I riti alternativi nel ddl Bonafede di Aldo Natalini

Art. 16 (specificamente a cura di Aldo Natalini)

In ambito processual-penale, l’art. 16 del disegno di legge governativo enuncia i principi e criteri direttivi che il Governo dovrà seguire nell’esercizio della delega, con riferimento alla disciplina dei procedimenti speciali alternativi al dibattimento che si intende incentivare su più fronti.

Per quanto riguarda il giudizio abbreviato (art. 16, lett. a), si prevede la modifica – in senso ampliativo – delle condizioni di accesso al rito abbreviato condizionato ex art. 438, comma 5, c.p.p. In particolare, si propone la sostituzione dell’attuale requisito della compatibilità dell’integrazione probatoria con le «ragioni di economia processuale proprie del procedimento», con i seguenti criteri selettivi:

«rilevanza, novità, specificità, non sovrabbondanza della prova o dei fatti oggetto di prova».

La perseguita finalità governativa è quella di evitare che l’eccessiva elasticità della clausola vigente dia luogo al rigetto di istanze di giudizio abbreviato condizionato all’assunzione di prova (v. Relazione illustrativa).

Nondimeno dalla formulazione – meramente elencativa – dei nuovi parametri non è dato comprendere se trattasi di criteri che il legislatore delegato dovrà dettare in via alternativa o congiunta: aspetto dirimente al fine di valutare, sul punto, la portata ampliativa della proposta riforma dell’abbreviato condizionato, la sua incidenza rispetto al coevo connotato – non inciso dalla ipotesi di novella – della necessità ai fini della decisione nonché, in definitiva, la sua congruenza rispetto alla struttura sommaria del procedimento speciale.

Nel dettaglio, quanto alla possibile esegesi da attribuire ai proposti parametri:

– quanto alla rilevanza, occorrerebbe estrarne un significato concettualmente autonomo rispetto al coevo parametro della necessità ai fini del decidere, per l’accesso al rito condizionato (quale potrebbe essere quello della pertinenza);

– quanto alla «novità», sembrerebbe alludere al carattere “aggiuntivo” (e non meramente “sostitutivo”) rispetto materiale disponibile “allo stato degli atti” e, quindi, effettivamente inedito, come peraltro la dottrina già esige a legislazione vigente rispetto all’iniziativa probatoria di cui all’art. 438, comma 5, c.p.p. (la quale è oggettivamente “nuova” anche quando non sia «necessaria ai fini del decidere»);

– quanto alla «specificità», dovrebbe tradursi nell’onere, per l’imputato, di circoscrivere con il dovuto dettaglio l’oggetto del “nuovo” progetto probatorio (quantomeno in termini di fatti oggetto di prove e di nominativo dei testi addotti, laddove trattasi di prove orali: arg. Cass. pen., Sez. V, n. 55829/2018, Rv. 274623).

– quanto, infine, alla «non sovrabbondanza» della prova (o dei fatti oggetto di prova), da valutarsi ex ante, sembra assibilabile al vigente parametro della superfluità che giustifica, ex post, la revoca delle prove già ammesse nel corso del dibattimento ex art. 495, comma 4, c.p.p. Nondimeno, potrebbe in parte sovrapporsi col coevo – immutato – requisito della necessità ai fini del decidere. 

Per quanto riguarda il giudizio immediato (art. 16, lett. b), la proposta legislativa è duplice, prevedendosi che, a seguito di notifica del decreto di giudizio immediato:

1) nel caso di rigetto da parte del giudice delle indagini preliminari della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad integrazione probatoria, l’imputato possa richiedere il giudizio abbreviato “secco” oppure l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p.;

2) nel caso di dissenso del P.M. all’ipotesi di patteggiamento, o di rigetto da parte del giudice delle indagini preliminari della proposta di applicazione pena, l’imputato possa proporre il giudizio abbreviato.

