia coniugata – rimasta soccombente innanzi al giudice nazionale rispetto alla richiesta di trascrizione di un atto di nascita redatto all’estero – che aveva successivamente proposto ricorso alla Corte edu, ottenendo una sentenza di condanna della Francia, riguarda la compatibilità della giurisprudenza transalpina formatasi in seguito a due pronunzie della Corte edu in materia di maternità surrogata con l’art.8 CEDU.

I seguenti paragrafi sono dedicati all’illustrazione della vicenda esaminata dai giudici francesi (parr.da n.1 a n.4) ed al ruolo del Protocollo n.16 nei rapporti fra Corti nazionali e Corte edu (parr.n.5 e ss.)

1.La richiesta di parere preventivo rimessa all’esame della Grande Camera della Corte edu dalla Cour de Cassation è, a quanto consta, la prima applicazione del Protocollo n.16 annesso alla CEDU, adottato dal Comitato dei Ministri nella seduta del 10 luglio 2013, aperto alla firma degli Stati contraenti dal 2 ottobre 2013, entrato in vigore lo scorso 1° agosto, dopo che il 12 aprile 2018 la Francia ha depositato il proprio strumento di ratifica, seguendo l’iniziativa in precedenza intrapresa da altri nove Paesi – Albania, Armenia, Estonia, Finlandia, Georgia, Lituania, San Marino, Slovenia e Ucraina-. L’art. 8 del Protocollo, infatti, stabilisce che detto Protocollo entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo ai tre che seguono la ratifica del decimo Stato.

2.Per inquadrare la vicenda esaminata dalla Cour de Cassation occorre partire dadue pronunzie della Corte edu rese in materia di maternità surrogata- Corte dir.uomo, 26 giugno 2014, (ric.nn.65192/11 e 65941/11), Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia-.

2.1 Dette sentenze avevano riguardato due coppie di coniugi francesi che avevano dato alla luce, mediante pratiche di maternità surrogata conclusa negli Stati Uniti, rispettivamente due gemelli e un figlio regolarmente considerati come figli legittimi in due stati degli USA. Le due coppie non avevano ottenuto la trascrizione della relazione di filiazione in Francia – in un caso attestata da un atto di notorietà che certificava una relazione di fatto assimilabile a quella legittima -, in relazione al contrario avviso espresso dalla Cassazione  – sent.6 aprile 2011. La Corte europea ha ritenuto sussistente la violazione dell’art.8 CEDU con riguardo alla posizione dei minori, escludendo la violazione nei riguardi dei genitori. La Corte edu dava atto che dell’esistenza in materia di gestazione per altri di una diversità di vedute all’interno dei Paesi contraenti –  ove pur si riscontrava un prevalente orientamento volto a negare la pratica della maternità surrogata – derivava un margine di discrezionalità nei confronti degli stessi circe le soluzioni normative da adottare. Tale margine non impediva, tuttavia, ad essa Corte, nella prospettiva della tutela della filiazione, di verificare la compatibilità degli effetti prodotti dal diniego di riconoscimento sui minori. Se, dunque, il margine di apprezzamento, ampio in materie eticamente sensibili, si contrae “sensibilmente” in favore del superiore interesse dei minori, il diritto alla identità dei minori  stessi, visto nella prospettiva del riconoscimento del rapporto di filiazione con i genitori, è stato considerato essenziale fino al punto che la possibilità di godere, in via di fatto e di diritto, di una protezione quasi simile rispetto a quella dei figli legittimi. Da qui l’affermazione  della violazione del parametro convenzionale ad opera della Corte. La situazione di incertezza giuridica nascente dal mancato riconoscimento dello stato di filiazione nei confronti dei minori coinvolti nelle due vicende ha, quindi, integrato la violazione dell’art.8 CEDU, tenuto conto dello stato di incertezza cagionato tra il minore e il papà – che in entrambi i casi era il genitore biologico dei due minori -, anche ai fini ereditari e della ipotetica separazione all’interno della coppia.

2.2 All’indomani di tali sentenze ci si era chiesto quali effetti avrebbe potuto determinare tale decisione nell’ordinamento francese ma anche in altri, ove si fosse presentata una situazione analoga.

