(A.C. 1460-B)
DONATELLA FERRANTI, Relatrice per la II Commissione. La proposta di legge in esame, approvata dalla Camera e modificata dal Senato, si propone di raggiungere due distinti obiettivi di pari importanza per il contrasto multilaterale alla delinquenza transnazionale: da un lato, la attuazione della Convenzione di Bruxelles relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale, siglata tra gli Stati membri dell’Unione nell’ottobre del 2000; dall’altro la modifica del libro XI del codice di procedura penale, in materia di Rapporti giurisdizionali con autorità straniere.
Ad esclusione delle previsioni di cui all’articolo 5, che intervengono direttamente nel tessuto del codice del rito penale per colmare talune lacune segnalate dalla giurisprudenza di legittimità in tema di consegna alle autorità straniere dell’estradando, lo strumento normativo prescelto per dare attuazione alla Convenzione e per innovare il libro XI del codice di procedura penale è quello delle deleghe che pongono principi e criteri direttivi che necessitano di una successiva attuazione, attraverso l’emanazione di decreti legislativi. Questa scelta è stata dettata dalla complessità ed estensione dell’intervento legislativo da fare. In questi casi, infatti, può essere più opportuno ricorrere a deleghe estremamente dettagliate, piuttosto che a disposizioni legislative che vanno a modificare direttamente il codice di procedura penale, con il rischio di formulare una nuova disciplina legislativa che potrebbe presentare delle disarmonie che con i tempi e le modalità dei lavori parlamentari potrebbero non essere immediatamente evidenti.
Si precisa immediatamente che da un punto di vista strettamente costituzionale nulla osta a che una legge di ratifica ed attuazione di un atto internazionale preveda qualcosa in più specialmente quanto questo qualcosa è connesso con la materia oggetto dell’atto internale. Nel caso in esame questo ampliamento del contenuto della proposta di legge di ratifica risponde ad una esigenza di coerenza, in quanto la materia dell’assistenza giudiziaria, che è oggetto della Convenzione da ratificare, è attualmente disciplinata dal codice di procedura penale in maniera non adeguata rispetto una criminalità, specie quella organizzata, che ha esteso il raggio di azione ben oltre i confini del territorio di un singolo Stato, e sa ben sfruttare tutte le opportunità offerte dalla globalizzazione dei mercati e dalle nuove tecnologie di comunicazione e di gestione dell’informazione.
Sarebbe stato riduttivo ed improprio mettere mano alla materia dell’assistenza giudiziaria in maniera volutamente parziale, come sarebbe avvenuto qualora ci si fosse limitati alla sola attuazione della Convenzione. Ratifica ed attuazione peraltro in notevole ritardo, avvenendo a quattordici anni dalla sottoscrizione della Convenzione: questo ritardo è stato a più riprese stigmatizzato dalle Istituzione europee.
In base a questi principi di fondo, dunque, l’intervento è strutturato in due segmenti: dall’articolo 1 all’articolo 3 sono contenute le previsioni per la ratifica, esecuzione ed attuazione della Convenzione; dall’articolo 4 all’articolo 7 vi sono le disposizioni di riforma del libro XI del codice di procedura penale.
Quanto alla Convenzione di Bruxelles, con l’articolo 1 si autorizza il Presidente della Repubblica alla ratifica e con l’articolo 2 si esplicita che, in conformità a quanto previsto dall’articolo 27 della Convenzione, questa sarà esecutiva nel territorio statale a decorrere dall’entrata in vigore.
L’articolo 3 delega il Governo ad emanare – entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge – uno o più decreti legislativi per dare attuazione alla Convenzione, individuando alcuni principi e criteri direttivi.
In particolare, in base alle lettere a) e b) del comma 1, il Governo dovrà prevedere norme volte a migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale con gli Stati membri dell’Unione europea e ad assicurare che l’assistenza giudiziaria dell’Italia sia attuata in maniera rapida ed efficace, nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (Convenzione EDU).
