“Tratta di esseri umani e forme di grave sfruttamento” – Approfondimento giuridico e impegno civile di Unità per la Costituzione di David Mancini – Video

Il 30 novembre 2023 si è tenuto un workshop online dal titolo: Tratta di esseri umani e sfruttamento. il nuovo volto della “schiavitù moderna” nella dimensione internazionale, europea e nazionale, organizzato da Unità per la Costituzione e dal Centro Studi Nino Abbate.

Il confronto ha coinvolto massimi esperti, nazionali ed internazionali, ed è stato trasmesso in diretta da Radio Radicale, sul cui sito è tuttora disponibile il link relativo all’intera durata del convegno. E’ stato un successo conseguente ad un notevole sforzo operativo (il convegno è stato integralmente curato con traduzione simultanea italiano/inglese) motivato dall’esigenza sempre più avvertita di affrontare tematiche di grande rilevanza attraverso un rinnovato approccio in cui l’attenzione alle prospettive delle vittime, ai riflessi economici e sociali dello sfruttamento massivo, alle interconnessioni con più settori disciplinari, assumono un’importanza prioritaria.

Ebbene, una metodologia di riflessione giuridica coerente con un fenomeno globale, che avanza in tutti i continenti, non avrebbe senso se non svolta anche con esperti e magistrati provenienti da altri ordinamenti giuridici. Una strategia nazionale di efficace contrasto del crimine e di identificazione e protezione delle vittime deve tener contro delle norme sovranazionali, della giurisprudenza delle corti europee; basti pensare alle ormai numerose pronunce della corte europea dei diritti dell’uomo, formatasi negli anni intorno all’articolo 4 della convenzione EDU. Pertanto, un approccio esclusivamente autoreferenziale sarebbe inevitabilmente miope e non in linea con l’attualità giuridica (si pensi, ad esempio, al processo di revisione della direttiva 2011/36/EU del 5 aprile 2011 concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, ormai ad una fase avanzata, che condizionerà le normative nazionali nelle parti che richiederanno un recepimento).

Un confronto costante e aperto, inoltre, consente agli stakeholders – ed in vero, ancora di più ai legislatori – di comprendere le falle del sistema e di correre ai ripari con le iniziative normative e organizzative, di settore o multi-agenzia. Ad esempio, di notevole impatto è il rapporto del gruppo di esperti che monitora l’attuazione da parte degli Stati membri della convenzione anti-tratta del Consiglio d’Europa del 16 maggio 2005, recepita dall’Italia con la legge 2 luglio 2010, n. 108. Il GRETA (Group of Experts on Action against Trafficking in Human Beings) è in imminente procinto di licenziare il terzo rapporto sull’Italia, con un focus particolare sull’accesso alla giustizia ed ai rimedi efficaci in favore delle vittime.

In effetti, pur se nel dibattito collettivo e a diversi livelli spesso si confondono concetti e rappresentazioni dei fenomeni, relegando realtà complesse in ingannevoli semplificazioni, quando non in mistificazioni e immagini stereotipate, è indifferibile calibrare gli interventi concreti alle emergenze ed ai rilevamenti dei dati.

La schiavitù moderna assume molti aspetti ed è conosciuta con diversi nomi: tratta di esseri umani, lavoro forzato, matrimonio forzato o servile, servitù per debiti, sfruttamento sessuale, pratiche simili alla schiavitù, vendita e sfruttamento di bambini ed altro.

In tutte le sue manifestazioni, essa è la rimozione sistematica della libertà di autodeterminazione di una o più persone – ad esempio, della libertà di accettare o rifiutare un lavoro, di lasciare un datore di lavoro per un altro, della libertà di decidere se, quando e chi sposare, come relazionarsi sul piano sessuale – al fine di sfruttarle per guadagni di singoli o di gruppi criminali organizzati, approfittando delle loro condizioni di vulnerabilità.