2.3 Quanto agli effetti delle pronunzie appena ricordate nell’ordinamento francese, giova solo ricordare che l’art. 55 della Costituzione francese prevede che le convenzioni internazionali- e dunque anche la CEDU, hanno un valore gerarchicamente superiore alla legge ordinaria, sicchè in Francia – a differenza di quanto accade in Italia – nel caso di contrasto fra norma interna  e CEDU, non viene sollevata una questione di legittimità costituzionale ma è lo stesso giudice nazionale a potere disapplicare la norma interna in contrasto con il parametro convenzionale).

2.4 Fatta questa premessa la Cour de Cassation, in forza del principio dell’efficacia di cosa interpretata, senza procedere ad alcuna disapplicazione del parametro interno, ha modificato il proprio indirizzo interpretativo che aveva condotto all’intrascribilità dell’atto di nascita in vicende simili a quelle esaminate dalla Corte edu, concernenti la maternità surrogata (in francese: gestation pour autrui, GPA) -riconoscendo che le norme di stato civile vanno interpretate alla luce della CEDU, come delineata dalla Corte di Strasburgo, per modo che non può essere negata la trascrizione dell’atto di nascita di un bambino nato all’estero da maternità surrogata, se tale atto non è falsificato e se sussiste il legame di paternità con un cittadino francese, a ciò non ostando l’ordine pubblico  – v. Cour de cassation, Communiqué relatif à l’inscription à l’état civil d’enfants nés à l’étranger d’une GPA. www.courdecassation.fr14/21.323 e 15/50.002:”Les actes de naissance dont la transcription est demandée mentionnent comme père celui qui a effectué une reconnaissance de paternité et comme mère la femme ayant accouché. Dès lors, les règles de transcription sur les actes de l’état civil français, interprétées à la lumière de l’article 8 de la Convention européenne des droits de l’homme, doivent s’appliquer au cas d’espèce. La théorie de la fraude ne peut donc faire échec à la transcription de l’acte de naissance” -.

2.5. Anche il Consiglio di Stato francese ha dato continuità alle pronunzie della Corte edu – Conseil d’État, 12-12-2014, n. 367324, in http://www.conseil-etat.fr/Decisions-Avis-Publications/Decisions/Selection-des-decisions-faisant-l-objet-d-une-communication-particuliere/CE-12-decembre-2014-Association-Juristes-pour-l-enfance-et-autres- ritenendo legittima la circolare adottata dal Ministero della Giustizia del 25 gennaio 2013 relativa al rilascio del certificato di nazionalità francese per i bambini nati all’estero da genitori francesi che avessero fatto ricorso alla maternità surrogata.

2.6 La posizione della Cassazione francese, espressa con riguardo ad ipotesi di genitori d’intenzione – padri – celibi, si è, inizialmente, assestata per effetto di un ulteriore indirizzo interpretativo, espresso dalle pronunzie della prima sezione di quella Corte – sent. 5 luglio 2017  nn.15/28.597, 16/16.901, 16/50.025, 16/16.455 – ove si è chiarito che in relazione al contenuto dell’art.47 del codice civile francese e dell’art.8 CEDU, non è ammissibile la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero di un bambino procreato mediante la tecnica della gestione per altri nei confronti della madre sociale – ferma la trascrizione del minore come figlio del padre biologico, pienamente riconosciuta per effetto delle sentenze della Corte edu su ricordate – non incidendo tale divieto sul diritto al rispetto alla vita privata e familiare del minore, comunque tutelato in quanto accolto nella casa del padre. La Cassazione ha, tuttavia, riconosciuto la possibilità che la madre sociale, moglie del padre biologico, potesse chiedere l’adozione del bambino, alla stregua dell’art. 353, paragrafo 1, del codice civile, con ciò peraltro modificando un proprio precedente indirizzo interpretativo.

2.7 Il Comitato dei Ministri, con risoluzione del 21 settembre 2017 ( https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectID=090000168074c023), aveva chiuso il procedimento di verifica dello stato di esecuzione delle sentenze rese dalla Corte edu nei confronti della Francia qui ricordate, ritenendo che era stato corrisposto dallo Stato l’equa soddisfazione indicata nelle sentenze e che era stata introdotta nella legge sulla modernizzazione del sistema giudiziario un sistema di revisione delle decisioni interne a seguito delle sentenze della Corte europea, peraltro verificando che ai bambini era stato concesso il certificato di cittadinanza.

