Sentenza Corte d’Appello Milano 6.11.2015, n. 2286

su: Trascrivibilità matrimonio tra persone dello stesso sesso

Materia: diritto di famiglia

Corte di Appello di Milano sulla trascrizione dei matrimoni same-sex

Corte Appello Milano, sez. Persone, Minori, Famiglia, 6 novembre 2015 n. 2286 (Pres. Est. Bianca La Monica)

Matrimonio tra persone dello stesso sesso – Trascrittibilità – Esclusione

L’impedimento alla trascrizione del matrimonio contratto tra persone dello stesso sesso nasce dall’attuale contesto normativo nazionale che non riconoscendo questa unione la rende inidonea a produrre effetti: l’inidoneità dell’atto alla produzione degli effetti giuridici che gli sono propri-   categoria non ignota al diritto,  si caratterizza come una inefficacia in senso stretto, non conseguenza di altro vizio,  e si propone  come reazione dell’ordinamento nei confronti di un negozio di cui si riconosce, in relazione al quadro normativo e giurisprudenziale europeo del quale l’ordinamento stesso fa parte, la intrinseca validità, oltre che la consistenza sociale, ma i cui effetti vitali sono però preclusi nel nostro paese dalla mancata previsione legislativa. Ne consegue che nell’attuale quadro normativo, il matrimonio tra coppie dello stesso sesso non corrisponde alla tipologia del matrimonio delineato nel nostro ordinamento e non è perciò trascrivibile.

premesso

che con ricorso ex articolo 95 DPR 396/2000 XXXX … e  YYYY,  già sposati in data … 2012 in Brasile e successivamente coniugati con matrimonio civile in Portogallo il  …v  2013,  hanno chiesto al Tribunale di Milano di dichiarare l’illegittimità del rifiuto di trascrizione dell’atto di matrimonio e di ordinare all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Milano di effettuarne  la trascrizione negli appositi registri;    

che il Tribunale di Milano, a seguito di udienza svoltasi dinanzi al giudice delegato,  nella quale depositavano atto di intervento l’associazione Avvocatura per i Diritti LGBTI- Rete Lenford e i signori  ZZZZ e KKKK e venivano sentiti questi ultimi,  come pure i ricorrenti, con decreto del 17/23 luglio 2014, respingeva il ricorso;    

     che il Tribunale, richiamando integralmente un proprio decreto emesso in analoga fattispecie in data 2 luglio 2014, perveniva alla indicata conclusione ritenendo che l’atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso non potesse essere trascritto nei registri dello stato civile perché non idoneo a spiegare effetti giuridici nel nostro ordinamento sulla base dell’attuale vigente normativa;  considerando che, anche alla luce della evoluzione giurisprudenziale, nazionale e sovranazionale, in materia, non poteva comunque affermarsi l’esistenza del diritto di persone dello stesso sesso a contrarre matrimonio “..come diritto riconosciuto dalla nostra costituzione e dallo stesso ordinamento sovranazionale..”;

che il primo giudice, a sostegno di tale affermazione, richiamava

-la sentenza  138/2010 nella quale la Corte Costituzionale affermava che il riconoscimento  giuridico di una unione omosessuale non comportava di necessità un’equiparazione della unione omosessuale al matrimonio,  così come  emergeva anche dalle legislazioni di altri Stati che  avevano regolamentato con diverse modalità il diritto di persone dello stesso sesso a vivere una condizione di coppia riconosciuta; sicché, secondo la Consulta spettava  al Parlamento, “..nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette…”;

-le indicazioni della Corte Europea dei diritti dell’Uomo,  secondo cui la “garanzia” del diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso è totalmente riservata al potere legislativo degli Stati contraenti della Convenzione e/o membri dell’Unione Europea;

 -i più recenti approdi della Corte di Cassazione che, pur indicando come superata la pregressa tesi della “inesistenza giuridica” dell’atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso (Cass.4184/2012), ha individuato la ragione della sua non trascrivibilità  nella inidoneità a produrre, quale atto di matrimonio,  effetto giuridico nell’ordinamento italiano, in ragione della mancanza di una normativa ad hoc;