Lo sfruttamento, quale obiettivo finale della tratta di esseri umani, avviene in ambiti disparati, in cui le vulnerabilità sono acuite da fenomeni complessi (migrazioni, guerre, persecuzioni, povertà, crisi climatiche). Alle tradizionali forme di sfruttamento (sessuale e lavorativo in primis) se ne aggiungono altre meno monitorate, come lo sfruttamento in attività criminali forzate, così come alle modalità classiche si aggiungono forme evolute attraverso l’utilizzo dei sistemi tecnologici e di comunicazione avanzati.

Secondo le stime più recenti, nel 2021 circa 50 milioni di persone vivevano assoggettate in condizioni riconducibili a forme di schiavitù moderna.

L’evoluzione dei fenomeni è negativamente descritta dal progressivo peggioramento dei dati di rilevamento. Dal Protocollo ONU del 2000 contro la tratta di esseri umani, addizionale alla Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale, il fenomeno è in costante crescita.

Secondo il Global Slavery Index del 2023 (prodotto da Walk Free Foundation con la collaborazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, presentato in Vaticano il 13 novembre 2023) a partire dal 2016 circa 10 milioni di uomini, donne, bambini in più sono stati sfruttati in quanto vittime di “nuove schiavitù”. Il peggioramento della situazione si è verificato in un contesto di conflitti armati crescenti e più complessi, di crisi ambientale diffusa, di aggressioni alla democrazia in molti Paesi, di un arretramento globale dei diritti delle donne e di impatti economici e sociali della pandemia COVID-19. Questi fattori hanno causato notevoli ostacoli all’occupazione ed all’istruzione, portando a un aumento della povertà estrema e della migrazione forzata, che insieme accrescono il rischio di tutte le forme di schiavitù moderna.

I riflessi di queste diffuse violazioni dei diritti umani li incontriamo costantemente e sotto diverse forme nel nostro contesto nazionale, dove il grave sfruttamento si concretizza in vicende drammatiche che quotidianamente impegnano la magistratura, le forze di polizia, gli enti del pubblico e privato sociale. Al contempo, delle vulnerabilità approfittano le organizzazioni criminali, che traggono dalla tratta di esseri umani e fenomeni connessi imponenti profitti, successivamente riciclati e reinvestiti, secondo i canoni comportamentali delle mafie, vecchie e nuove, nazionali e straniere.

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In ambito nazionale e internazionale, la magistratura ed in generale gli enti del law enforcement devono adeguarsi e comprendere la complessità del fenomeno, devono aggiornare le strategie di contrasto e le interpretazioni dei quadri giuridici di riferimento, devono superare gli stereotipi che spesso impediscono un efficace azione di lotta alla tratta e non garantiscono un pieno rispetto dei diritti delle persone vittimizzate.

E’ necessario interrogarsi sulle specificità nazionali, sulla specifica tipizzazione normativa dei fenomeni, sulla caratteristica originale, ad esempio, delle norme in tema di contrasto all’intermediazione illecita di manodopera (“caporalato”), sull’attualità degli strumenti cardine di identificazione e protezione delle vittime (art. 18 del d.lgs 286/1998) sull’interconnessione con la disciplina in tema di immigrazione e di riconoscimento della protezione internazionale.

L’approccio centrato sui diritti fondamentali delle persone e la capacità di operare in rete, attraverso metodi integrati multi-agenzia, sono oggi priorità che devono ispirare pubblici ministeri e giudici, sia sul piano organizzativo degli uffici, sia su quello operativo e decisionale.

Il convegno del 30 novembre è stato aperto dal saluto di Rossella Marro, presidente di Unità per la Costituzione che, introducendo i lavori, ha ben sintetizzato lo spirito di apertura intellettuale del gruppo verso nuove sfide culturali.

A catapultare immediatamente i partecipanti nella “carne viva” del tema ci ha pensato Toni Mira, giornalista e caporedattore dell’Avvenire, forte di un lungo impegno civile concreto che lo ha reso profondo conoscitore di tante realtà di sfruttamento nel nostro Paese. Il suo intervento ha dato voce alle tante vittime, migranti e italiane, rappresentando l’umanità vulnerabile e spesso invisibile che costituisce il serbatoio del profitto dei gruppi criminali. Il giurista interpreta e applica le norme, ma non dovrebbe mai dimenticare di portare con sé, nella cassetta degli attrezzi, anche umanità e sensibilità per conoscere la realtà che costituisce lo sfondo delle indagini e dei processi.

