Segnalazione Cass. pen., sez. II, n. 53384/2018 su “Confisca in danno di terzo estraneo al procedimento”

[CLASSIFICAZIONE]

DIRITTO AL CONTRADDITTORIO DEL TERZO E STATUIZIONI DI CONFISCA

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione, artt. 3, 24, 42, 111 e 117;

Convenzione EDU, art. 7

Primo Protocollo addizionale alla Convenzione EDU, art.1;

Codice di procedura penale, artt.573, 579, comma 3, 593; art.  104-bis, comma 1-quinquies, disp. att.

[SENTENZA SEGNALATA]

Cass. pen., Sez. II, sentenza 12.10.2018, dep. 28.11.2018, n. 53384, Bossi ed altri

Confisca disposta in primo grado in danno del terzo estraneo al procedimento – Legittimazione all’appello – Esclusione – Rimedi possibili in favore del terzo – Fattispecie.

Abstract. La II sezione penale (sentenza n. 53384 del 12/10/2018, dep. 28/11/2018, allo stato non massimata) ha ritenuto che il sistema di garanzie processuali concesso al terzo nel sistema normativo attualmente vigente è ritenersi conforme ai principi costituzionali e convenzionali anche nei casi in cui non sia prevista la sua partecipazione al giudizio di cognizione, non imponendosi affatto l’applicazione analogica o evolutiva di altri modelli processuali, e non traendosi contrarie indicazioni dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

1.Nel caso esaminato dalla sentenza n. 53384/18 cit., la Corte d’appello procedente aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Lega Nord per l’indipendenza della Padania (d’ora in avanti, Lega Nord) contro la statuizione pronunciata in primo grado nei suoi confronti, di confisca “ai sensi degli artt. 640-quater e 322-ter, comma 2, cod. pen.”, delle somme corrispondenti al profitto dei reati di truffa ascritti ai quattro imputati, dichiarati colpevoli, nelle rispettive qualità, legate alla posizione di ciascuno nell’ambito del predetto partito, di vari fatti di truffa aggravata ex artt. 640-bis e 61, comma 1, n. 7, c.p. in relazione all’indebito conseguimento di rimborsi elettorali relativi a più esercizi annuali, per un ammontare complessivo di oltre 48 milioni di euro, con pari danno per le istituzioni parlamentari.

La Corte d’appello evidenziava, in particolare, che il partito appellante non era stato parte del giudizio di primo grado, e che comunque non apparteneva alla categoria dei soggetti legittimati all’impugnazione sullo specifico capo della confisca.

1.1.Contro la declaratoria d’inammissibilità dell’appello, la Lega Nord aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando che:

– il titolo legittimante dell’appello sarebbe costituito dall’art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p., introdotto con D. Lgs. n. 21 del 2018, ed a norma del quale <<Nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, di cui l’imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo>>;

 – i rimedi a favore del terzo ipotizzati nell’ordinanza impugnata (destinati ad esplicarsi in fase cautelare e, successivamente, nell’ambito del solo processo di esecuzione) non sarebbero adeguati alla necessità di tutela degli interessi coinvolti, poiché solo la partecipazione del terzo al giudizio di cognizione assicurerebbe l’effettività della tutela degli interessi del terzo;

– la tutela del terzo subirebbe un’ingiustificata lesione nel caso in cui (come accaduto in concreto) la confisca sia disposta per la prima volta in sede di cognizione, in difetto di un previo sequestro cautelare, poiché il terzo, legittimato a contestare in sede cautelare tutti i presupposti del sequestro, tra cui la stessa configurabilità del reato e l’individuazione e la quantificazione del profitto, dopo la sentenza di primo grado non potrebbe rimettere in discussione ciò che ha formato oggetto di accertamento nel giudizio di merito.

Aveva, in subordine, sollevato questione di legittimità costituzionale:

– degli artt. 573 – 579, comma 3 – 593 c.p.p., in relazione agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost., nella parte in cui le norme censurate non prevedono, in favore “di terzi incisi nei diritto di proprietà per effetto di una sentenza di primo grado, la facoltà di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca“;

– dell’art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p., sempre in relazione agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost., nella parte in cui la norma non prevede la citazione in giudizio di terzi titolari di diritti reali o di godimento sui beni in sequestro ai fini della confisca ex art. 240 c.p.

