Il 6 e 7 luglio p.v. si terranno le elezioni per rinnovo del Consiglio Superiore della Magistratura.
Sarà un appuntamento molto importante al quale saranno chiamati a partecipare tutti i magistrati italiani.
I candidati di Unità per la Costituzione hanno inteso fissare in un programma gli obiettivi e i contenuti che il Consiglio Superiore del prossimo quadriennio dovrà realizzare.
I candidati di unità per la costituzione sono:
- Legittimità: Maria Rosaria Sangiorgio
- Requirente: Luca Palamara
- Giudicante: Francesco Cananzi, Francesco D’alessandro. Massimo Forciniti, Rosario Spina
Di seguito il programma – scarica il PDF
UNICOST
Unità per la costituzione
Un progetto per il rinnovamento della magistratura
Il ruolo del CSM.
Il CSM del prossimo quadriennio dovrà:
- assumere un ruolo da protagonista sui temi della riforma della Giustizia e del sistema giudiziario, imponendosi come attendibile e propositivo interlocutore del potere politico;
- superare ogni logica di degenerazione correntizia o localistica, nella prospettiva della tutela della autonomia e della indipendenza della Magistratura senza indulgere in atteggiamenti corporativi;
- riaffermare e valorizzare il proprio ruolo costituzionale, ed evitare di trasformarsi, in una logica meramente aziendalistica, in un organo burocratico con funzione di valutazione di numeri, e di ritardi nel lavoro;
- recuperare la centralità del suo ruolo istituzionale di autogoverno della magistratura nei rapporti con il vicepresidente ed il comitato di presidenza;
- riaffrontare il nodo dei rapporti rimasti insoluti con la Scuola della magistratura, ribadendo che quest’ultima nel proprio agire deve trovare il suo punto di riferimento nelle linee direttive per la formazione elaborate dal CSM il cui ruolo primario la Costituzione afferma come punto di riferimento di ogni magistrato;
- adottare scelte coraggiose sui temi degli incarichi direttivi, delle valutazioni di professionalità e del funzionamento del sistema disciplinare per realizzare il rinnovamento della Magistratura;
- essere vicino alle esigenze dei colleghi e saper interpretare le problematiche del loro lavoro quotidiano, soprattutto ai colleghi del civile oggi alle prese con le difficoltà di attuazione del processo civile telematico, nonchè alle esigenze dei giovani e delle donne magistrato istituendo delle commissioni itineranti sul territorio.
Incarichi direttivi.
Il problema della nomina dei dirigenti costituisce lo snodo centrale dell’organizzazione degli uffici ed incide in modo determinante sull’esercizio della giurisdizione, nonché sulle legittime aspettative di ogni singolo magistrato. Spesso sono proprio le nomine dei direttivi a creare disaffezione e sfiducia nei confronti del CSM.
Pertanto, occorrono scelte coraggiose ed innovative da realizzarsi mediante l’adozione di:
- tempi certi nella nomina dei dirigenti, per evitare che gli uffici rimangano privi di una guida per lunghi periodi senza alcuna plausibile giustificazione e con il rischio di favorire accordi spartitori;
- regole certe, predeterminate e trasparenti.Le nomine devono prescindere dalle logiche di appartenza e risultare fondate esclusivamente sui criteri del merito e delle attitudini. Il superamento del criterio dell’anzianità ha segnato un punto di non ritorno ma è sempre più pressante l’esigenza di fissare dei criteri il più possibile oggettivi;
- motivazioni coerenti che diano adeguatamente conto delle ragioni della scelta. Ciò sia per renderla pienamente comprensibile e persuasiva a tutti ed in special modo ai controinteressati , sia allo scopo di limitare il contenzioso, a volte interminabile ed estenuante per i magistrati coinvolti e disfunzionale per gli uffici interessati. Fondamentale sul punto l’affinamento e, se necessario, l’ampliamento delle fonti di conoscenza interne agli uffici giudiziari, da realizzarsi mediante: a) un più intenso ricorso all’audizione dei candidati, utile per conseguire la conoscenza immediata e diretta degli aspiranti; b) la generale e preventiva individuazione dei dati significativi e rilevanti nell’esperienza professionale di ciascun aspirante all’incarico come valore da privilegiare e da tenere in considerazione nella scelta, in relazione alla natura e tipologia di ogni singolo incarico da conferire.
La conferma degli incarichi direttivi.
Costituisce essenziale momento di verifica della validità della scelta effettuata nel conferimento dell’incarico e dell’idoneità del dirigente a svolgere proficuamente il ruolo affidatogli. Pertanto devono essere vagliate attentamente tutte le iniziative e le misure organizzative intraprese dai dirigenti nel quadriennio, rivolgendo particolare attenzione all’azione degli stessi negli uffici in cui si siano registrati ritardi nel deposito di sentenze da parte dei magistrati, o disfunzioni nello svolgimento delle attività, valutando anche le modalità ed i criteri sulla distribuzione dei carichi di lavoro e gli strumenti, anche di sostegno, adottati per ridurre i ritardi e superare le criticità. Come pure in sede di conferma dovrà essere seriamente valutata l’adeguata personalizzazione dei pareri redatti dal dirigente, in occasione delle valutazioni di professionalità dei singoli magistrati. Altrettanto rilievo dovrà essere attribuito, per i dirigenti degli uffici di Procura, al modello organizzativo adottato, alla sua concreta attuazione, nonché al contributo partecipativo richiesto ai sostituti per l’elaborazione dello stesso.
Valutazioni di professionalità.
Un valido sistema di controlli seri ed efficaci non deve costituire un momento di oppressione della vita del magistrato, ma e’ presupposto fondamentale per avere magistrati preparati, qualificati e professionalmente attrezzati.
Pertanto, occorre:
- abbandonare il cliché dei pareri stereotipati, genericamente elogiativi, che in una sorta di generale omologazione non individuano le reali capacità ed attitudini di ogni singolo magistrato;
- correttamente individuare ed ampliare delle fonti di conoscenza interne agli uffici giudiziari. E’ necessario sul punto: a) una assunzione di responsabilità da parte dei dirigenti e dei semidirettivi chiamati a valutare l’attività nel quadriennio i quali devono riporre particolare impegno ed attenzione nella redazione di rapporti; b) un maggior coinvolgimento dei consigli giudiziari, per i quali sono auspicabili e vanno favoriti i modelli itineranti all’interno degli uffici giudiziari del distretto;
- rifiutare il ricorso sistematico e generalizzato a fonti esterne e destabilizzanti, quali la sollecitazione di pareri ai Consigli dell’Ordine degli Avvocati o ai capi degli uffici “frontistanti”, suscettibili di innescare dinamiche imprevedibili e pericolose per il corretto esercizio della giurisdizione.
Disciplinare.
Il sistema disciplinare non può essere forte con i deboli e debole con i forti. Scaricare la responsabilità del ritardo e delle disfunzioni organizzative sul singolo magistrato, colpendo il più delle volte i colleghi più sensibili alla situazione di ormai intollerabile sovraccarico degli uffici, è profondamente ingiusto, ed inoltre rischia di indurre soprattutto nei giovani magistrati meccanismi di autodifesa destinati a burocratizzarne la funzione privilegiando la rincorsa ai numeri a scapito della dignità del lavoro.Sanzionare il comportamento neghittoso dei magistrati disattenti alle esigenze del cittadino che chiede tutela è un preciso dovere del C.S.M., che va assolto con rigore e determinazione. Ma creare una forma di responsabilità oggettiva del magistrato colpevole solo di farsi carico dell’alluvionale ricorso alla giurisdizione attraverso una scrupolosa ricerca delle soluzioni più corrette, oltre ad essere ingeneroso, è miope, perché non tiene conto che una sentenza frettolosa alimenta nuovo contenzioso, allungando i tempi della giustizia.
Sul versante disciplinare occorrono piuttosto risposte forti nei confronti di quelle situazioni di opacità nello svolgimento, e fuori dello svolgimento, delle funzioni giudiziarie, che minano la credibilità della Magistratura.
Mobilità orizzontale e giovani magistrati.
Anche sul versante dei trasferimenti occorre dare una svolta:
- tempi certi e due date fisse all’anno per i bollettoni;
- mettere in moto ed attuare un valido meccanismo di programmazione pluriennale della mobilità– oggi tecnicamente possibile mediante il ricorso alle dotazioni informatiche del C.S.M. – che consenta di superare in questa materia la logica dell’emergenza, assicurando e coordinando le esigenze di funzionamento degli uffici e di copertura dei relativi organici con le legittime aspettative dei colleghi interessati ai trasferimenti;
- superare, quanto ai tempi di concreta attuazione di ogni singolo tramutamento, il “gioco” disfunzionale degli anticipati e posticipati possessi mediante l’attivazione di un affidabile protocollo con il Ministero: l’obiettivo da realizzare è la contestualità di ogni singolo avvicendamento;
- tutelare le legittime aspettative dei giovani colleghi che lavorano negli uffici con più elevato turn over, sollecitando la reintroduzione di adeguati incentivi per la copertura delle sedi non richieste e coordinando la tempistica dei bollettoni ordinari con l’assegnazione delle sedi ai magistrati di nuova nomina.
L’organizzazione degli uffici giudiziari.
Occorre anche promuovere un’idea di organizzazione dinamica e non statica, parametrata sulle esigenze reali degli uffici giudiziari, che offra risposte sostanziali e non solo formali e garantisca una distribuzione equa del lavoro tra i magistrati, quindi di maggiore efficienza.
Se per un verso occorre semplificare la normazione secondaria e le richieste ai dirigenti di programmi organizzativi, per altro verso va loro richiesto che si facciano carico di monitorare la situazione dell’ufficio e che, nell’ambito della materia tabellare, adottino tempestivamente gli accorgimenti organizzativi tali da superare le sopravvenute criticità. A fronte di una ormai acquisita “cultura tabellare”, ne va a pieno compresa la potenzialità innovatrice, proprio per la sua portata dinamica, valorizzandosi le prassi virtuose e le azioni innovative dell’organizzazione. Vanno in tal senso promosse le occasioni di confronto fra i referenti dell’informatica: la “riforma digitale” in atto, promossa dal Ministero della Giustizia, deve vedere il CSM interloquire, come già avvenuto, poiché le scelte politiche del Ministero, che non sono neutre, incidono sulla concretezza del lavoro del magistrato e sulla efficienza del servizio offerto. Di ciò dovrà farsi carico il prossimo CSM.
L’assetto delle Procure.
Il CSM dovrà esprimere una chiara opzione di modello di capo di ufficio ed una nitida indicazione del rapporto tra capi e sostituti. L’assetto delle Procure non puo’ essere improntato ad una visione verticistica dell’ufficio ma deve favorire la realizzazione di modelli di gestione partecipata tra il procuratore capo ed i sostituti. Nell’ambito dei progetti organizzativi degli uffici l’elaborazione dei criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti non deve costituire una deroga al principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale ma più correttamente deve tendere a meglio organizzare l’ufficio razionalizzando i tempi dell’esercizio dell’azione penale.
L’accesso alle funzioni di legittimità.
La disciplina dell’accesso in Cassazione deve tenere conto che la Corte di legittimità ha necessità, oltre che dell’apporto, in funzione nomofilattica, delle professionalità che si caratterizzano per la specifica attitudine allo speculazione e all’approfondimento dogmatico, del contributo della profonda esperienza maturata nell’esercizio delle funzioni di merito. E dunque, la valutazione dei titoli scientifici, generalmente premiata dai giudizi della Commissione tecnica prevista dalla legge, non può avere valore assorbente ai fini del conferimento delle funzioni di legittimità. Ciò comporta la necessità di una rivisitazione del rapporto tra Commissione tecnica e Commissione consiliare, che consenta alla seconda, nel rispetto dei principi di trasparenza ed imparzialità, di valorizzare massimamente, nell’attribuzione del punteggio complessivo, l’attitudine evidenziata nello svolgimento dell’attività giudiziaria.
Trasparenza e pubblicità.
Occorre favorire ogni forma di trasparenza incrementando i canali che rendano immediatamente fruibili e conoscibili le decisioni. Fondamentale da questo punto di vista sarà quello di incentivare il sito internet e le modalità con le quali rendere il più possibile partecipi i colleghi alla vita del CSM.
Semplificazione della normazione secondaria.
La rilevantissima e capillare produzione normativa consiliare, stratificatasi negli anni, esige oggi una urgente opera di rivisitazione e snellimento al fine di consentirne una più agevole fruizione da parte di tutti i destinatari, Consigli Giudiziari, Uffici, Dirigenti e singoli magistrati. Va quindi proseguita l’opera di sistemazione delle disposizioni secondarie per materia in testi unici ed individuato un modello di provvedimento normativo che coniughi completezza e facilità di consultazione, anche mediante la contestuale redazione di “testi brevi” contenenti i principi e le disposizioni fondamentali e di “appendici analitiche” contenenti dati di dettaglio e richiami.
Unità per la Costituzione per una svolta culturale: avere fiducia nei magistrati.
Il prossimo CSM avrà dinanzi una sfida anche culturale. L’ordinamento giudiziario del 2006 è ispirato da un atteggiamento di sfiducia nei confronti dei magistrati. Spetterà al CSM modificare questo atteggiamento, interpretarlo perché sia riconosciuto il contributo offerto dai magistrati al progresso del Paese, nonché per ribadire il ruolo che la Costituzione assegna loro. Occorre trasformare la diffidenza in una intelligente fiducia.
Il prossimo CSM dovrà essere vicino ai colleghi nei propri territori, ripristinando le commissioni che incontravano i colleghi negli uffici, recandosi presso gli uffici giudiziari, perché la rappresentanza va nutrita nel corso del quadriennio di incontri, confronti, idee, ascolto.
Il prossimo CSM dovrà vigilare ed esigere risorse adeguate: la carenza di personale amministrativo e di strumenti informatici mette a rischio in concreto l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, mentre urgono interventi di depenalizzazione, di deflazione processuale nei settori civile e penale, anche con riguardo alla Corte di cassazione.
Una sfida alta, che serve a restituire ai magistrati italiani dignità e soprattutto il gusto per lo straordinario lavoro che compiono. Una sfida che Unità per la Costituzione vuole raccogliere.
I candidati di Unità per la Costituzione al CSM 2014-2018
Legittimità: Maria Rosaria SANGIORGIO
Requirente: Luca PALAMARA
Giudicante: Francesco CANANZI, Francesco D’ALESSANDRO, Massimo FORCINITI, Rosario SPINA
Al Comitato di Presidenza
del Consiglio superiore della
Magistratura
Roma, lì 4 novembre 2015
Oggetto: apertura pratica ai sensi dell’art. 10 L. 195 del 1958, volta all’introduzionenell’ambito del procedimento disciplinare dell’istituto della riabilitazione o di istituto simile.
La questione dello statuto disciplinare del magistrato è assai viva e controversa ed è vissuta con particolare angoscia dal corpo magistratuale.
Come spesso si è affermato, occorre trovare un difficile equilibrio fra il dovere di assicurare, anche nell’interesse dell’utenza, una rigorosa osservanza dei doveri professionali e non consustanziali allostatus di magistrato, ed, al tempo stesso, la necessità di evitare posizioni inutilmente severe, che, proprio per la loro intrinseca aridità intellettuale, possono gravemente nuocere al buon andamento della giustizia.
La scorsa consiliatura, con delibera dell’undici dicembre 2013, ha affrontato il problema della possibilità di introdurre l’istituto della riabilitazione anche per i magistrati, sino ad oggi non previsto a differenza di altri comparti del pubblico impiego.
La delibera ha disposto l’archiviazione della pratica in considerazione del fatto che nel sistema normativo dettato per i magistrati, gli effetti della sanzione disciplinare – esaurendosi nella possibile incidenza della condanna ai fini dell’adozione dei provvedimenti inerenti lo status del soggetto – costituiscono la risultante di una valutazione rimessa, di volta in volta, all’organo di autogoverno, nell’esercizio di un potere articolato e disciplinato dalla normativa di dettaglio nei suoi margini di discrezionalità.
E ciò sebbene la Sesta Commissione avesse, durante la fase istruttoria, interpellato l’ufficio studi, che, invece, aveva concluso nel senso che la sentenza della Corte Costituzionale n. 289/1992 non escludessein totola possibilità di applicazione dell’istituto della riabilitazione ai magistrati, previa adeguata modifica normativa del D. Lgs. n. 109/2006.
La Corte Costituzionale, chiosa l’Ufficio Studi, ammette, infatti, in maniera chiara, che la riabilitazione è l’espressione di un principio generale e di un’esigenza che, ancorché non rispondente ad alcuna norma costituzionale, può comunque trovare applicazione anche all’interno di un sistema disciplinare ispirato a paradigmi giurisdizionali, come, per l’appunto, è quello previsto per i magistrati. Viene, pertanto, rimessa alla discrezionalità del legislatore la scelta di uno tra i possibili modelli di riabilitazione, ovvero la scelta di un diverso meccanismo per eliminare gli effetti della condanna disciplinare.
La fattibilità tecnico-giuridica di una norma idonea ad introdurre nel nostro sistema giuridico una prudente forma di riabilitazione del magistrato colpito da sanzione disciplinare impone un ripensamento, in sede di governo della magistratura, delle conclusioni prese con la cennata delibera consiliare.
In particolare, occorre ragionare se sia effettivamente utile, per una serena amministrazione della giustizia, che una sanzione disciplinare – ad esempio, eventualmente irrogata a seguito di un orientamento giurisprudenziale, poi, nel corso degli anni abbandonato – possa di per sé indefinitamente compromettere il successivo corso della carriera professionale.
Per tali ragioni, i sottoscritti consiglieri chiedono l’apertura di una pratica, da attribuirsi alla Sesta Commissione, affinché, rimeditato quanto deliberato l’undici dicembre 2013, si formuli, ai sensi dell’art. 10 L. 195 del 1958, una proposta al Ministro della Giustizia, e per Suo tramite al Parlamento, volta all’introduzione nell’ambito del procedimento disciplinare dell’istituto della riabilitazione o di istituto simile.
Francesco Cananzi
Massimo Forciniti
Luca Palamara
Maria Rosaria San Giorgio
Rosario Spina
In data 20-21 luglio 2017, presso il Consiglio Superiore della Magistratura, si è tenuto un seminario organizzato in collaborazione con la Scuola Superiore della Magistratura, sul tema delle “Linee guida in materia di esame delle impugnazioni e tecniche di redazione dei provvedimenti”.
La proficua occasione di studio, originata dalla recente delibera consiliare del 5 luglio 2017, ha indubbiamente offerto numerosi spunti di riflessioni in ordine al sempre più difficile connubio tra tempi e qualità della giurisdizione: la sede dell’impugnazione, in tutti i settori della giurisdizione, diviene l’ambito ove siffatta problematica emerge con maggior evidenza.
Nel corso del seminario, discorrendo degli esiti delle impugnazioni, è ritornata al centro dell’attenzione l’innegabile necessità, avvertita da magistrati appartenenti a tutti i distretti e propria di ogni settore della giurisdizione, di conoscere la sorte dei propri provvedimenti nei successivi gradi o fasi del giudizio.
La consapevolezza della giurisprudenza territoriale superiore, nel distretto, produrrebbe un effetto di certezza del diritto oltre a consentire al giudice di primo grado, consapevole dell’orientamento assunto dalla Corte territoriale, specie su questioni particolarmente controverse, di avere maggiori elementi di conoscenza al fine di determinare il proprio autonomo orientamento.
Analogamente sarebbe necessario favorire per i giudici di appello la conoscenza specifica anche degli esiti di legittimità.
In alcuni distretti esistono già progetti specifici di buone prassi che consentono tale possibilità, mediante la creazione, su base distrettuale, di una banca dati delle pronunce della locale Corte di Appello ovvero mediante l’inoltro, al giudice di prime cure, della sentenza di secondo grado .
Appare però necessario richiedere l’apertura di una pratica che porti alla opportuna interlocuzione con il Ministero della Giustizia, per la creazione di utility che assicurino i risultati suddetti, al fine di promuovere maggiore consapevolezza nella giurisprudenza di merito.
Ciò potrebbe avvenire agevolmente per il settore civile, tramite il sistema del PCT e dei suoi applicativi, che già prevedono l’acquisizione telematica di tutti i provvedimenti definitivi della fase (anche se non depositati telematicamente, ai fini della comunicazione); una modifica evolutiva del sistema potrebbe valorizzare nei registri di cancelleria, o nell’applicativo del magistrato, un sistema di alert relativo all’esito del grado di giudizio superiore in merito al provvedimento originario.
Analogamente potrebbe operarsi mediante implementazione della Consolle Penale (o di altri applicativi quali ad esempio AED 2.0), con l’adozione di una opzione analoga.
L’eventuale positiva sperimentazione di tale strumento potrebbe, infine, essere ulteriormente esportata, quale prassi virtuosa anche nei rapporti tra gli Uffici di Tribunali e gli Uffici dei Giudici onorari di pace, essendo i primi giudice dell’impugnazione delle sentenze rese dai secondi.
Nella stessa ottica potrebbe essere previsto che il pubblico ministero riceva un riscontro “informatico” immediato degli esiti processuali dei propri procedimenti.
Per tali ragioni, i sottoscritti Consiglieri chiedono l’apertura di una pratica sul tema, da assegnare alla Commissione secondo le disposizioni di regolamento interno competente ratione materiae.
Francesco Cananzi
Massimo Forciniti
Luca Palamara
Maria Rosaria San Giorgio
Rosario Spina
Cari colleghi,
La scorsa settimana abbiamo chiesto al Comitato di Presidenza l’apertura di una pratica per far sì che la Terza Commissione, competente per regolamento, provveda con urgenza alla copertura di tutti i posti vacanti di magistrato di sorveglianza e per l’assegnazione della presente pratica alla ulteriore Commissione che si ritenga competente.
Quest’iniziativa è l’espressione dell’attenzione del gruppo consiliare di Unicost per le tematiche legate all’esecuzione della pena, come dimostra il fatto che già dall’aprile 2016 abbiamo chiesto l’apertura di una pratica volta all’attuazione della Commissione Mista sui problemi della Magistratura di Sorveglianza. Su nostro impulso, quindi, la Nona Commissione ha ritenuto di “riattivare quelle sinergie” che in passato avevano favorito una riflessione comune sui problemi della magistratura di sorveglianza, “coinvolgendo nella ricerca delle soluzioni alle problematiche connesse alla funzionalità degli uffici, alla esecuzione della pena e alla tutela dei diritti dei detenuti e degli internati, l’organo di governo autonomo della magistratura, il Ministero della Giustizia e la magistratura di sorveglianza”. Proprio in tale prospettiva, con delibera approvata dall’Assemblea plenaria in data 10 maggio 2017, è stata ricostituita la Commissione Mista per lo studio dei problemi della Magistratura di Sorveglianza e dell’Esecuzione Penale. In considerazione del contributo di particolare rilevanza offerto dalla Commissione Mista quale strumento idoneo a fornire un punto di vista tecnico atto a valorizzare una visione globale dei problemi della pena ed a favorire la individuazione dei modelli di cooperazione istituzionale, si è ravvisata l’esigenza di fare il punto sullo “stato dell’arte” con l’organizzazione di un Convegno che, i prossimi 5 e 6 febbraio 2018, tratterà le tematiche specifiche oggetto di studio da parte della Commissione stessa.
L’esigenza della richiesta di apertura pratica nasce dalla grave situazione della carceri italiane.
Ed invero, la legge n. 103/2017 dal titolo “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, all’art. 1, comma 85 prevede espressamente che i decreti legislativi che saranno emanati dovranno tenere conto di una serie di principi, tassativamente elencati, volti a rendere compatibile il sistema penitenziario con i diritti e con la dignità della persona e, in definitiva, ad attribuire effettività al dettato costituzionale di cui all’ art. 27 della Costituzione.
L’attuale situazione delle carceri italiane è esplosiva, ai limiti della tollerabilità. Il sovraffollamento degli istituti penitenziari è un dato di fatto ineludibile, che oltre a rappresentare la causa principale del cattivo funzionamento del sistema, costituisce un’evidente mortificazione della dignità della persona umana; la circostanza – a seguito della nota sentenza della Corte EDU “Torreggiani”- ha portato all’introduzione nel 2013, nella legge n. 354/75, dell’art. 35 ter che prevede, attraverso una specifica procedura che valuti la sussistenza del danno, il diritto del detenuto ad ottenere un giorno di riduzione di pena per ogni dieci giorni scontati in una situazione di sovraffollamento dell’istituto ove è ristretto.
A titolo di esempio, nel distretto di Milano, che conta tredici istituti penitenziari, il sovraffollamento è di circa il 33%. Le domande ex art. 35 ter sono quintuplicate nell’ultimo anno e il trend è nettamente ascendente. Analoghe le situazioni di difficoltà presenti in altri complessi Tribunali di sorveglianza, come quello di Napoli.
