Una previsione insensata. Il nuovo art. 83 e il processo civile

di Andrea Penta in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

  1. I tre moduli processuali.

Il decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, ha nuovamente modificato l’art. 83 del decreto legge n. 18 del 2020, appena convertito in legge.

Nella storia della Repubblica non era mai accaduto che una norma processuale introdotta con legge di conversione contenente modifiche  ad un precedente decreto legge fosse stata a sua volta emendata, il giorno stesso della sua entrata in vigore, da un ulteriore decreto legge contenente modifiche delle modifiche.

Invero, il giorno stesso in cui entrava in vigore la legge 24 aprile 2020, n. 27, che, con voto di fiducia, aveva convertito, modificandolo in parte, il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, è stato emanato il decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, che ha di nuovo notevolmente modificato, per quel che qui interessa,  l’art. 83 del medesimo decreto legge  n. 18 del 2020, appena rimodellato e approvato dal Parlamento.

L’intervento, a ben vedere, si è reso necessario in quanto, in pendenza del d.l. n. 18/2020, che aveva previsto come termine ultimo per l’applicazione delle norme la data del 15 aprile, era stato adottato un nuovo decreto che aveva spostato in avanti, fino all’11 maggio, siffatto termine[1].

Ora il d.l. n. 28/2020 ha ulteriormente differito il dies ad quem al 31 luglio, peraltro in modo anomalo non estendendolo a tutte le previsioni.

All’esito del nuovo intervento riformatore, si delineano, in ambito civile, tre moduli processuali:

  1. dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020 (recte, al 31 luglio 2020), nei procedimenti non sospesi (benché, a rigore, dall’11 maggio non vi saranno tecnicamente più procedimenti sospesi; trattasi dei casi – procedimenti urgenti – elencati nel comma 3, nei quali non hanno operato le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 sul rinvio d’ufficio delle udienze e sulla sospensione dei termini), le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto; il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge (art. 83, comma 12-quinquies);
  2. lo svolgimento delle udienze[2] civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice (art. 83, comma 7, lett. h);
  3. la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti e dagli ausiliari del giudice, anche se finalizzate all’assunzione di informazioni presso la pubblica amministrazione mediante collegamenti da remoto; lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario e con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti (art. 83, comma 7, lett. f; la sottolineatura evidenzia la parte aggiunta dall’ultimo d.l.).

E’ evidente, in primo luogo, che, se si fa eccezione dell’art. 83, comma 11-bis (secondo cui nei procedimenti civili innanzi alla Corte di cassazione, sino al 31 luglio 2020, il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati può avvenire in modalità telematica), il secondo ed il terzo dei tre moduli delineati non si riferiscono al giudizio di legittimità. E’ noto, infatti, che, da un lato, nel caso di adunanza camerale il contraddittorio con le parti viene instaurato ex ante (prevedendosi, ex art. 380-bis, co. 3, c.p.c., la facoltà per i difensori di presentare, se del caso, memorie non oltre cinque giorni prima) e, dall’altro lato, giammai è ipotizzabile la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice (si pensi ai testimoni). Va altresì ricordato che il modulo camerale rappresenta la regola per la definizione delle controversie pendenti in cassazione, atteso che l’art. l’art. 375 c.p.c. prevede che la Corte, a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio “in ogni altro caso”, salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero che il ricorso sia stato rimesso dall’apposita sezione di cui all’articolo 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio.

Le fattispecie disciplinate sub 2) si riferiscono, quanto ai gradi di merito, alle udienze di prima comparizione (salvo che il g.i., su richiesta congiunta delle parti, disponga, ai sensi dell’art. 185 c.p.c., la comparizione personale delle stesse al fine di interrogarle liberamente e di provocarne la conciliazione), a quelle di ammissione dei mezzi istruttori (fissate per instaurare con i difensori una dialettica sugli stessi, per consentire l’eventuale disconoscimento della sottoscrizione apposta su una scrittura privata prodotta con la terza memoria o il disconoscimento della conformità della fotocopia rispetto all’originale e per fissare il calendario del processo, ai sensi dell’art. 81 bis disp. att. c.p.c.) e a quelle per la precisazione delle conclusioni e l’eventuale discussione orale (fermo restando che queste ultime udienze potrebbero essere sostituite dalla trattazione scritta[3]).

Le fattispecie regolamentate sub 3) si riferiscono, invece, ai casi di conferimento di incarichi peritali, di interrogatorio libero delle parti per il tentativo di conciliazione, di interrogatorio formale o di giuramento decisorio deferito alle stesse, di richieste di informazioni alla p.a. che non è in parte in causa (e, a maggior ragione, agli ordini di esibizione indirizzati, ex art. 210 c.p.c., alla parte o al terzo). Avuto riguardo all’attività dei consulenti tecnici, atteso che l’art. 7, comma h-bis, prevede la possibilità (se contemplata dai capi degli uffici) dello svolgimento della stessa con collegamenti da remoto tali da salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti, è evidente che questa modalità non è utilizzabile allorquando occorra procedere ad una visita medica sulla persona del periziando.

