Intervento del consigliere Riccardo Fuzio al XXXI Congresso ANM
ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI
Giustizia e Società
Roma 25 – 27 ottobre 2013
Intervento di Riccardo Fuzio – componente Consiglio superiore Magistratura
1. Credo sia opportuno partire da una premessa che tenga conto del contesto in cui ci troviamo.
Un congresso nazionale della ANM che ha scelto di confrontarsi su alcuni temi centrali.
– la giustizia nella società ovvero, come è meglio emerso nelle sessioni sin qui svolte, il ruolo della giurisdizione nella società italiana in questo particolare contesto temporale;
– il rapporto tra la politica e la magistratura che, secondo un linguaggio brutale, che respingo, oggi si afferma sia giunto alla “resa dei conti”.
Accanto, e lo vedremo domani, il ruolo dei mass media nella informazione dell’opinione pubblica su questi temi.
Voglio innanzitutto rivolgermi ai giovani magistrati, a quelli che si affacciano o che si sono allontanati dall’attività associativa e a coloro che, non magistrati, la giudicano deleteria. Io, invece, credo sempre più nella esigenza di partecipazione alla ANM al di là dei suoi difetti perché è in questi occasioni possiamo e dobbiamo confrontarci.
E voglio essere ancor più chiaro. La associazione e le correnti non sono e non devono essere l’espressione di quella che era diventata la visione distorta del partito politico pensato dall’art.49 della Costituzione, cioè, una modalità per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale; nel nostro caso, offrire la nostra idea di politica per la giustizia.
Chi vuole fare associazione deve avere idee, su cui impegnarsi, e progetti da realizzare attraverso la condivisione e il confronto con gli altri e, soprattutto, con chi la pensa diversamente da sè. (Esempio: cosa fare della Cassazione insieme e non contro i giudici del merito, insieme e non contro gli avvocati).
Un impegno partecipativo non per conseguire un ” potere ” ma per realizzare la migliore giurisdizione possibile sul piano qualitativo e quantitativo. La ANM deve contribuire all’elaborazione di linee di politica della giustizia.
Non vogliamo una politica nella giustizia e maggiormente non vogliamo che i magistrati pensino di poter utilizzare la ANM o il CSM o, ancora di più, la funzione del magistrato per fare politica nella attività giurisdizionale.
Rafforzare il ruolo del giudice e della giurisdizione OGGI significa essere consapevoli che il quadro politico generale è cambiato. Pensiamo solo al bipolarismo, che sembra volersi affermare per una maggiore semplificazione delle opzioni politiche, ma che di fronte alla complessità dei problemi ed alla loro dimensione, sempre più sovranazionale, percepisce la giurisdizione stessa come problema, come spesa e non risorsa, quasi SOLO come elemento di competitività economica dimenticando quanto abbia inciso la massa dei debiti dello Stato verso quelle stesse aziende italiane creditrici verso lo Stato ( no al mito della competitività attraverso la burocratizzazione del nostro lavoro). Le difficoltà della società attuale, assetata di diritti che chiedono tutela, non possono far vedere la giustizia come un legame o un intralcio mentre occorre apprezzarne il ruolo fondamentale in ogni sistema democratico ed ancor più quando si tratta di una democrazia giovane, come la nostra Repubblica, ed indifesa rispetto alle grandi sfide del mondo.
Ciò detto, sia chiaro che il mio non è assolutamente un discorso di chiusura corporativa, di negazione dei nostri difetti e delle nostre responsabilità, di una chiamata alla difesa ad oltranza. Tutto il contrario.
Solo la consapevolezza della estrema delicatezza del momento che, in Italia ha raggiunto il massimo della sua manifestazione nella “forzata” rielezione del Presidente Napolitano, può offrirci l’occasione per una meditata riflessione sulla linea da seguire.
Noi vogliamo il rafforzamento della giurisdizione non dei giudici e dei pubblici ministeri. A noi interessa tutelare la forza delle nostre decisioni non di chi le emana. Siamo i difensori della legge attraverso la nostra attività di interpretazione delle norme e della loro efficacia nel risolvere i conflitti intersoggettivi.