che avverso tale decreto hanno proposto reclamo i ricorrenti e gli intervenienti, chiedendo i ricorrenti, in riforma della decisione del Tribunale, di dichiarare l’illegittimità del rifiuto di trascrizione dell’atto di matrimonio da loro contratto e, per l’effetto, di ordinare all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Milano di provvedere alla trascrizione richiesta;  chiedendo gli intervenienti, in via preliminare di rito,  di dichiarare la nullità dell’impugnato decreto e di dichiarare l’ammissibilità degli interventi; nel merito, di accogliere la domanda dei ricorrenti;

rilevato

preliminarmente, in ordine agli intervenienti,  che il Tribunale non si è espressamente pronunciato riguardo alla loro posizione. In particolare, posta dal giudice delegato la questione dell’ammissibilità dell’intervento, la cui decisione era ovviamente riservata al collegio, questi, in sede decisoria, non dando conto del deposito dell’atto di intervento e delle sue ragioni,  vi ha fatto implicito riferimento affermando che il rigetto nel merito rendeva superfluo l’esame delle ulteriori questioni in rito;

che, prima di ogni altra considerazione, occorre quindi valutare la legittimazione degli intervenienti alla impugnazione, legittimazione che pacificamente compete a chi abbia assunto qualità di parte nel giudizio concluso con la decisione impugnata;

che, nella descritta situazione processuale e alla stregua della decisione del Tribunale, traendo argomento dall’orientamento della Cassazione (Cass.1671/2015) che afferma la legittimazione degli intervenienti volontari a proporre appello anche quando sia stata negata l’ammissibilità dell’intervento stesso, deve ritenersi sussistere in capo agli intervenienti la legittimazione ad impugnare il decreto;

che, essendo sottoposto il procedimento camerale alle regole, laddove compatibili, dettate dal codice per il rito ordinario, può ritenersi in generale  applicabile,  ferme restando possibili specificità, la disciplina codicistica dettata per l’intervento in giudizio e che, facendo ad essa riferimento gli interventi di specie vanno inquadrati  nella cornice dell’articolo  105,  c.p.c.;

che proprio in ragione di tale inquadramento, non è ammissibile l’intervento dei signori  ZZZZ e KKKK, i quali, nella premessa di trovarsi nella medesima situazione dei ricorrenti, avendo contratto matrimonio all’estero ed essendo stata rifiutata dall’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Milano la richiesta di trascrizione, intendono  sostenere ex articolo 105, 2° comma, c.p.c., le ragioni dei ricorrenti sul rilievo del personale interesse a un provvedimento che potrà diversamente orientare l’operato dell’Ufficiale di Stato Civile, cui potrebbero nuovamente rivolgersi per la trascrizione;

che la posizione dei predetti non si declina con le caratteristiche che deve avere l’interesse richiesto per la legittimazione all’intervento adesivo dipendente, interesse che deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato sussista un rapporto giuridico sostanziale tale che la posizione soggettiva del primo possa essere pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni del secondo;

che diversa prospettiva va adottata nei confronti della associazione Avvocatura per i Diritti LGBTI -Rete Lenford, preliminarmente osservando che il relativo intervento non può “atecnicamente” essere riguardato come contributo informativo al giudice. Devono, infatti, nettamente differenziarsi, proprio in ragione della ritenuta applicabilità al procedimento camerale delle compatibili regole del procedimento ordinario, le informazioni che il giudice, in autonomia o sollecitato dalle parti,  decide di raccogliere da terzi, da lui stesso individuati, dalla autonoma costituzione in giudizio di un soggetto terzo che si affermi, come nel caso, rappresentativo per statuto degli interessi dei cittadini  LGBTI;

che, inquadrato il proposto intervento sub articolo 105, comma 2, c.p.c,  considerato che la categoria di interessi dei cittadini LGBTI può essere latamente ricondotta a quella di interessi diffusi e che la Avvocatura  per i Diritti LGBTI -Rete Lenford  è un ente “spontaneo”, frutto di autonomia associativa,  in assenza di riconoscimento di legittimazione processuale da parte del legislatore, occorre verificare la effettiva rappresentatività dell’associazione  rispetto  all’interesse di cui si fa portatrice;