2.8 In questo contesto si inserisce la richiesta di parere preventivo dell’Adunanza plenaria della Corte di Cassazione francese, chiamata a scrutinare il giudizio di riesame proposto da una delle coppie di genitori che era rimasta soccombente innanzi alla Corte di Cassazione nel 2011 ed aveva, invece, ottenuto la condanna della Francia innanzi alla Corte edu con la sentenza Menneson Labesse, cit.

2.9 Il seguito al quale  si riferisce la richiesta di parere preventivo reso dall’Adunanza plenaria della Corte di cassazione francese riguarda proprio la vicenda Mennesson c. Francia  esaminata dalla Corte edu in una delle due pronunzie sopra ricordate, poiché i soggetti vittoriosi a Strasburgo, facendo valere l’efficacia di cosa giudicata della sentenza della Corte edu, avevano chiesto la trascrizione del certificato di nascita nell’ordinamento francese inizialmente loro negata, avvalendosi di un particolare strumento introdotto nell’ordinamento transalpino proprio in relazione alle vicende di cui qui si è detto.

2.10 Occorre ricordare,in limine, che il rimedio introdotto nel sistema francese dalla legge n.2016-1547 del 18 novembre 2016 in relazione alle ipotesi di contrasto fra giudicato nazionale formatosi su questioni di stato delle persone e sentenze della Corte edu, ha determinato una modifica del code de l’organization judiciaire, per effetto della quale è consentito il riesame (réexamen en matière civile) nei casi in cui la violazione di una delle garanzie fondamentali della convenzione ha determinato un danno non risarcibile con l’equa soddisfazione. Si tratta di rimedio da proporre entro un anno dalla pronuncia della Corte europea dinanzi alla Cour de cassation, la quale decide in una peculiare composizione (c.d.cour de réexamen) e, in caso di accoglimento, rinvia al giudice di pari grado rispetto a quello che emise la decisione dichiarata contrastante con la CEDU dal giudice di Strasburgo.

2.11 Orbene, nel caso concreto la Cour de réexamen, richiesta di dare attuazione alla sentenza della Corte edu dai soggetti vittoriosi a Strasburgo ha ritenuto di rimettere la decisione all’Adunanza Plenaria della Corte di  Cassazione francese. Quest’ultima, con la decisione interlocutoria n.638 del 5 ottobre 2018, ha quindi deciso di promuovere una richiesta di parere preventivo alla Corte edu, al fine di verificare la compatibilità del diritto vivente transalpino, nella parte in cui non consente la trascrizione dell’atto di nascita in favore della madre sociale –mère d’intention -.

2.12 Il giudice francese ha quindi chiesto alla Corte edu di sapere che rifiutando di trascrivere nei registri dello stato civile il certificato di nascita di un bambino nato all’estero al termine di una maternità surrogata in quanto designato come sua “madre legale” la madre sociale, mentre la trascrizione dell’atto è stata ammessa in quanto designa il “padre dell’intenzione” come padre biologico del bambino, uno Stato parte supera il margine di apprezzamento a sua disposizione ai sensi dell’articolo 8 della CEDU e se, a tale proposito, sia necessario distinguere se il bambino sia concepito o meno con i gameti della madre sociale.

2.13 La Cassazione ha poi chiesto di sapere se, in caso di risposta positiva a una delle due domande precedenti, la possibilità per la madre sociale  di adottare il figlio del coniuge, padre biologico soddisfi i requisiti dell’articolo 8 della CEDU.

2.14 Nel comunicato predisposto dalla Cassazione francese all’atto del deposito della richiesta di parere preventivo, viene particolarmente sottolineata l’utilità della richiesta di parere, precisandosi che ‘l s’agit de la première application par la Cour de cassation du Protocole n°16 à la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales, entré en vigueur le 1er août 2018. La Cour de cassation s’inscrit ainsi pleinement dans la démarche de dialogue des juges institutionnalisés entre la Cour européenne des droits de l’Homme et les juridictions nationales, objectif premier de ce Protocole.

3.Giova ricordare che, sul versante interno, la Corte di Cassazione italiana è stata chiamata ad esaminare un caso di maternità surrogata compiuta all’estero su richiesta di una coppia coniugata italiana, al fine di verificarne gli effetti in Italia rispetto all’eventuale richiesta di riconoscimento della certificazione proveniente da Stato estero attestante lo status genitoriale della coppia.

