Un coraggio meno tradito, a margine del volume di Pietro Perone “Don Riboldi 1923-2023” – editoriale di Francesco Cananzi (*)

I recenti e tragici fatti del Parco Verde di Caivano tornano a evidenziare la serietà della questione democratica per le tante Caivano del paese, come nell’articolo che segue viene rimarcato: le politiche costituzionali per una prevenzione contro le mafie servono anche per ripristinare la coesione sociale e un tessuto solidale, dove istituzioni e comunità siano in grado di custodire e proteggere i minori, garantendo loro percorsi che ne promuovano la dignità. Non la necessaria repressione, ma solo il lavoro paziente e costante nel tempo, lontano dai riflettori — da parte delle istituzioni, della politica nazionale e locale, delle realtà culturali, sociali ed ecclesiali presenti su ogni territorio — potrà garantire un vissuto dignitoso a chi abita le  tante periferie del nostro paese. Quella dignità che per Costituzione spetta a ogni cittadino.

Un coraggio meno tradito, a margine del volume di Pietro Perone “Don Riboldi 1923-2023” di Francesco Cananzi

Sommario. 1. Il respiro unico della Repubblica. 2. Il contesto al dicembre 1982. 3. L’esperienza degli studenti: il primo movimento contro la camorra. 4. Una politica ‘costituzionale’ contro le mafie, una seria questione democratica, un rinnovato impegno della magistratura.

(*) Questo scritto nasce dalle idee raccolte in occasione della presentazione del libro di Pietro Perone “Don Riboldi 1923-2023” tenuta a Pomigliano d’Arco. Vorrei dedicare queste riflessioni ad Alberto Vallefuoco, vittima innocente a 24 anni proprio a Pomigliano D’Arco. Il 20 luglio 1998, sono passati 25 anni, Alberto veniva ucciso con i due amici e colleghi del pastificio Russo, Rosario Flaminio, 24 anni, e Salvatore De Falco, 21 anni, per uno scambio di persona davanti al bar Manila (per approfondire, https://vivi.libera.it/storie-574-alberto_vallefuoco.).   

1. Il respiro unico della Repubblica.

Il libro di Pietro Perone, “Don Riboldi 1923-2023”, pubblicato da Edizioni San Paolo in occasione dei cento anni dalla nascita di Don Riboldi, ha un sottotitolo vero, ma amaro: il coraggio tradito. La tesi condivisibile del libro è che la politica, quella di maggioranza come anche quella di minoranza, di fatto avversò o anche solo strumentalizzò il movimento studentesco spontaneo sostenuto da Don Riboldi, non cogliendo l’occasione offerta dal vescovo che propose e promosse, per riscattare il territorio di Acerra, iniziative di rinascita e liberazione, come l’insediamento di un polo ospedaliero pediatrico. In sostanza, rimasero promesse – e niente fatti – quelle assicurate a quell’uomo, cittadino oltre che prelato che, munito di coraggio, si espose contro la criminalità organizzata. Per questo, ‘il coraggio tradito’.

Eppure, proprio l’idea di Perone di pubblicare un libro che sia frutto di ricerca storica, ma anche narrazione di vita vissuta dall’autore, giovane studente coinvolto all’epoca nelle iniziative di quel vescovo ad Acerra, contro la camorra di Raffaele Cutolo, rende il tutto meno amaro.

Credo che guardare indietro e fare memoria serva per poter agire nell’oggi con coraggio, forza e consapevole lucidità e soprattutto è una risposta rispetto a un dato destinato a crescere: il 60% circa dei cittadini italiani non ha un ricordo diretto di quello che accadde negli anni ’80 in Campania e solo il 45 % ne ha della terribile estate di Palermo del 1992[1] e degli eventi del 1993 in tutta Italia. 

C’è allora il tema di una “traditio” di memoria e di valori, di impegno civile e sociale per la democrazia del paese, che non possono essere più dati per scontati.

Ecco allora il primo merito di questo lavoro di Perone, concentrato sulla vicenda campana, dalla quale emerge però il respiro del paese negli anni ‘80.

