Schede CEDU – Compensazione pecunaria per trattamento inumano (Magi)

[CLASSIFICAZIONE] 

responsabilità dello Stato per detenzione in condizioni inumane o degradanti – azione del soggetto titolare del diritto alla prestazione compensativa  – natura giuridica del rimedio introdotto con d.l. n.92/2014 – decorrenza della prescrizione 

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione artt. 24 e 27 ;

Convenzione Edu art. 3 ;

Legge n.354 del 1975 e succ. mod. : art. 35ter(introdotto con d.l. n.92 del 26.06.2014)

Codice civile: artt. 2934 e 2935 . 

[SENTENZA SEGNALATA]

Cassazione Sezioni Unite Civili n.11018 del 30.01.2018, dep. 8.5.2018, Ministero della Giustizia / Omissis .

Diritto alla compensazione economica per il pregiudizio derivante da trattamento inumano o degradante – natura giuridica indennitaria della compensazione economica – novità strutturale del rimedio – applicabilità alle violazioni della convenzione Edu antecedenti alla introduzione dell’azione – assenza di prescrizione per tali violazioni – prescrizione decennale per le violazioni successive.

Abstract

Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la decisione che si segnala, hanno affrontato e deciso due quesiti in diritto di particolare importanza, posti dalla III Sezione Civile della Corte con ordinanza del 10 aprile 2017, in relazione alla particolare azione introdotta nell’ordinamento italiano con il d.l. n.92 del 26.06.2014 di modifica dell’ordinamento penitenziario (rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nei confronti dei soggetti detenuti o internati).

La prima questione affrontata è quella in tema di prescrizione per i pregiudizi sofferti prima del 28 giugno 2014 (data di vigenza del citato d.l. n.92).

Le Sezioni Unite hanno affermato, sul punto, che la novità del rimedio introdotto nel 2014- finalizzata a definire anche le situazioni pregresse- (rispetto alla azione preesistente, modellata sulla norma generale di cui all’art.2043 cod.civ.) è tale da configurare una radicale autonomia strutturale del medesimo, il che giustifica da un lato la conclusione della sua retroattività, dall’altro l’assenza di prescrizione per tale categoria di pregiudizi (antecedenti al 28 giugno 2014).

Quanto al tema della natura giuridica, le Sezioni Unite ribadiscono orientamenti già emersi in ambito penale, tesi ad affermare la natura indennitaria del rimedio compensativo pecuniario, nonostante l’indicazione nominativa in termini di risarcimento contenuta nella disposizione di legge. Viene altresì precisato che da tale inquadramento in diritto deriva che il diritto del detenuto è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale, per le lesioni verificatesi a far data dal 28 giugno 2014, con maturazione per ogni giorno di trattamento degradante subìto.

1. La decisione delle Sezioni Unite Civili si pone in sostanziale continuità con gli orientamenti emersi – in sede penale – sui temi trattati, sia pure con alcune rilevanti precisazioni.

1.1 Va evidenziato che la stessa investitura delle Sezioni Unite, da parte della Terza Sezione Civile, non è derivata dalla esistenza di un contrasto interpretativo delle disposizioni coinvolte, quanto dalla «particolare importanza» dei temi in esame (tra loro correlati), vista la peculiarità della nuova normativa e la necessità di chiarire aspetti (come quelli della natura giuridica e della prescrizione del diritto) da cui derivano conseguenze di particolare rilievo sul piano della estensione oggettiva e della stessa «effettività complessiva» del rimedio, introdotto in virtù di espressa richiesta da parte della Corte Edu  anche per definire le situazioni pregresse, motivata dalla constatata assenza di rimedi preventivi e compensativi idonei a scongiurare la protrazione del fenomeno del sovraffollamento carcerario in Italia (caso Torreggiani ed altri contro Italia, Sez. II, decisione 8 gennaio 2013).

1.2 In particolare, l’ordinanza di rimessione poneva l’accento sulla necessità di chiarire se alla avvenuta previsione di un termine decadenziale (di cui all’art. 35 ter comma 3, nonchè, in sede di disciplina transitoria, all’art.2 co.1 d.l. n. 92/2014) potesse ricollegarsi, come conseguenza, l’assenza della prescrizione del diritto, come ritenuto – nel caso della legge Pinto per violazione del termine di ragionevole durata del processo – da Sezioni Unite n. 16783 del 2.10.2012 (decisione con cui le S.U. civili hanno ritenuto che la previsione della sola decadenza, decorrente dal momento del passaggio in giudicato della decisione emessa nel giudizio presupposto, esclude la decorrenza dell’ordinario termine di prescrizione).

Veniva altresì sollecitata una – inevitabile – presa di posizione sulla natura giuridica della posizione attiva, così come delineata dal legislatore, e sulla «retroattività o meno» del particolare diritto, anche in rapporto alla tesi sostenuta dall’Avvocatura dello Stato, tesa a prospettare la «continuità» tra il rimedio introdotto nel 2014 e la precedente azione generale risarcitoriaexart.2043 cod.civ. .