3.1 Era accaduto che una coppia di coniugi italiani aveva presentato all’Ufficiale di stato civile un certificato di nascita ucraino attestante la condizione di genitori biologici di un minore rivelatosi falso. Dopo avere accertato che il minore era nato per effetto di un contratto di surrogazione di maternità e che i due coniugi non erano i genitori biologici del minore, il P.M. presso il tribunale per i minorenni competente, verificata la nullità del contratto di surrogazione in base alla legge ucraina – secondo la quale almeno il 50% del patrimonio genetico deve provenire dalla coppia committente – aveva dichiarato lo stato di adottabilità in relazione alla situazione di abbandono in cui versava il minore (art.8 l.n.184/83) e disposto il collocamento dello stesso in comunità, non ritenendo riconoscibile il certificato di nascita rilasciato dalle autorità straniere, stante la sua contrarietà all’ordine pubblico, tenuto conto del divieto di qualsiasi forma di surrogazione di maternità previsto dall’art.12 c.6 l.n.40/2004.

3.2 Cass.n.24001/14 ha confermato la legittimità dei provvedimenti adottati, respingendo il ricorso della coppia committente che aveva proposto numerose censure deducendo, fra l’altro, la contrarietà della decisione impugnata agli strumenti internazionali che ponevano al centro l’interesse superiore del minore ed il grave trauma da quest’ultimo patito per il solo fatto che i coniugi avevano inteso eludere la legge italiana in tema di surrogazione di maternità.

3.3 La Cassazione ha osservato che il concetto di ordine pubblico rilevante ai fini del riconoscimento in Italia della certificazione ucraina – pur debitamente apostillato – si compone dei principi fondamentali interni e dell’ordine internazionale, evidenziando ancora che il divieto, sanzionato penalmente, di surrogazione di maternità previsto dalla l.n.40/2004 era stato inserito a presidio di valori fondamentali – dignità umana della gestante e istituto dell’adozione -.

3.4 Secondo i giudici di ultima istanza la materia disciplinata dal legislatore interno, offrendo unicamente tutela alla maternità genetica e/o alla filiazione fondata sull’istituto dell’adozione aveva considerato, in modo non irragionevole, che l’interesse del minore fosse salvaguardato sulla base di tali modalità, escludendo ogni rilevanza all’accordo delle parti. Per tali ragioni “…si tratta di una valutazione operata a monte dalla legge, la quale non attribuisce al giudice, su tale punto, alcuna discrezionalità da esercitare in relazione al caso concreto…”

3.5 Nemmeno poteva dirsi che il provvedimento impugnato fosse contrario all’interesse superiore del minore – tutelato dall’art.3 della Convenzione ONU di New York sui diritti del fanciullo – tenuto conto della scelta legislativa italiana che riserva la maternità alla partoriente e affida la genitorialità disgiunta dal legame biologico alle forme regolate con l’adozione.

3.6 A sostegno di un diverso avviso non potevano nemmeno richiamarsi secondo la Cassazione le sentenze rese il 26 giugno 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – ric.nn.65192/11 e 65941/11,Mennesson c. Francia  e Labassee c. Francia, sopra citate -. Tali pronunzie, infatti, nel dare atto del notevole margine di apprezzamento riservato ai singoli Stati rispetto al tema della maternità surrogata – correlato alla mancanza di consenso sulla materia -, si erano limitate a sanzionare la legislazione nazionale francese che aveva negato il riconoscimento dello stato di filiazione nei confronti del padre committente-genitore biologico-. In quell’occasione era risultato decisivo il rilievo di inconvenienti di carattere burocratico in pregiudizio dei minori a cui andavano incontro i bambini, ai quali la legislazione transalpina non consentiva l’utilizzazione degli atti di nascita statunitensi pur se tradotti ed apostillati, privandoli del riconoscimento della cittadinanza francese ancorché il padre committente fosse anche genitore genetico dei bambini. In definitiva, la vicenda concreta scrutinata dalla Cassazione italiana, caratterizzata da una surrogazione realizzata senza ovociti o gameti riferibili alla coppia, non poteva giustificare un diverso bilanciamento rispetto a quello espresso, né era pienamente sovrapponibile a quella decisa dai giudici europei.