La Repubblica respira ora come allora una e indivisibile e, rispetto al tema delle mafie, ora come allora, assolutamente illusoria era ed è la prospettiva di differenze geografiche che impediscano il diffondersi di criminalità mafiose ormai globalizzate. 

E allora questo libro serve a rendere omaggio a quel vero coraggio, che  mosse Riboldi e gli studenti che marciarono su Ottaviano, regno incontrastato del boss Cutolo,  quando la parola ‘camorra’ sembrava non dovesse neanche pronunciarsi,  né in chiesa né nelle pubbliche assemblee istituzionali, ma anche per dirci che quel coraggio ― tradito dalle istituzioni dell’epoca che non riuscirono a comprendere l’opportunità di riscatto sociale e morale che quel movimento offriva, per uno sviluppo sano di quei territori e del paese ― possa ritenersi oggi un po’ meno tradito.

Il libro offre l’occasione per tornare a discutere di Riboldi e dei giovani che con lui si mossero, di quel contesto sociale, ecclesiale, economico, criminale, consapevoli che molti passi in avanti sono stati fatti nel contrasto alla criminalità organizzata, ma ancora molto c’è da fare, per rimuovere le condizioni sociali che favoriscono il permanere della criminalità delle mafie.

2. Il contesto al dicembre 1982.

Quando si organizzò la marcia degli studenti a Ottaviano e le marce degli studenti in tutta la Campania si erano già verificati gli omicidi siciliani di magistrati, giornalisti e politici: Cesare Terranova (1979), Gaetano Costa (1980), Pier Santi Mattarella (1980) e Pio La Torre (aprile 1982), il prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa (settembre 1982). Anche in Campania, mentre si impone la Nuova Camorra Organizzata (NCO) di Raffaele Cutolo da Ottaviano e agisce il terrorismo, l’elenco delle vittime è lunghissimo: colpite nell’adempimento del dovere, a volte vittime per errore. Il 16 marzo 1980 il magistrato Nicola Giacumbi viene ucciso dalle Brigate Rosse[2], il 19 maggio 1980 viene ucciso dalle BR Pino Amato, assessore regionale, il 7 novembre 1980 Mimmo Beneventano[3], consigliere comunale di Ottaviano, vittima in un agguato di camorra, l’11 dicembre 1980 viene ucciso Marcello Torre[4], avvocato e sindaco di Pagani, su mandato di Raffaele Cutolo. E poi, molti altri.

In Campania vi era in corso una guerra di camorra con 284 morti in un anno e in quel contesto avvenne un omicidio che passò sostanzialmente sotto silenzio, nonostante fosse stato eliminato un uomo delle istituzioni, Giuseppe Salvia, vicedirettore del carcere di Poggioreale, ucciso sulla tangenziale di Napoli il 14 aprile 1981[5]; pochi giorni dopo Ciro Cirillo, assessore regionale, fu rapito, il 27 aprile 1981, e al rapimento seguì la trattativa fra parti dello Stato a mezzo di servizi segreti presso il carcere di Ascoli, con Cutolo che fu mediatore con le BR [6], smentendo per altro, senza una analogo dibattito pubblico, la linea della fermezza che solo tre anni prima, nel ’78, era stata tenuta per il sequestro Moro.

Il 27 aprile 1982 viene ucciso dalle BR Raffaele Delcogliano[7], assessore regionale e il 15 luglio 1982 viene ammazzato Antonio Ammaturo[8], capo della Squadra Mobile di Napoli, sempre dalle BR, con coperture da parte della camorra della Nuova famiglia.

Come Salvia anche Ammaturo era nel mirino oltre che dei terroristi anche della camorra e di Cutolo, reo di avere arrestato il figlio di quest’ultimo, Roberto, proprio nel castello mediceo di Ottaviano, che era diventata la dimora del boss e della sua famiglia, il simbolo del potere della camorra.

Il 29 maggio 1982 viene uccisa per errore Simonetta Lamberti, di dieci anni, figlia del procuratore della Repubblica di Sala Consilina destinatario dell’agguato deciso nell’ambito della NCO [9].