Infine, con successiva memoria, aveva invocato, a sostegno dell’accoglimento del ricorso principale, la sentenza emessa dalla Corte EDU, Grande Chambre, 28 Giugno 2018, caso G.I.E.M. s.r.l. ed altri contro Italia, depositata nelle more, e con la quale è stato affermato che la confisca disposta in danno di un soggetto che non è stato parte del procedimento di cognizione viola l’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «Convenzione EDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

2. Il collegio hapremesso essere pacifico che <<nell’attuale sistema normativo il terzo interessato da un provvedimento di sequestro preventivo o coinvolto nella confisca penale di un bene, non abbia, di massima, titolo né per partecipare al giudizio di merito sul fatto di reato che costituisce il presupposto tanto della misura cautelare reale che del provvedimento ablativo, né per impugnare le sentenze emesse nel corso del procedimento penale>>.

2.1. Ciò premesso, ha ricordato che, secondo Cass. Sez. U. n. 48126 del 20/07/2017, Rv. 270938 – 01 (le cui affermazioni di principio sono state ritenute costituzionalmente compatibili dalla giurisprudenza costituzionale: cfr. Corte cost. n. 253 del 6 dicembre 2017):

– <<il terzo estraneo può ricorrere alla procedura dell’incidente di esecuzione solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca>>;

– diversamente, sono immediatamente esperibili a tutela dei terzi estranei al procedimento di cognizione i rimedi cautelari, perché <<il rimedio cautelare (…) non interferisce con ilthema decidendumrimesso al giudice, ma incide su di un aspetto che non vincola e non rischia di contraddire la decisione definitiva del giudicante. Non si vede, quindi, per quale motivo esso non dovrebbe essere esperibile, oltre che – com’è pacifico- per le misure cautelari personali, anche per quel che riguarda le misure cautelari reali, con specifico riferimento al sequestro preventivo, posto che, da un lato, ricorre laeadem ratiodel controlloin itineredel vincolo cautelare; e che, dall’altro, proprio per la natura incidentale della “questione cautelare”, al controllo non può essere di ostacolo il dettato dell’art. 586, commi 1 e 2, c.p.p. Ciò, tanto più in considerazione della peculiarità della posizione del terzo intestatario, estraneo rispetto al procedimento di cognizione, ma destinatario dei (e quindi non estraneo ai) provvedimento di sequestro, e come tale legittimato ad assumere la figura di istante-appellante-ricorrente a partire dalla previsione dell’art. 263, comma 2, c.p.p.>>

2.2. Né potrebbe ritenersi che soltanto nella sede dell’incidente cautelare (nel caso in esame non esperibile, in difetto del previo sequestro), e non anche in sede esecutiva, il terzo sarebbe ammesso ad interloquire sui presupposti della misura reale anche con riferimento alla configurabilità del reato che ne costituisce di volta in volta il presupposto:

<<E’ agevole replicare, anzitutto, che le deduzioni difensive non tengono conto dei differenti piani di valutazione correlati ai due rimedi processuali, in quanto esperibili in fasi diverse del procedimento penale. Il sequestro preventivo interviene di regola in una fase iniziale del procedimento, alla stregua, per dir così, di una prima elaborazione dell’accusa, e i suoi presupposti (collegamento pertinenziale con il reato, e/o confiscabilità della cosa assoggettata al vincolo reale) sono accertati in funzione del semplicefumus commissi delicti; l’incidente di esecuzione segue all’accertamento pieno della responsabilità penale, o all’accertamento autonomo – ma sempre con piena cognizione – dei presupposti della confisca quando la misura ablatoria possa essere adottata anche in assenza di una condanna. Se così è, potrebbe in definitiva ammettersi che l’inesistenza delfumuspossa essere dedotta anche dal terzo interessato ai fini della revoca del sequestro, trattandosi di una valutazione che non può che far leva sull’assoluta evidenza della fragilità dell’impianto accusatorio assunto a presupposto della misura reale. Ma è ovvio che la situazione sia del tutto diversa quando si tratta di aggredire in sede esecutiva ildictumdi una sentenza penale di merito irrevocabile, che può essere rimesso in discussione dal terzo solo nei limiti dell’inopponibilità nei suoi confronti del giudicato sulla confisca. In secondo luogo, la giurisprudenza di legittimità si è condivisibilmente orientata, di recente, nel senso che nemmeno nella fase cautelare il terzo che affermi di avere diritto alla restituzione della cosa sequestrata sia legittimato a contestare l’esistenza dei presupposti della misura reale, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene sequestrato e l’inesistenza di relazioni di collegamento concorsuale con l’indagato>>.