3.7 In conclusione, le due pronunzie della Corte edu furono tenute in piena considerazione dalla sentenza n.24001/14 che non ritenne, tuttavia, di trarre dalle stesse l’esistenza di un obbligo a modificare l’impianto decisorio del giudice di merito, sfavorevole alla permanenza del minore presso la coppia che aveva commissionato il contratto di maternità dando vita ad un atto di nascita nemmeno conforme alla legislazione del Paese ove lo stesso era stato formato.

4.Benchè l’Assemblea plenaria della Cassazione francese non vi abbia fatto esplicito riferimento, occorre ricordare, in quanto rilevante ai fini del margine di apprezzamento in materia- anche in relazione a quanto le Sezioni Unite saranno chiamate ad affrontare in relazione all’ordinanza interlocutoria n.4382/2018, resa in materia limitrofa a quella qui esaminata – un precedente rilevante della Grande Camera reso nel caso Paradiso e Campanelli c.Italia, esaminato dalla Corte edu-24 gennaio 2017-.

4.1 In tale vicenda due coniugi di nazionalità italiana avevano concluso un accordo di maternità surrogata gestazionale con una società russa, all’esito del quale era nato a Mosca un bambino, poi registrato come figlio dei ricorrenti senza alcun riferimento alla procedura di riproduzione artificiale. Tale registrazione era stata rifiutata dall’Ufficio dello stato civile italiano, poi determinando l’allontanamento del minore dalla coppia, con la quale la convivenza si era peraltro protratta per un breve lasso di tempo.

4.2 La Grande Camera della Corte edu, chiamata a verifica la violazione dell’art.8 prospettata dai ricorrenti, ha ribaltato la decisione resa dalla Camera nel 2015. Nella prima decisione, la Camera era giunta alla conclusione che esistesse una vita famigliare de facto tra i ricorrenti e il minore, in quanto la posta in gioco per lo stesso era la determinazione di un legame biologico con il minore. La Grande Camera ha invece ritenuto che l’assenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori, la breve durata della relazione con il minore e l’incertezza dei legami dal punto di vista giuridico – e malgrado l’esistenza di un progetto genitoriale e la qualità dei legami affettivi – , non soddisfacevano le condizioni per poter concludere che esistesse una vita famigliarede facto, inquadrando la condizione dei ricorrenti nell’ambito della tutela prevista per la vita privata dal medesimo art.8. Ciò ha consentito, per l’un verso, di ritenere sufficienti i motivi addotti dalle autorità interne per disporre l’allontanamento del minore dalla coppia, essenzialmente centrati sulla situazione del minore e sull’illegalità della condotta dei ricorrenti.

4.3 Passando all’esame dell’aspetto più complesso, rappresentato dalla proporzionalità del provvedimento, adottato dal tribunale per i minorenni e confermato in grado di appello, di allontanamento del minore dalla coppia, la Corte edu ha precisato che i fatti di causa avevano riguardato argomenti eticamente sensibili – adozione, presa in carico di un minore da parte dello Stato, procreazione medicalmente assistita e gestazione per conto terzi – per i quali gli Stati membri godono di un ampio margine di apprezzamento. Nell’ambito di tale margine, la condotta delle autorità nazionali non è stata ritenuta integrare la violazione dell’art.8 CEDU. Secondo la Corte i giudici interni non erano tenuti a dare la priorità al mantenimento della relazione tra i ricorrenti e il minore, trovandosi piuttosto di fronte a una scelta delicata: permettere ai ricorrenti di continuare la loro relazione con il minore – e in tal modo legalizzare la situazione che questi avevano imposto come un fatto compiuto-  o adottare misure volte a dare al minore una famiglia conformemente alla legge sull’adozione. A dire della Corte, se non andava sottovalutato l’impatto che la separazione immediata e irreversibile dal minore doveva aver avuto sulla vita privata dei ricorrenti, tuttavia, ‘…si deve accordare una importanza minore all’interesse dei ricorrenti ad assicurare il proprio sviluppo personale proseguendo la loro relazione con il minore. Accettare di lasciare il minore con i ricorrenti, forse nella prospettiva che questi diventassero i suoi genitori adottivi, sarebbe equivalso a legalizzare la situazione da essi creata in violazione di norme importanti del diritto italiano.’ In definitiva, secondo la Corte i giudici italiani, avendo concluso che il minore non avrebbe subito un pregiudizio grave o irreparabile a causa della separazione, avevano garantito un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco, rimanendo nei limiti dell’ampio margine di apprezzamento di cui disponevano nel caso di specie.

