Saggio su “Motivazione a richiesta”

di Federica Porcelli

Federica Porcelli
Assegnista di ricerca in diritto processuale civile
Università Roma “La Sapienza”

Roma, li 6 novembre 2016

Contributo alla predisposizione del materiale di studio per il Convegno del 1 dicembre 2016 presso l’Auditorium del Palazzo di Giustizia di Napoli sul tema:

«La motivazione delle sentenze, il linguaggio e lo stile delle decisioni e l’individuazione del giusto punto di equilibrio tra deriva produttivistica e qualità del prodotto giurisdizionale»

La motivazione a richiesta[1]

Sommario: 1. I recenti tentativi di introdurre l’istituto della motivazione a richiesta e a pagamento. – 1.1. (…) Segue. L’art. 2, comma 1°, lett b), n. 1, d.d.l. A.C. 12 febbraio 2014, n. 2092. – 1.2. (…) Segue. L’art. 15 del Piano Destinazione Italia e il c.d. d.d.l. Alfano. – 2. La questione relativa alla (in)conciliabilità della motivazione a richiesta con i principi costituzionali in materia di motivazione.  – 2.1. Le funzioni della motivazione e la loro essenzialità per la verifica dell’esercizio legititmo del potere giurisdizionale e dell’esatta applicazione della legge. – 2.2. Il nodo del vaglio di compatibilità della motivazione a richiesta con i princìpi costituzionali: il rapporto tra motivazione e giurisdizione. – 2.3. Tesi a favore della motivazione a richiesta. Osservazioni critiche. –  3. Il vaglio di compatibilità con l’art. 6 CEDU per come interpretato dalla Corte EDU. – 4. Le problematiche interpretative poste dal quiescente art. 2, comma 1°, lett b), n. 1, d.d.l. A.C. n. 2092/2014. – 4.1. Chi avrebbe «pagato» la motivazione? – 4.2. «Dispositivo corredato» e motivazione in fatto. – 4.3. «Dispositivo corredato» e motivazione in diritto. – 4.4. Cosa significava che il «dispositivo corredato» avrebbe avuto valore di «sentenza a tutti gli effetti»? – 4.5. Quali attività avrebbe dovuto compiere e quali poteri avrebbe avuto il giudice a cui fosse stata richiesta la motivazione? – 4.6. … E la motivazione a richiesta avrebbe veramente avuto funzione deflattiva? – 5. Brevissime osservazioni conclusive.

Abstract: Lo scritto prende in considerazione l’istituto della motivazione a richiesta sia sotto il profilo dei diversi tentativi di introdurre tale modalità decisoria all’interno dell’ordinamento italiano e in particolare quello di cui all’art. 2, comma 1°, lett. b), n. 1, d.d.l. A.C. 12 febbraio 2014, n. 2092, sia sotto il profilo della compatibilità di tale istituto con i princìpi costituzionali in materia di motivazione e con i princìpi di cui all’art. 6 Cedu. Vengono poi analizzate in concreto le problematiche di diritto processuale delineate dal predetto l’art. 2, comma 1°, lett. b), n. 1, d.d.l. A.C. 12 febbraio 2014, n. 2092 e ciò con particolare riferimento alle conseguenze applicative scaturenti dal fatto che il legislatore aveva stabilito che il «dispositivo corredato» avrebbe avuto valore di «sentenza a tutti gli effetti e ai poteri che avrebbe avuto il giudice a cui fosse stata richiesta la motivazione.

1.     I tentativi di introdurre la motivazione a richiesta e a pagamento.

I plurimi tentativi del legislatore italiano di dare ingresso nell’ordinamento all’istituto della motivazione a richiesta si inseriscono in un contesto di riforme volte a soddisfare l’esigenza dell’efficiente gestione dei flussi dei ricorsi al precipuo fine di realizzare una politica di deflazione. In particolare il miglioramento dell’efficienza della giustizia civile è ormai divenuto il mezzo, nonché lo sponsor, per rilanciare l’economia e la crescita del Paese. Non è perciò un caso che l’art. 2, comma 1°, lett. b), n. 1, d.d.l. A.C. 12 febbraio 2014, n. 2092  (già collegato alla legge di stabilità 2014), che mirava ad introdurre la motivazione a richiesta e a pagamento dei provvedimenti che definiscono i giudizi di primo grado[2], era inserito nel suddetto d.d.l. contenente la «Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile, la riduzione dell’arretrato, il riordino delle garanzie mobiliari, nonché altre disposizioni per la semplificazione e l’accelerazione del processo di esecuzione forzata».

In particolare, siffatta disposizione rappresentava uno dei criteri e principi di-rettivi cui il Governo si sarebbe dovuto attenere nell’esercizio della delega legislativa sull’efficienza del processo civile. Tuttavia, il citato disegno di legge delega – allo stato – risulta sì essere stato presentato alla Camera dei Deputati, ma non pare, invece, essere stato assegnato per l’esame ad alcuna commissione. Sicché il quadro normativo in materia di motivazione rimane invariato.

