Sentenza Corte d’Appello di Milano 10.08.2015 n. 3397

su: Azione disconoscimento terzo in caso di fecondazione eterologa

Fecondazione eterologa: è inammissibile l’azione disconoscimento proposta dai terzi perché nega la legittimità della pratica

Corte App. Milano, sez. persone minori famiglia, sentenza 23 settembre 2014 – 10 agosto 2015 n. 3397/2015 (Pres., rel. Bianca La Monica)

Figlio nato fuori da matrimonio – Fecondazione eterologa – Minore nato a seguito di Pma eterologa – Incidenza della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014 –  Ammissibilità dell’azione di disconoscimento proposta dal terzo – Esclusione – Interpretazione secundum constitutionem(art. 263 c.c.)

In presenza di figli nati fuori da matrimonio  a seguito di fecondazione eterologa, in base a un raccordo tra l’articolo 9 della legge 40/2004, come risultante per effetto della pronuncia costituzionale n. 162 del 2014,  e l’articolo 263 c.c., non residua in capo ai terzi la legittimazione a proporre l’azione di disconoscimento. Nell’attuale contesto normativo, legittimare “chiunque vi abbia interesse”  ad un’azione che ha il suo unico presupposto nella difformità tra la verità risultante dalla dichiarazione di riconoscimento, e la verità sostanziale e obiettiva della filiazione, difformità  che è proprio l’essenza della pratica di fecondazione eterologa, comporterebbe la negazione della legittimità della pratica e l’esposizione del figlio nato da fecondazione eterologa alla inesorabile caducazione del suo status. Una diversa interpretazione, inoltre, che riconoscesse la legittimazione attiva a favore di “chiunque vi abbia interesse” al fine dell’impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento, darebbe luogo a sospetti d’illegittimità costituzionale, per non giustificata disparità di trattamento tra il figlio nato fuori dal matrimonio da procreazione medicalmente assistita con tecnica eterologa, esposto all’impugnazione della veridicità di quel riconoscimento proposta da “chiunque vi abbia interesse”, rispetto al figlio nato in costanza di matrimonio, pure da procreazione medicalmente assistita con ricorso alla medesima tecnica

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI MILANO

Sezione delle Persone, dei  Minori, della Famiglia

La Corte in persona dei magistrati

Dott.ssa Bianca La Monica                         Presidente rel.

Dott.ssa Maria Cristina Canziani                 Consigliere

Dott.ssa Flavia Tuia                                     Consigliere

ha emesso la seguente

SENTENZA

RAGIONI  IN  FATTO E  IN  DIRITTO DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Monza, adito con atto di citazione da A, B e C  -i quali hanno chiesto di accertare la non veridicità del riconoscimento effettuato in data 28 dicembre 1991 dal loro fratello D in relazione ai minori x e y nati il .. 1991, nati da E a seguito di inseminazione artificiale eterologa consentita dal partner-   provvedendo in contraddittorio con i predetti convenuti, rappresentati in giudizio dalla madre,  e in contraddittorio con la medesima,  che interveniva in proprio ex articolo 105 c.p.c. a sostegno delle ragioni dei figli minori-  i quali, tutti,  chiedevano dichiararsi la  nullità dell’atto di citazione per difetto di procura alle liti; di rigettare la domanda attorea; di condannare gli attori al risarcimento  dei danni, patrimoniali e non, subiti dai minori e dalla loro madre-    con sentenza non definitiva del  17 febbraio/3 marzo 2011, ha dichiarato  ammissibile l’azione di disconoscimento di paternità proposta dagli attori, disponendo per la prosecuzione del giudizio, cui riservava il governo delle spese.