5.Il Protocollo n.16 ha introdotto la possibilità dei giudici di ultima istanza nazionale di rivolgersi direttamente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, prima della decisione finale che gli stessi andranno ad adottare, per chiedere un parere “non vincolante” in ordine all’interpretazione del diritto della CEDU. Esso innova in modo significativo i rapporti fra alte giurisdizioni nazionali e Corte EDU. Tradizionalmente, infatti, si sottolinea il ruolo di istanza ultima della Corte di Strasburgo, chiamata a intervenire quando nessun altro rimedio giudiziario interno è possibile sperimentare a tutela di un diritto fondamentale protetto dalla CEDU.

5.1 Il nodo problematico era dato, appunto, dalla posizione asimmetrica del giudice nazionale rispetto alla Corte EDU, non essendo il primo munito di quel fondamentale strumento rappresentato dal rinvio pregiudiziale ex art.267 TFUE, che costituisce il paradigma fondamentale dei rapporti fra giudice nazionale e Corte di Giustizia dell’Unione europea.

5.2 Il Protocollo n.16 nasce, dunque, dalla proposta del Comitato dei Saggi nominati dal Consiglio d’Europa, muovendo dalle prese di posizione formali assunte nelle Dichiarazioni espresse dai 47 Paesi del Consiglio d’Europa sul futuro della Corte edu in occasione della Conferenza di Izmir – del 26/27 aprile 2011-e della Conferenza di Brighton del 19/20 aprile 2012, nonchè del documento di riflessione adottato dalla stessa Corte dei diritti dell’uomo-Reflection Paper on the proposal to extend the Court’s advisory jurisdiction, in www.echr.coe.int-

5.3 Si tratta di un provvedimento di particolare rilievo, che chiama le giurisdizioni superiori allo svolgimento di un ruolo che, nell’ottica europea, dovrebbe avere un duplice effetto.

5.4 Per un verso, infatti, verrebbe implementato il ruolo e la funzione dei diritti di matrice convenzionale, resi più concretamente efficaci ed effettivi attraverso un meccanismo che, in modo equilibrato, induce le istanze nazionali a sviluppare al massimo le dirette conoscenze in ordine alla giurisprudenza della Corte europea e, in definitiva, a evitare l’intervento della Corte europea al momento dell’esaurimento delle vie di ricorso interne.

5.5 Il solo fatto di mettere in collegamento il giudice interno e la Corte europea dovrebbe indurre il primo a compiere una ricognizione completa – e anche se, a volte, laboriosa, per il numero delle decisioni e per la lingua nella quale esse possono reperirsi – della giurisprudenza della Corte edu.

5.6 Per altro verso, lo strumento del parere preventivo riduce significativamente il rischio di interpretazioni convenzionalmente orientata solo nella forma proprio attraverso il meccanismo introdotto dal Protocollo di cui si è qui detto.

5.7 Il Protocollo n.16 mette in luce il rapporto di complementarietà fra giudice interno e giudice di Strasburgo, correlato all’atteggiarsi della richiesta di parere non vincolante come strumento preventivo che parte dal giudice nazionale.

5.8 Non sembra perciò inutile sottolineare la “centralità” del giudice nazionale, essendo quest’ultimo non soltanto l’unico ad avere piena conoscenza dei fatti di causa, ma anche trovandosi nella situazione più idonea per valutare la pertinenza delle questioni di principio sollevate e la necessità di una pronuncia interlocutoria rispetto al procedimento pendente.

5.9 Se, infatti, la pronunzia della Corte edu resa in sede di richiesta di parere non vincolante entrerà nel circuito decisorio che verrà definito, a livello interno, dalla sentenza del giudice nazionale di ultima istanza, l’intervento del giudice interno finirà con l’assumere importanza notevole tanto, a monte, nella fase di proposizione della richiesta di parere, che, a valle, in quella successiva di recepimento del parere, come detto non vincolante, della Corte europea.