Da ciò si evince, argomentando a contrario, che la trattazione delle fasi che comportano l’escussione di testimoni[4] (cui è equiparabile l’ispezione di persone e di cose) non potrà mai avvenire da remoto. Ovviamente, ciò non esclude che il giudice, su accordo delle parti, possa disporre l’assunzione della deposizione secondo il paradigma della testimonianza scritta (art. 257 bis c.p.c.).  Sembrano richiedere la presenza fisica delle parti o dei difensori altresì le udienze presidenziali nei processi di separazione e di scioglimento del matrimonio e quelle nei procedimenti cautelari.

In assenza di un richiamo espresso, deve ritenersi che i moduli sub 2) e 3) possano applicarsi indifferentemente sia ai procedimenti sospesi sia a quelli non sospesi.

E’ opportuno evidenziare che la previsione sub 1) non rientra tra le possibili misure organizzative che possono essere adottate dai capi degli uffici giudiziari, le quali  sono elencate nel comma 7, ma è stata voluta direttamente dalla legge.

Non appare condivisibile l’approccio, da alcuni propugnato, secondo cui la lettera f del comma settimo dell’art. 83 precluderebbe in ogni caso lo svolgimento delle udienze pubbliche mediante collegamenti da remoto, in quanto esse richiederebbero la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti e dagli ausiliari del giudice. L’unica previsione espressa è contenuta nel comma 7, lett. e), alla cui stregua i capi degli uffici giudiziari possono adottare, tra le varie misure, altresì quella della celebrazione a porte chiuse, ai sensi dell’articolo 128 del codice di procedura civile, delle udienze civili pubbliche. In questo senso, del resto, è il decreto della Presidente della Corte costituzionale, per il quale, «qualora almeno una delle parti del giudizio ne faccia richiesta, l’udienza pubblica per quel giudizio si svolge con collegamento da remoto».

Non è possibile, infine, tralasciare che la violazione dei moduli procedimentali può determinare dei vizi, che si possono riflettere sulla sentenza finale e giustificare la proposizione di impugnazioni, ai sensi dell’art. 161 c.p.c.[5]. In senso contrario va, tuttavia, posto in rilievo che la parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicché l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata (cfr., fra le tante, Sez. 1, Sentenza n. 19759 del 09/08/2017). 

  • Una lettura costituzionalmente orientata.

Premesso che lo scopo perseguito è espressamente quello di contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria, per il periodo compreso tra il 12 maggio e il 31 luglio 2020, per assicurare tale finalità, i capi degli uffici giudiziari hanno la facoltà (e non l’obbligo) di prevedere, rispettivamente, che le deliberazioni collegiali in camera di consiglio siano assunte mediante collegamenti da remoto (ipotesi sub 1), che lo svolgimento delle udienze avvenga mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni (ipotesi sub 2) e/o che avvenga mediante collegamenti da remoto (ipotesi sub 3). E’ chiaro, peraltro, che nella situazione di emergenza sanitaria nella quale versiamo, la maggior parte dei dirigenti adotteranno tali misure.

Per quanto sia auspicabile in sede di conversione un intervento che elimini l’impropria aggiunta o, almeno, ne chiarisca il contenuto, non è da escludere, qualora permanesse l’attuale dettato normativo, una sua lettura costituzionalmente orientata. A tal fine, particolare rilievo potrebbe attribuirsi al termine «connessione» per ricavare già dal primo comma dell’art. 12 delle preleggi un’indicazione a favore dell’interpretazione sistematica, facendo riferimento al contesto in cui le locuzioni si trovano. Orbene, per situazioni del tutto analoghe il legislatore ha chiaramente favorito la trattazione da remoto senza imporre, però, la presenza fisica del magistrato nell’ufficio giudiziario di appartenenza (v. infra). La stessa «intenzione del legislatore», cui il predetto art. 12 attribuisce rilievo ai fini dell’interpretazione, è stata prevalentemente intesa in senso oggettivo, imponendo la ricerca di un significato conforme alla ratio legis o, meglio, alla ratio iuris. A venire in rilievo è il canone della «coerenza con l’intero sistema normativo» [E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1971, 266], che trova implicita conferma nel comma 2 dell’art. 12 (per la via dell’evocazione dell’analogia legis e dell’analogia iuris come strumenti per colmare le lacune) e che dovrebbe già guidare l’interprete nella ricerca del significato «conforme allo spirito del tempo e della società per cui la norma è destinata a valere» [sempre E. Betti, Teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1990, vol. II, 826]. Ebbene, si è visto in precedenza quale sia lo scopo espressamente perseguito dal legislatore, scopo che verrebbe messo a dura prova qualora si interpretasse la disposizione nel senso di pretendere sempre e comunque la presenza del giudice anche nei casi in cui la stessa non sarebbe di alcuna utilità.