Per rendere effettiva l’attuazione dei decreti legislativi che seguiranno alla legge delega è imprescindibile che ogni Tribunale di Sorveglianza possa lavorare a pieno organico, con riguardo sia ai magistrati che al personale amministrativo. Solo lo smaltimento puntuale delle pratiche relative alle misure alternative può consentire l’attuazione dell’art. 27 Cost.
Occorre però procedere anche sul diverso e non meno importante “versante” della efficienza degli Uffici preposti: per questo abbiamo ritenuto di dover chiedere l’integrale copertura con urgenza di tutte le vacanze (attualmente 20) dei posti di magistrato di sorveglianza dell’intero territorio.
E contestualmente, nella stessa richiesta, abbiamo rappresentato anche l’urgenza dell’assegnazione di personale amministrativo in numero adeguato a garantire l’applicazione tempestiva della riforma penitenziaria con le risorse adeguate.
In tale situazione il CSM deve fare la sua parte.
E noi come gruppo consiliare abbiamo ritenuto di fare la nostra.
Francesco Cananzi
Massimo Forciniti
Luca Palamara
Maria Rosaria San Giorgio
Rosario Spina
di Silvia Corinaldesi
Vorrei un Consiglio consapevole della responsabilità delle sue scelte e dell’impatto che esse hanno non solo sulla vita dei magistrati, ma anche sulla vita della generalità dei cittadini.
Credo che il rispetto di principi deontologici rigorosi, prima ancora che disciplinari, sia una contropartita naturale dei poteri di cui il CSM dispone, e che solo il mantenimento di un livello elevato di eticità dei comportamenti esprima la capacità del Consiglio di riflettere verso l’esterno la sua alta funzione.
Le priorità:
1) In primo piano la QUESTIONE MORALE: valorizzare il codice deontologico e disciplinare del magistrato nell’ambito di tutte le pratiche consiliari, ogni volta che si presenti l’ipotesi di uno sviamento o di una strumentalizzazione del ruolo e della funzione giudiziaria.
2) Invertire l’approccio produttivistico e puntare alla QUALITA’ DELLA GIUSTIZIA: la produttività media dei magistrati italiani è elevata, ma l’eccessiva focalizzazione sull’aspetto quantitativo va a detrimento, a volte, della qualità del prodotto giurisdizionale, conseguenza ancora più negativa in ambiti, quali quello della Cassazione, in cui deve essere assicurato altresì il ruolo nomofilattico.
3) Prestare attenzione alla giurisprudenza DISCIPLINARE: i magistrati non devono rispondere per fatti riconducibili a carenze e negligenze esterne o non dipendenti dal loro operato; il controllo disciplinare non sia inflessibile con le violazioni formali in cui a volte incorrono proprio i colleghi più scrupolosi, ma sia severo con chi tradisce la funzione giudiziaria.
4) Assicurare l’uniformità dell’AUTOGOVERNO DECENTRATO, eventualmente attraverso verifiche periodiche nei distretti, valorizzando le commissioni flussi.
5) Potenziare le SEDI DISAGIATE, con il ricorso alle soluzioni endodistrettuali ed incentivi non solo economici, ma anche in termini di punteggi aggiuntivi.
6) Dare il giusto peso alle potenzialità dell’INFORMATICA: utilissima per la lettura dell’attività giurisdizionale nel complesso (statistiche, distribuzione del lavoro, ecc.), ma inadatta a risolvere da sola i problemi della giurisdizione; il processo telematico, da tempo operativo in civile e prossimo al debutto anche in penale, non può essere utilizzato per ‘cancellierizzare’ l’attività del giudice.
I SETTORI DI INTERVENTO
1) Valutazioni di professionalità:
a) non devono essere astratte, ma tenere in debito conto le condizioni ed i carichi di lavoro; eventuali criticità (ad esempio ritardi) devono essere contestualizzate, con coinvolgimento dei capi degli uffici sulla effettiva organizzazione del lavoro;
b) va esclusa l’incidenza automatica – in assenza, cioè, di altre condizioni – sulle valutazioni delle sanzioni disciplinari per ritardi;
c) va escluso il coinvolgimento degli avvocati nelle valutazioni di professionalità;
d) contrarietà verso fonti di conoscenza esterne alla magistratura e nei confronti delle cosiddette valutazioni incrociate tra Tribunale e Procura.
2) Nomine e conferme direttivi e semidirettivi:
a) vanno intese non come posizioni di preminenza (“i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni”) ma come strumenti per una migliore organizzazione;
b) favorire l’approfondimento dell’istruttoria amministrativa per evidenziare capacità ed impegno effettivo, privilegiando, laddove possibile anche l’audizione dei candidati; in ogni caso, favorire tali approfondimenti istruttori dinanzi al consiglio giudiziario;
c) sottrarre il conferimento degli incarichi direttivi alla logica della “spartizione”, impedendo una trattazione in commissione cronologicamente non vincolata o una trattazione congiunta di più pratiche al Plenum; assicurare una pesatura degli indicatori; valorizzare l’anzianità ma senza farla diventare ‘premio alla carriera’.
3) Collocamento fuori ruolo e ritorno alla giurisdizione:
a) occorre essere netti nell’escludere che si possa direttamente accedere ad incarichi direttivi o semidirettivi prima del decorso di un congruo lasso temporale dopo il servizio fuori ruolo (anche dopo il servizio prestato nel Consiglio Superiore).
b) adottare un rigoroso indice decrescente, a seconda della prossimità o meno alla giurisdizione, dei criteri di differenziazione, anche in chiave attitudinale, delle funzioni non giudiziarie svolte.
c) richiedere al Parlamento una normativa primaria che disciplini lo status dei magistrati che abbiano svolto attività politica nelle assemblee nazionali o negli enti locali e dei magistrati che abbiano assunto incarichi fiduciari di diretta collaborazione con le istituzioni politiche, prevedendo il rientro nell’attività professionale con impossibilità di svolgere funzioni giurisdizionali.
4) Trasferimenti:
a) impegno a deliberare i bandi (bollettoni) due volte l’anno, con rapido esaurimento delle procedure;
b) attenzione alle sedi disagiate e agli uffici comunque con organico inadeguato.
5) Carichi esigibili
a) non vanno intesi solamente come una quantità di lavoro superata la quale non possono essere mossi rilievi disciplinari (ad esempio per i ritardi), ma come la misura del lavoro che può essere svolto con l’attenzione, la cura e la qualità che sono indispensabili per l’esercizio effettivo e sereno della giurisdizione.
6) Uffici di Procura
a) garantire l’indipendenza della giurisdizione, che è un valore non rinunciabile e inizia nelle Procure, con una figura di Pubblico Ministero solidamente ancorata alla cultura della giurisdizione;
b) intervenire sulla normativa primaria e secondaria per attenuare la verticalizzazione delle Procure e rendere più efficienti e trasparenti i criteri di assegnazione dei procedimenti, nell’ottica del rafforzamento dell’indipendenza dei singoli sostituti.
Le prassi virtuose:
• occorrerà fare attenzione ai comportamenti precursori o spia di pratiche consiliari scorrette o di motivazioni “esterne” che possono mettere a rischio la regolarità dell’azione amministrativa;
• è opportuno ridurre gli incarichi esterni non codificati attraverso una limitazione dell’appalto di funzioni proprie del Consiglio;
• è necessario potenziare l’autonomia della struttura tecnica del consiglio attraverso una modifica, in senso meritocratico, dei procedimenti diretti alla selezione dei magistrati addetti;
• occorre trasparenza nel rapporto con la componente laica, in chiave di leale collaborazione nell’attività di amministrazione, con attenzione ai temi che attengono più direttamente all’indipendenza della magistratura (tra questi, l’art. 2 della c.d. legge sulle guarentigie), da intendersi esclusivamente come tutela del prestigio della funzione giudiziaria;
• va prestata massima attenzione alla operatività del Consiglio Superiore, affinché renda un servizio rapido ed efficiente, eliminando gli elementi di eccessiva burocrazia e le sue scelte e decisioni siano facilmente conoscibili dagli interessati.
Un bilancio degli ultimi quattro anni e le prospettive di cosa rimane da fare
A discuterne con il magistrato Ornella Pastore, presidente della sezione Gip del Tribunale di Messina, nell’aula magna della Corte d’Appello, i consiglieri del Csm: Concetta Grillo, presidente di sezione del Tribunale di Caltagirone, Antonino Laganà, consigliere della Corte d’Appello di Reggio Calabria e Marco Bisogni, sostituto procuratore presso la Direzione distrettuale antimafia di Catania.
Unità per la Costituzione, in base alla individuazione dei candidati effettuata dalle assemblee distrettuali e agli esiti delle primarie indette sempre nei distretti, ha designato, nell’Assemblea Nazionale del 18 luglio 2022, i candidati al rinnovo del Consiglio superiore della Magistratura.
Si tratta di un appuntamento importante per l’intero Paese, al quale Unicost arriva dopo un intenso confronto interno, finalizzato a selezionare i profili migliori per attivare quel processo di rinnovamento dell’organo di governo autonomo della magistratura che possa restituire allo stesso la credibilità e la autorevolezza che merita.
Unicost nel ribadire i propri tratti fondanti, costituiti dal non collateralismo con partiti politici e centri di potere affaristici e dal ripudio di pregiudizi di stampo ideologico, in ossequio al principio di “terzietà costituzionale”, favorisce una rappresentanza plurale e impegnata a vigilare sul rispetto dell’autonomia e della indipendenza “anche interna” della magistratura.
Come sempre, Unicost si ispira ai principi costituzionali, per assicurare una Giustizia efficiente ed equa – fondamentale per la stessa tenuta democratica del Paese – in contrasto con le derive burocratiche e gerarchizzanti che stanno investendo la Magistratura italiana.
I candidati individuati da Unicost sono:
– Legittimità: Milena Falaschi, consigliere della Corte di Cassazione, settore civile;
– Pm collegio 1: Maurizio Arcuri, Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Roma;
– Pm collegio 2: Marco Bisogni, Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Catania;
– Merito collegio 1 nord: Paola Ortolan, Giudice del Tribunale per i Minorenni di Milano; Federica
Sacchetto, Presidente di sezione civile del Tribunale di Padova;
– Merito collegio 2: Michele Forziati, Consigliere della Corte di Appello di Roma; Elena Carusillo,
Addetta al Massimario della Corte di Cassazione;
– Merito collegio 3: Roberto D’Auria, giudice penale del Tribunale di Napoli;
– Merito collegio 4: Giuseppe Battista, giudice penale del Tribunale di Bari; Stefania D’Errico,
presidente di sezione civile del Tribunale di Taranto; Antonino Laganà, consigliere della Corte di Appello di Reggio Calabria.
La Direzione Nazionale di Unicost.
Merito Collegio 1 Nord – Valle D’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia
Merito Collegio 2 – Liguria, Toscana, Umbria, Lazio
Merito Collegio 3 – Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise, Campania, Sardegna
Merito Collegio 4 – Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia
Con l’approvazione in Settima Commissione della circolare sull’organizzazione degli uffici requirenti si conclude il duro e serrato lavoro svolto dal relativo gruppo iniziato oltre tre anni fa.
Non è superfluo dirlo: siamo soddisfatti.
Si raggiunge, infatti, senza dubbio un risultato per nulla scontato e davvero significativo, soprattutto in vista della necessità di politica giudiziaria di conservare il pubblico ministero nell’ambito della cultura della giurisdizione e delle garanzie per i cittadini.
La circolare riafferma, anzi, sviluppa il principio, già contenuto nelle risoluzioni del 2007 e del 2009, che l’organizzazione delle procure non è estranea alla dinamica del governo autonomo, fissando modalità e procedimenti e richiedendo ai consigli giudiziari di pronunciarsi in ordine ai programmi organizzativi.
Nel rispetto della legislazione primaria, introdotta nel 2006, offre una interpretazione costituzionalmente orientata dell’ordinamento giudiziario capace di coniugare le responsabilità del dirigente con il ruolo e la professionalità dell’aggiunto e del sostituto.
Inoltre, la circolare delinea una base minima, ma solida, per l’organizzazione requirente, assicurando che l’assegnazione dei sostituti ai gruppi di lavoro e degli affari ai singoli sostituti avvenga sulla base di criteri di equità, ragionevolezza e trasparenza.
Ma, soprattutto, la circolare ha come principale obiettivo quello di favorire soluzioni condivise, avendo come stella polare il principio di lealtà tra sostituto procuratore e capo dell’ufficio nello svolgimento dell’attività di indagine.
Finora si è trattato di un percorso complesso, arricchito dai contributi orali e scritti di tanti magistrati del pubblico ministero, oltre che dell’analisi di singoli provvedimenti consiliari, che, via via, nel corso di dieci anni di nuovo ordinamento giudiziario, come forme di soft law hanno formalizzato alcuni principi.
Dei contributi ricevuti, in occasioni consiliari e non, come anche in assemblee e dibattiti, dobbiamo essere grati ai colleghi, come anche ai magistrati dell’Ufficio Studi che hanno collaborato a questo complesso lavoro.
Ora la parola passa al Plenum, ove speriamo di poter contare su un’ampia condivisione da parte di tutti i gruppi e di tutti i consiglieri, rimanendo aperti a ogni contributo migliorativo del testo appena licenziato.
Francesco Cananzi e Luca Palamara, componenti del gruppo di lavoro per la circolare procure.
UNICOST – GRUPPO CONSILIARE
Con la delibera assunta ieri (relatori tutti i componenti della settima commissione, Galoppi, Clivio, Morgigni, Cananzi, Balduzzi, Leone), il Consiglio Superiore ha approvato la circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2017/2019.Si tratta di un intervento sistemico sulla fonte di normazione secondaria di assoluta importanza per la struttura organizzativa degli uffici giudicanti.La circolare è stata integralmente rivista al fine di assicurare maggiore accountability alle decisioni incidenti sull’organizzazione degli uffici ed è stata adeguata alle novità conseguenti all’avvio del nuovo sito internet consiliare.In particolare, si è provveduto a semplificare i procedimenti di formazione e di approvazione delle tabelle e a tratteggiare una più puntuale tempistica delle diverse fasi procedimentali.Il Csm, anche alla luce del protocollo d’intesa tra Csm e Cnf stipulato il 13 luglio 2016, ha inteso garantire nuovi profili di coinvolgimento del ceto forense nel corso del procedimento di formazione dei progetti tabellari, ben consapevole che il miglioramento del servizio giustizia presuppone l’implementazione di azioni sinergiche tra magistratura e avvocatura. Di fatto si è reso effettivo il contributo dell’avvocatura e la conoscenza dei dati di partenza, così da offrire un contributo fattivo e con cognita causa alla redazione del progetto tabellare.Una particolare attenzione è stata prestata, in punto di enucleazione dei criteri di priorità, al principio della ragionevole durata dei processi e alla tutela di beni-interessi di sicuro rilievo costituzionale, quali quelli oggetto di trattazione nei procedimenti di protezione internazionale.Nuove disposizioni rafforzano parità di trattamento in sede di formazione dei ruoli e assegnazione dei fascicoli ai magistrati giovani e, in generale, a tutti coloro che sono trasferiti da altri uffici.Al tempo stesso, il Consiglio, raccogliendo la sfida della modernità, ha inteso farsi carico del disagio lavorativo in cui si trovano tanti colleghi. All’uopo ha infatti dettato disposizioni di assoluto nuovo conio in tema di benessere organizzativo dei magistrati e di tutela della genitorialità e dei doveri di assistenza che gravano sui magistrati.Una ulteriore attenzione è stata, poi, assicurata all’utilizzo della magistratura onoraria all’interno degli uffici, anche di secondo grado, sempre al fine di garantire ai cittadini la migliore e più efficace risposta giurisdizionale possibile.Quanto alla Suprema Corte, fra le varie novità, piace menzionare le disposizioni dettate in applicazione del decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168 sull'”efficientamento” della giustizia, convertito dalla legge 25 ottobre 2016 n. 197, con cui si è tratteggiato un nuovo assetto per l’impiego dei magistrati addetti all’Ufficio del Massimario e del Ruolo.Rimane tuttavia un punto di criticità sul quale vi è stato dibattito in commissione ed plenum.L’assemblea plenaria non ha accolto un emendamento presentato dal gruppo consiliare di Unicost, teso ad escludere la previsione della partecipazione obbligatoria del ceto forense alla Commissione flussi.Il nostro dissenso trova fondamento in due ordini di fattori. L’uno tecnico, in quanto la commissione flussi è un organo tecnico-consultivo del consiglio giudiziario, per cui non ha granché senso che ad esso vi partecipino avvocati facenti parti del medesimo consiglio giudiziario: anzi, si viene a creare un corto circuito fra l’organo consultivo, che ha funzione servente e deve esprimere un parere, e il consiglio giudiziario, al quale è rimessa la valutazione anche di merito e politico-giudiziaria. In una certa misura l’organo tecnico potrebbe rischiare di perdere in autonomia per la presenza oltre che del presidente (che funge già da necessario collegamento con il consiglio giudiziario) anche di altri due componenti consiglieri giudiziari, quali sono gli avvocati, uno per il settore civile e l’altro per quello penale.L’altro profilo ha carattere squisitamente politico: consegue alla consapevolezza che l’analisi dei flussi e delle sopravvenienze costituisce un perno centrale e momento nevralgico nella gestione organizzativa degli uffici, che, specie in mancanza di un’adeguata condizione di reciprocità col ceto forense e ancor di più tenuto conto della specificità di alcune aree territoriali a rischio, sarebbe stato preferibile riservare alla locale componente togata o comunque rimettere alle scelte autoregolamentari dei singoli consigli giudiziari.E’ chiaro che la componente consiliare di UNICOST reputa utile coinvolgere l’avvocatura nell’organizzazione degli uffici: ne è dimostrazione il favor assegnato alla giusta partecipazione della stessa al procedimento tabellare, come si è visto.E però non appare anacronistico avanzare dubbi afferenti l’autonomia di un organo tecnico consulenziale e, quindi, del procedimento tabellare: il protocollo d’intesa non impone soluzioni, ma richiede dialogo e responsabilità, che il CSM e il CNF facciano la propria parte in modo consapevole.Il che significa anche avere la capacità di valutare criticamente le richieste provenienti dal CNF.Resta il rammarico che gli altri componenti del Consiglio non abbiano sentito la necessità di determinarsi con la dovuta prudenza, optando per scelte che davvero fuoriescono da esperienze consolidate e di cui francamente non si avverte la necessità e l’urgenza.Noi crediamo di aver fatto la nostra parte. Francesco Cananzi, Massimo Forciniti, Luca Palamara, Maria Rosaria San Giorgio, Rosario Spina.
Nuova Circolare Tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2017/2019
Nella giornata di ieri, 30 marzo, abbiamo depositato al Comitato di Presidenza una richiesta di apertura pratica per il pronto avvio di un’attività di interlocuzione fra il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Ministero della Giustizia avente ad oggetto l’accesso da remoto del personale di cancelleria – sia civile che penale – ai registri informatici.
Si tratta, all’evidenza, di un passaggio indispensabile per consentire, in questo momento di emergenza sanitaria, l’effettiva realizzazione del progetto di partecipazione da remoto di tutti i protagonisti del processo, indispensabile per far fronte alle prioritarie esigenze di salute pubblica e di tutela della salute dei lavoratori.
Michele Ciambellini, Marco Mancinetti, Cochita Grillo
Gruppo Unicost CSM
Il 3.7.2013 il CSM ha approvato una delibera in risposta ad un quesito formulato da un magistrato che chiedeva in suo favore l’applicazione del c.d. part-time. La richiedente, madre di una figlia di pochi mesi, ha rappresentato, quale possibile soluzione, la sua esclusione dalle assegnazioni dei procedimenti monocratici in modo tale da tenere due udienze, anziché tre la settimana, ottenendo così un esonero dal carico di lavoro ordinario del 30%, senza pregiudizio per la funzionalità dell’attività giudiziaria.
L’articolata decisione del CSM ha concluso nel senso di ritenere inapplicabile, allo stato delle norme, il regime richiesto, ma ha aperto il varco a possibili soluzioni legislative che riconoscano la possibilità di ridurre il carico di lavoro, in presenza di determinate condizioni soggettive, attraverso lo strumento del part-time verticale e cioè in quota fissa, attraverso la previsione di una prestazione professionale resa in alcuni giorni settimanali in percentuale fissa minore a quella normale (es.2
udienze su 4 a settimana), in una correlata opera di riparametrazione pro rata temporis di tutti i diritti connessi al rapporto di impiego (stipendio, ferie, ecc) .
La decisione assunta appare interessante perché esamina la natura e le caratteristiche del lavoro di magistrato, che non comporta un orario di lavoro predeterminato.
Le peculiarità del rapporto di lavoro del magistrato non hanno consentito peraltro di ritenere direttamente applicabili da parte del C.S.M. disposizioni e principi desumibili dalla normativa comunitaria pure richiamata nel quesito.
La delibera esamina poi il profilo degli esoneri: per la magistratura essi sono puntualmente disciplinati per fattispecie specifiche ricorrendo le quali il magistrato non presta – perchè, appunto, esonerato – parte o tutta la propria prestazione di lavoro giudiziario, cosa che non ricorre nel caso di rientro dalla maternità. Peraltro, la nota circolare del 1996 prevede che il magistrato che ritorna in servizio dopo dalla maternità sia messo in condizioni di organizzare il proprio ufficio con l’assegnazione di affari che comportano una minore presenza esterna, senza che questo si traduca in una riduzione quantitativa degli affari giudiziari. In altre parole, tale circolare consente al magistrato che riprende il servizio dopo il congedo per maternità di meglio lavorare per un dato periodo con l’assegnazione di affari che comportano minori impegni esterni e minore presenza in ufficio, in ragione della particolare situazione in cui il magistrato stesso si trova, ma esclude espressamente la possibile riduzione della quantità del lavoro, che deve invece rimanere pari a quello degli altri magistrati dell’ufficio.
Benchè l’esonero dall’attività giudiziaria sia previsto in plurime fattispecie con normazione secondaria ( non essendo obbligatoria la previsione della norma primaria: si veda, per esempio, la possibilità di esonero prevista quando si assolvono incarichi di autogoverno della magistratura), nel caso di specie non è parsa possibile una proposta di modifica della circolare sulle tabelle degli uffici giudiziari: ciò in quanto un punto fermo del ragionamento della disciplina sugli esoneri è che questi si concedono solo perchè il magistrato è chiamato a prestare altra e corrispondente attività giudiziaria, che l’esonero dunque compensa.
Diversamente ragionando, si porrebbe, peraltro, anche il problema della corresponsione di identica retribuzione a prestazioni non eguali e in casi non disciplinati da norme primarie.
Per tali motivi, dunque, si è ritenuto che le esigenze di tutela della persona, in correlazione con i doveri di assistenza familiare e di solidarietà sociale, meritevoli di protezione in forza del dettato costituzionale, potrebbero trovare nella flessibilità propria del part-time una forma specifica di garanzia. In questo senso il Consiglio ha lasciato aperta la riflessione alla prospettiva di una possibile riforma legislativa, pur con i necessari e delicati interventi di riassetto delle piante organiche e di rimodulazione della gestione delle risorse per soddisfare alcune rilevanti esigenze del magistrato, meritevoli di specifica protezione e senza pregiudizio per l’amministrazione della giustizia.
Il testo della citata delibera è consultabile qui
Intervento dal Consigliere Paolo Auriemma, a nome dei consiglieri di Unità per la Costituzione, al plenum del Consiglio Superiore della Magistratura in occasione della visita del Ministro della Giustizia, Paola Severino (9 maggio 2012)
Sottolineati, particolare, i temi relativi alla responsabilità civile, all’abbreviazione dei tempi del processo con possibile modifica della disciplina delle impugnazioni – che venne trattato in sede di parere sul cd “Tribunale delle Imprese”- all’attività del CSM sui carichi esigibili, alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
Mi rivolgo a Lei, anche a nome dei Consiglieri Riccardo Fuzio, Giuseppina Casella, Giovanna Di Rosa, Alberto Liguori e Mariano Sciacca, ritenendo doveroso, anzitutto prendere atto, e dare atto a Lei signor Ministro, di come oggi finalmente le riforme di cui la giustizia ha bisogno sono divenute non più occasione di scontri istituzionali, ma momento di costruttivo confronto tra la politica e la magistratura nell’ottica del perseguimento di un comune interesse di funzionalità ed efficienza dell’amministrazione della giustizia. In questa nuova ottica il Consiglio non mancherà di fornire il proprio contributo tecnico senza altra finalità che quella dell’interesse generale ad una giustizia efficiente e moderna.
Non mancheremo, per quella lealtà che deve informare i rapporti tra istituzioni dello Stato, di evidenziare le criticità che dovessimo ravvisare nei progetti di riforma che ci vengono sottoposti: lo faremo con chiarezza, ma con spirito costruttivo, indicando, se del caso, soluzioni alternative, senza alcuna pretesa di far prevalere ad ogni costo il nostro punto di vista, ma con la certezza che le nostre argomentazioni saranno ascoltate e valutate con l’attenzione che meritano.
