Una vita per la Giustizia. La lezione del Giudice ragazzino

Rosario Angelo Livatino è nato a Canicattì il 3 ottobre 1952.

Diventa Magistrato il 18 luglio del 1978 e svolge il periodo di uditorato presso gli Uffici Giudiziari di Caltanissetta. Il 24 settembre 1979 giunge alla Procura della Repubblica di Agrigento dove svolge le funzioni di sostituto procuratore, funzioni che esercita per più di otto anni, posto che solo il 21 agosto 1989 prende possesso del nuovo Ufficio di giudice del Tribunale di Agrigento[1].

In quel periodo il territorio agrigentino vive un momento storico del tutto straordinario, stante la violenza mafiosa che veniva esercitata per le strade con centinaia di morti in poco più di un triennio per vari attentati mafiosi: secondo alcune ricerche storiche e giornalistiche ci sono stati da trecento a quattrocento morti ammazzati in quel territorio dal 1989 al 1992[2]. E, non a caso, negli anni successivi saranno istituite ed operative presso il suddetto Tribunale ben tre sezioni di Corte di Assise.

Livatino fin da subito esercita l’attività giudiziaria sempre con grandissima professionalità e con grande entusiasmo risultando, peraltro, per diversi anni come il Magistrato più proficuo nei relativi Uffici Giudiziari. Lo stesso, inoltre, partecipa anche alla vita associativa della ANM rivestendo per un periodo anche il ruolo di segretario della relativa sottosezione di Agrigento.

La mattina del 21 settembre 1990 Rosario Livatino, come ogni giorno, percorreva da solo, senza scorta, a bordo della sua vecchia Ford Fiesta rosso-amaranto, la strada statale 640 che da Canicattì (ove viveva da sempre con gli, ormai, anziani genitori) conduce ad Agrigento per recarsi in Tribunale (è questa la stessa strada che appena ventiquattro mesi prima fu teatro dell’omicidio del Giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano). Proprio in quei giorni il Tribunale doveva decidere sull’applicazione di diverse misure di prevenzione da adottare nei confronti di appartenenti alle cosche mafiose di Palma di Montechiaro e ciò nel contesto storico del tutto eccezionale di cui si è detto sopra. Ad appena quattro chilometri da Agrigento, ormai quasi in vista della città, l’auto del Giudice viene speronata da una Fiat uno dal cui lato passeggero cominciano a partire numerosi colpi di arma da fuoco che infrangono il lunotto posteriore della sua fiesta che viene contemporaneamente affiancata da una moto enduro con due giovani in sella dei quali il passeggero comincia, parimenti, a sparare anche lui contro il dott. Livatino.

La corsa della macchina del Giudice viene quindi bloccata contro il guardrail; lo stesso, seppur già ferito, scende dall’auto e si lancia in una disperata fuga nella assolata e pietrosa scarpata sottostante. Ma due dei killer si lanciano al suo inseguimento. Da lontano esplodono altri colpi che colpiscono nuovamente il Magistrato che, a questo punto, cade a terra e, subito dopo, viene raggiunto ed ucciso con altri due colpi.

Rosario Livatino in quel momento non aveva ancora compiuto 38 anni: un “giudice ragazzino” come è stato scritto in un bel libro di Nando dalla Chiesa[3] che ha voluto così richiamare quella polemica definizione che il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga aveva coniato appena otto mesi dopo l’omicidio Livatino con riferimento ai giovani Magistrati in genere ed alla loro asserita incapacità, per ciò solo, di amministrare Giustizia (pur se lo stesso Cossiga ha, poi, pubblicamente smentito che con tale definizione, sostanzialmente denigratoria, volesse riferirsi proprio al Giudice di Canicattì).

I responsabili dell’omicidio del Giudice Livatino sono stati fin da subito indagati, assicurati alla giustizia e stanno oggi scontando la pena dell’ergastolo, grazie al decisivo apporto offerto da Pietro Ivano Nava, un agente di commercio pugliese che si trovava sulla medesima strada ed assistette, come testimone oculare, all’omicidio così consentendo una ricostruzione analitica della dinamica e riconoscendo poi almeno uno degli esecutori materiali. Il gesto di Nava è certamente importante perché recise quel muro di omertà che generalmente accompagnava i fatti di mafia e perché avviene anche in un’epoca in cui non era ancora entrata in vigore la legge per la protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia.