Eppure tale tentativo di riforma ha un’eco di notevole rilevanza, in quanto, oltre ad essere pura manifestazione di quella deriva produttivistica che ossessiona i conditores legum, porta alle estreme conseguenze la tendenza a semplificare – rectius a prosciugare – la motivazione della sentenza e ciò «anche al fine di favorire lo smaltimento dell’arretrato civile»[3]. Siffatta tendenza si riscontra anzitutto nel recente tentativo di riforma dell’art. 118 disp. att. c.p.c. ad opera dell’art. 79 d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, che per l’appunto mirava a limitare il contenuto della motivazione alla concisa esposizione dei fatti decisivi e dei princìpi di diritto su cui si fonda la decisione, con l’espressa previsione della possibilità di motivare la decisione mediante rinvio ai contenuti specifici degli scritti difensivi ed altri atti di causa e la singolare eliminazione della facoltà di rinviare ai precedenti conformi e dell’obbligo di esporre in ordine le questioni trattate[4]. Inoltre, preme sottolineare che il medesimo criterio produttivistico-semplificatorio contraddistingue financo la «nuova» formulazione dell’art. 132, comma 2°, n. 4, c.p.c. il quale, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 45, comma 17°, l. 18 giugno 2009, n. 69, esclude che la motivazione debba contenere la concisa esposizione dello svolgimento del processo e ne limita l’ambito alla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione[5].

1.1.          (…) Segue. L’art. 2, comma 1°, lett b), n. 1, d.d.l. A.C. 12 febbraio 2014, n. 2092.

Il predetto art. 2 comma 1°, lett. b), n. 1, d.d.l. A.C. n. 2092/2012 si inseriva, così, in un contesto di riforme volte a soddisfare l’esigenza di ridurre i tempi di definizione delle controversie ed in particolare era l’ultima di una serie di misure ideate per accelerare e snellire la fase di decisionedel giudizio. Nella specie, il legislatore si era concentrato sul tema della stesura della decisione, prevedendo che il giudice di primo grado potesse «emettere sentenza, tale a tutti gli effetti, con un dispositivo corredato» dall‘indicazione dei fatti  – costitutivi, modificativi, impeditivi o estintivi – e delle norme che fondano la decisione e delimitano l’oggetto dell’accertamento, facendo comunque salva la possibilità per le parti di «richiedere la motivazione della sentenza» previo versamento di una quota del contributo unificato dovuto per l’appello.

A ben vedere, l’istituto della motivazione a richiesta e a pagamento riduceva ai minimi termini l’attività posta in essere dai giudici per la redazione dei provvedimenti conclusivi dei giudizi di prime cure, in accordo con l’obiettivo di aumentare l’efficienza e la produttività degli uffici giudiziari.

Così nel caso in cui Caio in data 15 febbraio 2016 avesse agito per chiedere la condanna di Tizio al pagamento di una rata del premio assicurativo con scadenza fissata per il 18 febbraio 2015 e Tizio avesse eccepito la prescrizione del diritto di credito dell’attore, il giudice ben si sarebbe potuto limitare a riconoscere la pretesa, indicando l’esistenza del contratto (nonché l’avvenuta accettazione della proposta contrattuale), l’esigibilità del credito vantato dall’attore e e l’esistenza dei fatti da cui emerge il mancato decorso del termine di prescrizione (non essendo ancora trascorso alla data di introduzione del giudizio un anno – 15.02.2016 – dalla scadenza fissata per il pagamento della rata – 18.02.2015), nonché l’indicazione degli artt. 1901, 2934, 2935 e 2952 c.c. «che fondano la decisione».

Oppure, nel caso in cui Sempronio avesse citato in giudizio Tizia per chiedere il pagamento di una somma in base ad un contratto di compravendita, producendo il detto atto (per di più) quietanzato, e Tizia avesse eccepito l’avvenuto pagamento del prezzo, l’eventuale dispositivo di rigetto della pretesa attorea sarebbe stato corredato dall’indicazione dell’esistenza del contratto (i.e. fatto costitutivo) e dell’esistenza della quietanza di pagamento dai cui emerge l’avvenuto pagamento della somma di denaro (i.e. fatto estintivo ), nonché dall’indicazione degli artt. 1470, 1498 e 1199 c.c. «che fondano la decisione».

1.2.     (…) Segue. L’art. 15 del Piano Destinazione Italia e il c.d. d.d.l. Alfano.

Occorre peraltro rammentare che già nel 2011 vi era stata un’iniziativa del Governo volta ad introdurre l’istituto della motivazione a richiesta. Attraverso il d.d.l. A.S. 15 marzo 2011, n. 2612 (c.d. d.d.l. Alfano) – rimasto lettera morta – si era infatti cercato di dare ingresso nel nostro ordinamento all’istituto della motivazione breve, a norma del quale la motivazione avrebbe dovuto indicare soltanto «i fatti rilevanti, le fonti di prova ed i princìpi di diritto su cui la decisione è fondata anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi ovvero a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa». Di guisa che la parte che avesse voluto conoscere la ratio decidendi o censurare la sentenza dinanzi al giudice superiore, avrebbe dovuto chiedere la motivazione estesa[6].