Inoltre vorrei, innanzi tutto, condividere insieme a Lei alcune brevi notazioni tecniche sul tema della responsabilità civile dei magistrati, che anch’esso può incidere negativamente, se non correttamente modulato, sulla efficienza del sistema giudiziario.
L’intento del Consiglio Superiore della Magistratura è quello (che peraltro si addice a tutti gli organismi di rilievo costituzionale) di fornire spunti ed apporti tecnici di riflessione, per perseguire l’efficienza e la funzionalità del servizio-giustizia in ragione della centralità e della rilevanza costituzionale del ruolo del giudice nella definizione dei conflitti e nella giusta attuazione ed interpretazione delle leggi.
Le sentenze della Corte di Giustizia, non sollecitano un nuovo sistema della responsabilità civile del magistrato italiano, ma semplicemente affermano la necessaria responsabilità dello Stato per la violazione delle normative del diritto comunitario.
Tanto premesso occorre osservare, sul piano della efficienza del sistema giudiziario, che l’azione diretta nei confronti del magistrato, ove introdotta nel nostro ordinamento giuridico (oltre a costituire una assoluta singolarità nel quadro della legislazione europea e non solo), avrebbe funzionato, spero di poter parlare al passato, da centro propulsore di una pericolosa reazione a catena di astensioni e/o ricusazioni, con la inevitabile conseguenza, non solo teorica, di una paralisi nell’attività giurisdizionale. In proposito, basta leggere quali sono le conformi raccomandazioni del Consiglio d´Europa, che costituiscono la sintesi delle opinioni degli Stati europei.
Altrettanto preoccupante si rivela la diversa e più ampia connotazione della colpa grave in termini di “violazione manifesta della legge“, poiché tale ampia formulazione porta a costruire, come ipotesi di responsabilità civile, fatti di scarsa rilevanza quale la inosservanza di un termine ordinatorio. La grave situazione dei ruoli e dei carichi di lavoro dei magistrati italiani, come Lei ben sa, non è compatibile con una disciplina sulla responsabilità civile che dilata oltre misura la nozione di colpa senza richiedere il preventivo requisito della gravità e della non scusabilità della violazione.
La violazione manifesta della legge rappresenterà, insieme al dolo, il nuovo sistema della responsabilità civile fondato non più sul binomio dolo – colpa grave ma sul binomio dolo – violazione manifesta della legge, con la paradossale conseguenza che potrebbe ipotizzarsi una violazione manifesta della legge non grave, che dà adito a responsabilità ed una violazione grave, ma non manifesta esente, dal sistema di responsabilità.
Ulteriore notazione grave che ci permettiamo di segnalarLe riguarda la c.d. “clausola di salvaguardia”, che oggi riconosce al giudice la possibilità di decidere orientandosi secondo una interpretazione delle norme di diritto, pur sempre nel solco delle logiche e delle regole di interpretazione dettate dai codici procedurali.
E’ bene premettere, in proposito, che l’interpretazione costituisce il cuore dell’attività giudiziaria, “la funzione stessa del giudicare, che esclude ogni responsabilità ” per utilizzare una espressione di un insigne giurista italiano che ben rappresenta in cosa consista il giudizio. Da ciò, si comprende come l’eliminazione della clausola di salvaguardia comprometta la “piena autonomia ed indipendenza e la possibilità di giudicare con serenità “, poiché il giudice non può essere considerato responsabile per presunti errori se questi sono frutto di una motivata interpretazione normativa. La ricchezza e la peculiarità del diritto risiede proprio nell’attività di interpretazione della legge, compito certo non facile, ma non per questo derogabile o rinunciabile per uno stato di diritto.
E’ questo il mondo del diritto e privarlo dell’attività di interpretazione sarebbe un po’ come rinunciare al valore della libertà nell’esercizio della funzione giurisdizionale. Del resto la Corte Costituzionale ha affermato che l’attività interpretativa rappresenta un elemento essenziale ed irrinunciabile per l’esercizio autonomo ed indipendente della giurisdizione. La sentenza della Corte Costituzionale n. 18/1989 in proposito, nel respingere un’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata sulla legge n. 117/88, ha affermato chiaramente che quella legge non contrasta con la Costituzione proprio perché tutela la garanzia costituzionale dell’indipendenza la quale “e’ diretta a tutelare l’autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e l’interpretazione delle norme di diritto”.
Siamo certi, Signor Ministro, che Lei comprende queste nostre preoccupazioni, le quali, va ribadito, non nascono da limitati intenti di difesa corporativa, ma da volontà di salvaguardia dei valori della Costituzione a beneficio della collettività e del bene comune, di cui il diritto stesso rappresenta la base.
E’ per tutta questa serie di ragioni che chiediamo una particolare attenzione ed una particolare meticolosità degli organismi istituzionali nella materia della responsabilità civile dei magistrati, poiché qui è in gioco lo stato di diritto, con le sue regole basate su giudizi sereni ed equilibrati.
Passando ad altro argomento, va detto che dall’esigenza di garantire in tempi ragionevoli una risposta giudiziaria tempestiva e, quindi efficace, il Consiglio si è fatto carico di approvare la risoluzione sui piani di gestione dei procedimenti civili e la determinazione dei carichi esigibili. Per la prima volta la dirigenza giudiziaria italiana è chiamata ad una programmazione annuale di natura gestionale per lo smaltimento dei procedimenti civili.
Viene indicata una metodologia unica nazionale con un procedimento cui sono chiamati a partecipare tutti i magistrati dell’ufficio, che mette al centro, tuttavia, una logica di responsabilizzazione dei dirigenti che vengono richiamati a motivare in modo puntuale le ragioni delle scelte gestionali in ordine alla produttività futura dell’ufficio.
A partire dal secondo anno saranno oggetto di valutazione i risultati conseguiti negli anni precedenti e dovranno essere specificate la ragioni dell’eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Occorre considerare che il meccanismo ideato permette al capo dell’ufficio, in caso di conseguimento degli obiettivi, di ottenere il riconoscimento degli incentivi economici previsti dalla legge, con ovvia ricaduta positiva sulle valutazioni ai fini della conferma o dell’attribuzione di un nuovo incarico; per altro verso, la individuazione di obiettivi non realistici sarà valutata quale limite alla sua capacità organizzativa.
E’ valorizzato, poi, un profilo altrettanto importante: la necessità di una lettura della produttività sotto l’aspetto qualitativo, che la legge non ha mostrato di valorizzare adeguatamente e che si presta a facili elusioni: su questo Signor Ministro abbiamo richiamato l’attenzione affinché i fondi non vengano attribuiti agli uffici giudiziari più disinvolti nella gestione delle statistiche giudiziarie.
Sotto un diverso profilo, l’efficienza del sistema giudiziario impone una sua riorganizzazione territoriale. In questo quadro, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie è, da tempo ed unanimemente, richiesta innanzitutto della stessa magistratura per dare maggiore funzionalità agli uffici giudiziari e renderli più corrispondenti alle esigenze di efficienza e prontezza della risposta alla domanda di giustizia.
La consapevolezza della grave congiuntura economica può costituire una opportunità per realizzare obiettivi di razionalizzazione e determinazione delle dimensioni ottimali degli uffici, ma non può e non deve costituire l’unico e stringente criterio cui orientare il progetto di modifica delle circoscrizioni.
Questa affermazione non deve essere intesa come dissenso sullo schema di decreto legislativo, ma come richiesta di una valutazione complessiva delle generali linee di politica giudiziaria in tema di recupero di risorse da destinare alla giustizia, di riordino della magistratura onoraria, di valorizzazione delle scelte di risoluzione alternativa delle controversie.
Occorre, peraltro, agire per il recupero dell’efficienza del sistema, anche sugli istituti processuali. Ed in questo dobbiamo annotare che in occasione del parere reso il 22 febbraio scorso sul Tribunale delle imprese, il Consiglio Le ha rappresentato l’opportunità di ampliare la portata dell’intervento riformatore, prendendo atto che, senza una radicale modifica del sistema delle impugnazioni civili, ogni sforzo riformatore risulterà vano, poiché e’ noto che il maggiore rallentamento nella durata delle cause civili si verifica nel giudizio di secondo grado, che si riflette poi negativamente anche sulla durata del giudizio di cassazione, determinando le condizioni favorevoli per le successive richieste di riparazione economica per la durata eccessiva del processo ai sensi della c.d. legge Pinto.
Anche la recente visita del presidente della CEDU in Italia ha avuto il principale scopo di sensibilizzare il nostro Paese sul problema della durata dei processi che danno luogo, quasi automaticamente, alle numerose condanne in sede europea.
L’attuale effetto pienamente devolutivo del giudizio d’appello conduce, infatti, ad una sostanziale duplicazione del giudizio di primo grado, con l’evidente allungamento della durata complessiva del processo civile. I dati statistici dimostrano, peraltro, che sono bassissime le pronunce di integrale riforma delle sentenze di primo grado. E’ qui che occorre intervenire urgentemente. E’ nello sviluppo dei gradi di giudizio d’impugnazione che si determina l’allungamento a dismisura della durata dei processi.
Si potrebbe, pertanto, modulare la proposizione dei motivi di appello sulla falsariga dei motivi per cassazione: in tal modo si limiterebbe la rinnovazione del giudizio sugli stessi atti, indirizzandolo contemporaneamente su più precise contestazioni della sentenza, seguendo in tal modo i sistemi della gran parte dei Paesi europei. Ciò avrebbe anche effetti benefici in termini di uniforme applicazione del diritto oggettivo e, conseguentemente, di accelerazione e di prevedibilità della decisione, coerenti con la creazione di un giudice altamente specializzato e professionalmente attrezzato.
In questa direzione, bisogna avere il coraggio di trasformare il giudizio di appello in un gravame capace di determinare un affinamento dei risultati conseguiti, trasformando la fase dell’appello in un giudizio di natura cassatoria, in cui i motivi di critica della sentenza di primo grado andrebbero modellati su quelli attualmente previsti dall’art. 360 c.p.c. per il ricorso per cassazione. L’eventuale giudizio di cassazione andrebbe, quindi, limitato alla sola denunzia di violazione di legge, così peraltro si avrebbe la piena conformità alla previsione dell’art. 111 della Costituzione, sottraendo al sindacato di legittimità il controllo sulla motivazione.
Diversamente si può inserire, in linea con il modello tedesco, un efficace filtro di ammissibilità dell’impugnazione, agile e stringente, sia per l’appello che per la cassazione, che consenta di limitare il nuovo esame ai casi effettivamente necessari.
In tal modo si farebbe propria l’esperienza in tanti Paesi europei di civil law che possono vantare sistemi giuridici efficaci perché riescono a coniugare la tutela del diritto con il necessario pragmatismo, senza indulgere al velleitario formalismo.
Il numero enorme dei processi civili pendenti, che viene riproposto in occasione delle inaugurazioni dell’anno giudiziario non e’ più sostenibile ed i magistrati si sono fatti carico, con grande spirito di sacrificio, di aumentare considerevolmente il loro impegno, come dimostrano i dati in costante crescita della produttività dei magistrati. Ma oltre non si può andare e non si può chiedere, anche perché e’ evidente che sarebbe un ulteriore sforzo del tutto inutile senza un cambiamento radicale nella direzione di una sensibile riduzione del numero complessivo dei processi.
Da Lei, signor Ministro, che sappiamo sensibile a questi temi, ci aspettiamo coraggio e determinazione: si tratta forse di scontentare qualcuno oggi, per accontentare tutti i cittadini domani.
Paolo Auriemma
- DELIBERA PLENUM CSM 7 LUGLIO 2016 “DALLE BUONE PRASSI AI MODELLI”: UNA PRIMA MANUALISTICA RICOGNITIVA DELLE PRATICHE DI ORGANIZZAZIONE PIU’ DIFFUSE NEGLI UFFICI GIUDIZIARI ITALIANI” (relatori Antonello Ardituro e Francesco Cananzi)
E’ stata approvata, a maggioranza, la delibera sotto riportata che disciplinerà la comunicazione istituzionale dei lavori consiliari. (relatore Consigliere Paolo AURIEMMA, Consigliere Paolo CORDER)
La delibera tenta, all’esito di una complessa interlocuzione con i dirigenti amministrativi del CSM, di coniugare le esigenze di comunicazione dei passaggi fondamentali della attività consiliare – e ciò attraverso la trasmissione di ordini del giorno, proposte di commissione ed esiti di plenum – e la precisione della informazione. Si è, infatti, verificato che la rapidità delle comunicazioni istituzionali può realmente pregiudicare la precisione della stessa, creando per altro una frammentazione della trasmissione delle notizie con ovvia difficoltà di reperimento delle informazioni utili al singolo magistrato destinatario.
Il tentativo di razionalizzazione ha comportato la istituzione di un sistema per cui le notizie verranno inviate dalla struttura consiliare una sola volta a settimana, nel giorno di venerdì, con unica e mail omnicomprensiva di tutto quanto indicato in delibera, previo controllo puntuale da parte dei dirigenti amministrativi.
Tutto quanto altro deciso in sede plenaria, ma che non è apparso fondamentale per una completa attività informativa generalizzata, potrà esser estratto dal sito istituzionale COSMAG attraverso il percorso che dà conto degli esiti di plenum attraverso la consultazione degli ordini del giorno approvati.
La delibera vuole esser un tentativo perfettibile di informazione istituzionale. I consiglieri che non hanno condiviso la delibera hanno affermato che si sarebbe potuto far di più e forse meglio. Ed alcuni di noi hanno votato in conseguenza. La maggioranza del plenum ha ritenuto che forse ciò è vero, ma se non si comincia a sbagliare come si può migliorare? L’evoluzione procede per tentativi correggendo gli errori. Oggi si è tentato – ed ancora una volta si utilizza questo termine – di creare un sistema che si ponesse su un punto di equilibrio tra la completezza della informazione e precisione della stessa, tenendo in considerazione gli interessi dei magistrati e le strutture che il CSM ha a disposizione, facendo gravare sul personale amministrativo, che perciò va ringraziato, una ulteriore preziosa attività.
Saranno fondamentali i suggerimenti che giungeranno da voi tutti.
Paolo Auriemma, Giuseppina Casella, Giovanna Di Rosa, Riccardo Fuzio, Alberto Liguori, Mariano Sciacca.
SESTA COMMISSIONE ORDINE DEL GIORNO AGGIUNTO
INDICE
1)Fasc. 44/VA/2011- “Stato di attuazione della delibera consiliare relativa alla comunicazione istituzionale dei lavori consiliari.”(relatore Consigliere Paolo AURIEMMA, Consigliere Paolo CORDER )
Odg. 502
1)Fasc. 44/VA/2011- “Stato di attuazione della delibera consiliare relativa alla comunicazione istituzionale dei lavori consiliari.”(relatore Consigliere Paolo AURIEMMA, Consigliere Paolo CORDER)
La Commissione propone alPlenumdi adottare la seguente delibera:
– Con delibera del 17 gennaio 2008, concernente le “Modalità di comunicazione al singolo magistrato con il mezzo informatico dell’esito delle pratiche che lo riguardano” e l'”Informazione ai magistrati sull’attività del Consiglio -predisposizione di un notiziario informativo da divulgare con il mezzo informatico e con cadenza settimanale avente ad oggetto, anche su indicazione dei singoli componenti, l’attività consiliare ritenuta di rilievo”, il CSM istituiva un “notiziario informativo”, da divulgare con il mezzo informatico a tutti i magistrati attraverso i singoli indirizzi di posta elettronica del dominio giustizia, riguardante le “delibere assunte dall’Assemblea Plenaria limitatamente…. alle proposte della Terza, Quinta e Sesta Commissione”, e delegava la Sesta Commissione – d’intesa con il Segretario Generale per gli aspetti tecnici – per verificare i modi e i tempi dell’ampliamento della comunicazione di tutte le delibere assunte dal Plenum nonché alle proposte di delibera realizzate dalle singole Commissioni referenti.
– Con delibera del 26 luglio 2010, concernente l’istituzione di “Uffici Relazioni con il Pubblico e modalità di comunicazione degli Uffici giudiziari e del Consiglio superiore della magistratura”, il C.S.M. dava avvio ad una seconda fase di attuazione della indicata delibera consiliare, prevedendo la diffusione anche delle circolari, delle risoluzioni di carattere generale nonché delle risposte a quesiti adottate dal Plenum su proposta della Prima, della Seconda, della Quarta, della Settima, dell’Ottava e della Nona Commissione.
– La delibera C.S.M. del 15 dicembre 2010, “Stato di attuazione della delibera consiliare relativa all’istituzione URP e alla comunicazione istituzionale dei lavori consiliari”, individuava le modalità di comunicazione per le proposte per le singole commissioni e per le delibere di plenum, disponendo una verifica dei risultati nei successivi tre mesi dall’approvazione, “anche al fine di attuare nuove modalità di comunicazione” sulla base delle segnalazioni ricevute in proposito dal Segretario Generale. In adempimento di tale ultima disposizione, si è quindi aperta una fase di interlocuzione anche con le segreterie delle singole commissioni all’esito della quale è emersa l’esigenza di semplificare la procedura, delimitando l’oggetto delle proposte di commissione ai casi in cui sussiste un interesse alla tempestiva conoscenza delle stesse ed escludendo la comunicazione delle proposte nei casi in cui è resa superflua dalla successiva, e di fatto contestuale, divulgazione degli ordini del giorno e delle delibere di plenum.
Il testo della delibera del 15 dicembre 2010 è stato quindi modificato come segue:
“Gliordini del giornodi Plenum vanno inviati:
- Via email a tutti i magistrati anche con un link all’interno della mail e, contestualmente, ove tecnicamente possibile, con invio di file allegato in formato rtf;
- agli indirizzi nome.cognome@giustizia.it o altro indirizzo email comunicato al Consiglio dal magistrato mediante posta elettronica dell’ufficio;
- il lunedì mattina prima del Plenum della settimana.
Idispositivi delle delibere del Plenumrelative alle materie di seguito indicate vanno comunicati:
- Via email a tutti i magistrati con il contenuto della comunicazione all’interno della mail e, contestualmente, ove tecnicamente possibile, con invio di file allegato in formato rtf;
- agli indirizzi nome.cognome@giustizia.it o altro indirizzo email comunicato al Consiglio dal magistrato mediante posta elettronica dell’ufficio;
- le mail devono contenere solo i dispositivi delle decisioni. Se le decisioni sono prese a maggioranza si comunicheranno, limitatamente alle votazioni per appello nominale, anche i nomi dei componenti del Consiglio che hanno votato a favore o contro la delibera (oppure che si sono astenuti);
- ilmercoledì e il giovedìdella settimana del Plenum.
I dispositivi delle proposte conclusive di commissione relative alle materie di seguito indicate vanno comunicati:
- via email a tutti i magistrati con il contenuto della comunicazione all’interno della mail;
- agli indirizzi nome.cognome@giustizia.it o altro indirizzo email comunicato al Consiglio dal magistrato mediante posta elettronica dell’ufficio;
- le mail devono contenere solo i dispositivi delle decisioni;
- le mail vanno trasmesse ilvenerdìdella settimana nella quale sono deliberate le proposte.
I dispositividelle proposte conclusive di commissionee delle delibere di Plenum da comunicare sono i seguenti:
- Prima Commissione: proposte conclusive a seguito di formale apertura di una delle procedure previste da:
- ex art. 2 R.D.L. 31 maggio 1946 n. 511;
- ex artt. 18 e 19 dell’ordinamento giudiziario approvato con R.D. 30 gennaio 1941 n. 12.
- Terza commissione: tutte le proposte di trasferimento.
- Quarta commissione: nessuna proposta. Verrà effettuata al solo magistrato interessato la comunicazione in ordine alle proposte relative all’esito della valutazione quadriennale di professionalità.
- Quinta commissione: tutte le proposte, escluse quelle riguardanti le risposte ai quesiti e le delibere di contenzioso.
- Sesta commissione: tutte le proposte, escluse quelle riguardanti pareri e risposte ai quesiti.
- Settima commissione e Ottava commissione: nessuna proposta.
- Nona commissione: tutte le proposte per interpelli di qualsiasi natura e bandi di formazione decentrata.
Le delibere di plenum da comunicare sono quelle relative alle materie sopra specificate e, inoltre, i pareri e le risposte ai quesiti.
Inoltre, devono essere comunicate (con le modalità informatiche tecnicamente possibili) nella loro integrità (per le materie sopra indicate)le circolari.
In ogni caso vanno rispettate le norme regolamentari in materia di pubblicità e segretezza degli atti.
Le modalità di composizione informatica e di invio delle mail saranno stabilite dal Segretario Generale, tenendo conto di un sostenibile impatto organizzativo/informatico.”
Tutto ciò premesso, il Consiglio
delibera
di approvare la sopraindicata risoluzione e di trasmetterla per competenza alle Commissioni consiliari competenti.
Risoluzione sulle modalità cronologiche di svolgimento del procedimento per la prima valutazione di professionalità dei magistrati nominati con D.M. 8.6.2012. (relatore Consigliere NAPOLEONE)
Con D.M. 8 giugno 2012 sono stati nominati 323 magistrati ordinari in tirocinio, i quali hanno già assunto le funzioni giurisdizionali presso le rispettive sedi di assegnazione. In ossequio al disposto di cui all’art. 13, comma 2, D.Lgs. 160/2006 – in base al quale “I magistrati ordinari al termine del tirocinio non possono essere destinati a svolgere funzioni requirenti, funzioni monocratiche penali o di giudice per le indagini preliminari o di giudice dell’udienza preliminare, anteriormente al conseguimento della prima valutazione di professionalità” – i sopra indicati m.o.t. sono stati destinati a svolgere esclusivamente funzioni civili ovvero funzioni collegiali penali. Le indicate limitazioni hanno comportato rilevanti difficoltà organizzative soprattutto negli uffici di piccole dimensioni ove le piante organiche vedono la presenza di più magistrati nominati con il D.M. 8 giugno 2012 Il Consiglio Superiore, chiamato più volte a pronunciarsi sul portato del divieto contenuto nell’art. 13, comma 2, D.Lgs. 160/2007, non ha potuto che ribadire la natura inderogabile dei limiti posti alle funzioni assegnabili ai m.o.t..
Al fine, di promuovere il rapido riassetto organizzativo degli uffici giudiziari giudicanti di primo grado, il C.S.M. con la presente risoluzione intende innanzitutto dettare, in linea con quanto deliberato negli anni passati, delle modalità cronologiche di svolgimento del procedimento per la prima valutazione di professionalità dei magistrati nominati con D.M. 8.6.2012 diverse rispetto a quelle ordinariamente previste dalla Circolare consiliare n. 20691/2007. Invero i menzionati magistrati matureranno il quadriennio utile per il conseguimento della prima valutazione di professionalità, necessaria allo svolgimento delle funzioni monocratiche penali, T8.6.2016. In ragione della disciplina di circolare, nonché del tempo necessario per la valutazione consiliare sulle singole posizioni, secondo le procedure del sistema di governo autonomo, di norma, dal momento di maturazione del diritto alla valutazione fino al conseguimento del provvedimento finale, intercorre un arco temporale di otto mesi. Non sfugge, tuttavia, che in alcuni uffici l’impiego di magistrati nel settore penale con funzioni monocratiche non può subire alcun ulteriore ritardo rispetto a quanto dalla legge già restrittivamente previsto.
In tale prospettiva, il Consiglio ha inteso elaborare, in parziale deroga alla disciplina ordinaria, un meccanismo che sia in grado di assicurare agli uffici giudiziari di destinazione, nel più breve tempo possibile, magistrati di pronta assegnazione a tutte le funzioni giudiziarie sì da consentire ai capi degli uffici di amministrare giustizia in tempi ragionevoli. Si è cosi pensato di anticipare i tempi di trattazione dei vari segmenti amministrativi che, nel loro insieme, costituiscono il procedimento di valutazione professionale voluto dal legislatore e disegnato all’art. 11 della legge 30.7.2007, n. Ili, attuato con circolare consiliare n. 20691 dell’8.10.2007 e successive modifiche, ai paragrafi XIII e segg..