La vicenda campana, a differenza di quella siciliana, vede un intreccio fra terrorismo, camorra e politica: il malcontento sociale di disoccupati e senza tetto, la crisi sociale e economica del post-terremoto del novembre 1980, vengono strumentalizzati sia dalla camorra che dal terrorismo.

A quegli eventi tragici dell’inizio degli anni ’80 a Palermo seguì una prima reazione legislativa con l’introduzione del reato di associazione mafiosa, grazie alla legge n. 646 del 1982, cd. Rognoni-La Torre, con la nuova disciplina in materia di confische e dei sequestri.

Cambia il volto della azione giudiziaria e si vanno a toccare le risorse economiche, l’art. 416-bis fotografa il fenomeno e rende possibile perseguire le mafie con i loro caratteri distintivi: omertà, assoggettamento, controllo delle iniziative illegali e anche di quelle legali, denominate dalla migliore dottrina para-lecite, tese a impadronirsi di imprese e mercati. Limitazione delle libertà, capacità di minacce ambientali anche implicite, potere di intimidazione esercitato sul territorio.

Il libro di Perone, attraverso le vicende dell’autore e dei suoi compagni di scuola, giovani studenti delle medie superiori, fotografa, anche partendo da quel microcosmo, lo stato della democrazia in Italia, perché oggi come allora le mafie e la camorra attaccano la democrazia riducendo le libertà e i diritti.

Alcune coincidenze: Riboldi viene ordinato vescovo nel Belice e poi arriva ad Acerra, appena cinque giorni prima che Aldo Moro fosse rapito a Roma, mentre stava andando in Parlamento ad aprire probabilmente una nuova fase per la nostra Repubblica.

Riboldi invitava – e anche oggi invita, come si legge nella prefazione al volume di Perone dell’attuale vescovo di Acerra, Antonio Di Donna – a una «Nuova Resistenza», in una prospettiva ancora attuale, pur se sono cambiate molte cose in bene, nella lotta alle mafie, ma bisogna andare ancora in profondità.

Già con Falcone al Ministero della giustizia, e poi per reazione agli omicidi di Falcone e Borsellino, nell’estate ’92, la disciplina di contrasto si inasprisce. La legge per i collaboratori di giustizia; l’istituzione della Direzione nazionale antimafia e delle direzioni distrettuali antimafia, con il coordinamento investigativo e la condivisione delle informazioni che diventano un valore, oltre che una prassi necessaria per rispondere a un fenomeno diffuso e complesso, facendo tesoro di ciò che era anche accaduto per il terrorismo fra le Procure e rendendo quello italiano un modello nell’investigazione preso a esempio dalle magistrature straniere; il regime dell’art 41-bis ord. pen.: strumenti decisivi per il contrasto alle mafie.

Scene come quelle che si vedono nella nota intervista di Giuseppe Marrazzo a Cutolo[10], durante il processo che si celebrava in Castelcapuano, sono assolutamente non più replicabili. Oggi esistono serie misure preventive tese a scongiurare i rapporti fra i boss in carcere e gli affiliati, per impedire il perpetuarsi delle dinamiche mafiose all’interno e all’esterno del carcere. Proprio tali interazioni costituirono la linfa per l’affiliazione di nuovi adepti, per l’esercizio di un potere parallelo a quello dello Stato fra le mura di Poggioreale e non solo, alimentando la guerra di camorra fra NCO e Nuova Famiglia (NF) che si svolse con gli omicidi dentro il carcere, oltre che fuori.

A fronte dell’esercizio del sacrosanto diritto-dovere di cronaca, esercitato magistralmente da Marrazzo, Cutolo approfittava della sua ‘visibilità mediatica’ inviando messaggi dal carcere, diventando un mito, pur essendo detenuto.

Le mafie storiche non si dissolvono solo con il carcere, continuano a esistere, anche quando i leader sono detenuti, perché si ripropongono le seconde leve, i meccanismi di controllo del territorio e dell’economia sono consolidati, come anche l’omertà: la fama mafiosa sul territorio esiste anche per decenni e basta evocarla perché produca effetto.