I decreti legislativi dovranno inoltre: garantire l’assistenza giudiziaria anche nei procedimenti per l’applicazione di sanzioni amministrative, in attuazione dell’articolo 3 della Convenzione; disciplinare la restituzione delle cose pertinenti il reato, in attuazione dell’articolo 8 della Convenzione (lettera c)); disciplinare la procedura per il trasferimento, a fini investigativi, di persone detenute, in attuazione dell’articolo 9 della Convenzione; disciplinare gli effetti processuali delle audizioni compiute mediante video conferenza in attuazione degli articoli 10 e 11 della Convenzione; prevedere la possibilità per PM e polizia giudiziaria di ritardare provvedimenti di competenza, in indagini relative a delitti per i quali è consentita l’estradizione, al fine di poter procedere alla cattura dei responsabili (lettera d)); prevedere l’applicazione del principio di reciprocità nei confronti di Regno Unito ed Irlanda, che si sono riservate la facoltà di coinvolgere l’autorità centrale nelle richieste di assistenza giudiziaria provenienti da altro Stato Membro, benché lo spirito della Convenzione favorisca il dialogo diretto tra omologhe Autorità Giudiziarie (lettera e)); disciplinare le intercettazioni in attuazione degli articoli da 17 a 22 della Convenzione (lettera f)); prevedere la responsabilità civile e penale dei funzionari esteri in servizio in Italia nelle squadre di consegna che operano nel contesto dei gruppi investigativi comuni (lettera g)).
Il secondo comma delinea la procedura per l’emanazione dei decreti legislativi, che prevede l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Così enunciati i principi di delega per l’attuazione della Convenzione di Bruxelles, con l’articolo 4 sono fissati i criteri di delega al Governo per la riforma del Libro XI del codice di procedura penale.
La modifica di questo settore del codice di rito penale costituisce una priorità di azione anche nella prospettiva della ratifica di altre convenzioni internazionali, che in anni recenti hanno dato il segno di una sempre maggiore volontà di cooperazione nel contrasto ai fenomeni criminali.
Tuttavia, come principio consolidato del codice di rito, le norme dell’undicesimo libro si applicano in quanto le relative materie non siano disciplinate da convenzioni multilaterali ovvero bilaterali: le regole codicistiche mantengono quindi il loro carattere applicativo residuale.
Benché i principi di delega si propongano di normare prevalentemente i rapporti con l’autorità giudiziaria di Paesi non aderenti all’Unione europea, che non abbiano raggiunto intese con l’Italia in materia di Assistenza Giudiziaria in ambito penale, taluni principi generali sono affermati anche in relazione alla cooperazione con gli Stati membri, pur disciplinati in via principale dai testi comunitari e convenzionali.
La ricognizione del quadro normativo vigente e delle prassi applicative ha fatto ritenere che il sistema italiano di disciplina delle rogatorie cosiddette passive, e cioè dell’esecuzione delle richieste di altri Stati di raccolta di prove, sia «troppo pesante».
Nell’intervento legislativo in esame si valorizza, nei rapporti tra Stati membri dell’Unione europea, il meccanismo della trasmissione diretta all’autorità giudiziaria competente all’esecuzione della rogatoria, assicurando la trattazione immediata delle rogatorie urgenti. Altresì si elimina il preventivo vaglio della Corte di cassazione sulla competenza, che ha provocato un ulteriore, pesante quanto non necessario, rallentamento delle relative procedure.
Altra criticità è la difficoltà per un giudice come la corte d’appello di governare materie ed esigenze investigative affidate ordinariamente alle competenze di organi diversi.
Va, dunque, privilegiato un modello di soluzioni differenziate, in grado di garantire la sostanziale depoliticizzazione del sistema dell’assistenza giudiziaria nell’area circoscritta dall’efficacia degli accordi internazionali stipulati tra Stati dell’Unione europea, pur conservando in capo al Ministro della giustizia una funzione di filtro.
Inoltre si è voluto porre mano alla riforma dell’estradizione.
Sul presupposto della conservazione della tradizionale regola di esclusione della possibilità di estradizione di un imputato o di un condannato all’estero senza garanzia giurisdizionale (salvo a considerare l’esigenza di disciplinare procedure semplificate in caso di consenso dell’avente diritto), la proposta di riforma muove dalla riconosciuta esigenza di differenziare le aree di esercizio delle concorrenti potestà dell’autorità politica e dell’autorità giudiziaria, sì da evitare la sovrapposizione di valutazioni riferite ai medesimi parametri.
Nel quadro di una più generale manovra di semplificazione e di accelerazione della relativa procedura, ma anche di rafforzamento delle garanzie difensive, va modificata la sequenza procedimentale dell’estradizione per l’estero, potenziando i meccanismi di interlocuzione diretta dell’autorità giudiziaria con le competenti autorità dello Stato richiedente, a fini di acquisizione informativa nel rigoroso rispetto delle garanzie giurisdizionali e del principio del contraddittorio.