La procedura ordinaria prevede che, alla scadenza di ogni quadriennio, decorrente dal decreto di nomina, tutti i magistrati siano sottoposti a valutazione di professionalità. Applicata la regola al caso di cui ci stiamo occupando, se ne deduce che la procedura per la prima valutazione dovrebbe prendere le mosse solo a ridosso del giugno 2016, con i tempi di definizione sopra indicati, evidentemente contrastanti con la citata esigenza di celerità. Per ovviare a tale inconveniente e ridurre i tempi procedurali appare dunque opportuno prevedere, per il conferimento della prima valutazione ai magistrati nominati con D.M. 8.6.2012, una diversa scansione temporale delle singole fasi in cui si articola la procedura, come di seguito descritta:
– 16 aprile 2016: entro tale data i Capi degli Uffici dovranno trasmettere ai Consigli Giudiziari il rapporto, unitamente alla documentazione, previsto dal paragrafo XIV della circolare n. 20691. Si raccomanderà ai Dirigenti degli Uffici il rispetto massimo del termine concesso per l’adempimento istruttorio di competenza onde evitare slittamenti in avanti della procedura, partecipando loro altresì che dovranno, entro la data fissata per la trattazione delle relative pratiche in Quarta Commissione – che si collocherà nella seconda metà del mese di maggio 2016 – segnalare eventuali nuovi elementi che potrebbero comportare modifiche al rapporto reso in precedenza;
– 14 maggio 2016, entro tale data i Consigli Giudiziari dovranno predisporre e trasmettere il parere previsto al par. XV della suddetta circolare. Verrà raccomandato ai Capi di Corte l’importanza del rispetto del termine prefissato, invitandoli nel contempo a valutare l’opportunità di dedicare sessioni straordinarie alla prima valutazione di professionalità dei magistrati appartenenti al D.M. 8.6.2012;
– 6 giugno 2016, entro tale data la IV Commissione del C.S.M. prowederà a calendarizzare, con precedenza assoluta, la valutazione di professionalità dei magistrati di cui in narrativa, confezionando una proposta di delibera, positiva allo stato degli atti, da inserire nell’ordine del giorno di plenum, anche speciale se necessario, per la prima seduta plenaria utile ;
– 8 giugno 2016, data nella quale il Consiglio Superiore della Magistratura prowederà all’adozione delle delibere di sua competenza in ordine alla prima valutazione di professionalità dei magistrati nominati con D.M. 8.6.2012, dando ad esse precedenza assoluta. Resta rimessa alle competenti articolazioni consiliari l’adozione di previsioni volte a favorire l’adozione di accorgimenti tabellari utili a consentire la tempestiva destinazione dei m.o.t. che hanno conseguito la prima valutazione di professionalità alle funzioni monocratiche penali (ovvero alle funzioni g.i.p./g.u.p. laddove sussistano i presupposti di cui all’art. 7 bis, comma 2 quinquies, R.D. 12/1941).
Gli interventi sopra prospettati rappresentano l’ulteriore riprova dell’impegno che il C.S.M. profonde per migliorare il servizio giustizia nonché per assicurare la massima funzionalità di tutti gli uffici giudiziari.
Alla luce di quanto sino ad ora affermato, il C.S.M.
delibera
– di articolare, nei sensi di seguito specificati, le scansioni temporali delle singole fasi in cui è articolato il procedimento per il conseguimento della prima valutazione di professionalità in capo ai magistrati nominati con D.M. 8 giugno 2012:
– 16 aprile 2016, entro tale data i Capi degli Uffici dovranno trasmettere ai Consigli Giudiziari il rapporto, unitamente alla documentazione, previsto dal paragrafo XIV della circolare n. 20691;
– 14 maggio 2016, entro tale data i Consigli Giudiziari dovranno predisporre e trasmettere il parere previsto al par. XV della suddetta circolare;
– 6 giugno 2016, entro tale data la IV Commissione del C.S.M. prowederà a calendarizzare, con precedenza assoluta, la valutazione di professionalità dei magistrati di cui in narrativa, confezionando una proposta di delibera, positiva allo stato degli atti;
– 8 giugno 2016, entro tale data il Consiglio Superiore della Magistratura prowederà all’adozione delle delibere di sua competenza in ordine alla prima valutazione di professionalità dei magistrati nominati con D.M. 8.6.2012, dando ad esse precedenza assoluta.
Risoluzione per la celere assegnazione delle funzioni monocratiche penali ai magistrati ordinari di tribunale assegnatari della prima sede nominati con D.M. 8.06.2012. (relatori Consiglieri CANANZI e SAN GIORGIO)
L’art. 13 comma 2, D. Lgs 160/2006 come modificato prevede: “i magistrati ordinari al termine del tirocinio non possono essere destinati a svolgere funzioni monocratiche penali, salvo che per i reati di cui all’art. 550 c.p.p., le funzioni di giudice per le indagini preliminari o di giudice dell’udienza preliminare, anteriormente al conseguimento della prima valutazione di professionalità”.
In molti uffici di piccole dimensioni, soprattutto quelli per niente ambiti, sono stati destinati a colmare i numerosissimi vuoti d’organico magistrati di prima nomina (da ultimo quelli nominati con D.M. 8.6.2012). Tali magistrati a giugno 2016 matureranno il tempo dì esercizio utile a conseguire la prima valutazione di professionalità, necessaria allo svolgimento delle funzioni monocratiche penali.
Considerato che il Consiglio ha inteso elaborare, in parziale deroga alla disciplina ordinaria, un meccanismo che sia in grado di assicurare agli uffici giudiziari di destinazione, nel più breve tempo possibile, la possibilità di assegnare i Magistrati nominati con D.M. 8.6.2012 a tutte le funzioni giudiziarie sì da consentire ai capi degli uffici di amministrare giustizia in tempi ragionevoli provvedendo ad anticipare i tempi di trattazione dei vari segmenti amministrativi che, nel loro insieme, costituiscono il procedimento di valutazione professionale voluto dal legislatore e disegnato all’art. 11 della legge 30.7.2007, n. Ili, attuato con circolare consiliare n. 20691 dell’8.10.2007 e successive modifiche, ai paragrafi XIII e segg..
Rilevato che appare necessario consentire anche la tempestiva e celere destinazione tabellare dei giovani magistrati – non appena conseguita la prima valutazione di professionalità – alle funzioni monocratiche penali (ovvero alle funzioni g.i.p./g.u.p. laddove sussistano i presupposti di cui all’art. 7 bis, comma 2 quinquies, R.D. 12/1941), il Consiglio invita i capi degli uffici, verificati i pareri favorevoli dei Consigli giudiziari, a predisporre in tempo utile le relative variazioni tabellari, la cui esecutività può essere fissata all’avvenuto effettivo conseguimento da parte dei magistrati interessati della prima valutazione di professionalità con delibera consiliare.
Il Consiglio Superiore, inoltre, con l’ausilio istruttorio della Settima Commissione, si impegna ad assicurare la precedenza assoluta nella trattazione delle variazioni tabellari in oggetto, debitamente segnalate dai presidenti dei tribunali.
L’ intervento sopra prospettato rappresenta l’ulteriore riprova dell’impegno che il C.S.M. profonde per migliorare il servizio giustizia nonché per assicurare la massima funzionalità di tutti gli uffici giudiziari. Alla luce di quanto sino ad ora affermato, il Consiglio
delibera
– di invitare i capi degli uffici nei quali sono stati destinati magistrati di prima nomina (da
ultimo quelli nominati con D.M. 8.6.2012) e per l’ipotesi in cui tali magistrati dovessero essere assegnati alle funzioni monocratiche penali ovvero alle funzioni g.i.p./g.u.p., una volta verificati i pareri favorevoli dei Consigli giudiziari – ai fini del conseguimento della prima valutazione di professionalità -, a predisporre in tempo utile le relative variazioni tabellari, la cui esecutività può essere fissata all’avvenuto effettivo conseguimento da parte dei magistrati interessati della prima valutazione di professionalità nei ristretti tempi fissati dal Consiglio con la delibera adottata in data odierna (pratica n. 110/VQ/2015);
– di invitare i capi degli uffici a segnalare al Consiglio l’adozione di tali variazioni in modo da consentire di assicurarne la precedenza assoluta nella trattazione.
Cari Colleghi,
alleghiamo a seguire il testo della delibera approvata in data odierna dal Plenum in ordine alle<Linee guida volte alla individuazione delle modalità di ricostituzione di una banca dati della giurisprudenza di merito>
In occasione di molte delibere consiliari afferenti l’organizzazione, il Consiglio ha sollecitato l’applicazione del principio di coordinamento fra gli uffici, in ambito distrettuale ed anche su base nazionale.
Il ripristino di una banca dati di merito, consultabile tramite Italgiure Web, è servente rispetto al principio di coordinamento, consente una condivisione della giurisprudenza innovativa di merito su base nazionale, realizzando uno scambio diffuso di conoscenza fra i magistrati del merito e della legittimità, con direzione biunivoca.
La Banca Dati non avrà una portata massiva, bensì selettiva, in ordine alle sole decisioni che riguardino questioni mai esaminate dalla Corte di cassazione, ovvero facciano applicazione di disposizioni di nuova introduzione e di principi innovativi conseguenti a pronunce della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale. Altra sezione della Banca dati è quella che conterrà le decisioni che facciano applicazione di disposizioni comunitarie di nuova introduzione e costituiscano prima applicazione di orientamenti innovativi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte Europea per i diritti dell’uomo.
Con questa delibera si faciliterà il dialogo fra la legittimità ed il merito, e fra i vari giudici del merito su base nazionale, anche in favore dei giudici della legittimità.
E’ di tutta evidenza quale sia la delicatezza dell’ individuazione della giurisprudenza innovativa di merito, anche per l’indipendenza della giurisdizione. Per tale ragione il Consiglio affida al sistema del governo autonomo diffuso la selezione, attraverso più livelli di valutazione: la riunione di sezione, la valutazione da parte dell’Ufficio Innovazione, emanazione del Consiglio, in sede distrettuale e presso la Corte di cassazione; infine la valutazione del CED, coadiuvato dall’ufficio costituendo presso il CED della cassazione.
L’innovazione e l’informatica costituiscono in questo caso un concreto ausilio all’esercizio ed all’indipendenza della giurisdizione.
Francesco Cananzi, Massimo Forciniti, Luca Palamara, Maria Rosaria San Giorgio, Rosario Spina.
121/VV/2017 – (relatori Consiglieri GALOPPI e CANANZI)
Linee guida volte alla individuazione delle modalità di ricostituzione di una banca dati della giurisprudenza di merito.
Premessa
La Settima Commissione referente ha chiesto ed ottenuto l’apertura di una pratica avente ad oggetto la possibilità di elaborare delle linee guida o comunque dei criteri di carattere generale in ordine alla costituzione di una banca dati della giurisprudenza di merito.
La Commissione ha preliminarmente attivato una interlocuzione con il direttore del C.E.D. innanzitutto per conoscere l’esistenza di progetti già elaborati presso la Corte di Cassazione, quanto ai criteri di selezione ed alle relative modalità operative, nonché per individuare gli ambiti di collaborazione del Consiglio Superiore con il C.E.D. della Cassazione per elaborare,integrare, migliorare, implementare i progetti in materia, in modo da condividere le reciproche esperienze e competenze.
All’esito di questa riflessione si è ritenuto necessario avviare un percorso finalizzato alla riapertura dell´archivio di merito nell’ambito di ItalgiureWeb, trattandosi, come si è potuto verificare, di una esigenza comunemente sentita non solo dai giudici del merito, ma anche da parte dei giudici di legittimità.
Tale esigenza nasce dalla convinzione che il corretto esercizio della giurisdizione trae grande beneficio dal costante dialogo fra legittimità e merito. Si tratta cioè di realizzare un rapporto che non può essere unidirezionale (dalla Corte di legittimità ai giudici di merito), ma deve essere bidirezionale, nel senso che le decisioni dei giudici di merito devono essere rese reperibili per tutti gli altri giudici di merito e anche per quelli di legittimità.
Occorre in altre parole realizzare la circolarità dell’informazione concernente il dato giuridico alla base delle decisioni. E ciò vale soprattutto in quei settori dell´ordinamento che si caratterizzano per essere oggetto di molteplici interventi legislativi, spesso fortemente innovativi e quasi sempre implicanti notevoli sforzi interpretativi e sistematici per l’applicazione delle nuove norme.
Tale risultato presuppone la valorizzazione della giurisprudenza di merito, che deve essere resa conoscibile al pari della giurisprudenza di legittimità. Le ragioni di tale valorizzazione sono molteplici. Si consideri in particolare che la giurisprudenza di merito interviene immediatamente sul contenzioso “nuovo”, determinato da nuove leggi o collegato a decisioni della Corte Costituzionale ovvero, ancora, a importanti mutamenti giurisprudenziali; intercetta i nuovi filoni concernenti cause seriali; costituisce una costante occasione di verifica, anche per la giurisprudenza di legittimità, della correttezza ed efficacia delle proprie decisioni.
L’archivio di merito renderebbe, dunque, possibile la conoscenza delle prime letture ed applicazioni concrete delle novità normative e giurisprudenziali che l’utente non potrebbe reperire nell’archivio della giurisprudenza di legittimità.
Il gruppo di lavoro costituito dal Consiglio Superiore della Magistratura
Con delibera del 3 maggio 2017, il plenum del Consiglio Superiore ha quindi Istituito un gruppo di lavoro finalizzato alla individuazione delle modalità di ricostituzione, nell´ambito del sistema ItalgiureWeb, gestito dal CED della Corte di Cassazione, dell’archivio della giurisprudenza di merito.
Compito principale ed iniziale del gruppo è stato quello di individuare criteri di selezione e di classificazione dei provvedimenti di merito da inserire nella banca dati; di individuare, da un lato, i soggetti deputati alla raccolta ed alla selezione dei suddetti provvedimenti e alla loro classificazione e dall´altro, le strutture alle quali affidare il trattamento informatico dei documenti e loro eventuale anonimizzazione; di definire le modalità operative per garantire il funzionamento della banca dati a regime.
All’esito di una prima fase di lavoro il gruppo ha redatto un articolato elaborato sulla possibile struttura della “Banca dati di merito” e delle concrete modalità di realizzazione e operatività dell’archivio. La Commissione ha ritenuto di condividere le linee portanti del progetto di costituzione e funzionamento della Banca dati che viene di seguito delineata nei suoi elementi essenziali, ferma restando la necessità di specificare, in una successiva delibera, quegli ulteriori elementi necessari per la sua concreta operatività.
I criteri di selezione della giurisprudenza di merito
Preliminarmente, con riferimento all’oggetto dei provvedimenti di merito da inserire nell’archivio si ritiene che dovranno essere inseriti tutti quelli aventi ad oggetto:
– decisioni che facciano applicazione di disposizioni di nuova introduzione;
– decisioni che costituiscano prima applicazione di orientamenti innovativi della Corte di Cassazione, a maggior ragione se espressi a Sezioni Unite;
– decisioni che costituiscano prima applicazione di pronunce della Corte Costituzionale;
– decisioni riguardanti materie non oggetto di pronunce di Cassazione, a condizione che nell’archivio non siano già presenti provvedimenti dello stesso distretto sulla medesima materia e di analogo tenore;
– decisioni che costituiscono espressione di soluzioni concrete adottate dai giudici della cognizione su temi decisori particolarmente rilevanti.
Quanto alle modalità di inserimento vi sono diverse ragioni che depongono nel senso dell’inserimento nell’archivio dei provvedimenti in forma integrale e non già delle sole massime. Difatti, l’elevato numero dei provvedimenti da inserire, la “provenienza geografica” di essa da tutto il territorio nazionale, con la conseguente difficoltà di assicurare criteri omogenei dell’eventuale massimazione, le evidenti esigenze di semplificazione della procedura di popolamento della banca dati e, soprattutto, la necessità di assicurare il pronto inserimento nell’archivio dei provvedimenti su temi innovativi, senza ritardi derivanti dalla relativa disamina e “lavorazione” ed ancora il dato che solo l’acquisizione del provvedimento in forma integrale può consentire di apprezzare appieno la vicenda di merito oggetto della decisione confermano la bontà di tale soluzione operativa.
Infine, rilevato che la giurisprudenza di merito è tanto più rilevante quanto più è nuova ed ancora che generalmente conserva la sua attualità fintanto che non intervenga una pronuncia della Corte di Cassazione che la recepisca,appare necessario anche introdurre un meccanismo di cancellazione automatica dei provvedimenti di merito dopo l’intervento della Corte e comunque dopo che l’orientamento espresso risulti ormai superato e, non più utile, a fini di approfondimento giurisprudenziale e scientifico.
La sezione del Diritto Sovranazionale
Sempre con riferimento all’oggetto dei provvedimenti di merito da inserire nell’archivio si ritiene che dovranno essere inseriti, in apposita sezione, anche tutti quelli aventi ad oggetto:
– decisioni che facciano applicazione di disposizioni comunitarie di nuova introduzione;
– decisioni che costituiscano prima applicazione di orientamenti innovativi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte Europea per i diritti dell’uomo;
Nell’ambito di questa sezione saranno inseriti, inoltre, i provvedimenti aventi ad oggetto rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia e dovranno altresì essere ad essi collegate e, dunque immediatamente visionabili, le relative decisioni adottate della Corte ed infine il provvedimento decisorio emesso nel giudizio di merito all’esito ed in conseguenza della pronuncia della Corte di Giustizia.
Questo settore dovrà essere coordinato con l’Archivio della giurisprudenza sovranazionale esistente presso il CED della Corte di Cassazione.
Rappresenterà inoltre lo strumento per la raccolta e la trasmissione alla Corte di Giustizia dell’UE dei provvedimenti definitori dei giudizi di merito.
In tal modo si potrà realizzare un collegamento diretto con l’archivio della Rete giudiziaria dell’Unione Europea in fase di realizzazione presso la Corte di Giustizia e operativo dal 1.1.2018.
Infine il Consiglio intende, nell’attuazione del progetto e facendosi carico dei relativi costi, inserire nella presente sezione, tutte le decisioni della CEDU tradotte in lingua italiana e, dunque, anche quelle in cui non è parte l’Italia; solo queste ultime, infatti, attualmente sono tradotte a cura del Ministero ed inserite nell’archivio già presente su ItalgiureWeb. Il medesimo progetto, inoltre, mira all’implementazione di tale archivio preesistente con le più rilevanti decisioni della CEDU che, se risalenti, non sono mai state inserite.
I provvedimenti acquisibili nella banca dati
a) settore civile
Per quanto riguarda il settore civile, deve necessariamente adottarsi un criterio di classificazione che individui tre principali categorie corrispondenti alle tre tipologie di provvedimenti tipici del settore aventi ad oggetto rispettivamente: sentenze;ordinanze; decreti.
All’interno di tale tripartizione, dovranno essere distinti i provvedimenti di natura decisoria da quelli istruttori e cautelari e, fra questi ultimi, quelli destinati ad essere “assorbiti” nella futura decisione di merito (ad esempio, le ordinanze ex art. 700 c.p.c. in corso di causa) da quelli suscettibili di apprezzamento autonomo in quanto, normalmente, esaustivi del procedimento (ad es. decreti/ordinanze di “descrizione” per violazione di privativa ex art. 29 c.p.i.).
I provvedimenti istruttori, che raramente sono suscettibili di apprezzamento e di interesse generale, al pari dei provvedimenti cautelari resi in pendenza del procedimento di merito o comunque destinati ad essere superati dalla sentenza finale, vanno, ovviamente, esclusi dalla raccolta.
Una prima elencazione dei provvedimenti acquisibili nel settore viene allegata alla presente risoluzione (allegato 1).
b) settore penale
Nel settore penale potranno essere acquisiti tutti i provvedimenti aventi natura decisoria e precisamente: le sentenze pronunciate in un qualunque grado di merito; i provvedimenti emessi dal giudice dell’esecuzione ex artt. 665 e seguenti c.p.p.; i provvedimenti dell’ufficio e del Tribunale di Sorveglianza;le ordinanze in materia processuale autonomamente impugnabili.
Vengono, invece, esclusi dalla banca dati i provvedimenti in materia cautelare (personale e reale) “di primo grado” (del Giudice delle indagini preliminari) e “di secondo grado” (del Tribunale del riesame) sia perché si tratta di provvedimenti normalmente assunti nella fase delle indagini preliminari, nella quale operano limiti alla pubblicazione, sia perché la tempistica media di decisione dei ricorsi per Cassazione ex artt. 311 e 324 c.p.p. avverso i provvedimenti assunti dal Tribunale del riesame è assai contenuta.
Analoghe considerazioni riguardano i provvedimenti in materia di misure di prevenzione che, almeno in una prima fase, vengono esclusi dall’archivio.
Non vanno acquisiti alla banca dati neppure i provvedimenti dibattimentali e di carattere meramente interlocutorio, i quali – se concernenti questioni di diritto rilevanti – troveranno comunque riscontro nelle sentenze a chiusura di ciascuna fase processuale.
Una prima elencazione dei provvedimenti acquisibili in tale settore viene allegata alla presente risoluzione (allegato 2).
I criteri di classificazione della giurisprudenza di merito
a) i provvedimenti civili
Per i provvedimenti civili, saranno utilizzate le voci corrispondenti ai codici di classificazione della Corte di Cassazione utilizzati dagli avvocati per l’iscrizione dei ricorsi civili a ruolo, che già raggruppano macroaree più ampie, rispetto a quelle dei codici delle cause di merito, con l’aggiunta di un ulteriore schema di classificazione delle voci processuali costruito sulla scorta del codice di procedura civile.
Per i criteri di classificazione nel settore civile si veda l’allegato alla presente risoluzione (allegato 3).
b) i provvedimenti penali
Occorre premettere che soltanto nel settore della Sorveglianza sono previsti, analogamente al settore civile, dei codici di classificazione utilizzati dagli avvocati e dalle cancellerie per l’iscrizione delle istanze a ruolo.
Diversamente, nel restante settore penale non esistono dei codici di classificazione predeterminati dal Ministero.
Il Consiglio, dunque, con l’ausilio del gruppo di lavoro ha individuato dei criteri di classificazione costruiti per macroaree con riferimento ai criteri di diritto penale sostanziale e processuale(si rinvia sul punto all’allegato alla presente risoluzione – vedi allegato 4).
La tutela della privacy
In ossequio a quanto disposto dalle norme di cui agli artt. 51 e 52 del T.U. sulla privacy in materia di provvedimenti giudiziari, il Consiglio rileva come debba prevedersi che l’interessato abbia diritto a chiedere, mediante apposita e specifica istanza prima della definizione del grado di giudizio, di far apporre da parte della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere l’indicazione delle sue generalità e degli altri dati identificativi dei provvedimenti destinati alla diffusione ad un pubblico vasto ed indeterminato. A detta anonimizzazione può tuttavia provvedere, anche d’ufficio, l’Autorità che adotta la sentenza o il provvedimento.
L’anonimizzazione è sempre necessaria,laddove si tratta di materie in cui la pubblicazione del provvedimento rischierebbe di ledere i diritti dei soggetti riportati.
Le “ linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica” dettate dal Garante della privacy, con proprio documento del 2 dicembre 2010, promuovono “la diffusione dei provvedimenti giurisdizionali” quale “fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”. D’altra parte, ammoniscono circa il”rischio delle pubblicazioni on-line, suscettibili di indicizzazione, riproduzione decontestualizzata, alterazione, finanche manipolazione e per questo in alcun modo assimilabili alle pubblicazioni cartacee” raccomandando la protezione dei dati personali contenuti nei provvedimenti destinati alla pubblicazione.
In tale ottica, il Primo presidente della Corte di Cassazione ha prescritto, in caso di riproduzione dei provvedimenti per finalità di informazione giuridica, l’adozione di accorgimenti volti all’oscuramento dei dati identificativi in essi contenuti qualora abbiano ad oggetto materie espressamente definite, quali – a titolo esemplificativo – i provvedimenti concernenti minori, stato civile, famiglia, reati a sfondo sessuale o prostituzione.
Da quanto sopra rilevato, i provvedimenti giudiziari, sia pure non definitivi, non necessitano di una generalizzata anonimizzazione, indispensabile soltanto qualora rientrino nelle categorie individuate negli allegati al citato decreto del Primo Presidente.
A tale fine, può soccorrere anche l’esperienza decennale del sito ItalgiureWeb con riguardo alle sentenze della Corte di Cassazione, con la precisazione che il provvedimento contenente dati sensibili “meriterà” di essere inserito nella banca dati soltanto se di reale interesse giuridico-scientifico.
Per garantire la massima tutela della privacy è opportuno che l’individuazione dei dati personali in caso di provvedimenti da anonimizzare sia eseguita direttamente da parte del magistrato estensore del provvedimento, il quale potrà procedere a sottolineare i suddetti dati analogamente a quanto accade già per le decisioni assunte in Cassazione.
Le esigenze di tutela della privacy e la non definitività dei provvedimenti di merito suggeriscono, fino a che non saranno realizzate prassi che diano massima certezza circa la tutela delle sopra indicate esigenze, che la consultazione dell’archivio di merito sia riservata -almeno in un una prima fase- ai soli magistrati.
La collaborazione con la Direzione Generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia e la materiale acquisizione dei documenti da inserire nella banca dati
La realizzazione della banca dati della giurisprudenza di merito, per quanto fin qui evidenziato, implica l’utilizzo del personale, delle strutture e delle esperienze del C.E.D. della Corte di cassazione, al fine di implementare l’archivio di merito di ItalgiureWeb.
E bene, come già noto, la Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia ha competenza in tema di sviluppo, evoluzione, gestione e monitoraggio dei sistemi informatici della Corte di cassazione, nonché del Centro elettronico di documentazione della medesima Corte in materia di informatica giudiziaria e giuridica (CED) (cfr. art. 5, comma 1, lett. g) del D.M. 19 gennaio 2016).