che, sotto tale profilo, acquistano rilievo a favore della legittimazione processuale della interveniente  e della ammissibilità dell’intervento stesso, per un verso, le previsioni statutarie che individuano lo  scopo dell’associazione nello sviluppare e diffondere la cultura e il rispetto dei diritti delle persone LGBTI (ossia, omosessuali, bisessuali, transessuali e intersessuali), che prevedono, al fine della promozione, affermazione e tutela dei  diritti e degli interessi delle persone  LGBTI,  numerose attività dell’associazione che, tra l’altro, favorisce e promuove la tutela giudiziaria, nonché l’utilizzazione degli strumenti di tutela collettiva, presso le corti nazionali e internazionali; partecipa a  procedimenti di consultazione di autorità pubbliche, nazionali ed internazionali; promuove iniziative in collaborazione con gli ordini professionali e le associazioni rappresentative; organizza incontri per favorire il dibattito, la discussione, la divulgazione   sui temi dei diritti delle persone LGBTI;  per altro verso, acquista rilievo  la stabilità della struttura associativa che svolge in modo continuativo  attività a tutela di diritti di rango costituzionale delle persone LGBTI;

che può perciò ritenersi che l’associazione, con riferimento al “pregiudizio” alle persone LGBTI derivante dal rifiuto di trascrizione, vanti un interesse che la legittima ad intervenire in giudizio;

considerato

che, a sostegno della chiesta modifica del decreto, la difesa dei  ricorrenti ha argomentato l’erroneità della decisione del Tribunale sotto plurimi profili. In particolare, rilevando che:

-nell’ordinamento italiano, la diversità di sesso tra i coniugi  non è richiesta da alcuna norma:  né da quelle codicistiche  che disciplinano i requisiti di stato e capacità dei nubendi  (art.84, 85, 86 c.c.), né dalle disposizioni del regolamento di Stato Civile DPR 396/2000;  né infine dalle norme applicabili al matrimonio celebrato all’estero (art. 115, c. 1, c.c.; art.27 legge 218/1995). Sicchè, non costituendo la diversità di sesso elemento essenziale della fattispecie “matrimonio”,  il matrimonio de quo “..validamente celebrato, è valido in relazione all’art. 115 c.c. e ha prodotto effetti nel nostro ordinamento…”;

-la Corte di legittimità,  decidendo con sentenza 4184/2012 fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio, superando  l’interpretazione “originalista” dell’articolo 29 della Costituzione proposta dalla Consulta con decisione 138/2010, e prendendo atto della evoluzione della giurisprudenza della CEDU,  aveva escluso che il matrimonio tra persone dello stesso sesso dovesse ritenersi giuridicamente “inesistente”; sicchè, rimosso ogni ostacolo al riconoscimento dell’unione omosessuale, “..l’intero ordinamento giuridico deve essere reinterpretato alla luce di questa presa di posizione..”;

-nell’assenza nel nostro ordinamento di qualsiasi forma di riconoscimento delle  unioni omosessuali, il rifiuto di trascrizione del matrimonio contratto all’estero violerebbe il “diritto alla vita familiare” dei ricorrenti, comportando anche possibile lesione del diritto del YYYY  alla libera circolazione nell’Unione Europea;

-la trascrizione ha il solo scopo di pubblicità di un atto di per sé già valido sulla base del principiolocus regit actum,  sicché il rifiuto contrasta con la costante giurisprudenza che afferma la piena efficacia dei matrimoni contratti all’estero da italiani o stranieri, secondo le forme ivi stabilite;

-alla stregua dell’evoluzione normativa giurisprudenziale, l’eterosessualità dei coniugi non costituisce canone di ordine pubblico, né interno, né internazionale;

che gli intervenienti,  preliminarmente dedotta la nullità del decreto impugnato per carenza di motivazione, hanno  censurato la decisione del Tribunale che non aveva considerato l’ idoneità,  secondo la normativa europea, del matrimonio contratto all’estero a produrre effetti nell’ordinamento italiano; la non contrarietà di tale matrimonio all’ordine pubblico; la sussistenza  delle condizioni richieste per la trascrizione del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso; la rilevanza della trascrizione nella Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo;

rilevato

che è priva di fondamento, oltre che di pratico rilievo, la questione della nullità del decreto per mancanza di motivazione, avendo il Tribunale ampiamente motivato, sia pur riportando l’intera argomentazione adottata in altro procedimento per  analoga  fattispecie: trattandosi di questione da decidere in punto di solo diritto, prescindendo da qualsiasi specificità dei casi, la modalità motivazionale è adeguata e sufficiente;

che i motivi di impugnazione, pur diversamente argomentati dalle parti, sono sovrapponibili, sicchè saranno unitariamente esaminati, e che risultano declinati sia nel senso di proporre la possibilità della trascrizione perché conseguente alla asserita  validità ed efficacia del matrimonio tra persone dello stesso sesso, sia nel senso di affermare comunque la trascrivibilità del matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso, con riferimento all’efficacia parziale che dal matrimonio deriverebbe, o a limitati effetti della trascrizione stessa;