Si rileva inoltre che il tentativo di riforma di cui si tratta specificava e traduceva in termini normativi la misura di cui all’art. 15 del Piano Destinazione Italia. Tale documento, approvato dal Consiglio dei ministri con delibera del 19 settembre 2013 e di natura non legislativa, contemplava la futura introduzione – per mano del legislatore – della motivazione scritta a richiesta e a pagamento quale soluzione per migliorare i tempi della giustizia civile.

2. La questione relativa alla (in)conciliabilità della motivazione a richiesta con i principi costituzionali in materia di motivazione.

A ben vedere, quindi, l’art. 2, comma 1°, lett. b), n. 1, d.d.l. n. 2092/2014 riprendeva progetti di riforma già avanzati in passato e acuiva la generale tendenza semplificatrice. Come visto, era sostanzialmente volto a consentire al giudice di prime cure di non motivare la decisione limitandone il contenuto al dispositivo e all’indicazione dei fatti – costitutivi, impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto controverso – e delle norme che fondano la decisione e delimitano l’oggetto dell’accertamento, con l’espressa previsione della possibilità per le parti di ottenere la motivazione della decisione a richiesta e previo versamento di una quota del contributo unificato per l’appello.

Ciò premesso, occorre anzitutto rilevare che, se da un lato tale soluzione rispondeva alla logica del contingentamento dei tempi  di definizione delle controversie cui era informato il disegno di legge delega per l’efficienza della giustizia civile, dall’altro lato la stessa intaccava un istituto cardine inerente la funzione giurisdizionale[7] consacrato nella Costituzione all’art. 111, comma 6°, essendo la motivazione diretta a giustificare la correttezza della decisione e a dimostrare il rispettodei princìpi che presiedono all’esercizio della funzione giurisdizionale, quali il diritto di difesa, il principio di subordinazione del giudice alla legge ed il principio d’indipendenza ed imparzialità del giudice. A ben vedere, infatti, la collocazione sistematica dell’obbligo di motivazione nel titolo concernente le «norme sulla giurisdizione» e la relazione biunivoca tra provvedimento giurisdizionale e motivazione[8] sono indici incontrovertibili dell’inerenza della motivazione alla funzione giurisdizionale al punto che una decisione i cui motivi non siano documentalmente estrinsecati nella motivazione dovrebbe essere, inevitabilmente, ritenuta una sentenza inesistente[9].

2.1. Le funzioni della motivazione e loro essenzialità per la verifica dell’esercizio del potere giurisdizionale e dell’esatta applicazione della legge.

Va peraltro rimarcato che l’istituto della motivazione, oltre a rispondere all’esigenza democratica di giustificare razionalmente l’uso del potere di fronte all’opinione pubblica (i.e. funzione extraprocessuale[10]), è finalizzata a consentire alle parti di valutare la correttezza della pronuncia, nonché di percepire e censurare i vizi della sentenza con i rimedi interni al processo, ossia attraverso il sistema delle impugnazioni (i.e. funzione endoprocessuale).

Ora, ai fini della compiuta esplicazione della funzione endoprocessuale è necessaria la presenza di una motivazione effettiva, che non sia mera affermazione di un postulato, ma sia una spiegazione logica delle ragioni poste a fondamento della decisione. A riguardo, in dottrina, si parla di ragionamento giustificativo[11] per evidenziare i caratteri di logicità, completezza e coerenza che la motivazione deve avere, affinché le parti possano comprendere la ratio decidendi, seguire l’iterlogico della decisione e verificare la esatta applicazione della legge. La motivazione diventa quindi tramite e garanzia per l’impugnazione in quanto è da essa che emergono le eventuali difformità del diritto affermato nella sentenza dalla legge disciplinante quello stesso diritto[12], il mancato rispetto delle norme della procedura ed anche gli eventuali vizi del discorso giustificativo del giudice[13].

2.2. Il nodo del vaglio di compatibilità della motivazione a richiesta con i princìpi costituzionali: il rapporto tra motivazione e giurisdizione.

L’analisi dell’istituto della motivazione a richiesta e a pagamento presuppone, quindi, un vaglio di compatibilità con i richiamati princìpi costituzionali.

In primo luogo si osserva che condizionare il diritto delle parti ad ottenere la motivazione della decisione ad una specifica richiesta urta contro la garanzia costituzionale dell’obbligatorietà della motivazione[14]: è bene, infatti, rammentare che l’art. 111, comma 6°, Cost. stabilisce che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati indipendentemente dalla richiesta delle parti.