Viene così demandato al legislatore delegato di prevedere la possibilità, per l’imputato, di avanzare richiesta di riti alternativi ulteriori nel caso di rigetto delle istanze presentate entro i termini. Traducendosi la proposta nell’ampliamento delle facoltà processuali dell’imputato, essa merita condivisione.

Per quanto riguarda, infine, il procedimento monitorio (art. 16, lett. c), si prevede l’estensione del termine per richiedere, da parte del P.M., l’emissione del decreto penale, che passa dagli attuali sei mesi, ad un anno dall’iscrizione nominativa ai sensi dell’articolo 335 c.p.p.

La proposta governativa – condivisibile nella misura in cui mira ad estendere il ricorso al rito alternativo de quo, già “incentivato” per effetto della novella di cui all’art. 1, comma 53 della l. n. 103 del 2017 (introduttiva del comma 1-bis dell’art. 459 c.p.p.) – recepisce in toto la corrispondente proposta elaborata dalla Commissione di studio Anm su diritto e processo penale (v. punto 12 della bozza di testo approvato, con modifiche, dal Comitato Direttivo Centrale del 9 marzo 2019).

Art. 17

In tema di giudizio, alla lettera a) si prevede uno svolgimento calendarizzato delle udienze (laddove non è possibile esaurire il processo in una sola udienza) il cui programma è stabilito già alla prima udienza fino alla istruzione dibattimentale.

La predisposizione di un calendario per ogni singolo processo rende note alle parti e ai difensori le successive date di udienza, in tal modo limitando i rinvii per impedimento degli interessati.

Tuttavia, la lodevole introduzione rischia di trasformarsi in un mero auspicio se non armonizzata con la disciplina dei legittimi impedimenti e delle notifiche ai testimoni (nei processi di media e grande complessità vengono spesso dedicate più udienze proprio alla regolarizzazione delle notifiche cartacee, “all’inseguimento” degli imputati) e con un ampliamento dei poteri negoziali delle parti in termini di acquisizioni probatorie e rinunce istruttorie.

Peraltro, la predisposizione di un calendario fin dal momento dell’ammissione delle prove appare agevole solo nell’ipotesi di effettiva deflazione del dibattimento (con ampio e diverso ricorso ai riti alternativi) e di carico del ruolo non gravoso.

Art. 18

Sempre con riguardo al dibattimento, innanzi al tribunale in composizione monocratica la legge delega intende istituzionalizzare una udienza “filtro” per i reati a citazione diretta a giudizio (art. 550 c.p.p.).

Tuttavia, il “filtro” non è teso alla calendarizzazione o ad una razionale previsione delle ulteriori fasi dibattimentali. La norma interviene, nelle intenzioni a scopo deflattivo, per accertare (sulla base del fascicolo del P.M.) se il dibattimento debba essere celebrato o se debba essere immediatamente pronunciata una sentenza di non luogo a procedere.

Appare, però, evidente il rischio di duplicazione insito nella previsione, in quanto si introdurrebbe una “nuova udienza preliminare” nel rito monocratico. Di certo tale accortezza non gioverebbe alle tempistiche processuali e potrebbe generare frizioni a livello sistemico in tema di incompatibilità. Infatti, è plausibile che, stando ai criteri generali in tema di incompatibilità, l’udienza filtro trattata da un magistrato diverso da quello davanti al quale dovrà essere, eventualmente, celebrato il giudizio potrebbe creare enormi disfunzioni organizzative negli uffici di limitate dimensioni. Il magistrato dell’udienza filtro verrebbe a conoscenza degli atti del P.M. e dunque non potrebbe dirigere la conseguente fase dibattimentale.

In sostanza, invece di semplificare, si assiste ad un ingolfamento ulteriore dei procedimenti di competenza del tribunale in composizione monocratica.

Art. 19

La norma in esame è dedicata alla fase dell’appello.