L’apprezzamento all’iniziativa è stato testimoniato dall’intervento della presidente della  commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, On. Chiara Colosimo.

Occorre sottolineare il nesso inscindibile tra tratta e fenomeni di grave sfruttamento e la criminalità organizzata, proprio perché, se analizzati in funzione teleologica, essi sono crimini economici, strumenti dei gruppi criminali organizzati utilizzati per ricavare profitti enormi. In quanto tali essi devono essere perseguiti, senza perdere di vista l’elemento essenziale dato dal fatto che il profitto illecito viene realizzato attraverso la sottomissione di vittime vulnerabili, private della loro autonoma libertà di autodeterminazione.

I propositi espressi dalla presidente della commissione, se attuati, proietterebbero l’istituzione parlamentare verso un’analisi più approfondita di tali fenomeni, attraverso la costituzione di specifici tavoli di studio ed elaborazione che possano ampliare quanto già accennato nella relazione della precedente legislatura, allorchè, ad esempio, nella sezione XV, a pag. 17, con riferimento alle sole mafie nigeriane si scriveva: questa Commissione, consapevole dell’esigenza, da un canto di apprestare una tutela più efficace alle vittime, e dall’altro di contrastare in maniera più efficiente le organizzazioni criminali, prima tra tutte la mafia nigeriana, che sulla tratta di essere umani fondano i propri illeciti affari, ha formulato una serie di proposte. Esse sono in primo luogo finalizzate a creare più specifiche competenze professionali, sia da parte della magi­stratura inquirente che da parte della polizia giudiziaria, in modo da approcciare il fenomeno in maniera sistematica e con piena conoscenza delle sue caratteristiche e peculiarità.

Dunque, la testimonianza della presidente della commissione parlamentare antimafia evidenzia la centralità delle vittime in ogni azione di contrasto, ma anche la corrispondenza tra human trafficking – “modern slavery” e reati spesso commessi da gruppi criminali organizzati, non di rado aventi le caratteristiche di cui all’articolo 416bis cod. pen..

Successivamente, il convegno  si è soffermato su sessioni tematiche. Dapprima è stato utile partire dalle tendenze e strategie necessarie per contrastare la tratta di esseri umani.

Andrea Salvoni,  vice-speciale rappresentante e coordinatore OSCE per la lotta contro la tratta di esseri umani e Petya Nestorova, segretario esecutivo della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri  umani, hanno fornito un quadro emblematico del fenomeno. Sono emerse emergenze e criticità: a fronte di una dimensione enorme del problema vi sono scarsi dati di identificazione delle vittime, di indagini, processi e condanne contro i trafficanti. Ancora meno rassicuranti sono i dati riguardanti i risarcimenti in favore delle vittime (compensation in senso lato, non necessariamente all’interno della fase giudiziaria). Inoltre, si registra la necessità di comprendere l’evoluzione dei fenomeni criminali, esattamente come ci si interroga sulle evoluzioni dell’agire mafioso. Trasformazioni tecnologiche e adattamenti ai conflitti in corso sono solo alcune caratteristiche in progress dei gruppi criminali.

Di conseguenza, le obbligazioni per gli Stati, diffusamente esplicate dalla Corte EDU (da ultimo segnalo con la sentenza Krachunova c. Bulgaria del 28 novembre 2023) diventano un costante riferimento interpretativo per i giudici nazionali; infatti, la convenzione europea dei diritti dell’uomo è uno strumento vivente, come sancito in più occasioni (a partire da Tyrer c. Regno Unito del 25 aprile 1978). Tuttavia, per addivenire alla coerente applicazione della convenzione EDU e segnatamente del suo articolo 4 (secondo cui: 1. nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù e di servitù. 2. nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio …) occorrono altri parametri a cui le istituzioni nazionali devono ispirare le loro azioni. Tra essi vi è la necessità di operare in coordinamento secondo un approccio multi-agenzia, in attuazione delle obbligazioni positive sancite dalla Corte, riassumibili nell’obbligo di identificare e proteggere le vittime in modo proattivo ed efficiente, l’obbligo di adattare il proprio quadro normativo e organizzativo in modo efficiente e aderente e l’obbligo di svolgere indagini efficienti.