V’è poi necessità che il codice di rito appresti un nucleo comune di fondamentali regole procedurali, in sé coerenti con le regole accolte nel sistema di cooperazione fra Stati dell’Unione europea nella prospettiva della progressiva attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e destinate ad applicarsi salvo il caso di espressa e successiva deroga legislativa.
Le modifiche agli articoli 708 e 714 del codice di procedura penale rispondono invece all’esigenza di colmare una lacuna normativa, in più occasioni segnalata anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.
Ciò detto in via generale, si illustrano brevemente gli articoli 4 e seguenti della proposta di legge.
L’articolo 4, n. 1, lettera a) riafferma, sulla scorta dell’attuale articolo 696 del codice di procedura penale, la applicabilità solo extraconvenzionale delle norme del Libro XI; la lettera b)afferma il principio di delega secondo il quale, in ogni caso, il Ministro della giustizia non dà corso alle richieste di assistenza provenienti da Paesi che non garantiscano il principio di reciprocità. Le due previsioni sono state introdotte dal Senato della Repubblica.
Poste tali premesse, le deleghe contenute nell’alt 4 si muovono su quattro fronti: la disciplina processuale dell’assistenza giudiziaria (lettera e)); le estradizioni (lettera d)); il riconoscimento di sentenze straniere e l’esecuzione all’estero di sentenze italiane (lettera e)); mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti con gli altri Stati membri (lettera f)).
Lettera c): l’assistenza giudiziaria.
Nell’articolo 4, comma 1, lettera c), n. 1) vengono esplicitati gli ambiti del potere d’intervento del Ministro della giustizia, che, per motivi di tutela della sovranità, della sicurezza e di altri interessi essenziali dello Stato, può decidere di non dare corso all’esecuzione della domanda di assistenza giudiziaria. Nei rapporti con gli Stati membri dell’Unione europea, si prevede che tale potere possa essere esercitato nei casi e nei limiti stabiliti dalle convenzioni in vigore tra gli Stati ovvero dagli atti adottati dal Consiglio dell’Unione europea.
Più in generale, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera a), numeri 2), 3) e 4), si prevede che, se la richiesta ha per oggetto acquisizioni probatorie da compiersi davanti al giudice ovvero attività che secondo la legge dello Stato non possono svolgersi senza l’autorizzazione del giudice, il procuratore della Repubblica presenti senza ritardo le proprie richieste al giudice per le indagini preliminari del tribunale del capoluogo del distretto e che negli altri casi il procuratore della Repubblica dia senza ritardo esecuzione alla richiesta di assistenza giudiziaria con decreto motivato.
Si è, in particolare, previsto, sul versante passivo della cooperazione a fini di acquisizione probatoria e del sequestro a fini di confisca, l’intervento del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto e del giudice per le indagini preliminari del medesimo ufficio, in luogo di quello del procuratore generale presso la corte d’appello e di questa medesima corte.
Nella prospettiva appena delineata, si elimina l’appesantimento costituito dall’ulteriore fase processuale, finalizzata all’individuazione dell’organo competente, in capo alla Corte di cassazione, in caso di atti da compiersi in diversi distretti giudiziari. Si è dunque previsto che dovranno essere individuati criteri predeterminati per la concentrazione delle procedure di esecuzione di atti che devono compiersi in distretti diversi e procedure semplificate per la definizione di eventuali contrasti e conflitti. Il Senato della Repubblica ha arricchito la delega del n. 4) definendo i poteri attribuiti in materia alla Corte di cassazione.
Il Senato ha anche introdotto i principi di delega di cui all’articolo 4, comma 1, lettera e) n. 5), con i quali si fissano i criteri sulla base dei quali l’autorità giudiziaria non dovrà dar corso alle richieste di assistenza giudiziaria, mutuandoli dal vigente articolo 724, commi 5 e 5-bis del codice di procedura penale.
Ulteriori previsioni dovranno riguardare la possibilità di autorizzare la presenza alle attività da compiersi di rappresentanti ed esperti dell’autorità richiedente, dandone comunicazione al Ministro della giustizia se la richiesta proviene da autorità diverse da quelle di Stati membri dell’Unione europea (n. 6), e la possibilità di compiere attività supplementari, non indicate nella richiesta di assistenza (n. 7).
Altro ambito di intervento viene individuato nell’articolo 4, comma 1, lettera e), n. 8), che estende l’applicazione delle regole sull’esecuzione di domande di assistenza giudiziaria, in quanto compatibili, alle richieste presentate da uno Stato membro ad altri Stati membri dell’Unione europea nei procedimenti per l’applicazione di sanzioni amministrative.