Il Tribunale  -cui la causa era pervenuta a seguito di provvedimento col quale il GI aveva ritenuto opportuno procedere in via preliminare all’esame dell’eccezione dei convenuti fondata sull’articolo 9 della l.40/2004, la cui risoluzione poteva in astratto condurre alla definizione del giudizio-  perveniva alla assunta conclusione sul rilievo che  l’articolo 263 c.c.,  norma  applicabile al caso di specie, estende la legittimazione all’azione di impugnazione del riconoscimento a “..chiunque vi abbia interesse..”; che l’interesse in capo agli attori era ravvisabile  nei vantati diritti successori; infine che la legittimazione dei terzi non poteva ritenersi esclusa in base al disposto dell’articolo 9 della legge 40/2004.

Avverso tale sentenza hanno proposto appello X e Y chiedendo alla Corte di dichiarare l’inammissibilità dell’azione e rilevando l’erroneità della sentenza per non aver fatto  applicazione  delle disposizioni dell’articolo 235 c.c. – regola di riferimento applicabile al caso di specie in luogo dell’articolo 263 c.c.- e  per non aver fatto corretta applicazione dell’articolo 9 della legge 40/2004, a norma del quale deve  ritenersi preclusa anche ai terzi, in caso di fecondazione eterologa, l’azione di disconoscimento per difetto di veridicità.

Hanno resistito gli appellati  ..,   assistiti dal medesimo legale, i quali hanno, in via incidentale, chiesto alla Corte di “..dichiarare ammissibile l’azione di impugnativa  del riconoscimento effettuato dal de cuius per difetto di veridicità  ex art.263..”, intendendo così correggere la statuizione del Tribunale che ha dichiarato ammissibile non l’indicata azione, bensì quella di disconoscimento di paternità; nonché …, che ha pure chiesto la conferma della impugnata sentenza. Integrato il contraddittorio nei confronti di ..,  il giudizio, interrotto per il dichiarato decesso di ., è stato ritualmente riassunto nei confronti anche dei di lui eredi che si sono costituiti  chiedendo il rigetto dell’appello.

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Per necessaria chiarezza va preliminarmente considerato che la tematica relativa alla individuazione della norma applicabile al caso di specie  -l’articolo 235 c.c. o l’articolo 263 c.c.-  questione che, secondo la difesa di .. e …  (cfr comparsa conclusionale 4/6/14), sarebbe stata introdotta dagli appellanti solo in comparsa conclusionale, risulta invece da essi dedotta nell’atto impugnatorio, a sostegno di motivo d’appello  relativo a specifica argomentazione del Tribunale. Il primo giudice ha infatti ritenuto di evidenziare che, essendo i fratelli x  e y figli naturali riconosciuti, legittimati ai sensi dell’articolo 280 c.c. per susseguente matrimonio tra il defunto … e la madre, la corretta norma di  riferimento dell’azione svolta dagli attori andava individuata, come peraltro dagli stessi attori prospettato,  nell’articolo 263 c.c..  A tale affermazione del Tribunale si connette, quindi, la contraria argomentazione degli appellanti, il cui interesse a sottolineare il proprio status di figli legittimi ex articolo 8 legge 40/2004,  e, quindi, a inquadrare, secondo  la tesi dalla difesa sviluppata,  la domanda azionabile nei propri confronti nell’ambito della diversa azione ex 235 c.c.,  deriva, evidentemente, dal fatto che l’azione di disconoscimento di paternità da tale norma regolata è consentita solo ai protagonisti della vicenda procreativa -padre, madre, figlio- e non a terzi.

In ogni caso, la questione non pone certo problemi di tardiva deduzione, competendo al giudice l’inquadramento e la qualificazione giuridica della domanda azionata o l’individuazione di quella azionabile.

Ciò premesso, è utile considerare come il complessivo quadro normativo di riferimento per la decisione della presente impugnazione sia venuto a modificarsi nelle more del giudizio, essendo entrati in vigore, successivamente alla sentenza non definitiva del Tribunale di Monza, la legge 219/2012 e il d.l. 154/13, che hanno dato luogo alla  cosiddetta  “Riforma della filiazione”, ed essendo poi intervenuta, in pendenza del decorso dei termini ex articolo 190 c.p.c., la sentenza 162/2014 della Corte Costituzionale (deliberata il 9/4/14; depositata il 10/6/14; pubblicata su GU il 18/6/2014),  dei cui effetti ai fini della interpretazione delle norme interessate  dal presente procedimento, non ancora pervenuto in decisione, deve tenersi conto.