Risulta pertanto indispensabile che la stabile collaborazione già in atto fra il Consiglio e il Ministero della Giustizia, formalizzata in più occasioni, si estenda anche all’ambito della banca dati della giurisprudenza di merito.
A riprova della disponibilità e dell’interesse a porre in essere tale ulteriore collaborazione, va qui rilevato come con esiti positivi si sia già aperto il confronto istituzionale nell’ambito del predetto Comitato, in fase progettuale, di tal chè in tale sede dovranno essere ulteriormente valutate e condivise le evoluzioni del presente progetto.
Or bene può già rilevarsi come in tema di acquisizione dei documenti, quanto al settore civile, anche all’esito dell’audizione del Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati e del confronto avuto nell’ambito del Comitato Paritetico CSM – Ministero della Giustizia, si ritiene che per l’approvvigionamento generale dei provvedimenti si possa utilizzare l’archivio nazionale in corso di creazione da parte del Ministero o gli archivi distrettuali costituiti tramite il deposito delle sentenze a consolle nell’ambito del processo telematico che, attraverso il collegamento con SICID, a livello distrettuale, consentono già la consultazione di tutti i provvedimenti civili depositati da parte di qualsiasi utente-magistrato degli uffici giudiziari, purché munito della password-assistente, quanto a SICID, e della propria password personale, quanto a consolle.
Già attualmente, per ciascun Distretto, esiste dunque una banca dati “massiva” di sentenze civili (distinte per anno, numero di ruolo del fascicolo e codice di iscrizione a ruolo della causa), per le quali però non è allo stato disponibile un efficace motore di ricerca testuale, soprattutto al di fuori dell’applicativo destinato ai magistrati, né risulta possibile la consultazione a livello nazionale. Si tratta, peraltro, di una banca dati allo stato non pienamente fruibile, essendo rimasto, allo stato, di fatto inattuato il disposto dell’art. 7 del D.M. del 1° ottobre 2015 che prescrive la creazione di una banca dati di provvedimenti selezionati a cura dei Presidenti della Corte di appello o del Tribunale.
Tanto premesso, la trasposizione integrale di tutti i provvedimenti giurisdizionali pubblicati e giacenti su tali archivi istituzionali nella costituenda banca dati presso ItalgiureWeb – tecnicamente fattibile tramite apposita funzionalità di consolle – non è concretamente utile, risultando il numero enorme di documenti eccedente rispetto alle finalità del progetto e addirittura vanificante lo scopo stesso dell’archivio come su esplicitato.
E’ pertanto opportuno ed anzi necessario che i provvedimenti civili da inserire nella banca dati siano materialmente selezionati a livello locale, a cura di strutture distrettuali, e che, solo dopo la loro individuazione, siano inoltrati all’ufficio dell’archivio di merito centralizzato di seguito indicato.
Ai fini dell’inoltro potrà essere utilizzata una nuova funzionalità di consolle, creando unsoftwareapplicativo sulla consolle-assistente, che consenta l’inserimento diretto del provvedimento selezionato dall’archivio locale a quello centralizzato di ItalgiureWeb.
Per il settore della Sorveglianza, il sistema informativo ufficio di sorveglianza (SIUS), in uso a tutti gli uffici ed ai Tribunali di sorveglianza, prevede la possibilità di acquisire tutti i provvedimenti in formato PDF (distinti per numero di iscrizione e nome del soggetto), solo su base distrettuale e senza interoperatività fra distretti.
Per il settore penale di merito, dovrà essere realizzato un archivio nazionale dei provvedimenti penali in formato non digitale attraverso l’ausilio del DGSIA del Ministero.
Quanto alla selezione dei provvedimenti non si ritiene opportuno demandare in via principale ai singoli magistrati estensori o ai Presidenti di Sezione la scelta dei provvedimenti da inserire in banca dati.
Appare utile, invece, prevedere che ogni ufficio o Sezione (ove esistente) di Tribunale e di Corte d’appello, con l’ausilio dell’ufficio del processo, sia chiamato, sistematicamente, sotto la responsabilità del Presidente, ad impiegare le riunioni sezionali mensili previste dall’art. 47-quaterOrd. Giud. e dall’art. 54 della Circolare del CSM sulle Tabelle per il triennio 2017/19 (Circ. Prot. 1318 del 26.1.2017) in tema di “scambio delle informazioni giurisprudenziali”, anche al fine di raccogliere i provvedimenti “di interesse” secondo i criteri di selezione come sopra definiti. Tale attività di segnalazione ovviamente non equivale alla pubblicazione su una rivista scientifica e, dunque, non conferisce alcun titolo, ma serve unicamente ad uno scopo istituzionale e risponde ad un ulteriore dovere di ufficio.
Non si esclude, comunque, che i provvedimenti potranno essere segnalati anche direttamente dagli estensori o dai Presidenti di collegio, che avranno tuttavia cura di segnalare anche gli estremi di base del provvedimento.
Il materiale individuato, quindi, dovrà essere poi raccolto a livello distrettuale (ed eventualmente multi distrettuale, cioè accorpando i distretti di Corte d’appello più piccoli) dall’Ufficio Distrettuale Innovazione che ne riceverà specifico incarico dal Consiglio e che potrà anche avvalersi di unteamoperante a livello distrettuale per l’implementazione dell’archivio di merito di ItalgiureWeb.
Taliteamavranno una struttura non predefinita, ma “a geometria variabile”, così da potersi adattare alle diverse realtà locali; il Consiglio sin da ora ritiene possibile che ne facciano parte magistrati, addetti all’ufficio del processo, avvocati e/o stagisti, nonché, eventualmente, figure del mondo universitario.
A livello distrettuale sarà, inoltre, operato un controllo finale in ordine al rispetto dei criteri di selezione dei provvedimenti individuati per l’inserimento nell’archivio e potrà eventualmente essere ulteriormente raffinato il materiale inviato. All’esito di tale controllo, i provvedimenti giudiziari verranno inviati al CED.
L’inoltro del materiale all’archivio di merito di ItalgiureWeb
Il materiale raccolto con le modalità che precedono quindi dovrà essere inoltrato presso la struttura, anche in questo caso appositamente costituita, presso il CED.
I provvedimenti civili potranno essere trasmessi al suddetto ufficio anche tramite la specifica applicazione della consolle-assistente, ovvero a mezzo di posta elettronica.
Quanto ai provvedimenti penali, in attesa che venga realizzato un archivio di merito digitale da parte della DGSIA, l’inoltro dovrà avvenire necessariamente tramite posta elettronica, previa scansione del provvedimento originale.
Al momento della trasmissione, l’Ufficio Distrettuale Innovazione avrà cura di operare una classificazione dei provvedimenti che ha scelto di selezionare e rappresenterà anche i motivi per i quali ogni singolo provvedimento è stato segnalato.
L’inserimento dei provvedimenti nell’archivio di merito di ItalgiureWeb
Per il materiale inserimento dei provvedimenti, a livello centrale, dovrà essere creato un ufficio per l’archivio di merito ItalgiureWeb, costituito nell’ambito del CED della Corte di Cassazione. Tale struttura si avvarrà, eventualmente, del contributo dell’Ufficio Innovazione e della collaborazione e del supporto dell’ufficio del Massimario e del ruolo, nei limiti e con le modalità stabiliti con provvedimento di organizzazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione.
In definitiva, quindi, pur essendo la selezione demandata a livello locale, attraverso gli Uffici Distrettuali per l’Innovazione, il definitivo filtro viene svolto dal costituendo ufficio centrale presso il CED della Corte di Cassazione.
Appare necessario acquisire un apposito software che consenta di importare/gestire sia i dati relativi a sentenze acquisite nei modi più disparati, sia i dati relativi a sentenze acquisite in modo strutturato tramite apposite applicazioni. In particolare, deve essere consentito l’inserimento dei dati essenziali del provvedimento (autorità, luogo, data, Presidente, Relatore) insieme al relativo documento in formato PDF. Deve essere consentito, altresì, l’utilizzo generalizzato di altri elementi idonei a caratterizzare il provvedimento per favorire la ricerca dello stesso (TAG). Il software in oggetto deve inoltre prevedere la possibilità di segnalare la necessità di oscurare i dati personali delle parti prima dell’inserimento nell’archivio.
I provvedimenti pubblicati sulle riviste giuridiche
Ai fini dell’iniziale popolamento dell’archivio di merito di ItalgiureWeb, è stata acquisita la disponibilità di alcune case editrici a consentire l’utilizzazione della selezione del materiale pubblicato sulle riviste da loro edite per l’individuazione dei primi provvedimenti che corrispondano ai criteri sopra delineati. Siffatto canale, quindi, potrà essere utilizzato anche a regime, ai fini della successiva ulteriore implementazione della banca dati.
I provvedimenti pubblicati sulle riviste, una volta individuati nell’arco dell’ultimo quinquennio, dovranno comunque essere acquisiti in forma integrale dall’ufficio emittente e quindi classificati, secondo i criteri predefiniti per il successivo inserimento nell’archivio.
L’attività di acquisizione dei provvedimenti pubblicati sulle riviste giuridiche per il popolamento iniziale potrà essere compiuta da un gruppo di lavoro, le cui caratteristiche saranno definite nel bando di gara per l’attribuzione dell’incarico finanziato dal Consiglio, sotto la supervisione, il controllo e la guida del gruppo di lavoro già costituito presso il Consiglio.
Il trattamento informatico dei documenti da inserire.
Il sistema di ItalgiureWeb prevede che i documenti contenuti nei singoli archivi siano ricercabili sulla base di una serie di chiavi di ricerca comuni a tutti gli archivi. In particolare, è necessario che il documento sia ricercabile sulla base di una ricerca full text. Naturalmente, la qualità della ricerca ed il numero delle opzioni di ricerca che possono essere messe a disposizione dell’utente dipendono dalla qualità e dalla tipologia del trattamento al quale il singolo documento viene sottoposto prima di essere inserito nell’archivio.
Il suddetto trattamento deve essere assicurato da soggetti altamente specializzati che operano all’esterno dell’amministrazione della Giustizia, soggetti che, sulla base di esperienze pregresse, possono essere individuati in aziende private ovvero in istituti di ricerca connessi ad istituzioni universitarie. Per tale attività di trattamento dei dati occorre pertanto reperire adeguati finanziamenti che garantiscano, in partenza, il trattamento di alcune decine di migliaia di documenti che costituisce l’indispensabile presupposto per l’apertura dell’archivio di merito. A regime, il trattamento riguarderà annualmente qualche centinaio di documenti da inserire in banca dati.
In particolare, il trattamento dei dati dovrà assicurare:
1. la ricerca per parole/lemmi sull’intero testo della sentenza, anche se questa sarà solo in formato immagine (tipicamente PDF-immagine);
2. la ricerca delle parole limitata a determinate parti della sentenza (fatto, diritto, dispositivo, etc.), anche se non sono state adottate regole di redazione standardizzate;
3. la ricerca tramite i riferimenti normativi inseriti liberamente nel corpo della sentenza, estesa alle norme comunitarie;
4. la ricerca tramite i riferimenti giurisprudenziali alle Corti superiori, alle Corti di merito, alla Corte di Giustizia Europea ed alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, inseriti liberamente nel corpo della sentenza, anche mediante lo standard ECLI (European Case Law Identifier);
5. la ricerca delle sentenze appartenenti ad una determinata materia e submateria (es. famiglia-divorzio, lavoro-licenziamento, patrimonio-furto), anche se non individuate a monte dal relatore o nella fase di acquisizione;
6. inserimento nel corpo della sentenza, in corrispondenza dei riferimenti normativi, di link verso Normattiva, Eurlex e LEXS, ed in corrispondenza dei riferimenti giurisprudenziali, di link verso le sentenze della Corte costituzionale, della Corte di Cassazione, della CGUE, della CEDU e, ove, disponibili in archivio, verso altre sentenze di merito;
7. inserimento automatico nel testo archiviato dei metadati (ritenuti elemento standard per il modello ottimale di sentenza/ordinanza/provvedimento), anche ove mancanti perché non acquisiti; i suddetti metadati dovranno essere ricavati da dati rilevati automaticamente dall’immagine della sentenza (ad es. collegio, data deposito, luogo);
8. inserimento dell’allarme “Annotata” (nel caso di nota a sentenza i cui estremi sono inseriti nell’archivio Dottrina) e dell’allarme “Vedi” (concernente sentenze successive per risalire a sentenze di merito che citano quella in visualizzazione);
9. anonimizzazione dei documenti prima del loro inserimento in banca dati.
L’attuazione del progetto
Preliminarmente il Consiglio designa quali responsabili del progetto i Consiglieri Claudio Maria Galoppi e Francesco Cananzi. Inoltre, ai fini della attuazione del progetto, trattandosi di un procedimento complesso ed articolato, si ritiene di costituire, quale organo di supporto della Settima Commissione, il gruppo di lavoro denominato “Banca dati di merito” di cui faranno parte il dott. Vincenzo DI CERBO, Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, quale coordinatore, la dott.ssa Laura ALESSANDRELLI, magistrato dell’ufficio di Sorveglianza di Roma, la dott.ssa Alessandra BASSI, consigliere della Corte di Cassazione, la dott.ssa Maria Luisa MIRANDA, giudice del Tribunale di Napoli e la dott.ssa Ombretta SALVETTI, consigliere della Corte di Appello di Torino.
Il gruppo, inoltre, nel supportare la Settima Commissione in questa fase di avvio e prima implementazione dell’archivio, instaurerà anche una continua e proficua collaborazione con la DGSIA.
Il gruppo avrà il compito di procedere all’attuazione del progetto, di curare tutte le fasi dell’implementazione e i rapporti con l’UDI.
Il progetto da attuare, a seguito di bando di gara e finanziamento, avrà ad oggetto tre ambiti:
1. l’acquisizione dei documenti da inserire per il popolamento iniziale della banca dati, da estrarre dalle riviste giuridiche, a cura di un costituendo gruppo di lavoro sotto periodica supervisione, guida e controllo da parte del gruppo di lavoro “Banca dati di merito”;
2. il trattamento informatico dei documenti da inserire ai fini del primo popolamento della banca dati e delle successive implementazioni;
3. l’aggiornamento del software applicativo sulla consolle-assistente, ai fini dell’inoltro diretto dei provvedimenti selezionati dal RID all’ufficio centrale dell’archivio di merito di ItalgiureWeb.
Il progetto naturalmente prevede fasi di progressiva implementazione con diversificati oneri finanziari a carico del CSM coperti con disponibilità accantonate nel cap. 3367 del Bilancio (allegato 5).
Tanto premesso, il Consiglio
delibera
– di approvare le linee guida per l’attuazione del progetto di ricostituzione di una banca dati della giurisprudenza di merito con assunzione del relativo impegno di spesa da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, da attuarsi in stabile collaborazione con la Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia;
– di nominare responsabili del progetto i Consiglieri Claudio Maria Galoppi e Francesco Cananzi;
– di costituire il gruppo di lavoro “Banca dati di merito” con il compito di procedere all’attuazione del progetto, curare tutte le fasi dell’implementazione della banca dati ed i rapporti con gli Uffici per l’Innovazione;
– all’esito dell’attuazione delle precedenti fasi, di dare mandato al Segretario Generale al fine di:
a) provvedere all’avvio della procedura di gara finalizzata all’individuazione della ditta incaricata alla realizzazione della Banca dati di merito presso il CED della Cassazione, nei limiti delle somme accantonate a tal fine nel cap. 3367 del Bilancio di previsione 2017;
b) attivare la procedura per l’individuazione dell’università alla quale affidare la selezione dei documenti per il popolamento della banca dati iniziale ai fini della raccolta del materiale reperibile sulle riviste giuridiche.
Intervista al segretario Cananzi su “Il Mattino” di Napoli – Leggi l’intervista
Mario Cigna, candidato alle elezioni suppletive per il CSM dell’11 e 12 aprile 2021, si presenta ai colleghi
Cari colleghi,
dopo giorni di dubbi e perplessità ho deciso di accettare l’invito, rivoltomi da alcuni magistrati (leccesi e non) a candidarmi come componente del CSM, per le prossime elezioni suppletive dell’11 e 12 aprile 2021, nella categoria “magistrati giudicanti di merito”.
L’attuale crisi di credibilità del CSM, dell’ANM (e dei gruppi associativi costituiti al suo interno) e dell’intera magistratura, unitamente alla brevità del periodo di residua consiliatura, costituivano forti argomenti per considerare “inammissibile” e, comunque, per declinare l’invito.
Ho invece, alla fine, deciso di accettare, in quanto, per la gravità dell’attuale situazione, ho ritenuto che non fosse più il momento di delegare, e che, al contrario, fosse giunto il momento di impegnarsi in prima persona.
Sono da sempre “simpatizzante” di Unicost, sia per motivi familiari (mio padre era magistrato e condivideva con entusiasmo i valori fondanti di Unicost, e, tra questi, in primis, il pluralismo ideologico, il non collateralismo con la politica e l’assoluta terzietà del Giudice), sia perché, nonostante tutto, credo ancora nell’importanza di detti valori.
Non ho tuttavia mai attivamente partecipato alla vita associativa, non perché indifferente o disinteressato alle questioni associative, ma in quanto ho constatato che troppo spesso il dibattito sulle stesse è degenerato in inutili e sterili contrapposizioni, con toni violenti ed accesi scontri verbali, nei quali non mi ritrovo.
Non partecipo attivamente a mailing list o a chat di magistrati per un’istintiva diffidenza verso detti strumenti, non adatti, a mio parere, alla ponderazione ed all’’approfondimento che invece alcune nostre questioni meritano.
Sento quindi la necessità di farvi conoscere, in sintesi, chi sono, la mia esperienza professionale, le mie idee ed il mio modello di magistrato.
Sono nato 63 anni fa a Lecce, città che amo, dove vivo con mia moglie Maria; ho due figli, Marta, di 33 anni, e Giorgio di 31.
Sono acceso tifoso della squadra di calcio del Lecce ed appassionato di tennis, che pratico nel tempo libero.
Sono magistrato dal 1985, destinato come primo incarico alla Pretura Mandamentale di Cinquefrondi (Reggio Calabria); dal 1988 al Tribunale di Brindisi e dal 1993 al Tribunale di Lecce; dal 2004 alla Corte d’Appello di Lecce e dal 2012 sino al 2020 presso la Corte Suprema di Cassazione, dapprima alla quinta sezione civile e poi dal 2016 alla terza civile.
Sono Presidente di sezione della Commissione Tributaria Regionale della Puglia dall’aprile 1996; conosco le difficoltà della giustizia tributaria e ritengo fondamentale l’apporto nelle Commissioni dei giudici togati.
Sono stato Presidente della Commissione esaminatrice del concorso a 350 posti di magistrato ordinario indetto con d.m. 22-10-2015, i cui lavori sono iniziati il 23 giugno 2016 e si sono conclusi il 15-12-2017; ho svolto detto delicato ed importante incarico con entusiasmo, al servizio della Magistratura, allo scopo di intercettare futuri giudici non solo preparati professionalmente ma anche logici ed equilibrati nel modo di ragionare; mi sono spesso commosso quando, alla fine delle estenuanti prove orali, dopo la comunicazione da parte mia dell’esito positivo, ho visto nel loro sguardo la fierezza e l’orgoglio di essere diventati magistrati.
Dall’8 luglio 2020 sono Presidente della prima sezione civile del Tribunale di Lecce.
Nella mia vita professionale ho quindi soprattutto “scritto sentenze”.
Ne sono orgoglioso.
Ritengo infatti che l’essenza del nostro mestiere sia proprio nella giurisdizione, e cioè nel faticoso quotidiano dire “chi e perché ha ragione o ha torto”, e “chi e perché deve essere indagato, imputato , assolto o condannato”; in tali sofferte decisioni, come ci impone l’ art. 101 della Costituzione, siamo soggetti “sempre” e “soltanto” alla legge, che possiamo e dobbiamo valutare alla luce dei principi costituzionali, rifuggendo tuttavia da interpretazioni precostituite derivanti da personali convinzioni politiche e sociali.
E’ questo il lavoro quotidianamente svolto in silenzio da ciascuno di noi, nelle nostre stanze e sulle nostre scrivanie, senza protagonismi e senza clamore; incontro ogni giorno in Tribunale giovani colleghi che, spesso con ingombranti fascicoli in mano, faticano a trovare giuste soluzioni a questioni complesse e difficili; anche per il loro entusiasmo ho deciso di impegnarmi in prima persona.
Sono convinto che il “mestiere del giudice” sia il più bello di tutti, per l’autonomia e per l’indipendenza che lo caratterizza, e allo stesso tempo il più difficile, perché autonomia ed indipendenza implicano maggior equilibrio, responsabilità e ponderazione.
Amo il “mestiere” del Giudice.
A tutti i magistrati, ed ai giovani in particolare, deve essere consentito lavorare con serenità, in ambienti adatti e con personale amministrativo adeguato, coniugando sempre le esigenze della “quantità” con quelle, a me più care, della qualità; come è stato detto recentemente da un amico e collega salentino, ritengo sia giunto il momento di pensare, oltre che ai necessari “carichi esigibili”, anche ad una “qualità esigibile”, contrastando la “deriva produttivistica”, presumibilmente frutto della riforma dell’ordinamento giudiziario con l’eccessiva importanza dallo stesso attribuita alle “statistiche” ed ai “ritardi” nelle valutazioni di professionalità.
Penso che la stragrande maggioranza dei magistrati, e specialmente “quelli di cui non si sente mai parlare”, onori il “mestiere del giudice”, e non meriti in alcun modo di essere coinvolta, senza distinzioni, nel generale discredito dell’intera categoria, conseguente a fatti estranei alla “giurisdizione”; fatti che devono essere al più presto accertati nelle opportune sedi penali e disciplinari, così come devono essere evidenziate eventuali violazioni del codice etico, senza paura e soprattutto senza strumentalizzazioni; fatti, tuttavia (è bene ribadirlo) che sono stati portati alla luce proprio dalla stessa magistratura, che, nella massima espressione della terzietà e distante da ogni corporativismo, ha iniziato e sta proseguendo le relative indagini.
Penso che il Giudice debba essere sempre, nel suo lavoro e nella vita privata, moderato, riservato, equilibrato e, soprattutto, debba essere ed apparire terzo.
Non vi può essere autonomia ed indipendenza senza terzietà.
Penso che il Giudice debba essere terzo innanzitutto rispetto al potere politico; al proposito ritengo auspicabile non consentire più al Giudice che si sia candidato per qualsiasi incarico politico, ed abbia quindi perso la sua immagine neutrale, ritornare in magistratura; comunque, se ciò dovesse apparire estremamente penalizzante al punto da rendere impossibile il diritto all’elettorato di ciascuno (e quindi anche del Giudice), ritengo auspicabile rendere estremamente difficile ed eccezionale tale rientro.
Penso che il Giudice debba vivere nel contesto sociale e dialogare con l’esterno, e in particolare con gli altri poteri dello Stato, ma solo e soltanto attraverso gli enti istituzionalmente deputati alla rappresentanza della Magistratura.
Penso che il Giudice debba essere terzo anche, e soprattutto, nei confronti dei gruppi associativi, evitando, una volta eletto in ruoli istituzionali, ogni indebita interferenza, e seguendo nelle sue scelte e nelle sue decisioni criteri obiettivi lontani da logiche di appartenenza al gruppo.
In tutta la mia vita professionale ho sempre cercato di realizzare tale modello di magistrato, maturando esperienze in tutti i gradi del giudizio, ma sempre nella “giurisdizione” e senza alcuna ambizione individuale; dopo più di otto anni di lavoro in Cassazione, sono ritornato con entusiasmo in Tribunale, in prima linea, mettendo a disposizione dei colleghi più giovani l’esperienza maturata.
Non so ovviamente se sia riuscito nel mio intento, ma, almeno per una volta, non spetta a me giudicare.
Mi impegno, tuttavia, in caso di elezione al CSM, ad ispirare la mia condotta a tale modello di magistrato, a decidere ogni questione in modo autonomo, sulla base esclusivamente della normativa vigente e della documentazione esistente; in ciò mi sarà certamente utile l’esperienza nella giurisdizione e la scarsa pregressa partecipazione attiva alla vita associativa.
Spero in tal modo di dare il mio personale contributo per un’inversione di tendenza e per l’inizio di un percorso che consenta a tutta la magistratura di tornare ad essere credibile ed affidabile.
Mi sono interrogato sulle ragioni di tale perdita di credibilità ed affidabilità.
Penso sia stata determinante una eccessiva ambizione individuale del singolo magistrato, forse determinata dalle riforme del 2006/2007 e comunque in linea con l’individualismo che caratterizza l’attuale contesto sociale, con una soggettiva sopravalutazione dell’importanza dell’incarico direttivo ed una spinta al “carrierismo”, in contrasto sia con il ricordato vero significato del “mestiere del giudice” sia con la “temporaneità” dell’incarico e con lo “spirito di servizio” che, come abbiamo più volte tra noi magistrati ripetuto, dovrebbe animare il dirigente; in contrasto, soprattutto, con l’art. 107 della Costituzione, secondo cui “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni”.