2.3. Quanto allacitazione a giudizio del terzo nelle ipotesi previste dall’art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p. in relazione all’art. 240-bis c.p. (peraltro introdotto in data successiva rispetto a quella in cui gli imputati erano stati rinviati a giudizio, e persino rispetto a quella della sentenza di primo grado: ed è noto che, in tema di successione nel tempo di norme processuali, è tradizionalmente accolto il principiotempus regit actum: cfr. Cass. Sez. U., sentenza n. 44895 del 17/07/2014, Rv. 260927 – 01), si è osservato che essa ha, in definitiva,

<<soltanto la funzione di imporre al giudice della cognizione di ascoltare le sue ragioni prima di pronunciarsi sulla confisca, pervenendo così ad una decisione più meditata sul punto, attraverso una completa, contestuale ponderazione di tutti gli interessi potenzialmente coinvolti nella misura patrimoniale, senza che nemmeno in questo caso la partecipazione dei terzo possa tradursi in un intervento adesivo a favore dell’imputato>>.

2.4. Si è, sul punto, concluso che

<<nemmeno nei casi in cui sia prevista la sua partecipazione al giudizio, il terzo interessato sia legittimato ad interloquire nel processo in relazione a profili diversi da quelli attinenti all’effettiva titolarità o disponibilità del bene sequestrato o confiscato o all’esistenza di relazioni di “collegamento” con l’imputato, dovendo al contrario tale legittimazione ritenersi esclusa in relazione ai tema della responsabilità penale dell’imputato; continuano, quindi, a valere, pur nel mutato assetto normativo, i principi affermati, tra le altre, da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14215 del 06/02/2002 Rv. 221843, Zagaria R ed altro con riferimento al sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoriaexart. 12-sexiesD.L. 8 giugno 1992 n. 306[ora art. 240-bis c.p.]; tanto varrebbe, a maggior ragione, nei confronti delle altre categorie di terzi interessati, semmai dovesse ritenersi l’estensione a loro favore del diritto di partecipare al processo di cognizione, traendosene per converso, con riferimento all’attuale sistema di tutele processuali, la conseguenza che in nessun modo lo strumento dell’incidente di esecuzione previsto per la generalità dei terzi interessati può apparire inadeguato o ingiustificatamente sperequato rispetto alla tutela accordata ai terzi “interposti”>>.

2.5. In assenza di specifici riferimenti normativi, nessuna ragione consentiva, secondo il collegio, di ritenere che sede obbligata della discussione delle problematiche evocate con l’atto di appello – che di per sé nulla hanno a che fare con la valutazione dei fatti di truffa ascritti agli imputati – avrebbe dovuto essere proprio il giudizio di cognizione, e conseguentemente di ritenere legittimata all’impugnazione la Lega Nord nonostante la sua mancata partecipazione al giudizio di primo grado, <<in modo da consentirle di assumere la qualità di parte processuale direttamente nel giudizio di appello, con una singolare inversione dei normale rapporto tra qualità di parte processuale e legittimazione all’impugnazione>>, considerato che, come osservato dalla Corte di appello nell’ordinanza impugnata, i rimedi alternativi concessi alla ricorrente (ed esperibili in fase esecutiva) risultano del tutto adeguati a tutelarne le ragioni.

3. La decisione in rassegna ha poi verificato l’adeguatezza del sistema di garanzie processuali assicurate al terzo intestatario di beni sequestrati e/o confiscati nel corso del procedimento penale in relazione alla dedotta ed asseritamente ingiustificata disparità di trattamento del terzo nel giudizio penale e nel procedimento di prevenzione.