A seguire, il confronto ha voluto stimolare la riflessione su come la tratta di esseri umani, in presenza dei necessari requisiti, possa anche assumere la connotazione di crimine contro l’umanità ed  in ordine a questi spunti è stato entusiasmante raccogliere la testimonianza di Rosario Aitala, giudice della Corte Penale Internazionale. E’ noto, infatti, che l’articolo 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale prevede una serie di condotte (acts) che costituiscono crimini contro l’umanità, se commessi quali attacchi diffusi e sistematici a danno della popolazione civile e se vi è una chiara intenzione di commetterli. A queste condizioni si registra la giurisdizione della Corte dell’Aja (come evidenziato dal relatore analizzando il caso di Dominic Ongwen, leader di un movimento armato ugandese, condannato definitivamente, nel dicembre 2022, a 25 anni di reclusione).

Dopo gli approfondimenti di livello internazionale, si è voluto riportare la discussione sui piani nazionali, all’interno di una sessione mirata ad evidenziare l’importanza dell’organizzazione e della strategia giudiziaria nel contrasto alla tratta di esseri umani quale crimine organizzato e nella tutela dei diritti delle vittime. A tal proposito, oltre al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo (impossibilitato a presenziare per impegni sopravvenuti) è stata prevista la partecipazione di Hilary Axam, coordinatore nazionale sulla tratta degli esseri umani, al vertice del dipartimento di giustizia degli Stati Uniti in materia di tratta, Lynette Woodrow, responsabile nazionale della schiavitù moderna per il crown prosecution service del Regno Unito e Roberta Collidà, magistrato di collegamento presso il ministero della giustizia della Repubblica di Francia e per il Principato di Monaco.

E’ stato sorprendente percepire come, pur in presenza di ordinamenti giuridici diversi (statunitense, britannico, italiano e francese) vi siano una comune lettura dei fenomeni,  numerosi spunti condivisi ed elementi empirici ricorrenti, tra cui: le modalità di sfruttamento delle vittime, le esigenze di contrasto alla criminalità organizzata che trae profitti enormi, l’innovazione metodologica nelle indagini e nella valutazione delle prove, l’adeguamento della risposta giudiziaria all’evoluzione dei fenomeni globali, la necessità di precoce e incondizionata protezione delle vittime, la cooperazione giudiziaria internazionale attraverso tutti gli strumenti a disposizione.

Hilary Axam, ad esempio, ha sottolineato l’importanza di adeguata formazione di procuratori e giudici poiché non è semplice comprendere l’influenza che il trauma ha sulle vittime di tratta e sulla loro capacità di testimoniare.

Inoltre, è  di grande attualità in Italia il tema della criminalità minorile; ma se si evitano semplificazioni e si allarga lo sguardo è possibile rilevare frequenti casi di reclutamento e sfruttamento di minori in attività criminali forzate, come la detenzione ed il trasporto di stupefacenti. In tal caso, il  minore visto come autore di reato, in realtà è prima di tutto vittima. Ebbene, la relatrice britannica ha evidenziato l’attuale criticità britannica delle c.d. “county lines”, intendendo con questa espressione la pratica diffusa dei gruppi criminali di reclutare e sfruttare minori, anche in età non imputabile, per tali fini illeciti. La necessità di identificare le vittime anche quando prima facie sembrano solo autori di reato è oggi particolarmente sentita nel Regno Unito, anche in seguito alla condanna riportata con la sentenza della CEDU nel caso V.C.L. e A.N. c./Regno Unito del febbraio 2021 (per violazione dell’art. 4 della convenzione EDU) in relazione al caso in cui l’autorità giudiziaria britannica condannò due minori asiatici per coltivazione di marjiuana, omettendo di identificarli e proteggerli come vittime di tratta, poiché reclutati e costretti a svolgere tale lavoro.

