Riflessioni sul processo penale telematico: tra sogni ed udienze paranormali

di Alessandro de Santis

Ad oggi, 17.4.2018, e nel corso dell’ultimo anno:

– la società SpaceX, di Elon Musk, ha quasi completato i progetti di costruzione del Big Falcon Rocket, vettore spaziale che entro il 2024 dovrebbe condurre quaranta coloni terresti su Marte;

– è passata alla sperimentazione sull’uomo la tecnica di editing genetico CRISPR/Cas9, funzionale alla trattazione di tumori e malattie genetiche attraverso la diretta modificazione chirurgica di DNA e RNA, senza tagliare la doppia elica, ma ridisponendo gli atomi delle basi azotate che li compongono;

– due sistemi di intelligenza artificiale creati nei laboratori di Menlo Park (Facebook) hanno iniziato a dialogare autonomamente tra loro adoperando un linguaggio incomprensibile all’uomo, sicché i programmatori li hanno dovuti spegnere prima che potessero decidere di estromettere i loro creatori dal sistema e diventare pericolosi.

– il dispositivo AlterEgo, sviluppato da alcuni ricercatori del MIT, che si indossa come un paio di cuffie, legge i pensieri di chi lo indossa traducendondoli in ricerche su google e successivamente sussurrando all’orecchio le risposte trovate.

i processi penali, nell’ambito dei quali si dispone di un bene giuridico secondo solo alla vita nella gerarchia costituzionale, ossia la libertà personale, vengono svolti avvalendosi di un fascicolo cartaceo dal sapore retrò, in alcune occasioni destinato a contenere una mole di atti di dimensione tale da occupare interi armadi.

Ebbene sì. Nel 2018, gli atti sulla cui base è possibile privare un essere umano della sua libertà e/o governare la moltitudine di vicende che nel loro intreccio dotano di un corpus il procedimento penale, rifluiscono in un fascicolo cartaceo, destinato ad essere riposto e periodicamente prelevato da uno dei moderni e ben protetti armadi della cancelleria, per poi viaggiare da un ufficio giudiziario all’altro ed eventualmente terminare la propria corsa in un fantomatico archivio (che ben pochi sanno dove si trovi), sepolto e ben nascosto in una montagna di ulteriori carte.

Chissà che meravigliosa idea si farà della giustizia italiana il cittadino persona offesa che, presente all’udienza monocratica e reso edotto del rinvio (avvenuto per una delle ragioni a lui oscure, quale ad esempio l’astensione degli avvocati) a 9 mesi di distanza, magari vecchio e malato, si mette alla guida della sua automobile e fiducioso parte di gran carriera dalla frazione di Piedimonte Matese ove abita; dopo un’ora e trenta di viaggio, 30 euro di benzina e 5 di parcheggio arriva in Tribunale e si dirige, assetato di giustizia, verso l’aula d’udienza, ove si sottopone ad una breve attesa di quattro ore prima il suo processo venga chiamato, per poi drammaticamente apprendere che il meraviglioso e omnicomprensivo fascicolo processuale “è andato smarrito” (cosa che mi è capitata almeno 2 volte in 5 mesi) o che si è persa la lista testi; con conseguente ulteriore rinvio e sinistra incombenza dello spettro della prescrizione.

Che fantastica idea si farà il perito trascrittore che, dopo aver trascritto 6000 pagine di intercettazioni, si vedrà negare parte della liquidazione richiesta in quanto, nell’armadio di carte che costituisce il fascicolo processuale, sono andati smarriti i due fogli formato A4 che attestano le due proroghe del termine di deposito dell’elaborato peritale che gli sono state concesse fuori udienza.

E come sarà contento quel Giudice che dovrà perdere buona parte della sua giornata di lavoro solo per rinvenire, a seguito di minuziosa ricerca archeologica avente ad oggetto il predetto armadio, magari contenente un maxiprocesso ereditato su cui hanno messo le mani 3 o 4 cancellieri, degli atti attestanti l’ammissione a gratuito patrocinio di quella parte civile che ha chiesto la copia (cartacea ovviamente) delle summenzionate 6000 pagine di intercettazioni.