Vanno qui opportunamente richiamati alcuni fondamentali aspetti del novellato assetto normativo, nel quale possono rinvenirsi principi generali utilizzabili per una interpretazione dalle norme interessate dal presente procedimento, adeguata ad assicurare la protezione dei beni costituzionali coinvolti dalla decisione:

*tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico  (novellato art. 315 c.c., rubricato “Stato giuridico della filiazione”) e  il figlio entra a far parte delle famiglie  dei suoi genitori, indipendentemente dal fatto che sia stato concepito nel o  fuori dal matrimonio (novellato art. 74 c.c.), che, quindi, non si configura  più come fattore di differenziazione del rapporto giuridico genitori-figlio-parenti, rapporto, per l’appunto, unificato;

*la distinzione tra filiazione nel, e fuori dal, matrimonio permane per quanto attiene alle  modalità di attribuzione dello stato di filiazione e di formazione del relativo titolo di stato, nel senso che, anche a seguito del dl 154/2013, il titolo di stato del figlio legittimo si forma “d’ufficio”, mentre il corrispondente titolo di filiazione non matrimoniale  è affidato agli interessati;

*risulta modificata la disciplina dettata dall’articolo 263 c.c. in tema di impugnazione di riconoscimento per difetto di veridicità,  con la limitazione dell’imprescrittibilità per il solo figlio e con l’introduzione di un termine  “tombale” di decadenza per l’esercizio dell’azione da parte degli altri legittimati. Come si legge nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo volto a dare attuazione alla delega contenuta nella legge 219/2012,  recante “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”, l’introdotta modifica era  dettata dalla affermata necessità di non prolungare indefinitamente l’incertezza e la rimovibilità dellostatusdi figlio, questione sottolineata dalla giurisprudenza di merito e dalla dottrina che avevano più volte dubitato della costituzionalità di una  disciplina che lasciava per sempre il figlio nato fuori del matrimonio esposto all’impugnazione;.

*sono stati abrogati gli articoli da 280 a 290 del codice civile, ossia l’intera sezione che disciplinava la legittimazione dei figli naturali, e, tra i principi e i criteri direttivi della delega a tale abrogazione relativa, risulta sancito anche quello relativo all’abrogazione delle disposizioni che fanno riferimento alla legittimazione, eliminando così il rinvio alla legittimazione contenuto in numerose norme del codice civile. L’abrogazione dell’istituto della legittimazione, così come l’unicità dello stato, ad ogni effetto,  hanno avuto  corso immediatamente all’entrata in vigore della legge 219/12.

Quanto al richiamato intervento della Consulta, con la   pronuncia 162/14 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 3, della legge 40/2004, e di altre connesse disposizioni,  nella parte in cui la legge poneva, per la coppia  formata da maggiorenni di sesso diverso e per la quale sussistano problemi di  sterilità/infertilità, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.

Giova rammentare che il legislatore della legge 40/04, pur vietando il ricorso alle tecniche di fecondazione eterologa, con razionale cautela e  preveggenza, (anche con riferimento al “turismo procreativo” che si sarebbe determinato essendo all’epoca  l’Italia l’unico paese,  nel panorama europeo, a vietare in modo assoluto il ricorso alla fecondazione eterologa), aveva  comunque tutelato la posizione del figlio nato,  precludendo al genitore che avesse dato consenso a quella tecnica di procreazione l’azione di disconoscimento di paternità (nei casi previsti sub 1) e 2) dell’articolo 235 del  codice civile all’epoca vigente)  e quella di impugnazione del riconoscimento disciplinato dall’articolo 263 c.c.. Nessuna limitazione era stata invece prevista nell’articolo 9 della  legge 40/2004 per la proposizione dell’azione di disconoscimento da parte di “..chiunque vi abbia interesse..”, così dando luogo a perplessità in parte della dottrina che aveva ritenuto incongrua la permanente previsione, laddove altri autori la consideravano coerente e conseguenza del ricorso a tecnica di fecondazione vietata in modo assoluto.