Inoltre, tale analisi si intreccia indissolubilmente con la delicata e complessa questione del rapporto tra motivazione e giurisdizione. Difatti, se si ritiene che la motivazione inerisce all’essenza della funzione giurisdizionale[15], difficilmente l’istituto della motivazione a richiesta potrà essere considerato costituzionalmente legittimo, perché, impedendo l’attuazione del diritto di difesa, del principio di subordinazione del giudice alla legge e del principio d’indipendenza ed imparzialità del giudice, entra inevitabilmente in contrasto con l’art. 111, comma 6°, Cost. Diversamente, se si aderisce a quella linea di pensiero secondo cui la motivazione attiene al modo di esercizio della funzione giurisdizionale, rappresentando «una forma organizzatoria della giurisdizione interna dello Stato»[16], l’istituto in commento può essere considerato compatibile con la previsione dell’art. 111, comma 6°, Cost., in quanto non nega l’attuazione di un diritto processuale fondamentale, ma si limita a subordinarlo alla richiesta delle parti e lo differisce ad un momento successivo a quello dell’emanazione della decisione[17].

2.3. Tesi a favore della motivazione a richiesta. Osservazioni critiche.

Vi è, inoltre, in dottrina chi ha ritenuto che l’istituto della motivazione a richiesta sia compatibile con i principi costituzionali e ciò sulla scorta dell’argomento secondo cui che il nostro ordinamento già conosce meccanismi di attuazione eventuale e differita  di una garanzia costituzionale, quali ad esempio i procedimenti monitori con riferimento al principio del contraddittorio. In quest’ordine di idee, sarebbe costituzionalmente legittima la previsione che sollevasse i giudici di primo grado dal motivare la sentenza, purché venisse comunque riconosciuta alla parte la possibilità di conoscere la motivazione della decisione, su richiesta e in una fase successiva all’emanazione del provvedimento decisorio[18]. Altri, invece, ammettono la legittimità costituzionale dell’istituto in commento a condizione che ne venga limitata l’operatività ad «un campo di azione predeterminato, che andrebbe precisato mediante l’individuazione di materie nelle quali sia normalmente molto scarsa l’incidenza extraprocessuale della motivazione e relativamente basso il tasso di impugnazione»[19].

Al di là delle considerazioni in ordine alla difficoltà di concepire una graduazione della c.d. incidenza extraprocessuale della motivazione, tali opinioni non paiono idonee a superare i dubbi di legittimità sopra esposti, giacché come visto l’art. 111, comma 6°, Cost. stabilisce che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati e ciò indipendentemente dalla richiestadelle parti. Inoltre, non si può negare che la motivazione a richiesta comporta comunque ed inevitabilmente la compressione della funzione extra-processuale della motivazione e ciò anche in quelle materie in cui siffatta funzione avrebbe in thesi un’incidenza sì scarsa, ma comunque non del tutto inesistente. Difatti, il controllo esterno sulle ragioni della decisione e sul rispetto del principio di legalità non ha modo di esplicarsi al di fuori dei casi in cui le parti richiedono la motivazione, non rinunciando ad essa.

3.  Il vaglio di compatibilità con l’art. 6 CEDU per come interpretato dalla Corte EDU.

Un breve cenno va, inoltre, fatto alla questione relativa alla conciliabilità dell’istituto della motivazione a richiesta con la garanzia del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU. In particolare e sebbene la predetta norma non faccia espresso all’obbligatorietà della motivazione, la Corte di Strasburgo ha avuto modo di affermare che una decisione giurisdizionale che incide su diritti soggettivi non può essere totalmente sprovvista di motivazione, comportando tale mancanza la violazione dell’art. 6 CEDU[20]. E se ciò ovviamente non significa che il giudice nazionale debba rispondere dettagliatamente ad ogni singolo argomento prospettato dalle parti[21], significa comunque affermare che il giudice debba adeguare l’estensione ed il contenuto della motivazione alla natura della causa oggetto di decisione ed alle circostanze del caso di specie[22], essendo pertanto comunque necessaria la sussistenza della motivazione[23].

4. Le problematiche interpretative poste dal quiescente art. 2, comma 1°, lett b), n. 1, d.d.l. A.C. n. 2092/2014.

Ad ogni buon conto, va rilevato che il tentativo di riforma di cui art. 2, comma 1°, lett b), n. 1, d.d.l. A.C. n. 2092/2014 aveva nondimeno l’effetto di imporre alle parti di pagare per vedere attuato un obbligo costituzionale[24]. Infatti chi avesse voluto conoscere la ratio decidendisarebbe stato comunque costretto a pagare una quota del contributo unificato dovuto per l’appello, a nulla rilevando la circostanza che la richiesta fosse fatta al solo fine di ottenere la motivazione e non anche per quello di censurare la decisione dinanzi al giudice superiore. Non pare, quindi, che tale proposta potesse essere ritenuta conciliabile con il sistema delle garanzie costituzionali in materia di motivazione.

4.1. Chi avrebbe «pagato» la motivazione?

A tal proposito, si osserva che si sarebbe certamente delineato anche il problema relativo al pagamento della motivazione, e ciò sia con riguardo alla determinazione della quota del contributo unificato da versare e sia con riguardo all’individuazione  del soggetto tenuto al versamento di detta quota del contributo unificato nei casi di soccombenza reciproca o di pluralità di soccombenti[25]. Nondimeno, la dottrina ha attentamente rilevato che il legislatore delegato avrebbe dovuto ugualmente risolvere la questione relativa alla configurabilità del dovere della parte che ha ottenuto la motivazione di portarla a conoscenza delle altre parti[26].