E’ noto, tuttavia, che attraverso l’interpretazione il testo può essere dunque “adeguato” al contesto, specie costituzionale, nel senso che per giungere a una soluzione ermeneutica conforme a Costituzione dall’enunciato si può ricavare un significato meno prossimo di altri alla lettera. Ciò non significa, però, che la cd. “lettera” possa essere travalicata attraverso l’interpretazione, al punto di pervenire ad una vera e propria “disapplicazione” del testo normativo.

In tal modo ristretto l’ambito di applicazione della fattispecie sub 3), la stessa si espone, comunque, a censure evidenti, sul piano della legittimità costituzionale.

Anzitutto, la previsione si scontra con quella che è la ratio perseguita dal legislatore, in precedenza evidenziata.

Inoltre, violerebbe palesemente il principio di uguale trattazione di fattispecie identiche sancito dall’art. 3 Cost. Invero, è espressamente previsto che le udienze penali (peraltro, nel processo penale l’oralità svolge un ruolo senz’altro preponderante) che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti possono essere tenute mediante collegamenti da remoto (art. 83, comma 12-bis), senza l’obbligo aggiuntivo della presenza effettiva del giudice in ufficio. Ugualmente, tale presenza non è pretesa, in situazioni del tutto analoghe, nell’ambito della giustizia contabile ed amministrativa (come è espressamente ammesso dagli artt. 84 e 85 del medesimo testo di legge)[6].  La disposizione è irragionevole nella parte in cui, non riguardando i magistrati penali, amministrativi o contabili, richiede una presenza sul luogo di lavoro – in contraddizione con le perduranti esigenze di tutela della salute pubblica – proprio per i giudici che, mediante il processo civile telematico, possono condividere con le parti e con gli altri componenti del collegio tutti gli atti processuali senza necessità di consultazioni cartacee.

Infine, al cospetto di valori costituzionalmente protetti in contrasto tra loro, vi è sempre un criterio di priorità da assicurare e, in un’ipotetica graduatoria, deve sempre assicurarsi una tutela maggiore alla salute (art. 32 Cost.), intesa non solo come fondamentale diritto dell’individuo, ma anche, e soprattutto, come interesse dell’intera collettività a che non venga in alcun modo favorita una ripresa della diffusione del contagio.

  • Cui prodest?

Una ulteriore considerazione nasce spontanea: questo modello di remoto “attenuato” che il legislatore intenderebbe introdurre quale utilità concreta assicurerebbe?

Lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti e dagli ausiliari del giudice che beneficio trarrebbe dalla presenza fisica e solitaria del magistrato nella propria stanza? A meno che non si voglia ritenere che il ruolo “sacrale” rappresentato dall’aula di udienza (che il più delle volte coincide con la stanza personale del giudice) garantirebbe un esercizio più attento e di qualità dell’attività giurisdizionale. Ma non voglio crederlo.

Così come non voglio credere che per un avvocato o per una parte, che pure non si recano di persona nel palazzo di giustizia, ma si collegherebbero da remoto dalle rispettive case o dal proprio studio, costituisca una differenza sostanziale veder amministrare la giustizia da uno studio privato, anziché da uno pubblico.

Può senz’altro garantirsi l’oralità, la concentrazione e l’immediatezza del processo civile anche tra persone distanti, ma adeguatamente collegate. Eppure l’avvocatura, e soprattutto l’associazione che rappresenta gli avvocati penalisti, sostiene che i “principi di oralità e immediatezza del processo presuppongono la ineliminabile fisicità della sua celebrazione”.

Se non fosse impensabile, mi verrebbe il dubbio che sia stata confusa la figura del giudice con quella del cancelliere, in relazione al quale il secondo comma dell’art. 57 c.p.c. prevede che egli assiste il giudice in tutti gli atti dei quali deve essere formato processo verbale (art. 44 disp. att. c.p.c.)[7].

È impossibile spiegare quale valore aggiunto abbia la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario, se l’udienza si svolge da remoto. Non è dato comprendere perché i difensori e gli ausiliari del giudice possono partecipare all’udienza dai loro studi professionali e il giudice no. Inoltre, aderendo a tale impostazione, si sovraccaricherebbe inutilmente la rete Intranet del Ministero.

  • Conclusioni.