Al n. 9) vi è la delega per la disciplina della partecipazione a distanza dell’imputato, del testimone e del perito impossibilitati a comparire in Italia, operante nei rapporti con gli Stati membri dell’Unione ovvero con Paesi terzi con i quali si sia raggiunta un’intesa convenzionale sul punto. La delega dispone che il Governo elabori le concrete modalità di assunzione della prova, nonché il regime di utilizzabilità.
Le previsioni di cui ai numeri 10), 11) e 12) riguardano la possibilità di costituire squadre investigative comuni, mentre quella indicata al n. 13) concerne l’acquisizione e l’utilizzazione delle informazioni trasmesse spontaneamente dall’autorità straniera.
Nell’articolo 4, comma 1, lettera a), n. 14) vi è la delega a prevedere, da un lato, che nei casi di assistenza giudiziaria concernente la partecipazione in un processo estero di un testimone, perito o imputato il Ministro non dia corso alla richiesta in assenza di una idonea garanzia di immunità, dall’altro una forma specifica di assistenza giudiziaria, che riguarda le procedure e l’autorità competente a consentire il trasferimento temporaneo di persone detenute a fini investigativi.
Lettera d): estradizione.
In relazione alla materia dell’estradizione, la proposta di legge mira a differenziare le aree di esercizio delle concorrenti potestà dell’autorità politica e dell’autorità giudiziaria, sì da evitare la sovrapposizione di valutazioni riferite ai medesimi parametri.
Alla prima, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera d), n. 1), è affidato il vaglio del complesso delle circostanze fattuali riconducibili alla sfera delle valutazioni tipicamente politiche riferite all’incidenza dell’estradizione sulla sorte degli interessi essenziali dello Stato, in primis di quello della sicurezza della Repubblica.
In materia di estradizione dall’estero, vi è l’esplicita attribuzione al Ministro della giustizia di un potere di blocco, definitivo o temporaneo, delle procedure di estradizione avviate su richiesta dell’autorità giudiziaria, finalizzato alla tutela di interessi supremi della Repubblica. Nella stessa ottica, è consentito al Ministro il potere di subordinare la consegna a condizioni (n. 2).
In materia di estradizione per l’estero, il n. 3) conferma la competenza giurisdizionale della Corte d’Appello, che decide su richiesta del Procuratore Generale della Repubblica.
Al n. 4) si prevede che quando il P.G. provvede all’identificazione dell’estradando, ne disponga altresì l’interrogatorio: un intervento che colma una lacuna legislativa, già superata nella prassi applicativa nel silenzio della legge. Si prevede inoltre la facoltà per il PG di interloquire direttamente con l’Autorità richiedente su documentazione ed informazioni necessarie, dandone comunicazione all’autorità ministeriale.
Quanto alla garanzia della specialità dell’estradizione – principio di diritto internazionale che non consente allo stato richiedente di processare e punire per fatti diversi da quelli indicati nella domanda di estradizione – all’articolo 4, comma 1, lettera d), n. 5) si prevede l’irrevocabilità del potere di rinunzia, salvo che intervengano fatti nuovi che modificano la situazione di fatto esistente al momento della rinuncia, in conformità al principio affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 11971 del 29 novembre 2007.
In secondo luogo, si introduce una regolazione degli effetti processuali del principio di specialità, in grado di coniugare la massima portata espansiva di quella fondamentale garanzia di civiltà giuridica, con l’esigenza di pienezza dell’esercizio della funzione giurisdizionale compatibile con l’attuazione del medesimo principio.
In particolare, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera d), n. 12), si prevede che, sul versante passivo, il principio di specialità operi come causa di sospensione del procedimento e dell’esecuzione della pena, così aprendosi la strada non soltanto all’assunzione di prove urgenti e comunque non rinviabili, ma anche di quelle che possono condurre al proscioglimento dell’imputato.
L’idea della specialità come causa di sospensione assicura, inoltre, il vantaggio di potersi applicare coerentemente sia al processo che all’esecuzione della pena, nonché quello di determinare la sospensione della prescrizione senza bisogno di adottare misure per interromperne il decorso.