3. L’esperienza degli studenti.

Nel libro vi è traccia del tentativo che gli studenti del movimento dell’82 promossero per avviare uno studio scientifico sulla criminalità camorrista.

Approccio giusto, perché le mafie vanno conosciute e studiate, perché siano vinte non solo militarmente ma culturalmente, eliminando l’humus nel quale si rigenerano.

Un serio tentativo in Campania è stato quello dell’Osservatorio sulla camorra di Amato Lamberti[11], ai quali sono seguiti anche molti seri approfondimenti scientifici[12]: in questo senso fu lungimirante, all’inizio degli anni ’80, l’invito degli studenti a dedicare una giornata per documentare e studiare la camorra. Il ministro della pubblica istruzione dell’epoca non colse quella opportunità, lasciò cadere la proposta.

Avevano visto giusto quegli studenti e se quell’invito fosse stato raccolto forse non avremmo avuto bisogno di aspettare le stragi del 1992 per avere una reazione etica e culturale della parte migliore del paese. 

Pietro Perone narra l’evoluzione di quel movimento giovanile che Riboldi sostenne, il suo diffondersi nell’Italia meridionale, le manifestazioni studentesche cominciarono a moltiplicarsi dopo quella dei mille studenti che ad Ottaviano ebbero il coraggio di manifestare nel paese di Raffaele Cutolo: poi, studenti in marcia a Cosenza, Polistena, Castellammare, Giugliano, Afragola e Casoria, con la partecipazione di 15mila giovani; e poi a Pagani, con in testa il sindaco Marcello Torre, democristiano, e Antonio Esposito Ferraioli[13], sindacalista comunista, entrambi poi uccisi.

Da una manifestazione di 1000 studenti con Riboldi in prima fila a Ottaviano nel 1982, a un movimento giovanile nazionale che sfila a Napoli in centomila nel 1983. C’erano le condizioni per sostenere una azione popolare contro la criminalità organizzata. Giovanni Alburno, studente romagnolo giunto a Napoli, dichiarò: Non ci si può nascondere, tutti dobbiamo preoccuparci di un fenomeno che tende a estendersi altrove, la camorra e la mafia rischiano di trasformarsi in un bubbone nazionale.  

Anche lui aveva guardato lontano: forse se allora, come oggi, si ascoltassero più i giovani, eviteremmo di ritrovarci a distanza di anni tanti e molti più nodi al pettine. Le mafie ormai sono non solo nazionali ma globalizzate: affari per il narcotraffico con il Sud America, con l’Oriente e i Balcani, con l’Africa, triangolazioni con altri paesi europei, enorme flessibilità strutturale, che non significa inconsistenza ma capacità di inabissarsi e di riemergere, di adattarsi al contesto. Il controllo del territorio violento al sud, il controllo del mercato dei servizi al centro e al nord, il narcotraffico, la mafia dei colletti bianchi che non minaccia, ma compra e corrompe, le ‘locali’ di ‘ndrangheta diffuse al settentrione, la presenza a Roma di tutte le  organizzazioni criminali tradizionali[14].   

La corruzione è oggi un reato-spia della presenza di mafie, specie nelle regioni del nord: per corrompere ci vuole denaro e oggi le mafie ne hanno in quantità infinita, hanno il problema di riciclarlo e lo fanno investendo in società e professionisti che possono garantire servizi a basso costo, in grado di vincere la concorrenza perché avvantaggiate dalla ricchezza illecita con la quale sono in grado di risolvere ogni problema e di offrire servizi para-leciti assolutamente concorrenziali. Per questa connessione fra corruzione e criminalità mafiose il limitare le intercettazioni ai soli delitti tradizionalmente di mafia, che periodicamente si riaffaccia, è un passo indietro del tutto irragionevole: la corruzione è un reato bilaterale, nessuna parte, né il corrotto né il corruttore, denuncia, con il rischio che il reato non sarà mai scoperto, tanto più quando una delle parti della corrutela è mafiosa. 