2. Le Sezioni Unite, nella decisione in rassegna, optano per la natura indennitaria del rimedio compensativo da detenzione non conforme ai parametri convenzionali del trattamento detentivo (nella sua duplice alternativa di detrazione dellapena o attribuzione di una utilità economica, nei casi previsti dalla legge) sulla base di una pluralità di indicatori contenutistici e sistematici, a conferma del fatto che ad essere rilevante non è il nomen attribuito dal legislatore (che parla, come si è detto, di risarcimento) quanto le caratteristiche concrete dello strumento introdotto (v. sul tema, tra le molte,  Sez. I pen., n. 831/2017 ric. Carriola) .

2.1 In tal senso, come già affermato in numerosi arresti intervenuti in sede penale (Sez. I pen., n. 876/2016 ric. Ruffolo; Sez. I n. 31475/2017, ric. Min. Giust. in proc. Zito) rileva la finalità complessiva perseguita dalla legge, del tutto eccentrica rispetto alla ordinaria dinamica risarcitoria e consistente in una reazione dell’ordinamento alla «illegalità convenzionale» del trattamento detentivo, il che porta a ritenere che il legislatore abbia introdotto uno strumento di riparazione della violazione atipico, con carattere indennitario e di matrice solidaristica, sì da rispondere con il maggior grado di effettività possibile (ai sensi dell’art. 13 Conv. Eur.) ad un comando di legislazione, teso alla introduzione di adeguate forme di riparazione della lesione subìta, scaturito dalla decisione emessa dalla CEDU nel noto caso Torreggiani ed altri.

In tale direzione le Sezioni Unite valorizzano non solo l’assoluta novità rappresentata dalla possibile detrazione di pena ancora da scontare (lì dove la domanda venga proposta in costanza di detenzione) ma anche il carattere di «fissità» del rimedio pecuniario (lì dove la detenzione sia cessata o in altri casi di impossibile detrazione di pena, come precisato da Corte Cost. n.204/2016 e n. 83/2017), sganciato da una concreta dimensione risarcitoria : «.. il legislatore si è mosso in una logica di forfetizzazione della liquidazione, che considera solo l’estensione temporale del pregiudizio, senza nessuna variazione in ragione della sua intensità e senza alcuna considerazione delle eventuali peculiarità del caso. Manca il rapporto tra specificità del danno e quantificazione economica che caratterizza il risarcimento e manca ogni considerazione e valutazione del profilo soggettivo. ».

2.2 In tale parte della decisione si riafferma, pertanto, che il risarcimento del danno in senso proprio – in caso di lesione di un diritto fondamentale della persona – non tollera forfetizzazioni, dovendo essere integrale e commisurato all’insieme dei pregiudizi sofferti nella situazione concreta (tra le molte, Sez. L, n.9238 del 21.4.2011).

3. La prima conseguenza di tale inquadramento è quella di riaffermare la assoluta «novità» del rimedio, con netta discontinuità rispetto alla antecedente disciplina dell’illecito dell’Amministrazione risarcibile, in ipotesi, ai sensi degli artt. 2043 e 2059 cod.civ. (in tale direzione, nella previgente disciplina ritenuta inidonea dalla Corte Edu v. Sez. I pen., n. 4772/2013 ric. Vizzari) con rigetto della opzione interpretativa sostenuta dall’Avvocatura dello Stato in tema di prescrizione.

3.1 I due temi sono inevitabilmente correlati, posto che è la «novità» del rimedio a rendere applicabile, per i pregiudizi antecedenti al 28 giugno 2014 (comunque risarcibili) la disposizione di cui all’articolo 2935 cod.civ. (secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere).

In tal senso, anche in riferimento alla recente affermazione di tale principio contenuta nella decisione emessa di recente dalle Sezioni Unite penali, non preceduta da analisi della natura giuridica del rimedio (sent. n. 3775 del 21.12.2017, dep. 26.1.2018, ric. Min. Giustizia in proc. Tuttolomondo), le Sezioni Unite civili precisano che la disposizione in parola (art. 2935) prende in esame la «possibilità legale» di agire, non potendosi ritenere influenti situazioni di impossibilità di fatto.

Dunque la soluzione del quesito, da tale punto di vista, passa necessariamente per la primaquaestiodella attribuzione della natura giuridica. Ed è solo la «novità» del rimedio, avente natura indennitaria, a rendere applicabile la previsione dell’art. 2935 cod.civ. , posto che in caso di «continuità» di regime giuridico (e di antecedente possibilità, con mera semplifcazione delle regole procedurali) nessuna ragione in tale direzione poteva ritenersi esistente.