Nella articolata  motivazione della sentenza della Consulta si legge che “Una volta espunte dai commi 1 e 3 dell’art. 9 della legge n. 40 del 2004, a seguito dell’accoglimento delle sollevate questioni, le parole «in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3» risulta, infine, confermata sia l’inammissibilità dell’azione di disconoscimento della paternità (il richiamo dell’art. 235 cod. civ. a seguito delle modifiche realizzate dagli artt. 17 e 106 del d.lgs. n. 154 del 2013 deve ritenersi ora riferito all’art. 243-bis cod. civ.) e dell’impugnazione ex art. 263 cod. civ. (nel testo novellato dall’art. 28 del d.lgs. n. 154 del 2013)…”.

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    Le censure mosse alla decisione del Tribunale dalla difesa appellante, che ha sostenuto, con riferimento all’articolo 9 della legge 40/2004,  la necessità di un’applicazione per interpretazione estensiva del divieto di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità anche nei confronti dei terzi, vanno, quindi, riguardate nella prospettiva che ci viene consegnata dalla riforma e dalla Consulta e anche dall’evoluzione giurisprudenziale. Tenendo cioè conto delle  modifiche legislative che hanno posto al centro del rapporto di filiazione, il concetto di responsabilità genitoriale, e che hanno, anche se solo in parte,  ridisegnato la disciplina delle azioni di disconoscimento di paternità e di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità,  nell’ottica di una netta prevalenza dell’interesse dei figli alla stabilità del rapporto;  nonchè  dell’evoluzione giurisprudenziale che ha attenuato il principio della prevalenza della verita` biologica,  tanto da affermare che la tutela del diritto allostatuse alla identità personale può non identificarsi con essa e  da escludere,  in tema di azione di disconoscimento della paternità (Cass., 653/2012), che il favor veritatis costituisca valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da affermarsi comunque.  E  tenendo anche conto  dei  possibili effetti dissonanti, rispetto al modificato quadro normativo-giurisprudenziale,  derivanti dall’applicazione di norme del codice civile probabilmente non idonee a governare la materia della filiazione artificiale.

Alla stregua di tali criteri di riferimento, l’azione promossa dai fratelli del defunto .. .., e ora, per quanto attiene il fratello .., dai di lui eredi, non appare ammissibile,  dovendo ritenersi, in base a un raccordo tra l’articolo 9 della legge 40/2004, come ora risultante,  e l’articolo 263 c.c., che non residui in capo ai terzi la proposizione dell’azione di disconoscimento.

Con riferimento al rilievo della richiamata norma codicistica nel sistema complessivo degli status filiationis, questa Corte rammenta come la Consulta, più volte investita sotto diversi profili della questione di costituzionalità dell’articolo 263 c.c., abbia avuto modo  di affermare:

*con sentenza 625/1987, l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale -in riferimento agli artt. 29 e 30 della Costituzione- nella parte in cui l’articolo 263 c.c. ammette l’impugnativa del riconoscimento, senza limiti di tempo anche dopo l’avvenuta legittimazione, da parte di chiunque vi abbia interesse. Ciò in quanto l’art. 29 non ha forza per sostenere un vincolo familiare che non sia contemporaneamente naturale e legale,  e l’articolo 30, 3° comma, non ha forza per conservare ai figli riconosciuti e legittimati la intangibilita` dello status acquisito se esso venga privato del fondamento della verità della filiazione;