Penso sia stata concessa al CSM un’eccessiva discrezionalità nella scelta dei dirigenti, non dando la giusta rilevanza all’anzianità, criterio oggettivo che, in quanto tale, riduce e meglio indirizza la pur necessaria discrezionalità.
Penso vi sia stato un allentamento di tensione etica.
Non sarà facile riacquistare la credibilità ed affidabilità che, nell’interesse di tutti i cittadini, spetta alla Magistratura.
Per un’inversione di tendenza, tuttavia, penso sia innanzitutto assolutamente necessario un esame di coscienza di ogni singolo magistrato e di tutti i gruppi associativi, con un generale cambio di mentalità; in particolare penso sia necessario operare con unità di intenti e all’interno dell’ANM, evitando di considerarsi totalmente immuni da colpa e di ritenersi la parte “buona” della magistratura in contrapposizione con quella “cattiva”.
Indubbiamente saranno anche necessarie modifiche di natura tecnica (rivalutazione del criterio di anzianità nella scelta dei direttivi e semidirettivi, maggiori poteri istruttori dei Consigli Giudiziari nei pareri e nelle valutazioni di professionalità, riforma del CSM e della sua legge elettorale etc), che, per la loro complessità, meritano di essere dibattute in incontri dedicati, ai quali avrò il piacere di partecipare.
Rispetto e comprendo la posizione di chi, deluso ed amareggiato dall’ANM e dal Consiglio Superiore, ritenga sia opportuno uscire dall’ANM e/o eliminare i gruppi associativi, e suggerisca, come estremo rimedio, il sorteggio nella nomina dei Consiglieri al CSM.
E’ innegabile, infatti, che le idee portate dall’Associazione e dai gruppi associativi siano spesso degenerate in pratiche corporative, con una tendenza a logiche spartitorie, soprattutto nella nomina di direttivi e semidirettivi; vi sono stati straripamenti e condizionamenti sull’attività del CSM derivanti da un eccessivo peso dell’appartenenza a gruppi associativi; con coraggio ed onestà intellettuale dobbiamo dare atto di quanto è successo, ma, nello stesso tempo, prenderne nettamente le distanze per evitare di ripetere gli errori del passato.
E’ necessario combattere con tutte le nostre forze queste degenerazioni, ma all’interno dell’ANM e con gruppi associativi totalmente rinnovati, nella forma e nella sostanza, senza in alcun modo rinunciare al diritto, costituzionalmente garantito dall’art. 104 Cost, di eleggere attraverso il voto i rappresentanti nell’organo di autogoverno.
Non possiamo infatti dimenticare che in genere, ed in particolare per il magistrato (per il quale non è mai opportuno esporsi personalmente), è sempre l’associazione che dà forza e visibilità alle posizioni individuali; è velleitario, oltre che incostituzionale, il tentativo di “eliminare” i gruppi associativi, non potendosi mai cancellare in nessun modo il pluralismo ideale e culturale esistente nel campo della magistratura; anche quanti oggi appaiono uniti, come movimento, nell’idea di eliminare i gruppi associativi, sono destinati ad evolversi (come nella realtà sempre avvenuto) ed a formare anch’essi un nuovo gruppo associativo; in particolare è velleitario, oltre che incostituzionale ed umiliante per tutta la magistratura, il tentativo di eliminare i gruppi associativi attraverso il sorteggio dei componenti il CSM.
Unicost ha avvertito questa esigenza di rinnovamento, che non dubito sia sentita anche da tutti gli altri gruppi, ed un numero rilevante di colleghi (circa ottanta), giovani e meno giovani, ha lavorato da giugno 2020 sino ai primi giorni di febbraio 2021 in Assemblea Costituente, in un clima di continuo dialogo e confronto, per avviare un percorso di rinnovamento del gruppo, teso al recupero delle sue radici, giungendo ad elaborare un nuovo statuto, la cui lettura su alcuni punti mi ha veramente emozionato, e che sarà a breve sottoposto all’esame dell’assemblea generale per la sua approvazione; nello statuto si afferma espressamente che nei rapporti con gli organi di autogoverno “il magistrato deve rifuggire da qualsiasi logica di appartenenza, facendo ricorso, nell’assunzione delle deliberazioni, a criteri obiettivi e meritocratici, tesi alla valorizzazione della professionalità”, e che “costituisce causa di esclusione dal gruppo ogni condotta volta ad incidere impropriamente sulle decisioni del Consiglio superiore della magistratura in tema di conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, conferma degli stessi ed in ogni altra pratica concernente lo status giuridico e amministrativo dei magistrati”; dallo statuto è previsto, inoltre, un “patto etico” in cui il candidato al CSM, sostenuto da Unità per la Costituzione, si impegna, nell’ipotesi in cui venga eletto, a pena di esclusione dal gruppo: 1) ad esercitare la funzione con integrità, trasparenza e senza vincolo di mandato, 2) ad astenersi da interlocuzioni su situazioni riferite al singolo magistrato (in particolare, in materia di incarichi, tramutamenti, disciplinare ed incompatibilità ambientale) finalizzate ad interferire nelle decisioni dell’organo consiliare; 3) a non favorire soggetti in quanto appartenenti a gruppi associativi; 4) a contrastare le logiche spartitorie o di appartenenza”.
Condivido appieno i principi del nuovo statuto ed il patto etico, e, in caso di elezione al CSM, mi impegnerò con tutte le mie forze per tradurre quanto enunciato in effettivi quotidiani comportamenti.
Mi auguro che il mio massimo impegno possa fornire un minimo contributo per far riguadagnare all’intera magistratura la credibilità e la fiducia di tutti e per far crescere l’entusiasmo dei giovani magistrati e la loro fierezza nell’esercitare “il mestiere di giudice”.
Mario Cigna
Pubblichiamo la proposta di legge ex art. 10 legge 195/1958 con cui si chiede al Ministro della Giustizia di esaminare la possibilità di una modifica normativa che permetta l’applicazione dei Giudici Onorari anche presso le Corti d’Appello per i soli procedimenti ex lege Pinto ((relatore Consigliere AURIEMMA).
L’eventuale accoglimento di tale suggerimento istituzionale (per situazione diversa da quelle contemplate dal recente decreto legge “del fare”) alleggerirebbe i carichi di lavoro degli Uffici di secondo grado sopratutto nelle sedi di minori dimensioni.
La proposta prende spunto dalla nota in data 12 novembre 2012 del Presidente della Corte di Appello di Perugia, Dott. Wladimiro DE NUNZIO, avente ad oggetto:
Rimedi per superare le difficoltà della Corte di Appello di Perugia gravata dai procedimenti ex Lege Pinto.
La Commissione propone al Plenum di adottare la seguente delibera:
«Come è noto gli ultimi anni si sono caratterizzati per un aumento costante ed incalzante dell’erogazione da parte dello Stato degli indennizzi pagati ex lege cd. Pinto – legge 89/2001 (passati dai 1622 del 2001 ai 7299 nel 2008).
Proprio tale progressivo aumento delle richieste di indennizzo ha indotto il legislatore, con il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto “decreto sviluppo”), pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11 agosto 2012, a modificare la l. 89/01, cd. legge Pinto.Una delle principali novità introdotte consiste nel superamento del precedente assetto che rimetteva il procedimento, avente ad oggetto la fondatezza del ricorso e la liquidazione degli importi, davanti alla Corte d’appello in composizione collegiale, con instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’amministrazione responsabile ed attraverso una pluralità di udienze.
La novella, invece, immagina un procedimento avente uno svolgimento diverso, in quanto prende avvio con la parte che presenta ricorso al presidente della Corte d’appello competente, il quale designa un giudice competente alla trattazione della causa, che, a sua volta, emette un decreto sulla base dei documenti presentati dalla parte. Tale decreto può, poi, essere oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte d’appello, in composizione collegiale. In tale fase si svolge in contraddittorio tra le parti ed è regolato nelle forme semplificate del procedimento camerale (artt. 737 ss. c.p.c.).
La nuova soluzione normativa ha, in ultima analisi, semplificato ed accelerato la definizione del contenzioso in materia di violazione della durata ragionevole del processo, al contempo salvaguardando le garanzie del giusto processo.
L’articolazione in due fasi del procedimento di liquidazione dell’indennizzo per violazione del principio della ragionevole durata dei processi civili non è l’unica novità introdotta dal legislatore, avendo esso avuto cura di altresì precisare specifiche cause di non indennizzabilità della pretesa e la misura delle somme risarcibili sulla base di soglie predeterminate nel limite minimo e massimo.
Con la novella in esame sono stati altresì fissati i termini della durata nei diversi gradi di giudizio sulla base di parametri acquisiti dalla giurisprudenza (sei anni complessivi: tre per il primo grado; due per l’appello ed uno per il giudizio per cassazione: in tal senso cfr. Cass. 29 marzo 2010, n. 7559).
Il quadro complessivo consente di affermare che, quanto meno nella fase monitoria, la delibazione della ricorso non richieda necessariamente una raffinata capacità di elaborazione tecnica -giuridica, quanto piuttosto l’esame approfondito della documentazione prodotta a conforto della relativa istanza ed il conseguente giudizio di sussunzione ben guidato dai parametri posti dal legislatore e da una consolidata elaborazione giurisprudenziale.
Inoltre, si badi bene, il giudice non è obbligato a spendere articolati passaggi motivazionali in sede di redazione del decreto monitorio, potendo anche rifarsi per relationem alla premessa espositiva del libello difensivo.Proprio tali superiori considerazioni, in uno al rilievo per cui taluni distretti di Corte di appello, nonostante il nuovo modello processuale, continuano a trovare difficoltà a dare tempestiva risposta alle domande, continuando, così, ad esporsi a possibili ulteriori richieste di indennizzo per violazione del principio di ragionevole durata, inducono questa commissione a proporre al Ministro della Giustizia una riforma del disposto dell’art. 110 ordinamento giudiziario, onde consentire l’applicazione di giudici onorari, attualmente incardinati presso gli uffici di primo grado, presso le Corti di appello al fine di esitare la sola fase monitoria dei procedimenti innanzi descritti.
Tale riforma, da un lato, verrebbe incontro alle pressanti richieste provenienti da alcune corti di appello, come detto, attualmente invase da un numero soverchiante di richieste di liquidazione, consentendo, così, di liberare energie lavorative da destinare alla definizione di procedimenti ben più complessi e rilevanti, dall’altro, non si esporrebbe al possibili censure ex art. 106 II co. Cost., secondo cui le legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli. Va, infatti, sul punto, considerato che la fase monitoria è, come visto, trattata dalla Corte di appello in composizione monocratica, di modo che non vi è timore che il giudice onorario applicato possa essere coinvolto in decisioni collegiali, le quali devono rimanere, secondo questa proposta di riforma, di competenza esclusiva dei giudici togati.
Per altro verso, preme evidenziare che la Corte di appello nei giudizi in discorso non opera come giudice di gravame di merito, bensì come giudice in un unico grado, per cui al giudice onorario non sono così attribuite competenze di appello. Nei Tribunali ai got non solo non è inibita l’emissione di decreti ingiuntivi, ma gli stessi possono decidere le cause di opposizione, anche in riferimento ai decreti da loro emessi (a meno che in tabella non sia prevista una specifica incompatibilità, che in linea astratta è esclusa). Nella soluzione prospettata invece ai got, addetti alla trattazione dei decreti ingiunzione ex lege Pinto, verrebbe attribuita la
sola fase monitoria, restando il giudizio di opposizione avverso il decreto ingiunzione riservato ai giudici togati.
Inoltre per evitare prassi non virtuose la norma dovrebbe prevedere una forma di responsabilizzazione dei presidenti di sezione cui sarebbero affidati i got per la fase monitoria. All’uopo, sarebbe opportuna una previsione esplicita che imponga riunioni periodiche per stabilire le linee guida per la liquidazione nonché un monitoraggio trimestrale sui provvedimenti sempre a cura del presidente.
Peraltro i giudizi di opposizione intentati anche dal Ministero della
Giustizia e dal Ministero delle Finanze sono numerosi, segno evidente di un controllo capillare dei decreti ingiunzione da parte della p.a..
La soluzione prospettata risolverebbe inoltre il problema, annoso per le piccole Corti di Appello, rappresentato dalle continue e frequenti incompatibilità dovute al disposto di cui all’art. 5 ter, comma 3, legge 89 del 2001, secondo la quale del collegio non può far parte il Giudice che ha emanato il provvedimento impugnato: attualmente i piccoli uffici devono prevedere udienze con non meno di quattro componenti, al fine di ovviare alle altrimenti inevitabili incompatibilità. Tale inconveniente non si verificherebbe qualora i decreti ingiunzioni fossero affidati ai GOT.
Quanto poi alle liquidazioni delle spese processuali occorre evidenziare che nei procedimenti ex lege Pinto il Giudice deve applicare riguardo alla fase di opposizione, stante la natura contenziosa, l’art. 9 del decreto 140 del 2012 – che prevede che “nelle controversie per l’indennizzo da irragionevole durata del processo, il compenso può essere ridotto fino alla metà” – e riguardo alla fase monitoria i compensi previsti per i procedimento per ingiunzione (per i ricorsi di valore fino a euro 5.000 – di fatto la maggioranza – un compenso da 50 a 700 euro e per quelli da euro 5.00 1 a euro 500.000 un compenso da 400 a 2.000 euro). Trattasi insomma di provvedimenti, nella stragrande maggioranza dei casi, di scarso valore anche sotto il profilo delle spese processuali, diversamente dalle controversie che sovente vengono affidate ai GOT nei Tribunali.
Da ultimo, preme evidenziare che la presente proposta non appare in alcun modo preclusa dal sopravvenuto decreto legge n. 69 del 21 giugno 2013 (cd. decreto legge del fare), che non consente affatto l’applicazione dei giudici onorari in servizio in Tribunale presso le Corti di appello di pertinenza al fine di definire la fase monitoria dei procedimenti per violazione del principio della ragionevole durata. Infatti, gli artt. 62-72 del detto decreto legge introducono la nuova figura del giudice ausiliario, quale magistrato onorario incaricato unicamente di comporre i collegi delle sezioni civili (ivi comprese quello competenti per la controversie in materia di lavoro e previdenza) delle Corti di appello al fine di contribuire alla definizione dei procedimenti pendenti in ossequio all’ordine di priorità indicato nei programmi di gestione elaborati ai sensi dell’art. 37, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il giudice ausiliario si affianca, dunque, senza sostituirle, alle già esistenti categorie di magistrati onorari (GOT, VPO, Giudici di Pace), di cui mutua lo stato giuridico (art. 72, comma 1), e si connota per l’assegnazione alla trattazione dei soli procedimenti civili (in senso ampio) pendenti in grado di appello, e quindi con la significativa esclusione di quelli nei quali la Corte di appello opera in unico grado, quali, tra gli altri, quelli di opposizione alla stima e di equa riparazione per il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito per l’irragionevole durata di un processo.
Di qui la invariata pregnanza di significato ed attualità di interesse della presente proposta di riforma dell’ordinamento giudiziario.
Tutto ciò premesso, il Consiglio, propone al Ministro della Giustizia di novellare l’art. 110 ordinamento giudiziario al fine di consentire l’applicazione dei giudici onorari in servizio in Tribunale presso le Corti di appello di pertinenza al fine di definire la fase monitoria dei procedimenti per violazione del principio della ragionevole durata ex lege 89/0 1, come modificata dal d. l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134».
Intervento del Consigliere Michele Ciambellini
In ricordo di Giancarlo Siani
Trentacinque anni fa venne ucciso dalla camorra Giancarlo Siani, giornalista del Mattino di Napoli, appena ventiseienne. Un ragazzo sereno e pieno di vita, animato da forte passione civile. Innamorato del suo lavoro senza alcuna esaltazione o spirito di protagonismo.
Un uomo impegnato a trasmettere i valori della legalità anche mediante il suo impegno nel mondo dello sport, di cui sono testimone in quanto suo allievo.
La sua storia ci ricorda, ancora una volta, che le fondamenta delle democrazie moderne sono la verità, la giustizia, la memoria e la speranza.
Tutti valori inseriti come un filo d’oro nel drappo prezioso della nostra Costituzione.
Il compito di cercare la verità per offrirla alla società è, innanzitutto, dei mezzi di informazione. Ad essi il difficilissimo ruolo di cercare la verità senza paura, in autonomia rispetto ai propri editori, alle proprie fonti, persino rispetto ai propri lettori ed ascoltatori.
Alla Magistratura spetta ricostruire la verità processuale, applicando la legge al caso concreto, senza guardare in faccia a nessuno. Nemmeno a sé stessa, quando occorra. Sempre nel rispetto pieno delle regole del processo e del ruolo fondamentale della Difesa.
Non c’è verità degna di questo nome senza il rispetto delle regole del processo e delle garanzie costituzionali riconosciute a tutti i suoi protagonisti.
Al mondo della cultura ed alla società tutta spetta di mantenere viva la memoria delle verità così faticosamente acquisite. Fondamentale il lavoro svolto nelle scuole e nelle Università in questi lunghi anni dalla morte di Giancarlo. Un vivo ringraziamento ai presidi, agli insegnanti, ai docenti universitari, agli alunni, a tutto il mondo dell’associazionismo.
Alla politica spetta il compito più difficile: costruire la speranza di un futuro in cui i drammi del passato consentano di edificare un mondo ove i valori costituzionali siano realtà quotidiana.
Nel Consiglio Superiore, composto da avvocati, professori universitari e magistrati, queste responsabilità si fondono insieme.
Il sacrificio di Giancarlo Siani sia per tutti noi monito circa le nostre responsabilità, i limiti dei nostri poteri, il dovere di dare un leale contributo quotidiano alla verità, alla giustizia, alla memoria ed alla speranze civili del nostro Paese.
Intervento del Consigliere Francesco Cananzi
Ringrazio la Presidente della Camera, On. Laura Boldrini, il Ministro della Giustizia, on. Andrea Orlando ed il Ministro dell’Interno, On. Angelino Alfano, che interverrà successivamente per impegni istituzionali, nonché tutte le autorità presenti che si sono rese disponibili a questo confronto.
Ringrazio i Consiglieri nonché tutti i dirigenti ed i magistrati presenti, per il tempo sottratto al proprio quotidiano impegno.
Ci è sembrato necessario raccogliere l’invito del Presidente Mattarella che, come abbiamo ricordato nella introduzione al programma di questa giornata, recatosi al Centro Astalli il 20 giugno scorso, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, invitava a percorrere in tema di migrazioni le strade delle <buone politiche, serie e lungimiranti, che guardino al futuro>. Abbiamo inteso questo invito come rivolto anche alla giurisdizione, da qui l’esigenza di questo tempo di riflessione.
Un ringraziamento particolare va al Vicepresidente del CSM, On. Giovanni Legnini, che ha fortemente voluto questa giornata di confronto, a seguito dell’incontro che avemmo con il dott. Stephane Jaquemet, rappresentante per il Sud Europa del UNHCR, cogliendo la necessità di fermarci a riflettere su quella che potrebbe diventare un’emergenza giudiziaria se non riusciremo, facendo ciascuno la propria partead assicurare un dignitoso livello di tutela a chi ha diritto alla status di rifugiato, in forza degli obblighi che scaturiscono in primo luogo dalla Convenzione di Ginevra,
Pertanto cedo volentieri la parola al Vicepresidente Legnini, per il suo indirizzo introduttivo.
*****
I lavori della mattina si sono concentrati sui profili della organizzazione giudiziaria e dell’innovazione possibile, con un confronto sulle buone prassi e sulle difficoltà che si stanno sperimentando nei tribunali.
Con questo incontro ci poniamo, infatti, l’obiettivo di accrescere la sensibilità organizzativa verso le procedure ex art. 35 d.lvo 25/08, nell’ambito delle scelte tabellari, pur consapevoli delle difficoltà che incontrano i dirigenti per la penuria di magistrati e di personale amministrativo: è una giornata di ascolto e di proposta anche per il Consiglio Superiore.
L’obiettivo è quello di sostenere gli Uffici giudiziari al meglio, di mettere a disposizione le buone prassi ed i modelli organizzativi sperimentati in alcune realtà, nonché di creare un dialogo fra istituzioni che ci consenta di fare dei passi in avanti, come sistema, pur nelle diversità delle funzioni e nell’autonomia dei poteri, nell’interesse esclusivo di chi ha diritto allo status di rifugiato.
Non siamo all’anno zero: il CSM si è occupato dei diritti dei richiedenti asilo con il parere del 16 luglio 2015, con il quale chiedeva al Ministro della Giustizia di introdurre l’istituto dell’applicazione extradistrettuale straordinaria. La richiesta è stata accolta e recepita tempestivamente, con la legge n. 132 del 2015, che consentiva al Consiglio di assegnare 20 magistrati per le sedi maggiormente gravate dalle procedure afferenti il riconoscimento dello status di rifugiato.
Allo stato, pur a fronte delle difficoltà conseguenti alla scopertura degli organici dei magistrati, pari al 12% su base nazionale, il Consiglio ha destinato in via esclusiva alla trattazione di tali procedimenti sedici magistrati per diciotto mesi. Sono ancora in corso ulteriori bandi per la copertura dei residui quattro posti.
Si tratta di uno strumento che dai dati finora acquisiti, pur fra le molteplici difficoltà, al quinto mese di applicazione ha visto i primi magistrati, quelli destinati ai Tribunali di Bari, Brescia, Catania, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e Roma, divenire assegnatari complessivamente di 5620 procedimenti pendenti, già provvedendo costoro alla definizione per circa il 30%.
E’ un risultato significativo, che potrà certamente migliorare nel corso del prosieguo delle applicazioni.
C’è però da riflettere sulla possibilità di incrementare il numero di applicazioni possibili, aumentando per legge il limite delle venti unità ovvero di prorogare ulteriormente le applicazioni oltre il diciottesimo mese, qualora fossero risultate particolarmente efficaci.
Proprio in ragione dell’attenzione da riservare a formule organizzative virtuose, il CSM sta predisponendo nel nuovo Portale una sezione apposita da destinare esclusivamente ai temi della protezione internazionale: vi si troveranno in particolare buone prassi e convenzioni, come ad esempio quella stipulata dal Tribunale di Catania, nell’ambito del gruppo di lavoro Migrantes, che tende a semplificare le comunicazioni e le notifiche per le Commissioni Territoriali, accelerando così i tempi del procedimento; nonché a rendere disponibili le ordinanze emesse dal Tribunale per la Commissione territoriale, affinchè l’organo amministrativo abbia contezza degli orientamenti giurisprudenziali del tribunale.
Ogni progettualità organizzativa, come è noto, deve partire dal monitoraggio dei flussi dei procedimenti: quelli ex art. 35 d. cit., però, solo dal 1 gennaio 2016 hanno un codice oggetto specifico (110032), opportunamente introdotto dal Ministero della Giustizia.
Va qui solo ricordato che per il pregresso, con la delibera del 14 luglio 2016 il Consiglio ha auspicato che il Ministero provveda ad un rilevamento statistico straordinario per accertare quanti siano i procedimenti ex art. 35 già pendenti al 31.12.2015.
Da una stima assolutamente deduttiva, effettuata dall’Ufficio Statistico del Consiglio, in relazione ai codici oggetto “altri istituti e leggi speciali” ed “altri istituti relativi allo stato della persona ed ai diritti della personalità”, utilizzati prima del 1 gennaio 2016, risultava che al 31 ottobre 2015 vi fosse stato un incremento del 194% dei procedimenti pendenti, rispetto all’anno 2014, nella misura di 11.666 processi in più, con elevata probabilità dovuti in larga parte alle impugnazioni di cui all’art. 35 cit. iscritte nel corso del 2015.
Occorre pertanto censire la complessiva pendenza dei procedimenti ex art. 35 d.cit per poter programmare il futuro ed il Consiglio vi provvederà, per propria parte, con una interlocuzione diretta con gli uffici, secondo un format già definito e già disponibile sul sito internet, che consenta anche di verificare il numero di Got impiegati in tali procedure.
La sezione del nuovo Portale del Consiglio porrà inoltre a disposizione dei magistrati, e probabilmente in prospettiva anche agli avvocati e ai componenti delle commissioni territoriali, una raccolta organizzata di casi giurisprudenziali, un’area destinata alla giurisprudenza di merito, legittimità e comunitaria, mentre potrebbe fornire ai magistrati le Informazioni ufficiali sui Paesi di Origine (COI), contando sull’auspicata collaborazione del Ministero degli Interni, al fine di sostenere il giudice, che deve confrontarsi con l’attenuato principio dell’onere della prova proprio del procedimento ex art. 35.
I lavori di questo pomeriggio, quindi, sono tesi a comprendere, con l’interlocuzione significativa fra le Istituzioni che si occupano della protezione internazionale e delle migrazioni, quale sia la strada che si intende percorrere, quali le prospettive politico-legislative nazionali, europee, internazionali.
