Se non ora, quando?

Le carte di Perugia, per chi avesse avuto ancora dubbi, ci invitano in via definitiva a fare i conti con la realtà e con noi stessi.

Un ‘noi’ collettivo che, come emerge quotidianamente, coinvolge tutto l’associazionismo giudiziario e tutti i gruppi associativi, nessuno escluso.

Unità per la Costituzione dal maggio 2019 ha subito affrontato la questione rivolgendo l’attenzione all’interno del gruppo, assumendo decisioni dolorose e doverose, evitando di rifugiarsi in un semplicistico “così fan tutti” e in posizioni autoassolutorie come quelle del “noi siamo diversi, noi siamo estranei”.

Eravamo convinti non solo della gravità di quanto emergeva, nel vedere l’esercizio di pubbliche funzioni piegato all’interesse individuale, ma della questione, ancor più grave e basilare, della crisi di sistema che quella patologia istituzionale e associativa esprimeva: una vera e propria eversione del sistema, con luoghi decisionali esterni al Consiglio.

Abbiamo, quindi, ritenuto nostro dovere iniziare un nuovo percorso ricostruttivo per dare avvio ad una fase costituente che rinnovasse non solo uomini, ma regole e deontologia associativa, declinasse l’identità culturale del gruppo, consapevolmente esponendoci a pagare un prezzo anche in termini elettorali. Sappiamo che non basta, ma abbiamo cominciato a farlo. Di questo (poco) siamo fieri.

L’indagine di Perugia ha svelato la debolezza delle correnti, non la loro forza, ha svelato il lobbismo, trasversale e sotterraneo, che ha occupato il vuoto lasciato da quella debolezza, nella quale sono stati riconosciuti e si sono proposti come interlocutori quanti non avevano alcuna responsabilità, né istituzionale né associativa.

Unità per la Costituzione ha subito più mutamenti dal maggio 2019 a oggi di quanto non sia accaduto nel corso della sua storia quarantennale, a cominciare da una scissione in dissenso con le scelte di rinnovamento che il gruppo ha compiuto.

Abbiamo tenuto un Congresso nel quale ci siamo detti che occorre cambiare. Vogliamo portare fino in fondo un percorso, per traghettare il gruppo verso una ‘cosa nuova’, che sappia declinare i valori della terzietà costituzionale e rendere la questione morale la prima questione, nella vita associativa e nella professione. Nessun gattopardismo.

L’oggi deflagra con la violenza delle chat virgolettate, palesa il correntismo, impone autocritica e coraggiosi passi in avanti, nella consapevolezza che sono il bene collettivo, la solidità dell’Istituzione magistratura e del Consiglio Superiore ad essere in gioco; un “gioco” che rischia di delegittimare non i singoli, ma l’intero ordine giudiziario e che mette quindi direttamente a rischio l’equilibrio declinato nella Carta costituzionale e l’indipendenza del singolo magistrato nell’esercizio concreto delle proprie funzioni.

La credibilità della magistratura italiana per colpa delle correnti, o meglio del correntismo, è messa a durissima prova. I gruppi associati ne hanno una responsabilità primaria che viene loro dalle regole della rappresentanza.

Il correntismo non sarà sconfitto  e ogni rinnovamento è destinato a restare parola vuota se non si opera per riforme concrete immediate e efficaci, che pongano rimedio alle cause di degenerazione del sistema.

  1. Il primo ambito di degenerazione è stato quello delle nomine per gli incarichi direttivi e semidirettivi, dalla cui procedura la riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006 ha troppo sbrigativamente sottratto ogni valore all’anzianità, così favorendo gli eccessi del carrierismo. Non si propone qui di tornare semplicemente all’anzianità senza demerito. Occorre però riconoscere il valore dell’esperienza che è nell’anzianità di servizio, innalzando in misura rilevante quella necessaria che legittima la partecipazione al concorso per i singoli incarichi, individuando criteri oggettivi di valutazione in relazione agli altri titoli posseduti dai candidati legittimati. Altri lo avevano già proposto in campagna elettorale, ma in sede consiliare nessuna riforma del testo unico della dirigenza è stata ancora attuata, neanche nei limiti consentiti dall’attuale legislazione primaria.
  2. Procedure più severe andranno previste per la conferma quadriennale di direttivi e semidirettivi, con l’obiettivo di realizzare un’istruttoria non di routine, non fondata soltanto su titoli formali, sull’autorelazione e sul parere del Capo dell’Ufficio.
  3. Altro ambito riguarda il collocamento fuori ruolo dei magistrati, che richiede trasparenza e comparazione, che sia valutabile anche da parte del CSM. A tal fine, va proposta la riduzione complessiva a cinque anni del termine massimo di collocamento in funzioni extragiurisdizionali, l’individuazione di titoli di esperienza ai quali subordinare l’autorizzazione e la creazione di un albo pubblico al quale i magistrati possano iscriversi e al quale sia possibile attingere.
  4. L’attuale sistema elettorale del CSM, nato per sconfiggere le correnti, ne ha accresciuto la forza, grazie al collegio unico nazionale. Occorre ripristinare la relazione di fiducia fra l’elettore e l’eletto, che non può essere mediata né da un gruppo associativo né dalla notorietà mediatica del singolo candidato e al tempo stesso deve garantire il pluralismo culturale, perché il CSM sia rappresentativo della totalità della magistratura italiana. Per il CSM non sussiste una esigenza di governabilità, una ragione che può giustificare la rinuncia al pluralismo. Al CSM non servono maggioranze precostituite, servono pluralismo e trasparenza.

Leggere le chat pubblicate è un esercizio sterile se non guardiamo al futurocon responsabilità, per costruirlo insieme e consegnarlo migliore a chi verrà. Facciamo appello al senso di responsabilità di tutti perché di questo si discuta tempestivamente, prima che sia troppo tardi.

Se non ora, quando?

      Il Presidente                                            Il Segretario Generale
Mariano Sciacca                                                Francesco Cananzi