4. Una politica ‘costituzionale’ contro le mafie, una seria questione democratica, un rinnovato impegno della magistratura.

La presenza pervasiva delle mafie pone una questione democratica della quale la politica deve farsi carico, mettendo al centro dell’agenda politica di governo, ma anche delle opposizioni, il tema delle mafie, che non è solo questione di ordine pubblico e repressione, ma di agibilità democratica e esercizio delle libertà.

Sia ben chiaro, non è a rischio nel paese la democrazia, abbiamo istituzioni salde e mature: ciò che è a rischio è la democrazia in alcune aree del paese, con il portato di speranza che deve connotare l’esperienza democratica, che è propria del principio di eguaglianza e della rimozione degli ostacoli che la impediscono (art. 3 Cost.), grazie ai doveri di solidarietà. Prima che sia troppo tardi e il contagio si diffonda, occorre creare i presupposti per una azione di liberazione culturale e sociale, che restituisca dignità a quanti in quei territori l’hanno persa.    

In occasione dell’anniversario dei cento anni dalla nascita di Don Riboldi, nel corso del Plenum del CSM lo si è giustamente ricordato affermando che “la risposta giudiziaria ai fenomeni di criminalità non è sufficiente se non avvengono contemporaneamente profondi mutamenti della coscienza sociale. La memoria di quest’uomo e sacerdote, profondamente calato nella quotidianità dell’essere umano, sia per noi fonte continua di ispirazione”[15]. Memoria e coscienza richiedono testimonianza e educazione, ma anche credibilità delle istituzioni per rappresentare la convenienza personale e collettiva delle scelte  per le legalità e la giustizia.

Poco dopo l’ingresso ad Acerra, Riboldi richiamava con chiarezza quale fosse la sua prospettiva d’azione, con due valori di riferimento: quello di popolo e quello di libertà. «Non voglio fare il pastore di un popolo di rassegnati, basta con la paura, basta con la vita da topi, reagite, liberatevi da questo assedio».  E poi, acconsentendo a dare il teatro vescovile agli studenti: «scegliete di essere liberi davanti a tutti, politici e non politici, camorristi e non camorristi .. non vivete come talpe».

Il tema della ‘liberazione’ è tema esistenziale e resistenziale per poter godere delle libertà costituzionali e dei diritti fondamentali: le libertà vanno custodite e declinate con la contro-faccia dei doveri, ma anche rivendicate da parte dei cittadini e garantite e promosse da parte della politica, sottratte al giogo della criminalità organizzata. La lotta alle mafie implica anche una cultura dei doveri, la corresponsabilità di ogni cittadino per le sorti della propria comunità, il superamento di una dimensione solo di diritti individuali che saziano una incolmabile e solitaria voracità a discapito delle sorti dell’insieme.

Il 25 aprile quest’anno è passato fra le polemiche. La nostra Costituzione nasce dalla Resistenza e la Festa della Liberazione è anche, per rispetto a chi quelle libertà costituzionali ci ha assicurato e per evitare che si tratti solo di uno sguardo al passato o rivolto verso l’altrove, l’occasione per guardare in casa propria ai diritti costituzionali assicurati solo formalmente, perché conculcati dalle mafie e dall’assenza di politiche di contrasto, non solo repressive ma di prevenzione e promozione umana.  Il catalogo dei diritti e delle libertà costituzionali, se garantito, costituisce già in sé una azione preventiva antimafia.

L’iniziativa privata economica è libera. L’art. 41 Cost. viene frustrato dal ‘pizzo’ richiesto a tappeto ai commercianti e agli imprenditori. Non è pizzo ma una necessaria e doverosa espressione di contribuzione il pagare le tasse in favore dello Stato per il bene comune (art.53), in quanto «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Si tratta di una espressione non derogabile del dovere di solidarietà e risponde alla consapevolezza di dover contribuire alla dignità di tutti. E’ l’evasione che alimenta la così elevata pressione fiscale. L’«altra» esazione, quella illegale delle mafie, inquina e droga il mercato, lede la possibilità di un reimpiego lecito delle risorse per favorire uno sviluppo e economico sano, incide sulla libera concorrenza. Porvi riparo è indispensabile per lo sviluppo, specialmente nei tanti meridione d’Italia.