4.2. Dispositivo corredato e motivazione in fatto.

Si poneva inoltre la questione relativa alla motivazione del giudizio di fatto: il «dispositivo corredato» soddisfaceva l’art. 111, co. 6, Cost., specie in presenza di fatti controversi.

A tal proposito e con particolare riguardo al contenuto del cosiddetto «corredo del dispositivo», preme sottolineare che indicare i fatti e le norme che delimitano l’oggetto dell’accertamento significherebbe elencare tali fatti e tali normee non giustificare – razionalmente – l’affermazione intorno all’esistenza o all’inesistenza dei medesimi fatti al caso di specie; tanto più se detta indicazione fosse addirittura limitata aisoli fatti principali(costitutivi, impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto controverso), senza nemmeno menzionare ifatti secondari utilizzati dal giudice al fine di inferirne l’esistenza o l’inesistenza dei primi.

Così, ad esempio, nel caso in cui fosse stata proposta (in via principale) querela di falso avverso una scrittura privata autenticata in data 19 marzo 2014 da Caio che tuttavia affermava di non aver mai sottoscritto la detta scrittura, il giudice ben avrebbe potuto corredare il dispositivo dall’indicazione del fatto che Caio non avesse sottoscritto la scrittura impugnata (i.e.fatto principale), senza invece specificare che il convincimento intorno all’esistenza del fatto principale (i.e.il non aver firmato l’atto) fosse stato raggiunto attraverso un ragionamento presuntivo facente leva sul fatto che il 19 marzo 2014 Caio si trovava in un altro luogo (i.e. da un fatto storico secondario).

Peraltro, la mera indicazione dei fatti decisivi diviene insufficiente quando tali fatti sono controversi. Difatti, in tali casi il convincimento del giudice intorno all’esistenza od inesistenza del fatto è frutto della valutazione critica delle prove, ovvero del giudizio di fatto, e pertanto al fine di consentire alle parti il controllo della ragionevolezza del comando[27] sarebbe opportuno pretendere per lo meno l’indicazione dei mezzi di prova su cui il giudice ha fondato il suo convincimento. Peraltro, siffatta previsione entrerebbe in contrasto con il principio costituzionale del diritto di difesa, che impone che ogni fatto di cui è controversa l’esistenza o l’inesistenza deve essere oggetto di prova e di giudizio, nel senso che le parti devono poter dimostrare l’esistenza o l’inesistenza del fatto attraverso la deduzione di prove ed il giudice deve decidere del modo di essere del suddetto fatto sulla base delle prove proposte dalle parti o disponibili d’ufficio. In quest’ordine di idee è chiaro che la motivazione non può consistere solo nell’affermazione dell’esistenza o dell’inesistenza del fatto decisivo, ma deve anche contenere la giustificazione di tale affermazione con specifico riferimento alle prove sulle quali il giudice ha fondato il proprio convincimento[28].

Risulta infatti evidente che «far capire di che cosa si occupa il dispositivo» non equivale a motivare la decisione[29]. Ed è altrettanto evidente che di tal guisa per le parti viene meno tanto la possibilità di comprendere le ragioni della decisione, quanto la possibilità di verificare il rispettodel diritto di difesa, la corretta applicazione della legge ed il legittimo esercizio del potere giurisdizionale. Sicché anche sotto il profilo del contenuto del cosiddetto «corredo del dispositivo», l’istituto della motivazione a richiesta e a pagamento entrava inevitabilmente in conflitto con la garanzia di cui all’art. 111, comma 6°, Cost.

4.3. Dispositivo corredato e motivazione in diritto.

Analoga questione si poneva con riguardo alla previsione secondo cui il dispositivo doveva contenere l’elenco delle norme che fondano la decisione, essendo necessario stabilire se il dispositivo con corredo fosse compatibile con l’obbligo di motivazione in diritto ex art. 111, co. 6, Cost.

In proposito, occorre preliminarmente rammentare che la parte in diritto della motivazione è espressione dell’opera di individuazione, interpretazione ed applicazione di una norma giuridica ai fatti accertati e pertanto rappresenta un momento fondamentale per il rispetto della legge e, quindi, per la realizzazione del principio di legalità. In quest’ordine di idee la compressione delle ragioni giuridiche che fondano la decisione in una mera elencazione di norme non poteva che suscitare più di qualche perplessità.

4.4. Cosa significava che il dispositivo corredato avrebbe avuto valore di «sentenza a tutti gli effetti?

Con particolare riguardo alla delimitazione dell’oggetto dell’accertamento, ci si chiedeva peraltro se il dispositivo della decisione non impugnata ed il relativo «corredo» sarebbero stati atti a passare in giudicato. Nondimeno e specie qualora la sentenza avesse statuito su domande cumulate, si sarebbe configurato anche il problema della delimitazione dell’esatta portata della decisione (e ciò soprattutto nei casi in cui la pronuncia si basa sul criterio della ragione più liquida[30]), della rilevabilità dell’omissione di pronuncia, dell’inosservanza degli artt. 276 e 279 c.p.c. in materia di ordine di trattazione delle questioni, nonché della esatta determinazione dell’ambito oggettivodella cosa giudicata[31].