Quale meraviglioso senso di sicurezza infonderemo nei cittadini quando, nella trattazione di un reato di omicidio, si renderanno necessari due rinvii solo per la predisposizione di un’apparecchiatura idonea a consentire la visione in aula di un video di 15 secondi.

Al di là della ricostruzione caricaturale (sebbene alquanto realistica e tratta da episodi veri), i tempi sono certamente maturi (e lo sono da ben oltre un decennio) per un’innovazione tecnologica del processo penale che riporti l’attenzione sulla delicatezza delle tematiche trattate, restituisca centralità al fondamentale bene giuridico della libertà personale ed incrementi l’efficienza degli uffici e la qualità del lavoro. Innovazione che si inserisce in un contesto economico-sociale forgiato dalla dipendenza tecnologica che, attraverso l’istantaneo appagamento delle esigenze individuali, ha plasmato lo stile di vita dell’umanità contemporanea, immersa in una realtà caratterizzata dalla rapidissima circolazione delle informazioni e dalla sempre più pregnante presenza della scienza nella vita quotidiana.

Non è necessario un investimento miliardario per l’elaborazione di un software (che costituirebbe null’altro che un’evoluzione del TIAP, o magari dell’applicativo consolle 2.0.) che renda possibile l’archiviazione digitale degli atti del procedimento penale e lo svolgimento telematico del processo attraverso il rapido accesso ad un applicativo che consenta agevolmente di tenere sotto controllo l’intera storia del fascicolo, incamerare con un click un certificato penale aggiornato o altri atti la cui acquisizione è consentita dal codice, visionare la storia giudiziaria dell’imputato e leggere le eventuali sentenze che hanno costruito il suo curriculum delinquenziale, così come le relazioni che attestano la sua buona condotta carceraria.

Non è fantascienza pensare ad un Giudice che entra in udienza armato soltanto del suo computer (e non seguito da un commesso e da un carico di 40 fascicoli cartacei), attraverso il quale può gestire con prontezza ogni problematica processuale, acquisire istantaneamente provvedimenti giudiziari ed trascrizioni di intercettazioni provenienti da altri procedimenti, far condurre in aula l’imputato detenuto, evitare defatiganti rinvii legati al temporaneo o definitivo smarrimento di singoli fogli A4 che ben possono volatilizzarsi nei meandri delle cancellerie, consultare con rapidità gli archivi contenenti i provvedimenti della Sezione o dell’intero Ufficio, per eventualmente uniformarsi nella risoluzione di una questione preliminare.

E per i colleghi più vintage, affezionati alla carta ed alle “orecchiette”, o per chi semplicemente avesse difficoltà nel leggere documenti di notevole dimensione in formato telematico, rimarrebbe pur sempre la possibilità di stampare singole copie cartacee ad uso personale, da consultare e riporre in armadi medio tempore svuotati, piuttosto che colmi di anacronistiche copie di copie di copie dei DC rinotificati.

E non si usi la più classica delle controargomentazioni: l’archiviazione telematica non è sicura, i dati potrebbero cancellarsi. Questo discorso poteva valere forse negli anni ’60, all’alba della creazione di Arpanet; non anche oggi, allorquando la nostra intera vita è gestita da un server. 

Questa e tante altre idee potrebbero essere agevolmente approfondite e sviluppate per mettere gli strumenti forniti dall’innovazione tecnologica, e spesso valorizzati per finalità puramente ludiche, a servizio dell’attività giudiziaria, e contribuire a restituire credibilità ad una professione che condensa l’esercizio di uno dei tre poteri dello Stato e quotidianamente irrompe in maniera prepotente e potenzialmente devastante in innumerevoli spaccati di vita, coinvolgendo valori costituzionalmente rilevanti. In poche parole per cercare, quanto più è possibile, di “fare giustizia”.