Non esiste in Italia, né è mai esistito un “governo dei giudici”.
Ma solo giudici che sbagliano e possono aver sbagliato.
“Governo dei giudici” bella espressione ad effetto per colpire mediaticamente l’opinione pubblica ed alimentarne reazioni. Pochi, forse, sanno l’origine di questa espressione, sorta all’inizio del secolo scorso, ed oggi enunciata per indicare situazioni patologiche, nei rapporti tra organi di giustizia e organi di indirizzo politico con alterazione dell’equilibrio istituzionale complessivo, mentre essa – nella sua origine storica – si lega all’approfondimento della teoria della separazione dei poteri che impone che il legislatore ed il giudice sono entrambi soggetti all’osservanza della legge fondamentale dell’ordinamento e che ” il legislatore non può pretendere di avere il giudice come complice nella sua violazione né impedire al giudice di dare sostanza allo Stato di diritto”.
Principi non rivoluzionari e che la nostra Corte costituzionale ha riaffermato di recente nella sentenza n. 334/2008 secondo cui ” i giudici non devono utilizzare gli atti giurisdizionali come schemi formali per esercitare funzioni di produzione normativa; spetta al giudice ed alla cassazione selezionare ed interpretare il materiale normativo rilevante per la decisione; spetta al Parlamento adottare, in qualsiasi momento, una specifica normativa che determini adeguati punti di equilibrio tra i fondamentali beni costituzionali”.
Oggi il tema è cosa fare del nostro Governo autonomo
Cosa fare per l’efficienza del servizio
2. Come svolgere efficacemente il ruolo di componente del Consiglio superiore.
a) Il sistema elettorale per il CSM, da 10 anni, ha previsto la sostituzione dell’originario sistema proporzionale con quello attuale che prevede candidature singole. A mio parere il sistema proporzionale oggi offrirebbe – con i possibili e dovuti accorgimenti – quella giusta garanzia verso le forme di esasperazione delle correnti e delle ” aspettative” dei territori, anche per effetto delle nuove forme comunicative che consentono a chiunque di partecipare non alla spartizione di potere o poltrone ma ad una corretta dialettica sulle linee del governo autonomo.
Del resto, lasciatemelo dire, il mio intervento è stato per motivi alfabetici inserito tra gli attuali componenti che, prima e durante questo Consiglio – lo dico davvero senza alcuna polemica – sono stati i protagonisti dell’anticorrentismo. Credo che entrambi potranno darmi atto che sono tra i componenti ( e ce ne sono) che – malgrado le particolarità di questo Consiglio – non si oppone ma sta lavorando per il cambiamento del funzionamento del Consiglio.
Credo sinceramente che una minore conflittualità all’interno della ANM, delle singole correnti e del CSM ( che non significa limitazione della sana dialettica tra diverse posizioni) possa favorire una maggiore oggettività nell’esame dei problemi e nella indicazione di prospettive di riforma veramente utili al sistema di governo autonomo oltre che all’intero sistema giustizia.
b) L’azione complessiva del CSM impone una necessaria riflessione che deve riguardare il suo funzionamento, alla luce delle modifiche che hanno riguardato, la riduzione della sua composizione numerica ( da 30 a 24), ma anche la sua struttura amministrativa, e la disciplina del nuovo ordinamento giudiziario che ha ridisegnato lo statuto del giudice e il nuovo contenuto delle attribuzioni del CSM.
Sul primo versante, spiace constatare che è stata rallentata l’attività di ricognizione dei momenti di criticità del funzionamento dell’organo nella sua componente amministrativa, di collaborazione specialistica (Segreteria ed Ufficio Studi) e degli stessi componenti; l’attività è stata avviata dalla Commissione per il Regolamento interno, con lo scopo di meglio realizzare obiettivi di efficienza nel lavoro del Consiglio fino a giungere al rafforzamento dei doveri deontologici dei componenti.
c) L’attività svolta
Una premessa nei rapporti con le altre istituzioni.
Il CSM ed il Ministro hanno lavorato con buona sintonia per l’organizzazione ed il funzionamento degli uffici; molto resta da fare per portare a termine la revisione delle circoscrizioni e la rideterminazione delle piante organiche.