5.10 In entrambi i casi il giudice domestico avrà la possibilità di svolgere, in maniera equiordinata con la Corte europea – o, addirittura, per effetto di una sorta di capovolgimento, da posizione privilegiata – il proprio ruolo di interprete del diritto interno e di quello di matrice convenzionale.

6. Come detto, quanto all’Italia, non risulta depositato lo strumento di ratifica. Pensare ad una immediata efficacia del protocollo non pare praticabile.

6.1 Va semmai sottolineato  che la Corte edu, nell’ambito della Rete dalla stessa creata con le Corti supreme nazionali che vi hanno aderito, ha da poco sperimentato un meccanismo di collegamento fra giudici nazionali e Corte di Strasburgo volto a favorire la conoscenza della giurisprudenza rilevante rispetto ai casi all’esame delle dette Corti. Si tratta di uno strumento che è stato già in un’occasione sperimentato dalla Corte di Cassazione, attraverso la predisposizione di un breve resoconto della causa con la richiesta di notizie in merito alla giurisprudenza della Corte edu, al quale la Divisione della Corte edu competente, sotto la supervisione del Giureconsulto, ha fornito risposte esaurienti.

6.2 Il primo nodo che verrà al pettine in sede di ratifica del protocollo sarà certamente quello della sua operatività nei rapporti fra Corte costituzionale e CtEDU, visto che già in sede di approvazione del primo progetto di legge presentato nel corso della precedente legislatura e, in quello più recente, approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati – progetto di legge n.35 C., presentato il 23 marzo 2018 – è stato previsto che la Corte costituzionale possa provvedere con proprio regolamento sull’applicazione del Protocollo in conformità agli artt.14, primo comma, e 22, secondo comma, della legge n.87/1953.

 6.3  Occorre ricordare che il Protocollo n.16 non ammette la formulazione di riserve alle sue disposizioni, in difformità a quanto previsto dall’art.57 della CEDU, impegnando ciascun Paese a depositare, all’atto del deposito dello strumento di ratifica, l’elenco delle autorità giudiziarie nazionali competenti per richiedere parere consultivi.

6.4 Nel rinvolgere il quesito alla Corte EDU, l’autorità giurisdizionale nazionale deve tenere presente quanto indicato nelle apposite Linee Guida– reperibili all’indirizzo https://www.echr.coe.int/Documents/Guidelines_P16_ENG.pdf-. ll quesito proposto, sottoposto ad un collegio di cinque giudici della Grande Camera della Corte edu, potrà essere dichiarato irricevibile con provvedimento motivato ovvero, ove ritenuto ricevibile, sarà deciso nel merito dalla Grande Camera.

6.5 Occorrerà riflettere, quando il Protocollo 16 diventerà esecutivo anche per l’Italia, sull’impatto che il ricorso al meccanismo della richiesta di parere potrà avere suirapporti internialle giurisdizioni superiori – e segnatamente sulla Corte di Cassazione – e sul modo con il quale occorrerà utilizzarlo.

6.6 Il rischio che la Corte edu possa essere sommersa da richieste di pareri preventivi- che saranno decise da una particolare sezione della Grande Camera – facendo perdere di effettività quella stessa Corte quanto ai tempi di decisione – spesso lunghi – che ne contraddistinguono l’operato, dovrà probabilmente indurre ad un uso accorto dello strumento che tenda comunque a considerare il ruolo nomofilattico riservato alle Sezioni Unite della Cassazione (art.65 ord.giud.) – e a quello, per certi aspetti similare, dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e delle Sezioni riunite della Corte dei conti – sulle questioni che attengono a contrasti interni fra diversi indirizzi giurisprudenziali o di massima rilevanza.

6.7 In ogni caso, investire la Corte dei diritti umani di una questione di massima importanza che involge la qualificazione di un diritto fondamentale pure riconosciuto dalla CEDU significherebbe rafforzare il peso e il valore della decisione che verrà successivamente data dal giudice nazionale. 6.8 Rafforzamento che potrebbe raggiungere l’apice ove fossero le Sezioni Unite della Cassazione a rivolgersi direttamente alla Corte europea con la richiesta di parere consultivo ove investito di una questione di massima di particolare rilevanza.

