Unicost sui fatti di Catania

Abbiamo atteso alcuni giorni prima di intervenire, per offrire una lettura serena di quanto accaduto in occasione dell’ultimo comitato direttivo dell’Anm, sganciata da logiche di contrapposizione tra gruppi, in cui non ci riconosciamo.

Non diciamo cosa nuova quando affermiamo che noi di Unicost crediamo in un modello di magistrato che mantenga il riserbo sulle proprie opinioni politiche e che osservi equilibrio e misura quando partecipa alla vita sociale e al dibattito pubblico. Si tratta peraltro di un dato che dovrebbe essere acquisito al patrimonio della giurisdizione (cfr. Articolo 3-5 – Libertà di espressione e diritto di associazione, adottato dal Consiglio Centrale dell’UIM a Taiwan il 17 novembre 1999, aggiornato a Santiago del Cile il 14 novembre 2017: “I giudici godono, come tutti i cittadini, della libertà d’espressione. Nell’esercizio di questo diritto essi devono comunque dar prova di riserbo e comportarsi sempre in maniera tale da preservare la dignità delle loro funzioni, così come l’imparzialità e l’indipendenza della magistratura”).

In occasione dell’ultimo comitato direttivo dell’Anm del 21 ottobre 2023, i membri del gruppo Unicost hanno sollecitato una riflessione sul tema dell’imparzialità del magistrato in tutte le sue declinazioni, consapevoli delle diverse, e per questo preziose, sensibilità culturali esistenti in magistratura e della necessità di confrontarci continuamente con la società in divenire. Ciò si rendeva tanto più necessario
in quanto esponenti dei gruppi progressisti della magistratura nei giorni successivi allo scoppio del caso, e partendo dallo stesso, esprimevano il principio di carattere generale che solo il magistrato “attivista” sia un magistrato a tutela dei diritti fondamentali, dovendosi invece relegare alla categoria di magistrato “burocrate” chi per inclinazione personale o habitus culturale osservi una condotta di vita sobria e riservata.

Per questa ragione il gruppo ha chiesto e ottenuto di inserire nel comunicato dell’Anm un riferimento all’impegno della magistratura associata ad affrontare a breve questo importante tema, aprendosi anche al confronto con la società civile. Impegno che si è, poi, già coerentemente tradotto nel riferimento al valore e alla declinazione del concetto di imparzialità del magistrato, come tema centrale del prossimo congresso dell’Anm.

Nessuna condivisione in seno al Cdc poteva esserci, d’altro canto, di posizioni volte a stigmatizzare la condotta della collega Apostolico, giungendo persino ad insinuare che avesse Lei provocato o concorso a provocare – con l’inaccettabile affermazione del concorso di cause – l’attacco alla giurisdizione. È, peraltro, assolutamente estraneo alla nostra sensibilità culturale entrare nel merito di specifiche vicende o esprimere giudizi positivi o negativi su comportamenti dei singoli.

Al momento della adozione di un documento che fosse condiviso era, quindi, fondamentale riportare i diversi profili in gioco nella giusta prospettiva.

E ciò che risultava evidente è che, a prescindere da ogni valutazione nel merito dei provvedimenti, l’accusa ai magistrati, rivolta da esponenti di Governo, con riferimento al contenuto di un provvedimento giurisdizionale, di essere “nemici della sicurezza della Nazione (…) un ostacolo alla difesa dell’ordine pubblico (…e di) scagliarsi contro i provvedimenti di un Governo democraticamente eletto (…) di non collaborare all’attuazione della politica di Governo” pone in discussione la funzione stessa della giurisdizione in uno Stato di diritto, tanto da giustificare da parte del CSM l’apertura della pratica a tutela del giudice che, solo casualmente, risulta essere stato il firmatario del provvedimento emesso per primo.

Quanto accaduto, poi, nei giorni successivi all’adozione del primo provvedimento, caratterizzati da una esasperata campagna di stampa, sorretta dalle dichiarazioni di esponenti di Governo, che hanno riguardato la vita privata del magistrato, avrebbero dovuto indurre, ancora di più, tutti ad una ferma presa di posizione a tutela della giurisdizione. È infatti evidente che la campagna di stampa, partendo dalle vicende personali del giudice che ha firmato il primo provvedimento, e scavando nella vita familiare della stessa, puntava evidentemente ad intimidire ogni altro giudice che, nella legittima interpretazione delle leggi, intendesse orientarsi in senso difforme ai voleri dell’esecutivo. Effetto non verificatosi, tanto che altri giudici adottavano nei giorni a seguire provvedimenti di contenuto analogo.

Peraltro, ciò che lasciava e lascia perplessi è che alcuna seria critica si rinveniva nel dibattito politico rispetto al contenuto e al percorso motivazionale dei provvedimenti giurisdizionali adottati, venendo al contrario in rilievo la mera pretesa che l’autorità giudiziaria “si adegui” passivamente alla politica governativa, abdicando al dovere professionale di inquadrare le vicende all’interno del quadro di riferimento costituzionale ed europeo.

È di tutta evidenza che tutto questo si sostanzi in una indebita pressione esterna e manifesta prepotentemente i rischi connessi alle proposte di riforma costituzionale presentate da esponenti della
maggioranza e dalle Camere Penali, che stravolgendo l’impianto costituzione, finiscono per assoggettare la magistratura all’attività di condizionamento della politica.

Per queste ragioni, i componenti di Unicost che siedono in CDC hanno sostenuto una posizione di fermo dissenso dai gravi attacchi alla giurisdizione, votando la mozione approvata all’esito del dibattito.

La Direzione Nazionale di Unicost