ritenuto      

quanto al rilievo per cui la diversità di sesso non è espressamente enunciata fra i requisiti richiesti per la celebrazione del matrimonio, che non può condividersi l’approccio atomistico ai singoli articoli, richiedendo la materia una lettura sistematica del quadro giuridico di riferimento, peraltro nella irrinunciabile consapevolezza che per il legislatore del 1942 l’introduzione della  diversità di sesso tra i requisiti elencati all’articolo 84 c.c.  sarebbe stata quasi un fuor d’opera, essendo  quella diversità, nella realtà sociale, culturale e giuridica dell’epoca, un presupposto implicito  dell’istituto matrimoniale;

che, infatti, la diversità di sesso, seppur non indicata espressamente agli articoli 84 e seguenti  del codice civile tra le condizioni necessarie  per contrarre matrimonio,  trova riferimento  in numerose altre norme la cui struttura richiama lessicalmente i due contraenti del matrimonio, indicati per l’appunto come “marito” e “moglie”, in una prospettiva di senso delle norme stesse  (cfr. artt. 107, 108,143,143 bis  e 156 bis c.c.,  e corrispondenti disposizioni relative ai casi di scioglimento del matrimonio). Si tratta di plurimi riferimenti normativi che escludono che quelle norme siano inclusive del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Peraltro, la connotazione eterosessuale del matrimonio, nella vigente disciplina legislativa,  trova riscontro proprio nei plurimi pregressi ricorsi alla Consulta con i quali è stata dedotta  l’illegittimità costituzionale delle norme in questione (in ordine agli articoli  2, 3, 29 e  117 della Costituzione; 12  e 14 CEDU; 9 Carta di Nizza).  Si richiamano il ricorso deciso con sentenza 138/2010, con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità della questione sollevata in riferimento all’articolo 2, perché diretta ad ottenere una pronunzia additiva non costituzionalmente obbligata,  ed  è stata dichiarata l’infondatezza della questione sollevata in riferimento ai parametri individuati negli artt. 3 e 29;   nonché i successivi ricorsi con i quali sono state proposte analoghe eccezioni di incostituzionalità dichiarate infondate con le ordinanze 276/2010 e  4/2011, anche sul rilievo che non risultavano allegati profili diversi o ulteriori, idonei a superare gli argomenti addotti nella precedente pronuncia. 

La connotazione eterosessuale del matrimonio non è smentita nemmeno dalla più recente decisione 170/2014  -con la quale la Consulta ha  dichiarato, in riferimento all’art. 2 della Costituzione l’illegittimità costituzionale  degli articoli  2 e 4  della legge  14 aprile 1982,  n. 164, nella parte in cui tali norme  non prevedevano che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi consentisse, comunque, ove entrambi lo  richiedessero, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra   forma di convivenza registrata-  risultando da tale decisione che  la regolamentazione dell’unione omosessuale resta comunque  demandata alle scelte  discrezionali  del legislatore;

che non può, pertanto, ragionevolmente negarsi  che il matrimonio disciplinato dal legislatore del 1942, e non rivisitato sotto il profilo in esame da successive riforme del diritto di famiglia,  sia quello tra persone dello stesso sesso e che solo a queste il vigente istituto sia attualmente riservato;     

considerato

che non potrebbe  pervenirsi a diversa conclusione nemmeno sulla base delle argomentazioni dei commentatori che,  sviluppando alcuni  passaggi della sentenza della Consulta 138/2010   – laddove la Corte esclude la cristallizzazione dei concetti di famiglia e di matrimonio,  concetti dotati della duttilità  propria dei principi costituzionali e quindi  da interpretarsi “..tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi..”  –  e richiamandone la lettura operata dalla Cassazione nella sentenza 4184/2012, sottolineano che  il paradigma eterosessuale del matrimonio non risulti costituzionalizzato nell’articolo 29.  La qualificazione della famiglia come società naturale starebbe  proprio ad indicare positivamente la sua naturale attitudine ad essere formazione sociale in continua evoluzione e che, per realizzare tale finalità, la stessa nozione di famiglia data dalla norma deve essere adeguata all’evoluzione delle regole sociali;