6.8 Occorrerà ricercare delle linee direttive bilanciate per evitare che lo strumento resti una “mera lustra”, ovvero divenga luogo indiscriminato di trasferimento di contenzioso dai giudici nazionali a Strasburgo, ove certo il carico di richieste di pareri non potrebbe certo essere visto con particolare favore.

6.9 In questa prospettiva, lo strumento della richiesta di parere potrebbe essere utile se si rivolge alla Corte edu una richiesta incidente vuoi su vicenda ‘sistemica’ –  perché correlata al peculiare atteggiarsi della legislazione ovvero della giurisdizione che della stessa ha fornito una certa interpretazione che appare necessario confrontare con il sistema di protezione convenzionale per verificarne la tenuta –  vuoi  su questione di particolare rilevanza. Ipotesi, in definitiva,  capaci di potere avere ‘effetti di rimbalzo’ sia su fasci di ricorsi omologhi che presentano un problema comune – es. cause seriali – sia  su questioni che involgono, in generale, l’applicazione di principi di ordine processuale e sostanziale di spiccato rilievo.

6.10 Potrebbero essere quindi di ausilio i meccanismi che la Corte europea ha tratteggiato per determinare i casi di c.d. “sentenza pilota” proprio per determinare se è o meno opportuno il ricorso alla richiesta di parere.

6.11 Anche in caso di indirizzo consolidato – e magari datato – della Corte europea dei diritti dell’uomo, il giudice nazionale di ultima istanza potrebbe, peraltro, ad essa rivolgersi per suscitare unrevirementin relazione al diverso quadro normativo formatosi a livello dei Paesi contraenti, facendo così portavoce di un’interpretazione evolutiva.

6.12 Tale strumento sembrerebbe potere avere una qualche utilità anche per i casi nei quali un indirizzo su un diritto di matrice convenzionale della Corte europea si sia formato con riferimento a decisioni nelle quali non era parte lo Stato al quale appartiene il giudice nazionale chiamato ora a fare applicazione di quello stesso princìpio, al fine di verificarne la tenuta in relazione al qualo normativo interno non coincidente con quello considerato nel caso in precedenza deciso dal giudice europeo.

6.13 In definitiva,l’esistenza di un parere della Corte europea potrebbe accrescere il ruolo dell’interpretazione convenzionalmente orientata riservata al giudice nazionale, riducendo al minimo la necessità di ricorrere al meccanismo della caducazione della norma per incostituzionalità, secondo le rime fissate, a livello interno, dalla Corte costituzionale.

6.14 Particolare attenzione occorrerà prestare anche alle ipotesi di possibile intersezione fra questione che può essere oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte europea di giustizia, ai sensi dell’art.267 TFUE e richiesta di parere non vincolante alla Corte edu- visto che anche in sede di parere della Corte di Giustizia sull’ipotesi di adesione della dell’Unione europea alla CEDU la questione ebbe una certa rilevanza- v. la presa di posizione dell’Avvocato generale della Corte di giustizia Kokott, in http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=160929&doclang=IT, p.139-.

6.15 In conclusione, la Corte di Strasburgo ha, a più riprese, affermato una visione mobile e vivente(living instrument) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – Corte edu, Öneryıldız c. Turchia [GC], ric.n. 48939/99, §§ 59, 71, 90 e 93; Corte edu, Saadi c. Regno Unito-§ 63;Corte edu, Goodwin c. Regno Unito [GC], ric.n. 28957/95; Corte edu, Demir e Baykara c. Turchia[GC], n. 34503/97- alla cui applicazione e attuazione devono concorrere tutti coloro che sono tenuti a garantire la tutela dei diritti fondamentali. Di guisa che sarà proprio il ruolo propulsivo dei giudici nazionali di ultima istanza, anche nell’utilizzo della richiesta di parere per promuovere interpretazioni evolutive della CEDU anche alla luce degli strumenti internazionali- ma anche costituzionali nazionali, quando gli stessi incarnano valori fondamentali- a determinare possibili nuovi scenari.

6.16 La prima richiesta di parere preventivo che la Corte di Cassazione francese ha avanzato denota in modo significativo le potenzialità che lo strumento è in grado di fornire alle giurisdizioni nazionali di ultima istanza nel processo di progressiva affermazione dei diritti fondamentali, qualunque ne sia la matrice, nazionale e sovranazionale, chiamando gli operatori a soluzioni al contempo prudenti e coraggiose