*con sentenza 158/1991, l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. in funzione della rilevata disparità di trattamento tra il figlio naturale riconosciuto, permanentemente esposto alla perdita del propriostatus, data la imprescrittibilità dell’azione ex art. 263 c.c., e il figlio legittimo, per il cui disconoscimento il padre dispone di azione sottoposta a termine di decadenza annuale. Considerava la Consulta che le due situazioni non sono comparabili, valendo per la prima il principio superiore che ogni falsa apparenza di status deve cadere, da cui la imprescrittibilità dell’azione; per la seconda valendo  la presunzione “pater est is quem iustae nuptiae demonstrant”, superabile solo, in ragione delfavor legitimitatis,  con la decadenza nel breve termine di un anno dell’azione di disconoscimento.

In coerenza con tali indicazioni, la Cassazione sottolineava (Cass.5886/1991) che l’impugnazione ai sensi dell’art. 263 c.c. è ammessa in ogni caso in cui il riconoscimento sia obiettivamente non veridico, a nulla rilevando eventuali stati soggettivi di buona o mala fede dell’autore del riconoscimento, e che la relativa azione è imprescrittibile, in considerazione della peculiare natura delle azioni di stato, le quali incidono in materia dominata da interessi pubblici e perciò sottratta alla disponibilità dei privati, senza che ciò violi l’art. 3 della Costituzione.  E, con sentenza 7294/2005, riteneva la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’articolo 263, commi 2 e 3,  c.c.,  con riferimento agli articoli 3, 29, 30 e 31, della Costituzione,  nella parte in cui la norma del codice prevede  che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, anche dopo la legittimazione del figlio minore, possa essere proposta da chiunque  vi  abbia interesse e nella parte in cui l’azione è prevista come imprescrittibile.

Il pensiero che ha fatto da collante a queste decisioni è la non comparabilità tra la situazione di figlio legittimo, apparsa meritevole della tutela connessa al fatto che l’azione di disconoscimento di paternità è riservata solo ai protagonisti della vicenda procreativa, e quella diversa del figlio naturale, rispetto al quale  è stata, di contro, valorizzata l’esigenza di tutelare la verità del rapporto di filiazione.

Il modificato quadro normativo suggerisce, però, nel caso di specie altre riflessioni.

Premesso che,  alla stregua dell’introdotto principio di unicità dello stato di figlio, potrebbe dar luogo a dubbio di costituzionalità, in generale,  la mantenuta legittimazione dei terzi a proporre l’impugnazione del riconoscimento, previsione che in qualche modo depotenzia l’unificazione e che  sottolinea la permanente esistenza tra “figli” di una differenza nella garanzia della stabilità deglistatus, ritiene questa Corte,  con stretto riferimento alla questione qui in esame,  che,  a seguito della sentenza 162/14, non possa prescindersi da un rilievo a monte, per così dire, che induce dubbi di  compatibilità tra i casi di fecondazione eterologa e la disciplina della impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, difettando la riferibilità,  a tale specifica pratica di  procreazione medicalmente assistita, della  norma codicistica, venuta ad esistenza in un periodo storico in cui non erano all’attenzione del legislatore le tecniche di procreazione e rimasta immodificata nel suo unico presupposto -il difetto di veridicità-  sia nella riforma del 1975, che in quella da poco entrata in vigore.

Richiamata la problematicità dell’applicazione della generale disciplina codicistica in tema di filiazione alle questioni di genitorialità poste dalla  procreazione medicalmente assistita, disciplinata da legge speciale, specie in assenza di omogeneità di situazioni e di identità di ratio,si potrebbe, quindi, ritenere che la, ora lecita, fecondazione eterologa, consentita dal partner, resti estranea non solo alla disciplina del disconoscimento di paternità, così come ritenuto da Corte Costituzionale con sentenza 347/1998, ma anche a quella dell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità.