Fermo restando che occorre assicurare il regolare funzionamento del sistema giustizia anche in una fase critica qual è quella che attualmente viviamo, ogni magistrato, ne sono convinto, assicurerebbe, nonostante la palese illogicità della previsione normativa esaminata, la sua presenza nella stanza dell’ufficio giudiziario di appartenenza, ma a condizione che ci siano le condizioni igienico/sanitarie ed organizzative[8].

Ci si auspica che in sede di conversione il legislatore, re melius perpensa, ritorni sui suoi passi, valorizzando le enormi possibilità offerte dalle moderne tecnologie.

L’attuale, gravissima crisi sanitaria, che non si prevede finirà il 30 giugno, ma che probabilmente si protrarrà almeno per tutto il 2020, può rappresentare una opportunità per il sistema giustizia, soprattutto nell’ottica di estendere il PCT anche all’Ufficio del Giudice di pace, alla Corte di Cassazione e alla Procura Generale presso la cassazione.


[1] In sintesi, il 17 marzo è stato indicato il termine finale della prima fase dell’emergenza sanitaria nel 15 aprile 2020. L’8 aprile questo termine è stato prorogato all’11 maggio 2020 e l’inizio della seconda fase è stato indicato nel 12 maggio 2020. Con la legge di conversione del 24 aprile, però, è stato ribadito il termine del 15 aprile 2020. Il decreto «correttivo» del 29 aprile ha modificato il termine iniziale della seconda fase, previsto dal comma 6 dell’art. 83, ma ha ignorato il termine finale della prima fase, indicato nel 15 aprile dal decreto del 17 marzo, prorogato all’11 maggio dal decreto dell’8 aprile e indicato ancora nel 15 aprile dalla legge di conversione del 24 aprile.

La questione di diritto intertemporale, consistente nello stabilire se, in base alle regole in tema di successione delle leggi nel tempo, la legge di conversione di un decreto legge modificato da un altro decreto prevalga su quest’ultimo oppure se la modifica del decreto convertito, operata da un successivo decreto, prevalga sulla legge di conversione del primo decreto, pur successiva, esonda dal perimetro del presente breve scritto.

[2] Il riferimento alle «udienze» può essere esteso alle udienze in camera di consiglio previste nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia e di status delle persone e delle procedure concorsuali.

[3] Anche se, sul punto, è a darsi atto di una tendenza diretta a ritenere che il modello di trattazione scritta non sia compatibile con le discussioni ex art. 281-sexies e 428 c.p.c., le quali presuppongono la lettura del dispositivo in udienza, non potendosi in siffatte evenienze superare questo tratto di oralità.

[4] Questa limitazione è venuta meno per il processo penale, ma solo se devono essere sentiti “ufficiali o agenti di polizia giudiziaria” (art. 83, comma 12 bis, del d.l. 18/2020, introdotto con la legge di conversione).

[5] Peraltro, poiché per la “forma” in questione la nullità non é stata espressamente comminata dalla legge che l’ha prevista, se ne potrebbe dedurre che, disponendo  l’art. 157 c.p.c. che non può pronunciarsi una tale nullità,  se non in presenza d’istanza d’una parte, e non essendo possibile individuare il soggetto titolare dell’interesse eventualmente leso, non vi sarebbe una parte legittimata a proporla, sicchè si sarebbe al cospetto di una nullità “impossibile”.

[6] Un differente trattamento potrebbe giustificarsi solo sulla base della natura della controversia o della qualità delle parti.

[7] Nel caso in cui una parte possa stare in giudizio personalmente (ossia senza l’assistenza di un difensore), il giudice potrebbe disporre la partecipazione da remoto per le parti costituite e assistite da difensore (con la partecipazione del solo difensore) e consentire l’accesso e la partecipazione della parte non assistita da difensore nell’aula di udienza dalla quale partirà il collegamento (si pensi, a titolo di esempio, alle istruttorie prefallimentari o alle udienze camerali in cui debba essere sentita la parte che ne faccia richiesta o “se compare”).

[8] In quest’ottica, non manca chi (G. Gilardi) ritiene che l’infelice previsione inserita dal d.l. n. 28 quanto alla presenza del giudice debba essere interpretata con il limite che ciò risulti compatibile con le condizioni concrete dell’ufficio in rapporto alla finalità primaria della tutela della salute che ispira e modella il comma 6 dell’art. 83 d.l. n. 18. In altri termini, la chiave di volta sarebbe sempre quella relativa all’adozione delle misure organizzative da parte dei dirigenti degli uffici. Sicché la previsione del comma 7 art. 83, così come modificato dal d.l. n. 28, si riferirebbe ad un’alternativa delle misure organizzative adottabili, sempre che sia rispettata la finalità primaria della tutela della salute.

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