Si profilava inoltre l’interrogativo relativo alla possibilità di considerare il provvedimento sprovvisto di motivazione alla stregua di una sentenza non impugnabile avverso la quale fosse esperibile ilricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. Ricorribilità per cassazione che, a detta della dottrina, andava esclusa sulla base dell’argomento secondo cui l’impugnazione della sentenza non era affatto esclusa, ma solo subordinata al conseguimento della sentenza completa della motivazione[32]. Fermo restando che, de iure condendo, il legislatore del tentativo di riforma avrebbe potuto prevedere la possibilità di impugnare con riserva dei motivi il dispositivo corredato.

Nulla ostava, invece, alla configurabilità della possibilità di impugnare il dispositivo corredato – ormai passato in giudicato – con l’opposizione di terzo e la revocazione straordinaria, essendo in tali ipotesi il rilievo del vizio inficiante la decisione sganciato dalla conoscenza della motivazione. Va tuttavia rilevata la pressoché impossibilità di rilievo del vizio di cui all’art. 395, comma 1, n. 2, c.p.c., stante l’assenza di indicazione nel dispositivo corredato delle prove su cui il giudice ha fondato la decisione.

Si affacciava poi il problema relativo al fatto che l’equiparazione del predetto dispositivo corredato alla sentenza di primo grado «a tutti gli effetti» comportasse l’immediata esecutività del dispositivo (almeno di contenuto condannatorio) sulla scorta di quanto già previsto dall’art. 431c.p.c. in materia di sentenze rese a favore del lavoratore. Interrogativo quest’ultimo che ha ricevuto risposta favorevole da parte della dottrina, la quale ha tuttavia negato la possibilità per le parti di chiedere l’inibitoria[33].

4.5. Quali attività avrebbe dovuto compiere e quali poteri avrebbe avuto il giudice a cui fosse stata richiesta la motivazione?

Sul punto deve ritenersi che il dispositivo corredato, una volta emesso, non potesse di certo essere modificato, avendo il giudice esaurito il proprio potere decisorio e avendo pertanto il solo potere-dovere di redigere la motivazione. Ne sarebbe derivata quindi l’impossibilità per il giudice di rimediare ad errori, di rilevare questioni di fatto o di diritto non precedentemente rilevate (e ciò nemmeno nei casi delle c.d. «questioni decise in funzione esplicativa/giustificativa del precedente decisum[34]).

Ci si chiedeva, inoltre, quale sarebbe stato invece il rimedio avverso il mancato tempestivo deposito della motivazione. Sul punto, la dottrina ha escluso la possibilità di sostituire il magistrato inadempiente (il quale sarebbe peraltro probabilmente incorso nella responsabilità di cui all’art. 2, l. 117/1988), ammettendo invece la convertibilità del dispositivo in provvedimento appellabile[35]. Se, almeno a prima lettura, non si sarebbe posto il problema dell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine lungo per l’impugnazione, posto che lo stesso sarebbe decorso dal momento della c.d. conversione del dispositivo corredato in provvedimento impugnabile ossia allo scadere del termine previsto per il deposito della motivazione, maggiori problematiche si sarebbero invece poste in ordine alla formulazione dei motivi specifici di appello, non essendo agevole l’individuazione dei vizi del provvedimento impugnato. Analogamente complessa sarebbe stata l’esatta individuazione dell’oggetto dell’appello né tantomeno appare chiaro come avrebbe potuto operare l’istituto della riproposizione ex art. 346 c.p.c.

4.6. E la motivazione a richiesta avrebbe veramente avuto funzione deflattiva?

A nostro avviso non si può convincentemente sostenere che l’istituto della motivazione a richiesta della sentenza di primo grado avrebbe realmente avuto efficacia deflattiva dei giudizi di impugnazione. E ciò per il semplice fatto che una delle ragioni che portò alla codificazione dell’obbligatorietà della motivazione nell’ordinamento francese faceva proprio leva sul carattere dissuasivo della motivazione, essendo quest’ultima idonea a far scemare il numero di appelli, che venivano spesso proposti dalle parti al mero fine di conoscere la ratio decidendi della sentenza[36].

5. Brevissime osservazioni conclusive.

Alla luce di tali brevi osservazioni e a fronte del nocumento manifesto al diritto di difesa delle parti e dello svuotamento sostanziale di quella che è la garanzia contro le decisioni arbitrarie[37], non si può che salutare con favore la scelta di lasciare quiescente il d.d.l. n. 2092/2014 il quale di fatto eliminava «il segno più importante e più tipico della ‘razionalizzazione’ della funzione giurisdizionale»[38].