3.1. Si è, in proposito, evidenziato che il procedimento di prevenzione è

<<caratterizzato da regole affatto particolari, diverso essendo ilthema decidendume diversi i modelli di valutazione, ed ha in generale una struttura meno garantista, stabilendo, tra l’altro, presunzioni di interposizione fittizia (cfr. art. 26 d. Lgs 6 settembre 2011 nr. 159) non applicabili nel giudizio penale (…), ciò che giustifica il potere di intervento del terzo. Mette conto poi di rilevare che qualora il terzo sia rimasto in concreto estraneo al procedimento di prevenzione, per la tutela del proprio diritto egli può proporre soltanto incidente di esecuzione (…), il che richiama la problematica generale della parte pretermessa, quale dovrebbe considerarsi la Lega Nord nell’ipotesi della sua necessaria ma inevasa partecipazione al processo di cognizione, problematica che si pone a monte della questione della legittimazione all’impugnazione per categorie astratte di legittimati, essendo la legittimazione comunque predicabile esclusivamente in favore delle effettive parti processuali>>.

4. E’ stata, infine, verificata l’adeguatezza del sistema di garanzie processuali assicurate al terzo intestatario di beni sequestrati e/o confiscati nel corso del procedimento penale in relazione ai principi elaborati in materia dalla Corte di Strasburgo.

4.1. A parere del collegio, la decisione della Corte EDU, Grande Chambre, 28 giugno 2018 cit. (a parere della quale, per quanto in questa sede più immediatamente rileva, la confisca urbanistica disposta a carico di una persona giuridica che non è stata parte del procedimento penale nel quale tale confisca viene inflitta è incompatibile con l’art. 7 Conv. EDU: la decisione ha costituito oggetto di separatoreport, cui si rinvia amplius) si riferisce a situazioni sostanziali del tutto diverse da quelle ravvisabili nei confronti della Lega Nord:

<<nella complessa vicenda processuale esaminata dai giudici convenzionali, la società ricorrente era stata coinvolta in un progetto di lottizzazione originariamente approvato dal Comune di Bari, avendo ceduto alla società che l’aveva presentato un’area destinata ad integrare la superficie necessaria per la realizzazione delle opere previste (un complesso commerciale multifunzionale), area che all’esito del procedimento penale che aveva riguardato gli amministratori della società intestataria del progetto per il reato di lottizzazione abusiva poi emerso dalle indagini, era stata colpita dalla confisca. E’ chiaro, anzitutto, che fosse indiscutibile la legittima appartenenza alla società G.I.E.M. del bene confiscato; è altrettanto chiaro il coinvolgimento diretto della G.I.E.M. nella vicenda della lottizzazione. Si trattava di una situazione che determinava l’interesse della ricorrente a formulare le più ampie deduzioni sull’iteramministrativo seguito alla presentazione del progetto di lottizzazione, con inevitabili interferenze anche sugli aspetti penali della vicenda, alla stregua di un’indubbia comunanza di interessi con gli imputati. D’altra parte, l’ipotesi della lottizzazione abusiva condizionava necessariamente, anche nei confronti della società ricorrente, per quanto terza estranea al reato, la legittimità della statuizione di confisca. La necessità della citazione in giudizio della società, affermata dalla CEDU, trova quindi decisivo supporto nella non esportabile specificità di quella vicenda, non occorrendo indugiare oltre sull’argomento per escludere significative analogie tra il caso considerato dal giudice convenzionale e la vicenda del sequestro che ha interessato la Lega Nord>>.

5. Sulla base delle predette argomentazioni, e considerato il limitato ambito delle interlocuzioni sulla confisca normalmente spettanti al terzo interessato, in coerenza con la specificità dei suoi interessi, si è concluso che

<<il sistema di garanzie processuali allo stesso concesso nel sistema normativo attualmente vigente deve (…) ritenersi conforme ai principi costituzionali e convenzionali anche nei casi in cui non sia prevista la sua partecipazione al giudizio di cognizione, non imponendosi affatto l’applicazione analogica o evolutiva di altri modelli processuali>>.

Le questioni di legittimità costituzionale proposte dalla difesa sono state dichiarate manifestamente infondate e, nella parte relativa alla mancata previsione, in favore dei soggetti indicati nell’art. 240-bis c.p., del potere di impugnazione del capo della confisca nonostante la loro legittimazione alla partecipazione al giudizio di cognizione, inammissibili per difetto di interesse, <<non essendo l’art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p. applicabile al caso di specie>>.