I rapporti con la Scuola non sono stati ottimali.
Entrambi i profili meritano però di essere approfonditi in altra sede.
A) Questo Consiglio non ha assunto forme di difesa dell’assetto esistente né forme di difesa preconcetta sia sul piano delle singole vicende dei magistrati sia su quello della riforma del sistema di giustizia.
I danni inferti alla giustizia, in certi momenti degli ultimi anni, da una gestione proprietaria dei fascicoli del pubblico ministero e da un’eccessiva spettacolarizzazione delle indagini sono stati evidenziati dal Consiglio a più riprese. Così come, anche attraverso un uso accorto delle pratiche a tutela, istituto opportuno ma che non deve essere abusato, si è cercato di sterilizzare e raffreddare la tensione istituzionale generata da attacchi al sereno esercizio della giurisdizione provenienti anche da settori della politica.
Il Consiglio, in maniera netta a grande maggioranza e con il contributo dei componenti di Unità per la Costituzione, ha detto no alle posizioni di sfruttamento della funzione giudiziaria ed all’uso dei processi per avviare percorsi personali diversi dalla nostra professione.
Nel contempo, il CSM è stato fermo nel garantire che l’esercizio della azione penale non subisse remore o intralci di alcun genere garantendo a tutti, giudici e pubblici ministeri, l’effettivo esercizio delle proprie prerogative (ciò si è dimostrato proprio nella vicenda Ingroia le cui lamentele appaiono davvero inammissibili ed ingenerose verso il CSM e l’intera magistratura, ivi compresa, la nostra ANM).
Qui devo ricordare e rivendicare con forza che il gruppo di UNICOST, da oltre sette anni nei propri congressi, ha richiesto un percorso lineare e di trasparenza per i magistrati che intendono esercitare il proprio diritto di ” entrare in politica” . Oggi questa esigenza è diventata patrimonio comune della ANM.
Questo Consiglio, lo riconosco faticosamente, dice altrettanto NO anche ai magistrati che, con i propri processi o con altre scelte di carriera parallela o di fuori ruolo, vengono meno alla propria posizione di autonomia ed indipendenza preferendo, magari in maniera nascosta, coltivare la segreta aspirazione a fare politica anziché investire i propri talenti nella professionalità della giurisdizione.
Forte è, perciò, la richiesta al Parlamento di regolamentare i diritti del magistrato che intende partecipare alla vita politica ed amministrativa in modo da bilanciarli con la necessaria imparzialità ed indipendenza che la funzione del magistrato impone anche sotto il profilo della sola apparenza.
B) Il Consiglio sta operando e spera di realizzare, almeno in questa fase finale, un alleggerimento degli adempimenti richiesti ai Dirigenti ed ai Consigli giudiziari nell’attività di organizzazione e governo degli uffici giudiziari.
La semplificazione dei contenuti dell’attività richiesta al circuito di governo autonomo appare imprescindibile e richiedono un forte impegno per utilizzare al meglio gli strumenti di supporto informatico e statistico al servizio anche della laboriosa attività di valutazione e redazione dei rapporti e dei pareri sulla professionalità dei magistrati.
Personalmente ho assunto l’impegno in Quarta Commissione di operare una razionalizzazione dei modelli di rilevazione dei dati statistici.
C) Altro capitolo importante è quello della nomina dei Dirigenti degli Uffici. Va ricordata la recentissima modifica della normativa che limita il numero delle domande per le funzioni direttive e semidirettive ed insieme estende il limite temporale della validità dei pareri attitudinali specifici.
Le funzioni dei dirigenti sono, per l’appunto, una funzione e non un ruolo chiuso per pochi eletti. La gestione di una struttura complessa come un ufficio giudiziario richiede una idoneità specifica, ma la temporaneità delle relative funzioni e l’importanza delle stesse nella efficienza complessiva del sistema richiede necessariamente un impegno per la più ampia diffusione di questa capacità e non già la creazione di un club per pochi eletti. La conferma l’ho ricevuta proprio nell’anno appena concluso di direzione della relativa Commissione ( ed intendo riferirmi alla conoscenza di grandi professionalità ” nascoste” e non sponsorizzate e non certo alla difesa di possibili errori compiuti). Se ciò è vero, io credo che la scelta di ridurre il numero delle domande non limita le aspettative dei magistrati ma anzi contribuisce ad offrire maggiori opportunità a tutti.