[1] Il seguente contributo riproduce gran parte di quanto scritto e pubblicato nell’ambito del saggio F. Porcelli, Le Novità in materia di motivazione della sentenza, in C. Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche. Le riforme del quinquennio 2010-2014, con il coordinamento di G. Ruffini, Torino, 2015, 95 ss.

[2]  In argomento e per i primi commenti a questa disposizione, cfr. B. Capponi, A prima lettura sulla delega legislativa al governo «per l’efficienza della giustizia civile», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 361 ss.; M. Taruffo, Addio alla motivazione?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 375 ss., spec. 383; G. Tota, Motivazione “a richiesta” nel” nel processo civile, in Giusto proc. civ., 2014, 613 ss.

[3] B. Capponi, A prima lettura (…), cit., 365.

[4] Tale tentativo di riforma delineava plurimi dubbi interpretatici. Non era chiaro, infatti, se nella categoria dei fatti decisivi rientrassero, oltre ai fatti principali, anche i fatti secondari e se l’obiettivo del legislatore fosse quello di circoscrivere il contenuto della motivazione alla mera esposizione dell’esistenza o dell’inesistenza dei fatti decisivi controversi e non anche la giustificazione di tale affermazione con specifico riferimento alle prove sulle quali il giudice ha fondato il proprio convincimento. Suscitava inoltre perplessità la compressione delle ragioni giuridiche che fondano la decisione in una formula generale dai contorni vaghi quale quella dei «principi di diritto». Infatti, voler ritenere che non sia necessario enunciare le norme di leg­ge da cui sono desunti i princìpi di diritto sui quali si fonda la decisione, come avevano stimato di fare i conditores legum quando hanno eliminato l’obbligo del giudice di indicare le norme di legge (art. 79 d.l. 21 giugno 2013, n. 69), si­gnificherebbe ammettere la legittimità della motivazione apparente sul punto di diritto, in chiara violazione degli artt. 24, 101 e 111, comma 6°, Cost. (in questo senso si veda M. Taruffo, Addio motivazione (…), cit., 379). Senza contare che la possibilità di rinviare a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa comportava il rischio elevato di frammentazione e dispersione della ratio decidendi in plurimi atti (fermo restando che tale tecnica non avrebbe potuto essere legittimamente impiegata per la ricostruzione della fattispecie storica o per l’individuazione della legge regolatrice del caso concreto). In argomento, sia consentito a quanto più approfonditamente osservato nel precedente lavoro F. Porcelli, Le Novità in materia di motivazione (…), cit., 100.

[5] C. Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche,Torino, 2009, vol. I, § n. 2.4.

[6] F. Santangeli, La motivazione della sentenza civile su richiesta e i recenti tentativi di introduzione dell’istituto della «motivazione breve» in Italia, in www.judicium.it, 2011, 29 ss.

[7] G. Monteleone, Riflessioni sull’obbligo di motivare le sentenze (motivazione e certezza del diritto), in Giusto proc. civ. 2013, p. 1 ss., spec. p. 16; S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, vol. I, Milano 1959, 498 ss., spec. 500. Ma cfr. anche V. Andrioli, Inesistenza della sentenza(nota a Cass. civ., 2 aprile 1949, n. 778), in Foro,1950, I, p. 552, spec. p. 554; M. Taruffo, La motivazione della sentenza civile,Padova, 1975, p. 411 ss.

[8] Siffatta correlazione deriva dalla formulazione dell’art. 111 della Costituzione, laddove al comma sesto stabilisce che «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati».

[9] S. Satta, Commentario (…), cit., 500.

[10] M. Taruffo, La motivazione della sentenza civile, Padova, 1975, 775 s.; I. Andolina, G. Vignera, Fondamenti costituzionali della giustizia civile, Torino, 1997, 192 ss.

[11] Cfr. per tutti, M. Taruffo, La motivazione della sentenza civile, cit., 215 ss.; per un’attenta analisi della differenza tra «contesto decisorio» e «contesto giustificativo» cfr. anche R. Poli, Le modifiche in materia di ricorso per cassazione, in C. Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche. Le riforme del quinquennio 2010-2013, Torino 2015, p. 283 ss.

[12] C. Punzi, Giudizio di fatto e giudizio di diritto, vol. I,Milano 1963, 146.

[13] In particolare, su quest’ultimo aspetto, la recente riforma dei motivi di ricorso per cassazione ha eliminato la possibilità di censurare i vizi logici della motivazione e con essa «la possibilità di verifica di quella miriade di giudizi la cui rap-presentazione nella sentenza forma la base della piramide sulla quale si assidono ricognizione ed interpretazione della norma» B. Sassani, La logica del giudice e la sua scomparsa in Cassazione,in Riv. trim. dir. proc.,2013, 639 ss., 640. invero, il controllo della sufficienza logica della motivazione (anche rispetto alle risultanze istruttorie), lungi dal comportare un’autonoma rivalutazione della ricostruzione del fatto, risponde all’esigenza di garantire alle parti il controllo di legalità della decisione in riferimento all’osservanza delle regole che presiedono all’accertamento dei fatti e alla formazione del convincimento. In particolare, la verifica della corrispondenza tra contenuto della motivazione e risultati del materiale probatorio assicura le parti contro le decisioni arbitrarie in cui il fatto è «adattato» alla norma giuridica, cfr. Andolina, G.Vignera, Fondamenti costituzionali (…), cit., 202 ss. Si è già avuto modo di muovere tale osservazione in F. Porcelli, Sul vizio di omesso esame circa un fatto decisivo, nota a Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, in Riv. dir. proc.,2014, 1594 ss., spec. 1604. 