C’è una priorità per la giurisdizione, quella di coniugare la qualità delle decisioni con le quantità crescenti di procedimenti, priorità che è propria di ogni ambito di intervento dei giudici: ma che deve essere ancor più presente quando in gioco sono i diritti inviolabili della persona, come riconosciuti dall’art. 2 e declinati dall’art. 10 c. 3 della Costituzione nel diritto di asilo.
Credo che si debba essere orgogliosi della nostra civiltà giuridica e dell’impegno della magistratura italiana, che ha fatto crescere nel paese dagli anni ’70 del secolo scorso ad oggi, la consapevolezza della precettività dei diritti costituzionali, indicando la strada colta in alcune occasioni anche ad un legislatore attento: penso ai diritti dei lavoratori, al diritto alla salute, ai diritti ambientali.
La relazione fra fonti nazionali, eurounitarie e internazionali richiede e richiederà che la magistratura italiana operi ulteriori azioni ermeneutiche, che abbiano a cuore il senso delle disposizioni costituzionali e la tutela della dignità umana. E anche se di tutto questo non si troverà traccia nelle classifiche internazionali del <doing business>, alla magistratura spetta ricordare che la giustizia non si riduce alle sole logiche economicistiche, ma è chiamata a contemplare, come l’impianto costituzionale suggerisce, anche i diritti umani e sociali accanto a quelli economici.
Non c’è spazio alcuno, né giuridico né politico, che consenta di rinunciare ad una adeguata, reale ed efficace verifica giurisdizionale sullo status del richiedente, cosicchè l’auspicio è che non si vada verso semplificazioni procedimentali che frustrerebbero la giustezza delle decisioni in merito alle domande di asilo, riducendo la delibazione da parte dell’autorità giudiziaria o escludendola con respingimenti indifferenziati e di massa.
Anche un solo diritto di protezione ingiustamente negato è una lesione non sopportabile per l’Europa. E’ questione di civiltà giuridica che deve animare l’idea della nuova Europa, da costruire dopo Brexit. Quella dei migranti è una sfida, che è prima di tutto politica, dalla quale l’UE potrebbe trarre una nuova identità.
L’UE ha bisogno di una politica forte che riscopra le proprie radici, quelle che ne ispirarono l’istituzione dopo la seconda guerra mondiale: la ricerca della pace e della giustizia, la volontà di futuro, la solidarietà, i diritti umani sociali.
Ma accanto ai diritti, proprio per renderli sostanziali e non formali, deve scoprire i doveri, come per altro chiedeva Aldo Moro, che abbiamo ricordato nel centenario della nascita, allorquando affermava che <la stagione dei diritti sarà effimera se non nascerà una nuova stagione dei doveri, un nuovo senso del dovere>, a cominciare da quello di solidarietà.
Occorre poi, tornando alle procedure, un tempo adeguato per la decisione, che consenta al richiedente di comprendere quale sia la propria condizione: tempo adeguato ma non eccessivo, quale quello che si sperimenta invece in Italia in alcune realtà, che alimenta nel richiedente asilo situazioni di inerzia, di parassitismo, se non a volte forme di disagio mentale nell’attesa del giudizio.
Non è facile confrontarsi con il populismo, ma una politica autorevole è in grado di contrapporvisi con la serietà delle misure messe in campo: in tal senso dovrebbe andare la generalizzazione dei percorsi di accoglienza integrata dello SPRAR, che mi sembra sia potenzialmente contenuta nel decreto del Ministro dell’Interno del 10 agosto 2016, teso ad ampliare e favorire la rete degli enti locali che eroghino servizi di assistenza per rifugiati e richiedenti asilo.
Il fenomeno migratorio si è ancor più intensificato verso l’Europa dal 2011, a partire dalle cd. primavere arabe, ed oggi si è implementato a causa del conflitto nell’area siro-irachena, assumendo caratteristiche che nel 2015 hanno coinvolto l’Unione Europea in modo significativo – ad esempio con l’afflusso di un milione di profughi siriani, ma certamente in misura minore rispetto a quanto sia accaduto per la Turchia, che ne accoglieva 2.700.000, il Libano, più di un milione, la Giordania 640mila.
Se il fenomeno delle migrazioni scaturisce dall’instabilità e dai conflitti nell’area mediorientale e dalle complesse situazioni etnico-religiose e politiche dell’Africa sub sahariana, oltre che dalle persecuzioni per ragioni religiose, dai disastri ambientali, dalla nuove forme di schiavitù nel lavoro, le cause delle migrazioni non si risolvono solo in questi ambiti , ma trovano una loro origine anche nelle disparità delle condizioni sociali, umane, economiche tra le diverse parti del pianeta, amplificate dalla globalizzazione delle informazioni.
Condizioni che per altro hanno sempre, nella storia, determinato flussi migratori e che rendono oggi anche più attuali le parole che Emma Lazarus, poetessa americana, nel 1883 faceva dire alla Statua della Libertà, eretta nella baia di New York per accogliere i migranti provenienti da ogni parte del pianeta:
<A me date i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste>.
Una descrizione, questa, dei tanti migranti fuggiti dalle persecuzioni e dalla miseria e giunti negli Stati Uniti dalla fine del 19esimo secolo, non dissimile da quella che oggi l’Unione Europea si trova a dover governare e non diversa dalle immagini delle carrette del mare che, anche nel corso di questa estate, abbiamo visto intercettate e salvate dalle nostre forze armate e di polizia, alle quali va il nostro ringraziamento per questa azione di civiltà e solidarietà.
Le migrazioni non sono eventi saltuari, ma sono un fenomeno costante, più o meno intenso, che ha costituito, come la storia dell’umanità ci insegna, anche una risorsa ed una fonte di sviluppo e di progresso.
Non a caso Ban Ki-moon, Segretario Generale dell’ONU, in occasione della Giornata delle Nazioni Unite dedicata ai rifugiati, appena il 21 settembre scorso, dopo aver ricordato di essere stato egli stesso rifugiato a seguito della guerra in Corea, ha affermato che quel vertice, dedicato in particolare ai giovani rifugiati , celebrava anche <i vantaggi della mobilità umana globale. Stiamo dimostrando – aggiungeva – che i rifugiati e migranti sono partner cruciali. È per questo che non vedo l’ora di sentire dai giovani rifugiati qui oggi: conoscono le sfide e le opportunità meglio di chiunque altro>. Rifugiati e migranti, quindi, occasione di progresso.
La sfida è, quindi, quella che il Presidente Mattarella ci invita a raccogliere: politiche serie e lungimiranti, dicevamo, quindi anche politiche giudiziarie serie e scelte organizzative lungimiranti.
La magistratura sta facendo ed ancor più dovrà fare la sua parte.
Il fenomeno migratorio va affrontato con senso di realtà e di responsabilità, governandolo in maniera solidale ed intelligente, ma non senza garanzie per la sicurezza.
Consentitemi di chiudere ricordando un evento storico avvenuto nel cuore dell’Europa, il 26 giugno 1963: John F. Kennedy a Berlino , nel famoso discorso nel quale si diceva cittadino di Berlino, di fronte al muro eretto per dividere la città, aggiungeva:
<La libertà ha molte difficoltà e la democrazia non è perfetta. Ma non abbiamo mai costruito un muro per tenere dentro i nostri ….il muro è la più grande e vivida dimostrazione dei fallimenti del sistema comunista — tutto il mondo lo può vedere — ……. è (…) un’offesa non solo contro la storia, ma contro l’umanità, separa famiglie, divide i mariti dalle mogli, ed i fratelli dalle sorelle, divide un popolo che vorrebbe stare insieme.(…) La libertà è indivisibile e quando un solo uomo è reso schiavo, nessuno è libero>.
Credo che quando sentiamo riecheggiare le intenzioni di costruire muri a Calais come in Austria e nell’est Europa, debbano tornare alla nostra mente queste parole: la libertà è indivisibile, se ad un sol uomo si nega con un muro la libertà di muoversi, nessuno sarà più libero.
Vorrei aprire questo confronto cedendo la parola alla Presidente della Camera, On. Boldrini, ringraziandola per la sua presenza e per il contributo certamente qualificato che saprà fornirci , ancor più perché vissuto in forza dell’esperienza avuta quale portavoce della Rappresentanza per il Sud Europa dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Le cedo la parola con l’auspicio che si apra il tempo della comunicazione e del dialogo tra i popoli dell’Unione e che il tempo dei muri sia quanto prima sepolto per sempre nella nostra Europa.
Video dell’intervento ( Radio Radicale)
Una delle sfide per il Consiglio Superiore sarà la capacità di fondare le proprie decisioni su una misurazione, il più possibile precisa, del lavoro dei magistrati italiani. Si tratta di dare finalmente un contenuto ai concetti normativi di standard di rendimento (l’indicatore che valuta la laboriosità dei magistrati ai fini della loro valutazione di professionalità, numero o fascia quantitativa al di sotto della quale si possono presenta-re criticità sotto il profilo della produttività) e di carico esigibile (il parametro utilizzato per i programmi di gestione, obbligatori nel settore civile e in fase di introduzione anche per il settore penale: la circolare prevede che venga estratta la media esigibile del precedente quadriennio e sulla base di quella si programmi la produttività futura, po-tendo il dirigente decidere di mantenere la produttività dell’anno precedente, di diminuirla entro il 15% o aumentarla entro il 15%, con l’obbligo poi di spie-gare perché eventualmente si prevede di diminuire o aumentare la produttività media esigibile al di là del-la soglia), ma soprattutto si tratta di valutare il lavoro “pretendibile”, cioè la quantità di lavoro che il singolo magistrato può sostenere assicurando una risposta di giustizia di qualità, oltre la quale saranno possibili ritardi, errori, in-giustizia.Il lavoro del giudice è lo stesso in tutto il Paese, a cambiare sono il contesto sociale in cui si opera, le dimensioni e le condizioni degli uffici, le dotazioni di personale e risorse: è perciò necessario uno sforzo che consenta di dare un “valo-re”, un “peso”, al lavoro di ogni magistrato, che spesso è fatto di molteplici attività, non tutte riducibili in termini di “numero di sentenze” e “numero di procedimenti definiti”.
Una misurazione del lavoro che tenga conto di tutto – come quella, effettivamente, proposta di recente dalla ANM, che però non ha ancora trovato ingresso nei lavori consiliari – può avere molteplici effetti: esiste infatti un limite oggettivo alla capacità dei magistrati di far fronte ad una domanda di giustizia che cresce in misura esponenziale e in modo disomogeneo, alla quale deve darsi una risposta che non può essere affidata alle ri-sorse esistenti, dovendosi con forza richiedere adeguati aumenti di organico, di personale e di risorse e migliore redistribuzione delle stesse.
Come valutare
Le valutazioni periodiche di professionalità (previste per legge), oltre ad essere un elemento di verifica utile, sono una occasione preziosa per ciascun magistrato per rappresentare all’esterno il proprio lavoro e la propria esperienza professionale. Si può pensare a come semplificare il procedimento, ma senza ridurlo ad una “presa d’atto senza rilievi”: occorre pensare che si tratta dell’esito di una cooperazione tra il magistrato, al quale è affidato il compito di descriversi nell’autorelazione, indicando tutto ciò che qualifica il suo percorso: ruolo, specializzazione, provvedimenti significativi, attività di collaborazione, ecc.; il dirigente (o il semidirettivo), che deve redigere un rapporto basato sulle proprie conoscenze del lavoro del collega e delle sue specificità; il Consiglio Giudiziario, che ha il compito di raccogliere e vagliare le informazioni così ricevute, alla luce delle particolarità del distretto; il Consiglio Superiore, che opera la valutazione finale.Questa non consiste in un giudizio di valore, ma certifica la presenza dei vari indicatori, che possono avere un rilievo per qualsiasi altra situazione, dal con-ferimento di incarichi ai procedimenti disciplinari, e soprattutto consentono di valutare oggettivamente il lavoro dei magistrati, tenendo conto delle condizioni e dei carichi di lavoro quando vi sono elementi di criticità. Nelle valutazioni di professionalità devono tenersi separate le vicende disciplinari, ad esempio evitando che si attenda la definizione del giudizio disciplinare, per il quale non vi sono termini prefissati e che rischia di bloccare la progressione di professionalità, quando vi sia un parere positivo del Consiglio Giudiziario, ed escludendo l’incidenza automatica delle sanzioni disciplinari per illeciti funzionali (es. ritardi) in assenza di altri elementi di criticità.
Sono nettamente contraria al c.d. diritto di tribuna, ovvero alla possibilità che gli avvocati presenti nel Consiglio Giudiziario assistano alle discussioni e alle decisioni adottate in composizione ristretta: occorrerà vigilare, ed eventualmente opporsi con forza, nei modi più opportuni ed efficaci, alla proposta – che viene avanzata da alcune parti politiche – di coinvolgere i “laici” nelle valutazioni di professionalità, ricordando che si tratta pur sempre di parti private, e di professionisti che continuano a svolgere la propria attività professionale negli stessi uffici in cui operano i magistrati che dovrebbero valutare, con prevedibili interferenze nella serenità di giudizio e nel rispetto dei diversi ruoli.
Incarichi e responsabilità
Incarichi direttivi e semidirettivi: costituisce l’aspetto più sensibile dell’attività del CSM, anche se non è la parte più importante. Occorre partire dal concetto che non si tratta di posizioni di privilegio o di ‘premi alla carriera’ – i magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni: art. 107 Cost. – ma di un servizio che si rende per una migliore organizzazione degli uffici e nell’ottica di una gestione il più possibile par-tecipata (sotto questo profilo, ad esempio si potrà verificare, in sede di conferma e/o di proposta tabellare, che chi ricopre questo tipo di incarichi svolga effettivamente il lavoro giudiziario, soprattutto nel caso di semidirettivi, nella misura prevista).Credo si debba mantenere la discrezionalità faticosamente conquistata negli ultimi anni ed evitare di ancorare i giu-dizi a parametri rigidi come era la sola “anzianità senza demerito”. Si deve tener conto dell’attività professionale svolta (e dunque l’anzianità, intesa come esperienza acquisita in un settore, con giudizio positivo in occasione delle valutazioni, dovrà essere valorizzata) e di quant’altro il magistrato ha fatto – con impegno e risultati effettivi –e che lo rendono in grado di assumere lo specifico incarico per cui concorre.
Per evitare scelte oggetto di censure da parte del giudice amministrativo e incomprensibili ai colleghi, tuttavia, cre-do sia necessario graduare indicatori generali, indicatori specifici e merito: l’attuale gerarchia prevista dal TU dirigenza può essere, di fatto, sovvertita dal CSM e ciò dà luogo ad un contenzioso spesso infinito, deleterio per gli uffici. Stabilire dei requisiti più netti – ad esempio un periodo minimo di esercizio delle medesime funzioni da ricoprire, o una soglia mini-ma di anzianità più elevata di quella attuale, o un periodo minimo di permanenza nell’incarico prima di poter presentare nuove domande anche per i posti apicali – permette delle decisioni più prevedibili (consentendo a ciascuno di partecipare ai concorsi solo se in possesso di requisiti minimi). Per sottrarre il conferimento degli incarichi direttivi alla logica della spartizione si dovrà ovviamente curare la tratta-zione delle pratiche in stretto ordine cronologico evitando la trattazione congiunta di più pratiche al Plenum; può essere utile, soprattutto per determinati incarichi, procedere all’audizione dei candidati.
Va portata attenzione al rispetto del giudicato amministrativo: se è vero che il giudice amministrativo non può sostituirsi al Consiglio nel conferimento degli incarichi, è un’esigenza ormai sentita che il potere del CSM debba essere esercitato nel rispetto della normativa primaria e secondaria, oltre che dell’obbligo di motivazione. Ne consegue che dopo una sentenza di annullamento (di primo grado esecutiva o passata in giudicato), il Consiglio dovrà procedere – ovviamente se ne sussistono i presupposti, in base al tipo di decisione assunta dal g.a. – non ad una mera “nuova motivazione” ma ad una più completa “nuova valutazione” dei profili dei candidati, senza automatismi ma adottando la nuova decisione con responsabilità (e ovviamente conformandosi al giudicato quando preciso e puntuale).
Procedimenti disciplinari
Con forza va ribadito che il procedimento disciplinare dovrà essere severo verso chi tradisce la funzione giudiziaria (c.d. disciplinare da abuso) e dà all’esterno l’immagine di scarsa credibilità valutando con equità, al contra-rio, gli illeciti c.d. funzionali, in cui incorrono soprattutto i magistrati più laboriosi e scrupolosi (ridardi, scarcerazioni ritardate…): i magistrati non devono rispondere per fatti riconducibili a carenze e negligenze esterne o non dipendenti dal loro operato.
Va ripresa con energia la pratica, adottata in sede di plenum nella scorsa consiliatura su proposta dei consiglieri di Unicost, volta a richiedere al Ministro l’adozione di ogni iniziativa opportuna per introdurre legislativamente l’istituto della riabilitazione, relativamente agli illeciti disciplinari sanzionati con ammonimento e censura (tra i quali quelli per ritardo nel deposito dei provvedimenti). Credo infine che qualora all’esito del procedimento disciplinare intervenga una sentenza di assoluzione, la vicenda non debba avere alcun ulteriore rilievo in altra sede.

Indice
Elezioni del Consiglio Superiore della Magistratura
- Centralità della giurisdizione
- Per un fare trasparente
- La sfida di una autonomia responsabile
- Il profilo del progetto comune
Linee programmatiche
Profili programmatici
- Tutela dell’indipendenza esterna
- L’Organizzazione degli uffici
- Gli standard medi di rendimento
- Gli incarichi direttivi e semi-direttivi
- Il Pubblico Ministero
- La valutazione di professionalità
- La mobilita dei magistrati
- La responsabilità disciplinare
- Le incompatibilità per ragioni di parentela e le incompatibilità “ambientali”
- Gli incarichi extra giudiziari
- La Corte di Cassazione
- Il Comitato Pari Opportunità
- La magistratura onoraria
- I Consigli giudiziari
- La questione economica
- La Scuola
Gli Approfondimenti
Parere sulla riforma delle piante organiche dei Tribunali e delle Procure.
Sig. Ministro,
il parere che oggi rendiamo sullo schema di decreto ministeriale in ordine alla determinazione delle piante organiche si inserisce nell’ambito di un percorso che il CSM, ed in particolare la settima commissione, in questo biennio ha provato a tracciare.
E’ un percorso di metodo, prima di tutto, perché si fonda su un rapporto di interazione fra i vari soggetti del governo autonomo, i magistrati, i dirigenti, i Consigli giudiziari, il Consiglio, nella prospettiva di intendere il circuito del governo autonomo dei magistrati come un organismo che abbia un movimento di sistole e
diastole, dove le idee ed i progetti si arricchiscono delle esperienze virtuose, perché la realtà a volte offre spunti innovativi e consente di trovare soluzioni che l’applicazione teorica non coglie, pur senza cadere nella mera empiria.
Lo scambio osmotico fra realtà ed idee consente spesso di giungere a soluzione inaspettate di sintesi, decisamente migliori dei punti di partenza.
E’ questo il metodo che la settima commissione ha utilizzato in più occasioni, da ultimo per le linee guida in tema di intercettazioni e per le buone prassi, che attestano l’impegno, la responsabilità e la capacità organizzativa dei dirigenti e dei magistrati italiani: è questo il metodo dialogico che si è sperimentato anche nella fase istruttoria di questo parere, con il coinvolgimento dei consigli giudiziari.
Va per questo il mio ringraziamento ai Consigli giudiziari, ai Presidenti di Corte ed ai Procuratori generali, che nonostante i ritmi incalzanti, a ridosso del periodo feriale, ci hanno fornito elementi di valutazione indispensabili, con grande responsabilità e competenza.
Questione di metodo è anche quella di aver valorizzato, in questi due anni di consiliatura, il Comitato paritetico come luogo del confronto, luogo dove anche si realizza la leale collaborazione che l’assetto costituzionale richiede, nella autonomia dei ruoli del Ministero e del CSM e nella chiarezza delle rispettive posizioni.
Il Csm ha fornito dati ed indicazioni, ha chiesto di tenere in conto i fattori correttivi indicati nel parere (pendenze, turn over, ripartizione dei magistrati fra civile e penale, indici di scopertura delle piante organiche, ufficio per ufficio), valorizzati in modo significativo nell’elaborazione ministeriale ( da qui il ringraziamento al Capo di Gabinetto dott. Melillo ed ai capi dipartimento dott. Mura e Natoli e prima Barbuto): ciò che mi preme evidenziare è come il Comitato debba sempre, anche per il futuro, essere il luogo di una leale collaborazione biunivoca, da ricercarsi previamente, specie quando le determinazioni assunte implichino correlazioni – in via diretta o indiretta – con le reciproche competenze, intervenendo sull’in sé della giurisdizione o delle competenze del Ministero: fra servizi per la giustizia, organizzazione e giurisdizione vi è un labile confine, penso al tema dei registri informatici, che sempre richiede una reciproca previa interlocuzione.
Con questo parere, inoltre, il Consiglio prende atto di uno sforzo, non più procrastinabile, di accrescimento e ridistribuzione del numero dei magistrati assegnati al primo grado, per garantire un migliore servizio ai cittadini.
Sappiamo che la limitatezza delle risorse è il dato di partenza da colmare, ma allo stato occorre rispondere a questo deficit con razionalità.
Nel progetto ministeriale si rinviene un’opzione razionale di politica giudiziaria: il Consiglio esprime pertanto un giudizio complessivamente positivo seppur si evidenziano, come il Presidente Galoppi ha chiarito, criticità che continuano a sussistere e potrebbero essere colmate con un intervento correttivo e di riequilibrio della distribuzione in favore dell’area Sud-Isole e del Centro, di alcuni degli uffici di minima dimensione ed in favore dei tribunali metropolitani, anche in ragione della tendenza dell’accrescimento delle competenze distrettuali: da ultimo va evidenziato che proprio lo schema di decreto legislativo attuativo della direttiva 104/2014, per cui pende richiesta di parere al CSM, prevede l’attribuzione di competenze per le controversi da risarcimento del danno antitrust solo ai Tribunali delle imprese di Milano, Roma e Napoli,rispettivamente per tutti i distretti settentrionali, del centro e meridionali.
Il Consiglio offre con il parere anche la possibile soluzione per il recupero di posti non utilizzati: la riduzione della pianta organica dei magistrati distrettuali, di fatto stabilmente scoperta nella misura del 50%.
Proprio il principio di realtà – che deve fondare ogni valutazione di politica, anche giudiziaria – e la necessità di dare una risposta alle attese di alcuni uffici in grave e pluriennale deficit di organico, ci incoraggiano, pur consapevoli della perfettibilità di ogni intervento, non tanto ad offrire un parere favorevole – seppur corredato da
risolubili criticità – ad un progetto statico, bensì ad attivare un processo dinamico, quello di un cantiere che consenta ogni tre anni una verifica periodica dei flussi e delle pendenze, che tenga conto delle mutate condizioni ambientali e di contenzioso.
Sappiamo che ogni ragionamento sulla distribuzione degli organici dei magistrati impatta con il tema della assenza del personale di magistratura, attualmente nella misura del 12% su base nazionale, il che ovviamente incide sulla funzionalità degli uffici, riducendo l’efficacia di ogni programmazione, specie per gli uffici più disagiati.
Speriamo che di qui a tre anni, grazie all’ingresso di nuovi magistrati, possa ridursi la percentuale di scopertura, cosi come è auspicabile che trovi seguito lo sforzo fatto nel procedere all’indizione del concorso per 800 assistenti giudiziari.
La liquidità dei tempi che viviamo, i mutamenti della qualità e quantità del contenzioso (si pensi all’incremento esponenziale dei procedimenti per il riconoscimento dello status di rifugiato), la natura recente degli interventi sulla geografia giudiziaria, imporranno quindi di effettuare una verifica triennale specie per gli uffici accorpanti e di nuova istituzione, (come quello di Napoli Nord), per il quale la scienza statistica non può consentire una previsione attendibile di lungo periodo.
Alla liquidità occorre rispondere con la flessibilità dell’organizzazione: non è pensabile che le nuove piante organiche restino immutate per altri decenni.
Per altro, una verifica immediata andrà anche effettuata in ordine alla individuazione dei posti semidirettivi, che andranno calibrati all’esito della determinazione finale sulla nuova pianta organica.
Mi sia consentito concludere con un ringraziamento, al Presidente Galoppi per la forte determinazione e per l’acuto impegno profuso fin dall’inizio della sua presidenza ed al Consigliere Ardituro, con il quale abbiamo condiviso la scorsa annualità in settima ed i lavori del Comitato paritetico, ai componenti della settima commissione attuale e dello scorso anno, ma anche ai colleghi magistrati segretari ed ai funzionari della settima commissione e dell’ufficio statistico del Consiglio, che ci hanno consentito con grande professionalità e dedizione di rendere il parere in tempi assolutamente celeri.
Abbiamo un cantiere, Sig. Ministro, la vera scommessa è quella di non chiuderlo ma di mantenerlo aperto!