Il diritto alla abitazione. Promosso dall’art. 47 Cost., è frustrato ogni qual volta un comune non riesce a gestire gli appartamenti dell’edilizia residenziale pubblica lasciandoli in balìa della gestione parallela delle mafie, facendo si che il diritto si trasformi in un favore da richiedere al gruppo mafioso al comando, che espropria e amministra oltre ogni legge.  Occorre un piano casa che assicuri un diritto fondamentale e il recupero di un effettivo diritto alla abitazione.

Il diritto-dovere al lavoro. L’art. 4 Cost. è tradito nella vita dei cittadini ogni qual volta si crei un mercato del lavoro parallelo, quello delle mafie, che, in assenza di lavoro lecito propone alternative di lavori illeciti.

Il diritto di voto, personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico (art.48 Cost.).Lo scioglimento, anche ripetuto, dei comuni per mafia dimostra come i condizionamenti alla democrazia in sede locale siano pressanti. Selezionare una classe dirigente competente e «per bene» deve essere una priorità della politica.  I dati dello scioglimento degli organi democratici locali per infiltrazioni mafiose sono allarmanti: dal 1991 ad oggi 365 decreti di scioglimento, 71 verso le stesse amministrazioni in più occasioni, e così via [16].

La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita. L’art.34 Cost. richiede che sia assicurata l’istruzione. L’evasione scolastica che costituisce l’humus nel quale pescano le organizzazioni criminali è una spia dell’abbandono sociale e familiare dei minori e richiede l’attivarsi di sostegni sociali immediati e di dinamiche di cura personalizzate per il minore e il nucleo di appartenenza.  

La circostanza che le mafie, in alcuni territori, non si palesino più con azioni militari eclatanti ottiene quello che le mafie vogliono ottenere: non attirare l’attenzione di fronte a istituzioni e cittadini distratti. Il low profile militare è strategia acuta.

Se la politica non si accorge di questo, che il tema delle mafie non è solo questione di omicidi e reati, ma anche questione democratica da affrontare, non coglie i segni dei tempi.

Eppure, nell’agenda politica del paese e dell’UE, nel corso dell’ultima campagna elettorale, il tema delle mafie è scomparso. Quello mafioso è problema non solo nazionale ma globale, non solo militare, ma economico, ambientale, sociale e politico, perché incide sulla libertà di voto. L’azione politica non può ignorare il tema, che deve tornare a essere una priorità permanente e non stagionale, mossa dall’emergenza di turno.   Dove lo Stato è assente le mafie si affermano come stato parallelo.

Una politica che davvero voglia eliminare il consenso sociale alle mafie deve preoccuparsi non solo di reprimere ma di prevenire, garantendo diritti e libertà costituzionali, con politiche per la casa, per il lavoro, per la famiglia, contro l’evasione scolastica.

Occorre riappropriarsi di interi quartieri, oggi in mano alle mafie, con politiche di investimento privato oltre che pubblico, che facciano riconoscere dello Stato il volto amico e solidale e non solo quello delle manette e degli arresti. Non è più tempo di sole deleghe alle forze di polizia e alla magistratura. 

Se vogliamo davvero vincere le mafie occorre l’impegno di un popolo, per «sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità» (Borsellino). E anche delle istituzioni tutte, politica e magistratura in primo luogo, senza confusioni ma in modo leale, perché sarà possibile «vincere, non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni» (Falcone).

Quanto alla magistratura, occorre sempre declinare in modo aggiornato, anche con senso autocritico,  lo spirito primigenio dell’azione investigativa di contrasto alle mafie, che non deve mai essere autoreferenziale e distante dalla dinamica del processo e dalla società, mai approssimativo, ma implica precisione, ricerca accurata delle prove, dovere di confrontarsi già nella fase delle indagini con la prospettiva della verifica giurisdizionale (la cd. cultura della giurisdizione). L’eredità del metodo investigativo del pool di Chinnici, Falcone e Borsellino, del follow the money, e la capacità di indagine sui delitti tributari e ambientali mostrata da Livatino, si alimentavano di cura e precisione, da non tralasciare mai nella indagine[17]: costituiscono tuttora un modello di impegno.