3.2  Ciò posto, la riconosciuta natura indennitaria del rimedio, se da un lato è fattore di avvicinamento sistematico tra la disciplina in esame e quella della riparazione per irragionevole durata del processo (legge Pinto), anche in virtù della comune matrice di riparazione di un danno avente matrice convenzionale, dall’altro non comporta – per le Sezioni Unite Civili – una piena assimilazione di disciplina, per quanto riguarda il rapporto tra prescrizione e decadenza (v. Sez. Un. n.16783 del 2.10.2012, già richiamata nei suoi contenuti).

Sul tema, la decisione in esame realizza, anche in rapporto alla diversità del fenomeno regolamentato, un diverso inquadramento, atteso che in via di principio «la prescrizione non è  incompatibile con la decadenza», il che porta ad evitare «sovrapposizioni ricostruttive, fonte di possibili confusioni».

Ciò porta le Sezioni Unite civili ad affermare che, nella disciplina in esame, nulla vieta – concettualmente – di ritenere il diritto del soggetto recluso in condizioni inumane o degradanti sottoposto alla prescrizione ordinaria decennale.

Viene tuttavia precisato il diverso atteggiarsi della prescrizione nelle diverse situazioni in concreto possibili, correlate alla condizione vissuta dal soggetto al momento di entrata in vigore della norma facoltizzante (28 giugno 2014) ed alla previsione legislativa di decadenze :

a) se il  pregiudizio è sofferto in periodo detentivo antecedente al 28 giugno 2014 non può essere soggetto a prescrizione, con decorrenza della medesima solo a far data dal 28 giugno 2014 in avanti . In tale ipotesi, se il soggetto resta in vinculis non incorre in alcuna decadenza (non prevista dalla legge) e può proporre la domanda nell’ordinario termine di prescrizione decennale (termine che, a far data dal 28 giugno 2014, ove la condotta inosservante della Convenzione sia ancora in atto, decorre giorno per giorno);

b) se il soggetto alla data del 28 giugno 2014 aveva terminato di espiare la pena (o si trovava in stato di libertà successivo a custodia non computabile), ferma restando l’assenza di prescrizione per i periodi antecedenti, la domanda giudiziale è sottoposta all’operare della decadenza (termine di sei mesi a far data dal 28 giugno 2014) ;

c) nella disciplina a regime, la prescrizione ordinaria decennale decorre in costanza di detenzione, senza previsione alcuna di decadenza; lì dove il soggetto termini la espiazione la sua domanda è, inoltre, sottoposta al termine decadenziale dei sei mesi per le violazioni che non risultino già prescritte (v. par. 59 della decisione in esame).

4. La decisione in rassegna se da un lato tratta, confermando i contenuti dei principali arresti antecedenti, alcuni dei principali quesiti in diritto sorti dopo l’emanazione del d.l. n. 92 del 2014, dall’altro lascia aperti alcuni interrogativi ulteriori.

4.1 Tra questi, ferma restando la definizione dell’ampiezza dell’arco temporale di possibile applicazione «retroattiva» delle nuove disposizioni (secondo la prevalente interpretazione emersa in sede penale è indennizzabile ogni pregiudizio sofferto a far data dalla entrata in vigore della legge n.848 del 4.8.1955, di ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) va indicato il tema relativo alla «fissità» dell’indennizzo (pari ad otto euro per ogni giorno di pregiudizio) ed alla sua capacità di rappresentare un ristoro conforme a ragionevolezza, in una con il tema della eventuale azione per la liquidazione del maggior danno effettivamente sofferto.

La decisione affronta in modo espresso il primo dei due interrogativi, affermando (al par. 53) che, nella logica dell’indennizzo, la stessa Corte Edu nella decisione Stella contro Italia del 16.9.2014 lo ha ritenuto, in rapporto alla sua entità monetaria, «non irragionevole» ed in ciò finendo con il recepire tale valutazione.

Trattasi, peraltro, di un punto della decisione collaterale ma al contempo estraneo al principio di diritto affermato, il che rende possibili letture diverse, anche in chiave di controllo di costituzionalità.

Nulla si afferma, per converso, sul tema della prova del maggior danno eventualmente sofferto dal soggetto destinatario del trattamento inumano o degradante, aspetto che tendenzialmente non può dirsi precluso dalla esistenza di una azione come quella introdotta dal legislatore del 2014, specie nella dimensione qui esaminata (si veda, sulla possibile concorrenza delle due azioni, quanto affermato da Sez. VI-III civ. n.20111 del 24.9.2014, intervenuta sul tema del danno da emotrasfusione, con rilevabilità ex officio della eventuale compensatio lucri cum damno) .

La conclusione raggiunta, nella decisione in esame, sulla «autonomia» dell’azione di cui all’art.35 terord.pen. pare, pertanto, sostenere la possibile concorrenza tra tale rimedio e quello risarcitorio «generalista» (con competenza funzionale del giudice civile), lì dove il destinatario del trattamento non conforme ai parametri convenzionali intenda dimostrare il maggior danno subìto in conseguenza di tale condotta dell’Amministrazione.