Ancora oggi molti colleghi ogni volta che passano per quella strada e rivedono quei luoghi non riescono a non pensare agli eventi di quel tragico 21 settembre del ‘90, a quella corsa affannosa del dott. Livatino giù per quel canalone spoglio, solo, con il cuore gonfio di paura nel tentativo di sfuggire al suo killer ed alle parole sprezzanti pronunciate da quest’ultimo prima di sparare.

A quel punto a tutti prende un senso di profondo dolore e sconforto per la sua tragica fine, dolore che, però, si riesce a superare ricordando che Rosario Livatino non è affatto morto invano.

La sua morte, infatti, così come quelle del Mar.lo Giuliano Guazzelli, del Brig.re Pasquale Di Lorenzo e di tutte le altre vittime della mafia agrigentina, sono alla base della rinascita sociale di quella martoriata provincia che oggi è certamente diversa da quella di trenta anni fa.

Certo, ancora molta strada c’è da percorrere e proprio per questo motivo la figura di Rosario Livatino costituisce un faro che indica a tutti i rappresentanti delle istituzioni e non, la strada maestra che, poi, è semplicemente quella di fare il proprio dovere, in silenzio, senza mai arretrare di un passo, fino in fondo e senza sconti a nessuno e, soprattutto, a sé stessi.

La beatificazione di Rosario Livatino sarà celebrata nella cattedrale di Agrigento il prossimo 9 maggio 2021.

Non è una data qualunque.

Il 9 maggio 1993 Giovanni Paolo II – parlando a braccio – poco prima di rivolgere agli “uomini della mafia” l’indimenticabile e categorico invito alla conversione nella Valle dei Templi[4], ad Agrigento, aveva incontrato i genitori di Rosario Livatino.

Nell’udienza al Consiglio Superiore della Magistratura, il 17 giugno 2014[5], Papa Francesco definì Livatino, accostandolo a Vittorio Bachelet[6], testimone “esemplare dello stile proprio del fedele laico cristiano: leale alle istituzioni, aperto al dialogo, fermo e coraggioso nel difendere la giustizia e la dignità della persona umana”.

La spiritualità di Rosario Livatino[7] era tutt’altro che fideistica e confessionale; infatti, la comprensione della laicità è ben radicata nel suo agire e nel ruolo di magistrato che ha rivestito.

Una delle frasi più celebri annotate da Livatino «Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili» riflette la dirittura morale che, tutt’uno con il credo religioso, ha vissuto Rosario Livatino: una sintesi di “essere” e “agire”, la proiezione di un uomo non isolato nella torre d’avorio di valori intangibili, ma fortemente presente nel mondo.

In questa luce ci piace ricordare lo scritto Fede e Diritto del 1986[8] nel quale Livatino, ben consapevole dell’esistenza di una diversa prospettiva più schiettamente laica, o per dirla con le parole di Pietro Rescigno di una prospettiva che evoca «la sacralità di una religione civile»[9], afferma che “il magistrato non credente sostituirà il riferimento al trascendente con quello al corpo sociale, con un diverso senso ma con uguale impegno spirituale. Entrambi, però, credente e non credente, devono, nel momento del decidere, dimettere ogni vanità e soprattutto ogni superbia; devono avvertire tutto il peso del potere affidato alle loro mani, peso tanto più grande perché il potere è esercitato in libertà ed autonomia. E tale compito sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie debolezze, quanto più si ripresenterà ogni volta alla società – che somma così paurosamente grande di poteri gli affida – disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione”.

A ben vedere, non vi è una distanza siderale dalla prospettiva di Piero Calamandrei, autore del noto saggio “Fede nel diritto”[10].

Prospettive diverse certo, epperò parallele.

È vero le parallele sono destinate a non incontrarsi mai, ma la sfida può essere quella di farle divenire non alternative bensì sinergiche o addirittura cooperative.

Rosario Livatino non è attuale solo per la sua visione del magistrato credente in rapporto a Dio, ma anche per tutto quello che può ancora dire a chi è Magistrato oggi.

Come ricordato da Antonio Balsamo sul nostro sito proprio qualche mese fa[11] la visione di Rosario Livatino dell’etica del giudice è custodita in una conferenza tenuta al Rotary Club di Canicattì il 7 aprile 1984 sul tema: Il ruolo del Giudice nella società che cambia.