che,  pur valorizzando il contenuto di norma “aperta” attribuibile all’articolo 29, la cui regolazione normativa non è inesorabilmente legata alla definizione di matrimonio accolta dal legislatore del 1942, e riconducendo il paradigma eterosessuale sul piano della legislazione primaria, permane comunque l’effetto preclusivo costituito dall’attuale disciplina legislativa, costituzionalmente compatibile;

rilevato

che le ragioni dei reclamanti non possono condurre alla modifica del decreto impugnato  sulla base di vincoli comunitari e della proposta lettura convenzionalmente orientata delle norme di riferimento,  che comporterebbero l’affermazione del riconoscimento del diritto al matrimonio alle coppie dello stesso sesso;

che, infatti,  la regola gender-neutral   ( “..Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia..”) posta dall’articolo  9 della Carta di Nizza  che è provvista di effetto diretto,  godendo la Carta dello stesso valore giuridico dei Trattati,  riserva comunque agli Stati  la disciplina di quei diritti, che sono “..garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio..”, così  evidenziando la carenza del principio di attribuzione nella materia matrimoniale, non disciplinata dal diritto europeo, ma dalle sole norme di diritto interno,  e la conseguente impossibilità di configurare obblighi a livello statale discendenti dai diritti stabiliti all’articolo 9 della Carta;

che al riconoscimento alle coppie dello stesso sesso del diritto al matrimonio non può pervenirsi alla stregua  di una interpretazione convenzionalmente orientata delle norme CEDU che, nel significato attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, come norme interposte integranti  il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, c.1, entrano a far parte del materiale normativocui deve conformarsi la  nostra legislazione;

che i reclamanti richiamano la sentenza  “Schalk e Kopf / Austria” del  24 giugno 2010 con  la quale la Corte EDU, pervenendo ad un’innovativa lettura dell’articolo 12 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 9 della Carta, ha ritenuto che  il diritto al matrimonio di cui all’articolo 12 CEDU non debba intendersi limitato al matrimonio tra persone di sesso opposto. Con la stessa sentenza, la Corte, modificando una propria precedente valutazione dei diritti delle unioni omosessuali,  ha anche affermato che la relazione di una coppia dello stesso sesso, convivente in una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione, oltre che di “vita privata”, anche  di “vita familiare”nell’accezione dell’articolo 8 della Convenzione, e che le coppie omosessuali, avendo la stessa capacità di quelle eterosessuali di costituire relazioni impegnative, si trovano in una situazione simile “..quanto alla loro esigenza di riconoscimento e protezione giuridici della situazione..”;

ritenuto

tuttavia, che gli approdi della Corte di Strasburgo, di rilevante impatto evolutivo anche ai fini della valutazione dell’esistenza e validità nel nostro ordinamento di un matrimonio omosessuale, non consentono nella loro argomentata complessità, l’estensione, per via di interpretazione adeguatrice, del diritto di contrarre matrimonio a persone dello stesso sesso

che, infatti, la Corte EDU  ha considerato che, pur in presenza di un emergente consenso generale europeo nei confronti del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, non vi era su tale questione, riguardante  “..diritti in evoluzione..”, un accordo consolidato degli Stati membri, specie con riferimento al matrimonio, istituto radicato in contesti sociali e culturali che possono differire molto da una società all’altra; che perciò diversi erano i tempi di intervento degli Stati; che non vi era uniformità nelle discipline apprestate, come concretamente dimostrato dal fatto che, alla data della decisione  europea, il riconoscimento delle coppie omosessuali era avvenuto in 7 Stati mediante  l’accesso al matrimonio e  in 13 Stati a mezzo di cosiddette  unioni registrate, con effetti e contenuto di diversa ampiezza.  Andava perciò riconosciuto un certo margine di discrezionalità“..nella scelta del momento dell’introduzione delle modifiche legislative..” (par.105) e “…per quanto riguarda il preciso status conferito dal mezzo di riconoscimento alternativo…”(par.108); e, con particolare riferimento al matrimonio, affermava la Corte che “..per come stanno le cose, si lascia decidere alla legislazione nazionale dello stato contraente se permettere  o meno il matrimonio omosessuale…” (par.62);