Un momento centrale di sintesi rispetto al panorama normativo e giurisprudenziale italiano è stato affidato al contributo del prof. Luca Masera, ordinario di diritto penale presso l’università di Brescia. Le modalità peculiari di recepimento interno del protocollo ONU contro la tratta di persone, addizionale alla convenzione di Palermo del 2000 in tema di crimine organizzato transnazionale, le norme originali in tema di “caporalato” di cui all’art. 603bis c.p., le interferenze con le norme incriminatrici del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare di cui all’art. 12 del d.lgs 286/1998 sono alcuni dei temi trattati. Accanto ad essi, si pongono argomenti di assoluta attualità come, ad esempio, la non punibilità delle vittime di tratta per i reati commessi come conseguenza del loro status di vittime o perché a ciò costrette. Tale principio è sancito, ad esempio, dall’art. 26 della Convenzione del Consiglio d’Europa e dall’art. 8 della direttiva 2011/36/EU e, de iure condito, potrebbe trovare ingresso nel nostro ordinamento soltanto previa (difficile) applicazione dell’articolo 54 c.p..

Si è detto, dunque, di fenomeni interconnessi; per tale ragione un’ultima sessione è stata dedicata ad un confronto a due voci tra Francesca Nicodemi, avvocato, esperto indipendente ed ex consulente di UNHCR e Francesco Cananzi, giudice della corte di cassazione, già consigliere del consiglio superiore della magistratura. Ne è venuta fuori una conferma armonica della complessità del fenomeno tratta e grave sfruttamento, attraverso la chiara evidenza della concreta applicazione del riconoscimento della protezione internazionale alle vittime di tratta, secondo la giurisprudenza formatasi in questi anni, e la casistica in base alla quale è emersa con forza l’importanza della conoscenza delle caratteristiche psicologiche e culturali delle vittime. Una delle prime esigenze conseguenti a questa lettura è data dalla priorità, anche in questo ambito, dell’identificazione precoce delle potenziali vittime. A questo proposito si pongono le linee guida UNHCR per l’identificazione delle vittime di tratta tra i richiedenti protezione internazionale e procedure di referral (2021). Una precondizione, emersa dal dibattito, per un’efficace azione di identificazione e protezione delle vittime consiste nella promozione di buone prassi e protocolli multi-agenzia tra gli attori istituzionali attraverso cui garantire un costante scambio di informazioni e collaborazioni, nell’ambito di procedure operative condivise; nel caso di specie, tra procure della Repubblica, commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, sezioni specializzate dei tribunali. Queste sollecitazioni hanno aperto vasti spazi di riflessione all’interno dei quali il giurista può coniugare interpretazione e applicazione delle norme con soluzioni basate sulle buone prassi e sulla cooperazione, al fine di raggiungere obiettivi di promozione e di impegno civile, senza peraltro la necessità di abbandonarsi ad interventi che esulano dalla realtà giuridica vigente, sovranazionale o interna.

Le conclusioni del convegno a cura di Antonio Balsamo, direttore del centro studi Nino Abbate, hanno costituito ulteriore e convinta espressione dell’intenzione di proseguire nell’approfondimento del tema, all’insegna di un nuovo metodo di confronto culturale, aperto al dialogo con altri ordinamenti e con la dimensione internazionale, con altre professionalità ed esperienze nell’ottica delle sinergie tra diversi attori istituzionali e civili. Inoltre, è auspicio concreto quello di misurarsi in prossimi eventi con le testimonianze provenienti direttamente dalle vittime, non più in una chiave di stereotipata commiserazione, bensì per ricevere un arricchimento nella conoscenza dei fenomeni ed anche possibili soluzioni da un diverso angolo prospettico, analogamente a quanto sta accadendo nell’esperienza anglosassone, in cui si fa riferimento al concetto di “survivors”, con l’obiettivo di valorizzare la prospettiva positiva del superamento dello stato di asservimento alla soggezione e allo sfruttamento.