Ed ecco perché è assolutamente rilevante ricordare ancora oggi la figura di Rosario Angelo LIVATINO, in un momento in cui, non nascondiamo, è noto a tutti che la Magistratura italiana attraversa un grave momento di crisi, di perdita di autorevolezza e di credibilità a causa delle note vicende legate ai diversi scandali ed alle conseguenti indagini che hanno coinvolto e coinvolgono diversi colleghi, la vita associativa e lo stesso Consiglio Superiore: proprio perché Rosario Livatino, a 30 anni dal suo barbaro omicidio, continua a costituire per tutti noi un faro, certamente con l’attualità del suo esempio concreto ma anche delle sue stesse idee.

Nell’attuale momento storico, che per le ragioni di cui sopra può senza dubbio definirsi come il più buio della storia dell’ordine giudiziario e rappresenta il punto più basso della credibilità della magistratura, il discorso di Livatino – nel quale vengono lambite corde da sempre sensibili per il ruolo e la funzione del magistrato, quali l’interpretazione della legge, il rapporto con la politica, la responsabilità per le decisioni assunte e l’errore giudiziario, il profilo che il giudice è tenuto ad osservare, come cittadino, nel contesto sociale in cui è inserito- costituisce un testamento ideale che meriterebbe di essere letto da tutti coloro che intendono intraprendere il lavoro di magistrato e, ancora di più, da coloro che magistrati lo sono già.

Livatino ci insegna che accanto alle competenze tecniche, e aggiungeremmo anche prima delle capacità giuridiche, ci sono gli “elementi interiori” che ciascun giudice deve portare dentro sé: «L’indipendenza del Giudice è nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio …».

E, rispetto all’ immagine esterna che il Giudice (la maiuscola è voluta) deve sapere offrire di sé, egli scrive: «Non di una persona austera o severa o compresa del suo ruolo, della sua autorità o di irraggiungibile rigore morale, ma una persona seria sì, persona equilibrata sì, persona responsabile pure … persona comprensiva ed umana, capace di condannare, ma anche di capire»

Un modello di esercizio della giurisdizione più attuale che mai quello che Rosario Livatino affida a tutti noi, Magistrati di ieri, di oggi e di domani.

Un modello per credenti e non credenti.

Per chi intende servire la Giustizia e non servirsi della Giustizia.

Santi Bologna, Gip Caltanissetta

Pippo Miceli, Giudice del dibattimento Agrigento


[1] Un bel profilo e ricordo del dott. Rosario Livatino si legge sul sito del CSM, alla seguente pagina: https://www.csm.it/ web/csm-internet/aree-tematiche/per-non-dimenticare/rosario-angelo-livatino.

[2] Per una approfondita ricostruzione giornalistica di quel periodo vedi Carmelo SARDO, Cani senza padrone. La Stidda. Storia vera di una guerra di mafia, Melampo editore.

[3] Nando Dalla Chiesa, Il giudice ragazzino. Storia di Rosario Livatino assassinato dalla mafia sotto il regime della corruzione, 1997, Einaudi.

[4] https://www.youtube.com/watch?v=rFTZglCS78M

[5]https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/june/documents/papafrancesco_20140617_consiglio-superiore-magistratura.html

[6] Professore di diritto amministrativo che guidò il Consiglio Superiore della Magistratura in tempi di grandi difficoltà e cadde vittima della violenza delle Brigate Rosse il 12 febbraio 1980 sul pianerottolo delle scale della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza

[7] Per una visione degli aspetti più profondi della personalità del giudice Livatino v. P. Sirna, Rosario Livatino. Identità, Martirio e Magistero, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2020

[8] Conferenza tenuta dal dott. Rosario Livatino il 30 aprile 1986 a Canicattì, nel salone delle suore vocazioniste

[9] Così, P. Rescigno, Il rifiuto del sistema normativo dei totalitarismi, nella prefazione al saggio di Calamandrei, Fede nel diritto, Laterza, 2008, p. 33.

[10] Il saggio trae origine da una conferenza tenuta alla FUCI di Firenze il 21 gennaio del 1940, ma è stato pubblicato soltanto nel 2008 da Laterza, con prefazioni di Guido Alpa, Pietro Rescigno, Gustavo Zagrebelsky e un’appendice di Silvia Calamandrei.

[11] https://www.unicost.eu/rosario-livatino-il-giudice-ragazzino-e-la-lotta-alla-mafia-tra-giustizia-e-fede/