[14] M. Taruffo, Addio alla motivazione?, cit., 385.

[15] G. Monteleone, Riflessioni sull’obbligo di motivare (…), cit., 16; S. Satta, Commentario(…), 500.

[16] F. Santangeli, La motivazione della sentenza civile su richiesta (…), cit., 16.

[17] F. Santangeli, La motivazione della sentenza civile su richiesta (…), cit., 11.

[18] S. Chiarloni, Valori e tecniche dell’ordinanza di condanna ad istruzione esaurita ex art. 186 quater c.p.c., in Riv. Trim. dir. proc. civ. 1996. p. 519 e ss.; Id., Giusto processo, garanzie processuali, giustizia della decisione, in Riv. Dir. proc. civ., 2008, 129 e ss. Per l’opinione secondo cui l’istituto in commento aumenterebbe la produttività dei magistrati cfr. G. Verde, Giustizia e garanzie nella giurisdizione civile, in Riv. Dir. proc., 2000, 310.

[19] F. Toffoli, Considerazioni sulla compatibilità del procedimento per ingiunzione (e delle ipotesi della motivazione della sentenza a richiesta di parte) con l’art. 111 Cost., in Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di Maria Giuliana Civinnini e Carlo Maria Verardi, Milano, 2007, p. 296-297.

[20] CEDH, Higgins et alii c. France, 19 febbraio 1998, ricorso n° 20124/92.

[21] CEDH, Van de Hurk c. Pays-Bas, 19 aprile 1994, ricorso n° 16034/90.

[22] CEDH, Ruiz Torija e Hiro Balani c. Spagna, 9 dicembre 1994, ricorso n° 18390/91; CEDH, Hiro Balani c. Spagna, 9 dicembre 1994, ricorso n° 18064/91.

[23] Contra e per l’opinione secondo cui l’istituto della motivazione a richiesta non contrasterebbe con l’art. 6 CEDU, essendo ineludibile ai sensi di tale norma, non è la presenza della motivazione nel testo della sentenza, «quanto l’effettività, nel caso concreto, della tutela delle garanzie fondamentali di cui essa è presidio» cfr. F. Santangeli, La motivazione della sentenza civile su richiesta (…), cit., 11.

[24] Per l’idea secondo cui l’operatività in chiave deflattiva dell’istituto della motivazione a richiesta sarebbe stata assicurata da una previsione che subordinasse la richiesta della motivazione «al pagamento di un costo, magari tramite versamento di un contributo unificato al momento della richiesta o il pagamento di diritti allorquando si estragga copia della sentenza motivata» cfr. F. Santangeli, La motivazione della sentenza civile su richiesta (…), cit., 13.

[25] M. Taruffo, Addio alla motivazione?, cit., 385.

[26] M. Taruffo, Addio alla motivazione?, cit., 385.

[27] P. Calamandrei, Processo e democrazia, in Opere giuridiche,vol. I, Napoli 1965, 628 ss., spec. 664.

[28] S. Evangelista, voce Motivazione (motivazione della sentenza civile), in Enc. dir., vol. XVII, Milano 1977, 154 ss., spec. 162 s.; M. Taruffo, voce Motivazione (motivazione della sentenza civile – controllo della –), in Enc. dir., Agg., vol. III, Milano 1999, 772 ss., spec. 778.

[29] M. Taruffo ,Addio alla motivazione?, cit., 385.

[30] F. Santangeli, La motivazione della sentenza civile su richiesta (…), cit., 23.

[31] B. Capponi, A prima lettura sulla delega legislativa (…), cit., 361 ss.; 368; G. Tota, Motivazione “a richiesta”(…), cit., 622.

[32] G. Tota,Motivazione “a richiesta”(…), cit., 622.

[33] G. Tota ,Motivazione “a richiesta”(…), cit., 626.

[34]Contra G. Tota, Motivazione “a richiesta”(…), cit., 627, che ritiene che i nuovi contenuti percettivi non siano manifestazione del potere decisorio in senso proprio, ma mera esplicitazione di una decisione già assunta nel momento della redazione del dispositivo.

[35] G. Tota, Motivazione “a richiesta”(…), cit., 627.

[36] LE BARS T., Le défaut de base légale en droit judiciaire privé, Paris, 1997, spec. p. 19 ss.

[37] C. Punzi, Giudizio di fatto (…), cit., 145 s.

[38] P. Calamandrei, Processo e democrazia, in Opere giuridiche,vol. I, Napoli 1965, 628 ss., spec. 664.

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