che,  in definitiva,  dalla decisione della Corte EDU   si desume che  sussiste  obbligo per gli Stati membri di fornire strumenti giuridici di riconoscimento e  tutela per le unioni omosessuali,  dovendo essere  garantita alle stesse, alla stregua dell’articolo 8 della Convenzione, una protezione della vita privata e familiare; ma non sussiste obbligo di consentire l’accesso al matrimonio per le coppie dello stesso sesso: “..gli stati sono tuttora liberi, a norma dell’articolo 12 della Convenzione, nonché dell’articolo 14 in relazione all’articolo 8, di limitare l’accesso al matrimonio alle coppie omosessuali..” (par.108);

che tale approccio al problema (cd teoria del margine d’apprezzamento) è confermato anche in successive decisioni della Corte:  nella decisione del 15 marzo 2012 (ricorso “Gas e Dubois / Francia”),  si afferma  che l’articolo 12 della Convenzione non impone agli stati l’obbligo  di aprire il matrimonio alle coppie omosessuali; che il diritto al matrimonio non può neanche essere ricavato dall’articolo 14 congiuntamente all’articolo 8; e che anche quando gli Stati decidono di offrire alle coppie omosessuali un’altra forma di riconoscimento giuridico, essi beneficiano di un certo margine di apprezzamento per decidere la natura esatta dello status conferito; nella decisione del 16 luglio  2014 (ricorso “Hämäläinen  / Finlandia“)  ancora si ribadisce che, pur in presenza di ulteriori estensioni  da parte di Stati contraenti del matrimonio a partner omosessuali, l’articolo 12 non può essere interpretato come se esso ponga in capo agli Stati l’obbligo di concedere l’accesso al matrimonio alle coppie omosessuali;

che,  di contro, nessun argomento può trarsi a sostegno del reclamo dalle decisioni adottate nel giugno 2014 dalla Corte EDU nelle cause “Labassee / France”  e “Mennesson / France”, avendo assunto in quei casi decisivo rilievo il preminente interesse del minore;

che la “..riserva  assoluta di legislazione nazionale..” (così, la Corte di Cassazione 4184/12),  contenuta nella giurisprudenza di Strasburgo comporta quindi  una lettura delle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non compatibile con l’interpretazione  richiesta dai reclamanti;

rilevato  

che i reclamanti assumono la trascrivibilità  del matrimonio contratto all’estero svolgendo argomentati rilievi  in ordine all’ordine pubblico, profilo che è rimasto nello sfondo della decisione del Tribunale  -nella stessa prospettiva svolta dalla Corte di legittimità nella sentenza 4184/12,  la questione è stata ritenuta “assorbita”  dalle altre argomentazioni-  e che è, invece, richiamato a sostegno del rifiuto di trascrizione, con  riferimento al contenuto  di Circolari  del Ministero dell’interno e del Massimario per l’Ufficiale dello Stato Civile  dello stesso Ministero,  che affermano la contrarietà all’ordine pubblico del matrimonio contratto tra persone dello stesso sesso, facendo peraltro la circolare 55/2007 esplicito riferimento all’ordine pubblico interno;

che,  in accordo con quanto sottolineato dai reclamanti, la Corte ritiene che nella materia in esame il riferimento andrebbe fatto alla nozione di ordine pubblico internazionale, come insieme di principi a carattere universale, comuni a molte nazioni di civiltà affine, intesi alla tutela di diritti fondamentali dell’uomo,  spesso sanciti in dichiarazioni o convenzioni internazionali, e quindi cornice “aperta”  nella quale acquistano  preminente rilievo  i principi che assicurano la tutela e l’implementazione di fondamentali diritti della persona;

che la previsione del matrimonio tra persone dello stesso sesso concretizza il riconoscimento di principi di uguaglianza e di non discriminazione e che tale rilievo, unitamente alle indicazioni normative e all’evoluzione giurisprudenziale più sopra richiamate, nonchè al fatto che l’accesso delle coppie omosessuali al matrimonio è consentito da numerosi paesi dell’Unione Europea, e anche da Stati europei oltre i confini dell’Unione, inducono a ritenere che gli effetti del matrimonio omosessuale non contrastino con l’ordine pubblico internazionale, come sopra inteso;

considerato

che,  tuttavia, l’impedimento alla trascrizione nasce dall’attuale contesto normativo nazionale che non riconosce come matrimonio quello contratto tra persone dello stesso sesso, secondo le articolate argomentazioni della  Cassazione  (Cass. 4184/12, poi richiamata in Cass. 2400/2015). La Corte di legittimità, compiuto un revirement consentito dalla affermata inclusione  del diritto al matrimonio omosessuale nell’articolo 12 CEDU,  e ritenuta non più adeguata alla realtà  giuridica la concezione  secondo  cui la diversità di sesso è presupposto quasi naturalistico della stessa esistenza e della validità del matrimonio,  considera il matrimonio contratto tra persone dello stesso sesso esistente e valido, ma non idoneo a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento, e, perciò, nemmeno trascrivibile.