La previsione sarebbe destinata a ridurre la pendenza dei processi in appello, rendendo inappellabili alcune categorie di sentenze ed introducendo la competenza della Corte di appello in composizione monocratica per i procedimenti penali a citazione diretta, anche con ricorso al rito camerale non partecipato.

Aumentano i casi di inappellabilità, in particolare, per le sentenze di proscioglimento e di non luogo a procedere per i reati puntiti con la pena pecuniaria o alternativa, nonché delle sentenze di condanna per le pene sostituite con lavori di pubblica utilità.

Si fa eccezione d’altro canto, ai reati di cui agli articoli 590, commi 2 e 3, 590-sexies e 604-bis, comma 1, del codice penale, modificando così l’art. 428 comma 3-quater c.p.p.

La inappellabilità di alcune sentenze potrebbe produrre l’incremento dei ricorsi per cassazione e dunque, in assenza di adeguati contrappesi, potrebbe determinarsi soltanto un cambiamento dello sbocco processuale delle impugnazioni.

Anche in sede di appello si punta sulla diversificazione del rito prevedendo la competenza della corte d’appello in composizione monocratica per i reati a citazione diretta, salve alcune eccezioni e l’introduzione del rito camerale non partecipato per l’impugnazione delle decisioni dinnanzi alla corte d’appello in composizione monocratica.

L’introduzione del giudizio monocratico in grado di appello, che vorrebbe snellire evitando a composizione collegiale della corte, determinerà certamente un sensibile aumento del numero di udienze, che necessiterà della disponibilità di un congruo numero di personale ausiliario e di aule di udienza (argomento assolutamente non secondario) oltre che di un ulteriore aggravio per i magistrati in servizio presso le corti di appello. Anche questa modifica – se si pretende di operare a costo zero – potrebbe generare molti più aggravi processuali di quanti ne vorrebbe evitare.

Art. 20 e art. 21

Nulla da rilevare in chiave negativa. Si tratta di scelte condivisibili

Con l’art. 20 si prescrive la procedibilità a querela della persona offesa per il reato di lesioni personali stradali gravi ex art. 590bis.

In questo modo, viene calibrato il reale interesse della persona offesa alle esigenze processuali, poiché la vittima solitamente propende maggiormente per una liquidazione del danno in ambito civile, piuttosto che nella certezza della sanzione penale (blanda) del trasgressore.

Conformemente, viene valutato quale comportamento concludente, la mancata comparizione ingiustificata in udienza da parte del querelante. Per quanto condivisibile non sembra che si stia parlare di un nodo centrale per la efficienza del processo penale.

Con l’art. 21viene rideterminato l’ammontare delle pene pecuniarie per un giorno di pena detentiva ad un importo che non superi i 180 euro, a fronte dei precedenti 250 probabilmente per dare maggiore possibilità al condannato di adempiere agli obblighi pecuniari in luogo della pena detentiva.

Art. 22

Con la previsione dell’art. 22 diventerebbe impugnabile il decreto di perquisizione, anche quando non vi consegua un provvedimento di sequestro.

Il controllo giurisdizionale sulla legittimità della perquisizione, anche nel caso in cui ad essa non consegua il sequestro, intende adeguare la disciplina processuale ai principi CEDU.

Non convince, tuttavia, la previsione generica ed estesa con cui viene introdotto il mezzo di impugnazione che, certamente sarà destinata a produrre un incremento del contenzioso e delle impugnazioni devolute al tribunale del riesame e alla Corte di cassazione.

Sarebbe necessario eventualmente introdurre restrizioni della possibilità di gravame ad ipotesi specifiche o a indici determinati (assenza di motivazione, mancata adozione di garanzie tipiche dell’atto) onde insinuare un vulnus nello strumento di ricerca della prova che, in mancanza di un cuscinetto di irregolarità formali dell’atto, ponga automaticamente a confine la perquisizione legittimamente adottata o autorizzata con la violazione di cui all’art. 609 c.p..