Per altro verso, la magistratura deve abbandonare l’idea che le competenze antimafia possano essere intese solo come il percorso di una carriera, in una ottica burocratica solo limitata alle quantità e egocentrica: è richiesta invece una sempre rinnovata passione civile, intelligenza del cuore, capacità di aggiornamento professionale e strategia investigativa, inclinazione alla direzione e alla interlocuzione con la polizia giudiziaria, volontà non di ricercare il consenso, bensì la fiducia di chi vive nel territorio indagato. Unico fattore, quello della fiducia, davvero generativo e in grado, con lazione di contrasto e insieme agli interventi di politica sociale sopra richiamati, di alimentare memoria e coscienza,  di invertire la palingenesi che vede il perpetuarsi nel tempo di omertà e assoggettamento, l’ in sé del metodo mafioso.


[1] La stima è fatta guardando alla popolazione al 2022, composta rispettivamente solo del 40%  e del 55% di quanti nel 1980  e nel 1990 avevano 10-12 anni o più , così da poter avere un ricordo diretto di quegli eventi (i dati sono tratti da https://www.tuttitalia.it/statistiche/popolazione-eta-sesso-stato-civile-2022/).

[2] https://www.csm.it/web/csm-internet/nicola-giacumbi

[3] https://mafie.blogautore.repubblica.it/2020/03/24/4204/

[4] Si rinvia a M. Ravveduto,  Il sindaco gentileGli appalti, la camorra e un uomo onesto. La storia di Marcello Torre, prefazione di Don Luigi Ciotti, ed. Melatempo, Milano, 2016.  Vedi anche:   https://vivi.libera.it/storie-46-marcello_torre

[5] Si rinvia a A. Mattone, La vendetta del boss. L’omicidio di Giuseppe Salvia, prefazione di Andrea Riccardi, editore Guida, Napoli, 2021. Vedi anche: 

[6] Si rinvia a C. Alemi, Il caso Cirillo. La trattativa Stato-BR-camorra, prefazione di Franco Roberti, Pironti editore, Napoli, 2018.

[7] https://vivi.libera.it/storie-921-raffaele_delcogliano

[8] https://vivi.libera.it/storie-739-antonio_ammaturo

[9] https://vivi.libera.it/storie-731-simonetta_lamberti

[10] https://www.rainews.it/archivio-rainews/media/Raffaele-Cutolo-421f8599-7249-4eb6-8406-ceb3e8424c40.html

[11] https://www.associazioneamatolamberti.it/master-of-business-administration/

[12] Basti richiamare qui la ricca bibliografia di Isaia Sales, come anche i contributi storici e sociologici, senza fare torto ad altri, di studiosi quali Giacomo Di Gennaro, Marcella Marmo, Gigi Di Fiore.

[13] https://vivi.libera.it/storie-77-antonio_esposito_ferraioli

[14] Per consultare la Relazione del primo semestre 2022 della Direzione Investigativa Antimafia al Parlamento, che fotografa la situazione della criminalità organizzata:   https://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/wp-content/uploads/2023/04/Semestrale-I-2022.pdf

[15] Così il consigliere Michele Ciambellini, in https://www.agensir.it/quotidiano/2023/1/18/magistratura-ciambellini-csm-ricorda-il-vescovo-riboldi-sia-per-noi-fonte-continua-di-ispirazione-nella-lotta-alla-criminalita/

[16] https://www.vita.it/it/article/2022/04/02/le-mani-della-mafia-sulle-citta-il-caso-dei-comuni-sciolti-per-infiltr/162386/

[17] Si rinvia sulla innovazione delle indagini da parte di Livatino, a Mira T., Rosario Livatino. Il giudice giusto, San Paolo Edizioni, 2021.

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