Il Senato ha introdotto ulteriori principi di delega, statuendo che in caso di estradizione extraconvenzionale la Corte d’Appello disponga la consegna solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’estradando e se nei confronti di questi non sia pendente ovvero definito un procedimento penale italiano sugli stessi fatti (articolo 4, comma 1, lettera d) n. 6). Si è previsto inoltre che l’A.G. pronunci sentenza contraria alla consegna nei casi in cui per il fatto per cui si procede è prevista la pena di morte; se il procedimento esaurito ovvero da celebrare nei confronti dell’estradando non assicura il rispetto dei diritti fondamentali; se il provvedimento di cui si chiede l’esecuzione contiene disposizione contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento; se vi è motivo di ritenere sussistente un rischio di persecuzione ovvero di tortura (n. 7).
Permane la possibilità per l’autorità ministeriale di non procedere alla consegna se l’iniziativa possa pregiudicare la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato. Il Ministro potrà inoltre all’accettazione delle condizioni poste dallo Stato estero per la concessione dell’estradizione (nn. 8 e 9).
Obiettive istanze di equità impongono, infine, di prevedere il computo ad ogni effetto processuale della custodia cautelare sofferta all’estero ai fini dell’estradizione e la riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta all’estero a fini estradizionali (articolo 4, comma 1, lettera d), numeri 10 e 13).
Infine si è previsto che, in caso di estensione della richiesta di estradizione, possa essere disposta un’ulteriore misura cautelare carceraria nei confronti dell’estradando (n. 11).
Lettera e): riconoscimento di sentenze penali di altri Stati ed esecuzione di sentenze penali italiane all’estero.
La delega sulla materia del riconoscimento di sentenze penali di altri Stati ed esecuzione di sentenze penali italiane all’estero, prevista dall’articolo 4, comma 1, lettera e), numeri 1) e 2) non comporta rilevanti modificazioni, poiché considera, da un lato, gli effetti dell’attrazione nella sfera di disciplina dell’assistenza giudiziaria delle attività prodromiche all’esecuzione all’estero ovvero nel territorio dello Stato di provvedimenti di confisca e dell’erosione applicativa delle tradizionali regole codicistiche che può prefigurarsi nella prospettiva della progressiva attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti tra Stati membri dell’Unione europea; dall’altro lato, le obiettive istanze di semplificazione del procedimento di esecuzione all’estero delle sentenze italiane, rivelate dalle ancora limitate esperienze applicative sin qui formatesi in forza di specifici accordi bilaterali.
Mantenendo lo spirito di semplificazione, la delega individua la competenza a decidere della Corte d’Appello e dispone che la sentenza non possa essere riconosciuta in presenza di condizioni elencate dai numeri 2.1 e seguenti, mutuate dall’attuale articolo 733 del codice di procedura penale.
L’articolo 4, comma 1 lettera e) n. 3 fissa i criteri di delega per la determinazione della pena traendoli dall’articolo 735 commi, 2, 3 e 4 del codice di procedura penale.
Infine, anche in relazione alle materie disciplinate dalle lettera e) è riconosciuto al Ministro il potere di garantire l’osservanza delle condizioni eventualmente poste per il riconoscimento o per l’esecuzione dei provvedimenti.
Lettera f): mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti con gli altri Stati membri dell’Unione europea.
Il nucleo fondamentale della disciplina del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti con gli altri Stati membri dell’Unione europea è individuato dallo scopo di assicurare unitarietà e coerenza di indirizzo alla produzione normativa finalizzata all’adeguamento del sistema processuale agli obblighi già assunti (in tema di esecuzione di ordini di blocco di beni e di sequestro probatorio, di ordini di confisca di beni, strumenti e proventi del reato, di provvedimenti di imposizione di sanzioni pecuniarie) e a quelli relativi all’ordine di indagine europeo, previsto dalla direttiva n. 2014/41/UE.
La disciplina codicistica, con riferimento all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea, è stata completata dal decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, che ha recepito la decisione quadro 2008/909/GAI.
Si è, in altri termini, accolta l’idea che la sede di specifica regolamentazione dei singoli apparati di adattamento normativa interno non può che continuare a ritrovarsi in leggi speciali, mentre il codice deve apprestare un nucleo comune di fondamentali regole procedurali, in sé coerenti con le regole accolte nel sistema di cooperazione fra Stati dell’Unione europea, nella prospettiva della progressiva attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e destinate ad applicarsi, salvo il caso di espressa, successiva deroga legislativa.