Osserva, infatti, la Cassazione -e questa Corte è dello stesso avviso- che la questione della trascrivibilità o meno del matrimonio tra persone dello stesso sesso, contratto all’estero da cittadini italiani, “..dipende  dalla soluzione della più generale questione..se la Repubblica Italiana riconosca e garantisca a persone dello stesso sesso..il diritto fondamentale di contrarre matrimonio..”

che l‘inidoneità   -più in esteso:  inidoneità dell’atto alla produzione  degli effetti giuridici che gli sono propri-   categoria non ignota al diritto,  si caratterizza nella prospettiva della Corte  come una inefficacia in senso stretto, non conseguenza di altro vizio,  e si propone  come reazione dell’ordinamento nei confronti di un negozio di cui si riconosce, in relazione al quadro normativo e giurisprudenziale europeo del quale l’ordinamento stesso fa parte, la intrinseca validità, oltre che la consistenza sociale, ma i cui effetti vitali sono però preclusi nel nostro paese dalla mancata previsione legislativa;

che,  richiamato anche  il principio di tipicità delle attività dell’ufficiale dello stato civile e degli atti oggetto di trascrizione, deve essere condivisa, in  base ai rilievi svolti,  la decisione del Tribunale,  in quanto, nell’attuale quadro normativo, il matrimonio tra coppie dello stesso sesso non corrisponde alla tipologia del matrimonio delineato nel nostro ordinamento e non è perciò trascrivibile;

che il rilievo non è superabile nell’ottica con la quale i reclamanti insistono nella trascrizione facendo riferimento a possibile produzione di  effetti del matrimonio in Italia “.in base alle norme europee e di diritto internazionale privato che richiamino ordinamenti in cui è possibile il matrimonio tra persone dello stesso sesso..”, anche considerando che,  all’indubbio valore simbolico della trascrizione, si accompagnerebbe, tuttavia, in un ordinamento che non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso  come atto da trascrivere, un quadro di incertezza non compatibile con l’assetto e la funzione della trascrizione;

che prospettano ipotetiche questioni di mero fatto, peraltro non connesse di necessità alla trascrizione, i rilievi con i quali  i reclamanti sottolineano  che la mancanza della trascrizione renderebbe più gravoso l’ esercizio dei diritti assicurati dalla normativa europea che presuppone unostatusconiugale in Italia;  rilevando, peraltro, questa Corte che la questione della libera circolazione negli stati europei non è direttamente influenzata dalla trascrizione del matrimonio, trovando soluzione nelle disposizioni del D.Lgs 30/2007, a norma del quale lo stato di coniugio non deve essere valutato secondo il diritto del nostro paese, quale stato ospitante, ma secondo l’ordinamento straniero in cui il vincolo è stato contratto (indicazione peraltro contenuta nella Circolare del Ministero dell’interno 8996 del 26/10/2012);

ritenuto  

che il decreto impugnato debba essere nel merito confermato, non potendo evidentemente condurre a diversa conclusione l’argomento con cui si sottolinea l’assenza nel nostro paese  di tutela giuridica per le coppie dello stesso sesso, che non possono accedere al matrimonio e alle quali non sono riconosciuti  diritti  nell’ambito di alcuna forma di partenariato;

che non può essere colmato per via giudiziaria  il vuoto normativo conseguente alla inerzia del legislatore  che  ancora  non si è adeguato alle plurime indicazioni dei giudici nazionali,  della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e  anche del Parlamento Europeo, le cui risoluzioni hanno incoraggiato gli Stati membri dell’Unione a contribuire alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso,in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili.

PQM

La Corte d’Appello di Milano, sezione persone, minori e famiglia,

in parziale modifica del decreto reclamato,

*dichiara ammissibile l’intervento di Avvocatura per i Diritti LGBTI -Rete Lenford

*dichiara inammissibile l’intervento di ZZZZ e di KKKK;

*respinge nel merito il reclamo, confermando nel resto il decreto impugnato.

Milano, 13 marzo 2015

Il presidente estensore

Bianca La Monica

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