Con specifico riferimento al caso concreto, in cui si discute se competa ai terzi l’azione in questione e se essa sia fondata, ritiene la Corte che, in base a un’interpretazione del combinato disposto dell’articolo 263 c.c. e degli articoli 8 e 9 della legge 40/2004, rispettosa del principio per cui la tutela del diritto agli status e alla identità personale può non identificarsi con la verità genetica, e dell’articolo 3 della Costituzione, la domanda degli attori, qui appellati, non possa essere ritenuta ammissibile. Infatti, una diversa interpretazione, che riconoscesse nel caso di specie la legittimazione attiva a favore di “chiunque vi abbia interesse” al fine dell’impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento, darebbe luogo a sospetti d’illegittimità costituzionale, per non giustificata disparità di trattamento tra il figlio nato fuori dal matrimonio da procreazione medicalmente assistita con tecnica eterologa, esposto all’impugnazione della veridicità di quel riconoscimento proposta da “chiunque vi abbia interesse”, rispetto al figlio nato in costanza di matrimonio, pure da procreazione medicalmente assistita con ricorso alla medesima tecnica. E tale diversità di trattamento non potrebbe trovare apprezzabile giustificazione in quei rilievi che, secondo parte della dottrina spiegherebbero, nonostante l’unificazione dello status di figlio,  la diversa regolamentazione della legittimazione attiva nelle azioni di status. Si osserva, cioè, che ancora oggi tale diversità può trovare fondamento nella presunzione di paternità del figlio nato in costanza di matrimonio, e nel comune impegno che, presuntivamente, lega i genitori uniti in matrimonio, laddove, invece,  la procreazione al di fuori del matrimonio può avvenire anche in situazioni non caratterizzate da stabilità e da reciproco impegno.  Questa prospettiva, a parere della Corte, innanzitutto, non dipana le perplessità in ordine alla permanenza, a fronte dell’unificazione dello stato di figlio,  di più azioni di stato in un sistema in cui, come osservato da autorevole dottrina, non costituendo più il matrimonio il fulcro dello status, la pre­sunzione di paternità ed il riconoscimento costituiscono solo modi di accertamento dello stato di figlio e la contestazione dovrebbe riguardare direttamente lo stato, prescindendo dal modo di accertamento.  Ma, comunque, quella prospettiva  non sarebbe tale da poter  giustificare la disparità di trattamento del figlio nato da fecondazione eterologa fuori dal matrimonio, esposto ad un’azione di terzi, inesorabilmente fondata in re ipsa,  essendo la  mancata corrispondenza tra verità apparente e verità oggettiva  proprio l’essenza della fecondazione eterologa nella quale la derivazione biologica non sussiste per definizione: il difetto di veridicità è pacifico, stante  il consentito, legale, ricorso a gameti di donatore.

Nell’attuale contesto normativo, quindi,  legittimare “chiunque vi abbia interesse”  ad un’azione che ha il suo unico presupposto nella difformità tra la verità risultante dalla dichiarazione di riconoscimento, e la verità sostanziale e obiettiva della filiazione, difformità  che -si ripete – è proprio l’essenza della pratica di fecondazione eterologa, comporterebbe la negazione della legittimità della pratica e l’esposizione del figlio nato da fecondazione eterologa alla inesorabile caducazione del suostatus,in palese contrasto con i principi più sopra richiamati, la cui realizzazione resta affidata ad una interpretazione del combinato disposto degli articolo 9 della legge 40/2004 e dell’articolo 263 c.c. secondo la quale non residui in capo a terzi la proposizione della impugnazione di riconoscimento.

Stante le ragioni della decisione e la particolarità della questione, si compensano  le spese di lite del grado.

PQM

La Corte d’Appello di Milano,

in  riforma della sentenza non definitiva 635/2011 del Tribunale di Monza,

dichiara non ammissibile l’azione di impugnazione di riconoscimento per difetto di veridicità proposta dagli appellati.

Compensa le spese del grado.

Così deciso in Milano, nella Camera di Consiglio del  23 settembre 2014

Il presidente estensore

Bianca La Monica