Nell’articolo 4, comma 1, lettera f), numeri 1) e 2), si prevede che le decisioni giudiziarie emesse dalle competenti autorità degli Stati dell’Unione europea possano essere eseguite nel territorio dello Stato e che l’autorità giudiziaria italiana possa richiedere alle competenti autorità degli altri Stati dell’Unione europea l’esecuzione di proprie decisioni in conformità al principio del mutuo riconoscimento. Viene dunque meno la preventiva valutazione del Ministro della giustizia sulla richiesta di riconoscimento, al fine di verificare l’eseguibilità in Italia della decisione straniera, atteso che il controllo sul rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento è preventivamente effettuato in relazione ai paesi comunitari, salva la sussistenza del potere del ministro della giustizia di garantire, nei casi e nei modi previsti dalla legge, l’osservanza delle condizioni eventualmente richieste in casi particolari per l’esecuzione all’estero o nel territorio dello Stato della decisione della quale è stato chiesto il riconoscimento (n. 3).
Si prevede inoltre che il riconoscimento possa essere richiesto ai fini dell’esecuzione, in Italia ovvero all’estero, di decisioni rese nei confronti di persone giuridiche (n. 4). Le decisioni sul riconoscimento devono intervenire in tempi contenuti, comunque idonei a non frustrare le finalità esecutive sottese; dovrà inoltre prevedersi una disciplina amar più rapida per il caso in cui l’interessato abbia prestato il consenso al riconoscimento (n. 5).
Sulla base del medesimo principio di mutuo riconoscimento delle decisioni degli Stati appartenenti all’Unione europea, il n. 6) stabilisce che lo Stato dia esecuzione alle decisioni giudiziarie degli altri Stati dell’Unione europea senza sindacarne il merito, salva l’osservanza delle disposizioni necessarie ad assicurare l’osservanza in ogni caso dei principi fondamentali del Trattato e dell’ordinamento giuridico.
Infine, ragioni di equità e di sistema impongono la previsione di mezzi di impugnazione del provvedimento che dispone l’esecuzione del riconoscimento (n. 7), nonché di idonei rimedi a tutela dei diritti dei terzi di buona fede, eventualmente pregiudicati dall’esecuzione della decisione (n. 8).
L’articolo 5 introduce modifiche agli articoli 708 e 714 del codice di procedura penale, in materia di estradizione per l’estero.
La modifica dell’articolo 708 codice di procedura penale, prevista al primo comma, muove dalla necessità di predisporre un intervento correttivo alla disciplina dei termini previsti dall’articolo 708, comma 5, codice di procedura penale, per la consegna del soggetto estradando allo Stato estero richiedente, all’esito delle decisione positiva del Ministro della giustizia.
In particolare, in considerazione del disposto contenuto nell’articolo 708, comma 6, in base al quale l’estradando deve essere rimesso in libertà qualora la consegna non avvenga entro il termine previsto, a legislazione vigente la liberazione medesima deve ritenersi vincolata anche quando la mancata consegna sia dipesa non dall’inerzia dell’autorità politica, ma dalla sospensione dell’efficacia del decreto ministeriale, adottata da parte della giurisdizione amministrativa.
Sul punto, la Suprema Corte ha rilevato che la sospensione adottata in sede giurisdizionale determina il dovere, in capo all’autorità giudiziaria, di porre in libertà l’estradando che sia stato sottoposto a misure coercitive, anche se non si determina – antecedentemente alla pronuncia definitoria da parte del giudice amministrativo – alcun effetto caducatorio del decreto ministeriale (con la conseguenza, in caso di rigetto del ricorso, che lo stesso può essere posto nuovamente in esecuzione); d’altra parte, la Corte ha chiarito che tali effetti si determinano anche in presenza delle cause di sospensione della consegna specificamente indicate dall’articolo 709 del codice di procedura penale, non essendo ipotizzabile una proroga del provvedimento coercitivo in assenza di espressa disposizione che la consenta.
L’intervento normativo è dunque volto a risolvere la lacuna normativa, espressamente segnalata dalla Suprema Corte, mediante la modifica del comma 5 dell’articolo 708, codice di procedura penale, prevedendo un’ipotesi di sospensione del termine per la consegna, in caso di sospensione dell’efficacia della decisione del ministro da parte del competente giudice amministrativo.
Coerentemente, l’articolo 34-ter, al secondo comma, interviene sull’articolo 714 del codice di procedura penale, inserendo il comma 4-bis e prevedendo uno specifico termine massimo di durata delle misure coercitive per la fase successiva all’emissione del decreto ministeriale (tematica pure evidenziata dalla citata giurisprudenza richiamata).
L’articolo 6 si limita a prevedere la clausola di invarianza finanziaria e le disposizioni correttive in caso i decreti legislativi adottati determinino nuovi o maggiori oneri.