Nei prossimi mesi si intensificherà il dialogo con la Scuola per i primi corsi per i Dirigenti.
Nel contempo, credo si possa riflettere anche su possibili modifiche normative in tema di durata dell’incarico e periodo di legittimazione per far domanda per altro ufficio da parte di chi è già titolare di un incarico direttivo.
D) Il tema della inefficienza della giustizia e non dei giudici sembra finalmente aver raggiunto l’attenzione della sfere della politica confortata com’è dai ripetuti attestati europei sulla laboriosità dei giudici italiani.
Ciò detto, il Consiglio deve avere la capacità di non depotenziare il proprio ruolo di controllo della professionalità del magistrato ma, al contempo, non può sopravvalutare il peso di una sanzione disciplinare nè omettere di considerare la forte automaticità della attuale disciplina in tema di valutazioni di professionalità.
Vi sono è vero e bisogna riconoscerlo magistrati, giudici o pubblici ministeri, che non ce la fanno a sopportare ritmi di lavoro incessanti ed ormai consueti in tantissime sedi.
Ma occorre avere la consapevolezza dell’esistenza delle diversità ( ciò è particolarmente avvertito per il giudice del merito quando opera nelle sedi minori). Al di là dell’accertamento del cd. rendimento medio ( tema su cui ci vorrebbe almeno una sessione a parte) e pur dovendo ambire ad una magistratura di elevata preparazione, a mio parere si deve riconoscere che ci può essere un magistrato con un “sufficiente” rendimento che merita egualmente di non essere penalizzato almeno sino a quando non si avranno reali situazioni di equa distribuzione del carico di lavoro nelle differenti realtà giudiziarie.
La disciplina prevista per i giudizi di professionalità appare troppo rigida nei suoi automatismi sui contenuti dei giudizi e sui relativi effetti che possono giungere anche alla dispensa dal servizio. Si chiede non buonismo ma maggiore obiettività nel valutare le condizioni personali e soggettive che – a differenza del disciplinare che riguarda fatti più o meno circoscritti – interessano la complessiva professionalità secondo diversi parametri e durante un intero quadriennio.
Diversa e più ” severa” deve essere la rilevanza disciplinare degli episodi di inadeguatezza professionale che integrino i presupposti delle diverse fattispecie di illecito disciplinare.
Altro settore, quello disciplinare, che merita approfondimento in altra sede.
E) L’assetto della giustizia in Italia e il progetto di riforma.
La relazione del Presidente Sabelli ha offerto un disegno ampio e completo dei vari settori che richiedono un intervento.
Sul punto voglio aggiungere che la Magistratura tutta ed il CSM sono sempre stati pronti a discutere il merito ed i contenuti della ormai cd. Riforma della ( sulla?!) giustizia.
Nessun arroccamento ma, forse, solo alcune obiettive esigenze di difesa da attacchi veri o presunti.
Sul punto voglio solo comunicare che il Consiglio ha deliberato di dedicare la prossima Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia al tema della deflazione della giurisdizione nel settore penale e civile.
Sono convinto, e noi componenti di Unità per la Costituzione abbiamo proposto, insieme ad altri questo tema, che lo sviluppo della mediazione e della conciliazione, perseguito da ultimo dal legislatore, è il sintomo della consapevolezza di un cambio culturale che va proprio verso la delimitazione della giurisdizione e che, sul versante penale, apre grande spazi di riflessione sull’effettività della pena, sull’indispensabilità della detenzione, sull’offensività del reato, sulla stessa durata della prescrizione. Un cambio culturale al quale la magistratura ed il Consiglio superiore sono pronti a partecipare come protagonisti attivi richiamando, nel contempo, anche le responsabilità delle altre istituzioni, in primis il Governo ed il Parlamento.