6. Per completezza, non appare inopportunoricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 253 del 2017, citata in motivazione dalla II sezione, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 573, 579, comma 3, e 593 del codice di procedura penale, sollevate dalla I sezione penale della Corte di cassazione in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU ed all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla Convenzione EDU: le predette disposizioni del codice di rito erano state censurate nella parte in cui, a favore dei terzi incisi nel diritto di proprietà da una confisca disposta con una sentenza penale di primo grado, non prevedono la facoltà di proporre appello con riguardo al solo capo della decisione relativo alla misura di sicurezza.

6.1.  Premesso che <<i dubbi di legittimità costituzionale del giudice rimettente investono (…) il solo segmento processuale che va dall’adozione della confisca, con la sentenza di primo grado, fino alla definitività di tale statuizione>>, la Corte costituzionale ha osservato che la Corte di cassazione combina due premesse: <<in primo luogo afferma che gli strumenti giurisdizionali posti a disposizione del terzo sono conformi ai parametri costituzionali indicati con riguardo, sia alla fase delle indagini preliminari, sia a quella del giudizio di primo grado, durante le quali (…) è consentito al terzo chiedere il riesame del decreto di sequestro (art. 322 c.p.p.), proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo (art. 322-bisc.p.p.) e proporre ricorso per cassazione per violazione di legge contro le ordinanze di riesame e di appello (art. 325 c.p.p.). L’idoneità di tali mezzi di reazione a tutelare la posizione del terzo è tale, secondo il giudice rimettente, da far escludere che la sua partecipazione al processo di primo grado sia soluzione costituzionalmente imposta: quello esistente sarebbe un assetto «razionale ed immune da sospetto di illegittimità costituzionale». Perciò il giudice rimettente lo stima adeguato anche rispetto alle fasi successive del giudizio, ove esso si dimostrasse valevole anche per esse, e dunque con ciò «fosse effettivamente garantita una costante possibilità, su istanza di parte, di rivalutazione del fondamento giustificativo della statuizione» di confisca. In secondo luogo la Corte di cassazione ritiene che la via di tutela giurisdizionale interinale descritta cessi di essere percorribile non appena intervenga, con la sentenza di primo grado, il provvedimento di confisca, che il terzo non sarebbe in grado di aggredire, se non per mezzo dell’incidente di esecuzione e a seguito del passaggio in giudicato della pronuncia. Questo ragionamento costituisce un presupposto essenziale delle questioni di legittimità costituzionale sollevate ma non rappresenta un approdo ermeneutico inevitabile>>.

Lo stesso giudice a quo aveva menzionato un «precedente indirizzo» della giurisprudenza di legittimità che, al contrario, ammetteva la proponibilità da parte del terzo di un incidente di esecuzione fin dalla pronuncia di confisca adottata in primo grado, ma ha al contempo affermato che l’indirizzo era stato oggetto di «superamento», così da doversi assumere per certa la conclusione che in quella fase temporale nessun mezzo di tutela sia offerto dall’ordinamento.

6.2. Una siffatta ricostruzione del quadro giurisprudenziale vigente al tempo in cui è stata emessa l’ordinanza di rimessione non è stata ritenuto completa dalla Corte costituzionale, perché, pur a fronte di pronunce motivate nel senso espresso dal giudice rimettente continuavano infatti a esservene altre di segno contrario, di non minor numero, che esploravano due soluzioni differenti; in particolare:

– un orientamento riteneva comunque praticabile, dopo la confisca, l’incidente di esecuzione, a tutela del diritto del terzo (cfr. tra le altre, Cass. Sez. I, 30 maggio 2013, n. 27201 e 30 ottobre 2008, n. 42107; dopo la pronuncia dell’ordinanza di rimessione, Cass. Sez. III, 27 settembre 2016, n. 53925);

– altro orientamento riteneva che il terzo avrebbe continuato a disporre del rimedio cautelare, con la possibilità in ogni tempo di chiedere la restituzione del bene confiscato e di proporre appello contro il diniego (Cass. Sez. III, 18 settembre 2013, n. 42362, e 6 ottobre 2010, n. 39715).

Le Sezioni Unite, con la sentenza 20 luglio 2017, n. 48126, avevano composto il contrasto affermando che il terzo, prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile, può chiedere al giudice della cognizione la restituzione del bene sequestrato e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame, ai sensi dell’art. 322-bis c.p.p.

6.3. Ciò premesso, osserva la Corte costituzionale che <<La necessità di un intervento delle sezioni unite e la ricostruzione del variegato panorama giurisprudenziale contenuta nell’ordinanza di rimessione, dimostrano che la soluzione interpretativa prescelta dal rimettente non corrispondeva a un diritto vivente, da porsi a fondamento dei dubbi di legittimità costituzionale, ma si esauriva nella scelta di quella sola, tra le opzioni interpretative praticabili e di fatto praticate, che il rimettente stesso riteneva viziata da illegittimità costituzionale. Una simile scelta, per potersi ritenere compatibile con il dovere del rimettente di interpretare la normativa in senso conforme alla Costituzione (ogni volta che ciò sia permesso dalla lettera della legge e dal contesto logico-normativo entro cui essa si colloca: sentenza n. 36 del 2016), avrebbe dovuto fondarsi su un accurato ed esaustivo esame delle alternative poste a disposizione dal dibattito giurisprudenziale, se del caso per discostarsene motivatamente. Solo se avviene ciò infatti si può dire che l’interpretazione adeguatrice è stata davvero «consapevolmente esclusa» dal rimettente (sentenza n. 221 del 2015)>>

Diversamente, il giudice a quo, pur esprimendo il convincimento che la statuizione di confisca non avrebbe in alcun caso potuto essere superata a favore del terzo nell’ambito di procedimenti esterni al processo di cognizione, non si era, tuttavia, confrontato con la perdurante attualità dell’indirizzo favorevole all’immediato ricorso all’incidente di esecuzione (che non era stato superato in via definitiva), e non aveva tenuto adeguatamente contro della tesi, poi recepita dalle sezioni unite, che assicurava il mantenimento, anche nel giudizio di secondo grado, del rimedio cautelare, con la facoltà per il terzo di chiedere la restituzione del bene sequestrato e di proporre, nel caso di diniego, appello al tribunale del riesame: <<quest’ultima omissione appare particolarmente significativa, se si considera, da un lato, che la soluzione adottata dalle sezioni unite elimina la stasi temporale nell’esercizio della tutela giurisdizionale denunciata dal rimettente e, dall’altro, che l’ordinanza di rimessione ha giudicato costituzionalmente obbligata la soluzione dell’appello contro la statuizione di confisca, ma non ha svolto alcun motivato giudizio di inidoneità riguardo al possibile rimedio cautelare, salvo un fugace e indimostrato accenno «agli evidenti limiti» di tale opzione. All’opposto, e in contraddizione con quest’ultimo rilievo, il rimettente ha invece motivatamente affermato, con riguardo alle fasi che precedono la sentenza di primo grado, che il rimedio cautelare è idoneo a tutelare il diritto del terzo, al punto che il dubbio di legittimità costituzionale ha investito solo l’impossibilità di impugnare la statuizione di confisca. Il medesimo dubbio è stato invece escluso con riguardo alla preclusione, allora vigente, di partecipare al giudizio di primo grado, nella convinzione che a garantire il diritto di difesa del terzo bastasse il rimedio cautelare. Proprio calandosi nella prospettiva del rimettente non si vede però per quali ragioni il rimedio cautelare, benchè ritenuto congruo nella fase anteriore alla confisca, dovrebbe cessare di essere tale in quella successiva, pur non essendo mutati nei confronti del terzo le condizioni e gli effetti del sequestro>>.

6.4. Si è, pertanto, concluso che le questioni di legittimità costituzionale erano inammissibili, perché poste <<senza tenere conto della possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata (certamente compatibile con la lettera della legge e la cornice normativa entro cui essa si inserisce), che avrebbe offerto al terzo, pur dopo la confisca, proprio quella forma di tutela, ovvero il rimedio cautelare, che il rimettente ha giudicato soddisfacente anche nel raffronto con la partecipazione al processo penale di primo grado>>.