Francesco Cananzi
INTERVENTO DEL CONSIGLIERE RICCARDO FUZIO NELLA SEDUTA DI PLENUM DELL’8 MAGGIO 2013 IN OCCASIONE DEL CONFERIMENTO DELL’UFFICIO DIRETTIVO APICALE GIUDICANTE DI LEGITTIMITA’ DI PRIMO PRESIDENTE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
E’ con animo sinceramente combattuto che mi accingo a riferire sui lavori della Commissione Direttivi, da me presieduta, per il conferimento dell’ufficio posto al vertice della intera magistratura e ad esporre i motivi di una scelta.
1. Non è puro esercizio di stile affermare che i candidati al posto apicale della Corte di Cassazione sono tutti dotati di un profilo molto elevato e tale da legittimare per ognuno la scelta in loro favore.
Particolare menzione va fatta, anche qui in maniera schietta e non di maniera, per il cons. Gabriella Luccioli che, tra le altre qualità, ha espresso un percorso di limpida affermazione della figura della donna in magistratura e che ha saputo esprimere come giudice, nei propri provvedimenti, attenzione e sensibilità elevata per i diritti della persona.
Prima di affrontare le motivazioni della scelta in favore del cons. Santacroce consentitemi di esprimere un ringraziamento sincero al Presidente Ernesto Lupo che con attenzione culturale, tensione morale ed umile impegno quotidiano (qualità che ci ha voluto ricordare sono state l’insegnamento del suo maestro Brancaccio) ha dedicato tutta la carriera alla causa della giustizia del nostro Paese non sul piano meramente teorico o dottrinario ma come impegno del giurista – magistrato che si sente partecipe della funzionalità del sistema.
Diciamo grazie al Presidente Lupo ed a tutti i consiglieri, nessuno escluso, della Corte di Cassazione e, consentitemi, della Procura generale presso la Corte per avere difeso, con la propria incessante umile e faticosa attività quotidiana, il ruolo della giurisdizione e della sua autonomia in momenti tanto travagliati della nostra società in particolare in Italia in un panorama di ricorrente labilità normativa.
2. Oggi la Corte di Cassazione, per ragioni che non è possibile né del tutto opportuno, in questa sede, illustrare ha strenuamente difeso il proprio ruolo di orientamento della giurisprudenza ma, inevitabilmente, è scivolata verso una funzione di giudice di “terza istanza” con prevalenza quindi dello jus litigatoris sullo jus constitutionis.
Non si può non prendere atto del continuo dibattito che eminenti studiosi, penalisti e civilisti, hanno alimentato, soprattutto in questi ultimi venti anni, a partire dalla famosa bozza elaborata agli inizi degli anni ’90 dal presidente Brancaccio e dal Procuratore generale Sgroi – all’epoca componenti di diritto di questo Consiglio – e riconoscere che, se pur tanta strada e tante riforme si sono realizzate e superate, rimane il dubbio su come risolvere non il ruolo ambiguo del vertice ma secondo me l’alternativa, che il prof. Taruffo ha esposto da vari anni, tra il punto di vista “interno” di cui sono portatori essenzialmente i magistrati e che tende alla razionalizzazione dell’esistente ed il punto di vista “esterno”, non a caso rappresentato da chi non fa parte della magistratura, in cui prevale l’atteggiamento critico rispetto alla realtà attuale più propenso a cambiamenti radicali che investano la struttura e l’organizzazione complessiva dell’intero sistema giurisdizionale e non solo del suo vertice.
E’ una premessa questa necessaria perché la scelta che parte della Commissione ha operato e che sottopone al Plenum è stata proprio quella di operare una scelta che, nella obiettiva difficoltà di giudizi sulla professionalità di così valenti candidati, esprimesse non tanto una scommessa sulla qualità culturale e professionale della persona né un premio (il massimo previsto nel nostro ordinamento) alla carriera quanto il riconoscimento di una maggiore idoneità a ricoprire questo ruolo.
Ebbene la ragioni esposte nella proposta possono essere così sintetizzate.
3. Le peculiari caratteristiche organizzative e di funzionamento della Corte di Cassazione e la specialità delle funzioni direttive ivi svolte hanno indotto la Commissione a dare adeguato rilievo, a parità degli altri requisiti, all’elemento attitudinale del positivo esercizio delle funzioni direttive in ufficio con una situazione organizzativa e strutturale di grande dimensione e che richiede una ottimale organizzazione dell’ufficio e che alla sua direzione sia preposto un magistrato con qualità professionali concretamente sperimentate nei rapporti istituzionali.
Il dott. Santacroce, che ha svolto e svolge attualmente funzioni civili, ha maturato una grandissima esperienza in processi di primo grado, di appello e di cassazione di rilevanza nazionale come indicati nella proposta (dal terrorismo di destra e sinistra alla criminalità organizzata, dalla loggia P.2 alla revisione del processo Calabresi, dall’omicidio di Marta Russo a quello del delitto di Cogne per citarne alcuni), così acquisendo una capacità di gestione di processi ed impegni rilevanti per complessità e molteplicità dei temi da affrontare.
Ha sempre dimostrato oltre ad una straordinaria preparazione una speciale attitudine organizzativa che si manifesta in spiccata capacità a individuare le questioni rilevanti ad affrontarle, con rara propensione a semplificare le questioni complesse e a individuare immediatamente la soluzione migliore”. Qualità che lo hanno fatto apprezzare sia nella funzione giudiziaria di merito sia in quella di legittimità; estensore di sentenze aventi ad oggetto le problematiche più delicate e complesse.
Nel corso della sua lunga esperienza in cassazione, quasi 11 anni e mezzo, il dott. SANTACROCE ha dimostrato capacità dirigenziale attraverso “la presidenza di numerosi collegi”, la sua eccellente “laboriosità e capacità organizzativa .. nel coordinare, insieme ad altri colleghi, l’attività dell’ufficio “spoglio” destinato a selezionare tutti i procedimenti … allo specifico fine di un’ottimale formazione dei ruoli di udienza”.
L’attuazione della importante modifica che ha introdotto nel settore penale la sezione autonoma per l’inammissibilità dei ricorsi (art.610 c.p.p.) ha trovato nel dott. SANTACROCE un convinto assertore ed una particolare predisposizione al lavoro direttivo ed organizzativo facendolo entrare a far parte del gruppo di magistrati che, a partire dalla metà degli anni 2000, hanno avviato – sotto l’impulso e la guida del presidente Marvulli e del presidente aggiunto Carbone – l’ideazione e la programmazione di prassi virtuose di autoriforma del sistema giudiziario di legittimità.
In virtù di tali doti il dott. SANTACROCE ” ha attivamente partecipato alla riorganizzazione e razionalizzazione dell’attività attinente alla variegata gamma di materie assegnate alla prima sezione penale, dimostrando impegno, assoluta disponibilità ed acume giuridico” (parere del 10 maggio 2006); ha fornito un contributo rilevante alla organizzazione del lavoro con “la sua costante presenza in ufficio, quale addetto principale all’esame preliminare dei ricorsi, il continuo contatto con la cancelleria per dare suggerimenti ai fini di una più agile, valida ed efficace organizzazione, nonché la collaborazione con la Presidenza di sezione nella preparazione di periodiche riunioni fra i magistrati della Sezione al fine di dirimere o prevenire contrasti giurisprudenziali, divenendo un costante punto di riferimento, anche per il suo continuo aggiornamento professionale, espresso anche in varie relazioni congressuali su importanti tematiche” (parere del 16.3.2007).
Grazie a queste sue qualità, spese interamente nella giurisdizione – dato che, in questo contesto storico, merita di essere segnalato per non avere egli mai chiesto o accettato di essere collocato fuori ruolo – il dott. SANTACROCE ha qualificato subito la propria presenza nelle funzioni di legittimità divenendo presto relatore di importanti processi ed acquisendo la stima incondizionata di tutti i presidenti della prima sezione penale della Corte di Cassazione sino alle Sezioni Unite.
La convinta filosofia organizzativa del lavoro è stata subito riversata dal dott. SANTACROCE anche nella direzione della Presidenza della Corte di appello di Roma dove, con assoluto rigore morale ed indipendenza si è reso artefice della necessaria attività di vigilanza che ha condotto alla individuazione di episodi di forte criticità nell’ambito della sezione fallimentare del tribunale di Roma, oltre che agli interventi sui tribunali di Latina e di Civitavecchia.
Sul piano organizzativo ha adottato svariate iniziative per una maggiore comprensione delle realtà e dei problemi degli uffici con l’ulteriore profilo di merito di avere svolto funzioni con la doppia dirigenza per l’assenza per 3 anni su 5 del Dirigente della cancelleria.
Ha presieduto il Consiglio giudiziario con precise e puntuali prese di posizione anche nelle delicate pratiche relative alla valutazione di professionalità, supportando i magistrati in difficoltà, ma senza venir meno alle proprie responsabilità di censura e denuncia delle inefficienze delservizio.
Il profilo della capacità di direzione si è espresso, infine, nella valorizzazione massima del lavoro di squadra, nella suddivisione dei compiti, nella distribuzione di varie deleghe sempre poi controllate e vigilate, nella pronta risposta alle necessità emerse anche nel corso della ultima ispezione.
Il dott. SANTACROCE, inoltre, nell’esercizio delle funzioni di Presidente del Consiglio giudiziario, ha dato prova di particolare sensibilità nella percezione di eventuali disarmonie organizzative e nella indispensabile comprensione della concreta attuazione dei progetti e delle eventuali criticità sapendo coniugare autorevolezza e rispetto delle regole e distinguere tra autoritarismo e responsabilità del ruolo che si riveste.
Il dott. SANTACROCE non è assolutamente estraneo alla realtà della Cassazione, lo prova il suo progetto organizzativo con il quale ha dimostrato la conoscenza ampia delle problematiche attuali della Corte di Cassazione prospettando, pur mancandovi da cinque anni, una acuta capacità di analisi dei temi e delle problematiche con uno studio attento della dottrina, della giurisprudenza e della documentazione delle ultime relazioni inaugurali dell’anno giudiziario.
4. Prevalenza. Proprio rispetto a ciascuno di questi indicatori il profilo del dott. SANTACROCE prevale rispetto a quello di ROVELLI. Il pres. ROVELLI, che si pone ai vertici della elaborazione interpretativa di determinati settori del diritto civile e una notoria preparazione giuridica a livello accademico, presenta però esperienze direttive meno rilevanti rispetto alla complessità dell’organizzazione della Corte di Cassazione.
Mentre il dott. SANTACROCE ha sicure capacità di direzione di un ufficio complesso, un impegno costante al lavoro d’insieme.
In questo momento storico la Presidenza della Cassazione ha un doppio e gravoso onere: quello di proseguire sul piano organizzativo l’attività delle due precedenti Presidenze (Carbone e Lupo) e quello di rilanciare la funzione di orientamento della giurisprudenza. Un duplice obiettivo che richiede una necessaria capacità di coniugare il consolidamento dei risultati raggiunti con l’indispensabile realismo e pragmatismo.
Il dott. SANTACROCE, che “nasce” come magistrato civilista e non ha abbandonato la propensione all’approfondimento teorico del diritto mai però disgiunto dalle concrete implicazioni con la realtà fattuale e normativa, si dimostra magistrato provvisto di una più ampia visione di insieme della giurisdizione rispetto agli altri candidati e si propone come portatore di uno spiccato profilo attitudinale di carattere direttivo più confacente all’ufficio da conferire.
Nell’indicare le linee organizzative poste a fondamento del proprio programma organizzativo per la Suprema Corte, il dottor SANTACROCE dimostra, infatti, di ben conoscere la complessità della Cassazione e l’estrema importanza delle concrete modalità operative per l’individuazione e l’adozione delle migliori regole di organizzazione della sua attività.
La consapevolezza di questo ruolo da parte del dott. SANTACROCE emerge particolarmente nell’esposizione del suo progetto organizzativo nel quale dimostra di comprendere che non sono spendibili progetti miracolistici ma che per affrontare ed avviare a soluzione alcuni dei problemi che affliggono la Corte – come la maggior parte degli uffici giudiziari di merito – è necessario un programma coordinato di interventi di medio e lungo termine. A tal fine egli, prima di procedere ad innovazioni più efficaci, si propone di partire dalla verifica degli effettivi carichi di lavoro e dalla attenta ricognizione delle risorse. Un approccio, quindi, nel segno di una continuità realistica e non puramente di principio.
Il dott. SANTACROCE, in un compito così gravemente impegnativo, sembra offrire maggiore garanzia di un approccio sistematico e pragmatico insieme, affermando consapevolmente che “gli interventi costruttivi ed i propositi generosi non possono offrire effetti risolutivi se non sono inseriti in un piano organizzativo e operativo che sappia sfruttare le risorse umane”. In tale prospettiva afferma che la “principale risorsa di un ufficio giudiziario è il capitale umano e che, in un assetto organizzativo come la Corte di Cassazione, liberando le intelligenze si arricchiscono le dotazioni di base del sistema a parità di costi”.
Né tralascia il dott. SANTACROCE la consapevolezza del delicato compito della Cassazione come giudice di vertice della deontologia dei magistrati e degli avvocati.
Rispetto al livello di complessità richiesto, la specifica e maggiore rilevanza dell’esperienza svolta dal dott. SANTACROCE, pur se in ambito giudiziario di merito, concorre a delineare un suo profilo attitudinale prevalente quindi anche rispetto a quello, parimenti elevatissimo, del dott. ROVELLI.
Da ultimo, la Commissione ritiene che anche la maggiore conoscenza ed applicazione della nuova disciplina di ordinamento giudiziario consente al dott. SANTACROCE di essere preferito al dott. ROVELLI nell’attività di Presidente della Corte di Cassazione e del suo Consiglio direttivo e come componente di diritto del Consiglio superiore della magistratura offrendo, anche in tale veste, quella necessaria consapevolezza di rappresentare l’intera magistratura italiana, con le sue difficoltà e le sue pregevolezze con le sue responsabilità e le sue positività nella tenuta del sistema giudiziario italiano, all’interno del massimo organo di governo autonomo della magistratura.
Concludo affermando che, con questa nomina, assumiamo un impegno di responsabilità e, insieme a noi, lo assume chi sarà nominato a ricoprire un ruolo così importante nel momento di difficoltà della giustizia in Italia.Un onere pesante verso i consiglieri della Cassazione e verso tutti i magistrati italiani che hanno diritto ad avere un buon dirigente.
Con un auspicio che prevalga la libertà dell’intelligenza, rassicurando Lei Sig. Presidente che tutti i magistrati italiani sapranno offrire, nell’esercizio e nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni ed in piena e reale collaborazione con le altre istituzioni, un contributo efficace nel segno di quel ” coraggio innovativo” cui Lei ci ha invitato nel Suo ultimo messaggio.
INTERVENTO DEL CONSIGLIERE PAOLO AURRIEMMA NELLA SEDUTA DI PLENUM DELL’8 MAGGIO 2013 IN OCCASIONE DEL CONFERIMENTO DELL’UFFICIO DIRETTIVO APICALE GIUDICANTE DI LEGITTIMITA’ DI PRIMO PRESIDENTE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Vorrei innanzitutto esprimere la mia riconoscenza al Presidente del CSM che qui è a confortare ed a dare la massima legittimazione la difficile scelta che oggi dovremo operare.
Il Primo Presidente non rappresenta soltanto il vertice di un ufficio giudiziario, vertice di un ufficio e non dell’ordine giudiziario è chiamato a dirigere quell’Ufficio al quale è affidata la funzione di nomofilachia finalizzata a garantire l’uniforme interpretazione del diritto su tutto il territorio nazionale, ma accanto a questa funzione e probabilmente proprio in forza di questa funzione il primo presidente fa parte come componente di diritto del Consiglio Superiore della Magistratura.
Questa duplicità di funzioni, voluta dal Costituente esige che il magistrato chiamato a ricoprire l’incarico sia portatore non soltanto di significative esperienze professionali ma soprattutto di un rigore morale e di un prestigio culturale che lo pongano, non al di sopra, ma in una posizione diversa rispetto a quella degli altri componenti del CSM siano essi di estrazione magistratuale o di estrazione parlamentare.
Questa diversità di condizione del componente di diritto del CSM è fonte di grande autorevolezza per il magistrato chiamato a ricoprire l’incarico. Egli sarà tenuto a farne un uso oculato, attento, moderato, tale da essere spunto per evitare e per superare le spesso inevitabili contrapposizioni in vista di un superiore interesse dell’istituzione. Il terzo comma dell’articolo 104 della Costituzione, che prevede all’interno del Consiglio Superiore quali membri di diritto del primo presidente del procuratore generale della Cassazione, sottolinea il ruolo e la peculiarità di questo giudice rispetto le agli altri organi di giurisdizione superiore. Una sottolineatura coerente con il principio dell’ articolo 111 della Costituzione che stabilisce la essenzialità della presenza di tale giudice in qualsiasi in ogni controversia ove si discuta i diritti soggettivi e con le norme che assicurano la sua partecipazione alla formazione della Corte Costituzionale.
I capi di corte sono chiamati a comporre il vertice organizzatorio dell’ordine giudiziario. Dunque è la Costituzione che afferma la essenzialità della funzione di governo dentro un organo ben diversamente composto nella sua assoluta maggioranza. Una funzione di riferimento autorevole, di istituzionalità rassicurante che tale perchè almeno in teoria è in grado di evitare i rischi naturali di un organo che delibera votando anche sulla base di opzioni culturali legittimamente diverse. una funzione che esercitata saggiamente può aiutarci ad essere effettivamente autonomo.La Cassazione ha il compito di indicare non solo quale la legge ma quale il giudice che devi applicare.
La particolare natura dell’Ordine Giudiziario quale voluta dal Costituente che lo ha configurato come Ordine senza vertice, prevede che alla nomina del Primo Presidente, del primo magistrato d’Italia contribuisca ogni magistrato eletto dai giudici di merito.
Noi, che siamo magistrati di merito, prestati solo temporaneamente alla funzione di amministrazione della giurisdizione, forniamo con il voto, il nostro contributo alla scelta del Primo Presidente. Non è una scelta facile perchè siamo chiamati a valutare i profili professionali dei più autorevoli magistrati del Paese.
Ed in questa valutazione per le considerazione che ha svolto il relatore Fuzio ci siamo ritrovati nel riconoscere nella figura del presidente Santacroce per ricoprire il posto di primo presidente della Corte di Cassazione. Ciò in forza del suo ricchissimo curriculum professionale della sua autorevolezza all’interno della Corte di Cassazione, sperimentata per lunghi anni.
Il profilo del presidente Giorgio Santacroce, presidente della Corte di Appello Roma vanta una carriera che si può definire particolarmente moderna essendo passata per tutte le funzioni giudiziarie di primo e di secondo grado, giudicanti e requirenti, di merito e di legittimità, carriera che a mio avviso si pone in linea con le novità introdotte dall’ordinamento giudiziario carriera rivolta in concreto ad assicurare un osmosi fra le diverse esperienze ed in particolare fra il merito e la legittimità.
Il voto è espressione del riconoscimento delle doti del presidente Santacroce: le attitudini culturali, l’ampio bagaglio culturale giuridico, la vasta conoscenza sia della materia civile che di quella penale, la tensione nell’impegno quotidiano che lo fa punto di riferimenti di tutti coloro che con lui hanno collaborato, caratteristiche eccezionali di organizzazione sotto diversi profili.
Il prestigio fondato sulla professionalità, la completezza che si rivela nella pluralità delle funzioni svolte positivamente, i risultati raggiunti nella gestione di uno dei più grandi Uffici del Paese ove ha saputo coniugare qualità della giurisdizione con una organizzazione unanimemente ed indiscutibilmente riconosciuto così dimostrando un cultura della efficienza non burocratica, ma sostanziale, assicurano le condizioni imprescindibili per le quali può indicarsi nel Presidente Santacroce il candidato maggiormente adatto al ruolo che andiamo a ricoprire, quella di Primo Presidente della Cassazione di un Paese governato dal diritto.
RAI Televideo – al componente del Consiglio Superiore della Magistratura e giudice della Sezione disciplinare Paolo Auriemma
Auriemma (CSM-UNICOST): “Nessuna indulgenza corporativa”
RAI Televideo pubblica un’intervista, a cura del giornalista Fabrizio De Jorio, al componente del Consiglio superiore e giudice della sezione disciplinare Paolo Auriemma, che fa capo a UNICOST.
Riproponiamo il testo integrale dell’intervista, consultabile anche nel sito web di RAI Televideo
Consigliere, per evitare il rischio all’indulgenza corporativa, si è parlato dubitato spesso della opportunità o meno che la competenza disciplinare dei magistrati venga esercitata dallo stesso organo o comunque dagli stessi componenti del Csm ai quali sono affidate anche le competenze amministrative di autogoverno della magistratura. Cosa ne pensa?
La sua domanda presuppone che questo sia quasi un vizio dell’impianto costituzionale. Io non credo che sia in qualsiasi modo ravvisabile una tale debolezza ordinamentale, anzi ravviso nel sistema istituzionale una intrinseca coerenza e razionalità.
Non è un caso che il Costituente nel 1948 abbia inserito la sezione disciplinare del Csm all’interno del Consiglio Superiore stesso e la abbia composta anche, ma non solo, con magistrati eletti al Csm. Peraltro, giova ricordare che la stessa è presieduta dal vice presidente del Csm, ed in passato, non sono mancati casi in cui lo stesso Presidente della Repubblica abbia svolto la funzione presidenziale. La ragione di questa scelta va ritrovata nell’esigenza, giustamente avvertita dal Costituente, che il giudice disciplinare sia davvero, e non solo formalmente, calato la realtà giuridica e sostanziale che è chiamato a vagliare, conosca profondamente la vita degli uffici giudiziari, sia consapevole dei disagi e dei problemi dei magistrati impegnati negli stessi.
Il giudice disciplinare, per ben giudicare, deve conoscere, capire e comprendere anche la capacità dei dirigenti degli uffici giudiziari. Ovviamente, il Parlamento è sovrano ed è pienamente legittimato a cambiare la Costituzione ed a scorporare dal Csm la sezione disciplinare: ma, penso che sia opportuno aprire uno spazio di dibattito anche nel Paese, al fine di comprendere, al di là di stereotipate logiche di schieramento e nel vero interesse ad una giustizia giusta, perché l’assemblea Costituente nel 1948 volle questo sistema: avere un giudice consapevole e cosciente della situazione che andava ad esaminare e dell’ambiente nel quale operava il giudice incolpato di illecito disciplinare.
Peraltro la severità dell’attuale regime si riscontra anche dall’assenza, un unicum rispetto agli altri dipendenti pubblici, dell’istituto della riabilitazione, di modo che anche condanne disciplinari risalenti nel tempo continuano ad avere valenza nella vita professionale del magistrato.
Mi sembra di capire che lei è contrario ad una sezione disciplinare esterna al Csm.
Normalmente la risposta segue ad una domanda; e nel caso di specie la prima domanda è: perché vogliamo una sezione disciplinare esterna al Csm?
In seconda battuta occorre interrogarsi sul se l’attuale sezione disciplinare in seno al Csm funzioni male o sul se una sezione esterna di certo funzionerebbe meglio. Ebbene la risposta non può non partire dalla constatazione per cui, allo stato dei fatti, l’attuale sezione amministra la giustizia disciplinare in modo tutt’altro che corporativo : tanto è vero che i numeri dell’esercizio dell’azione disciplinare e di condanne nei confronti dei singoli magistrati in Italia sono di gran lunga più alti rispetto a quelli degli altri paesi europei inseriti nell’organismo che si chiama Rete dei consigli superiori di giustizia d’Europa.
Quindi lei esclude l’autoindulgenza corporativa che potrebbe condizionare il giudizio di un magistrato chiamato a giudicare un suo collega?
A questo si potrebbe aggiungere l’influenza delle correnti non solo all’interno dell’Anm ma che si rispecchiano anche nel Csm, anche questo un eventuale fattore a rischio per un giudizio sereno ed imparziale.
Come prima ho fatto cenno, la sezione disciplinare è composta da sei giudici, di cui due laici, un magistrato di Cassazione due giudici di merito ed un pubblico ministero. Ed io sono il pubblico ministero titolare nell’attuale sezione disciplinare. Posso testimoniare, se vuole, anche dare la parola sul mio onore che all’interno della sezione disciplinare mai sono spirati spifferi correntizi che possano, anche a livello di mero tentativo, influenzare una decisione.
Ma prima su tale via vorrei chiedere quali sono i procedimenti disciplinari per cui può esser fatta una tale accusa. Qualcuno in buona fede può davvero affermare che vi sia mai stato tale problema? E se si, quando, in quale occasione, a favore o contro quale magistrato appartenente o meno ad un gruppo associativo?
Accuse così gravi. (ed adombrare la parzialità di un giudice e la sua mancanza di indipendenza è la più grave delle accuse) richiedono chiarezza e specificità delle stesse. Altrimenti sono pericolose chiacchiere faziose fatte da soggetti superficiali o che vogliono destrutturare il sistema. Noi siamo magistrati di professione, gli altri due componenti sono professori universitari e avvocati nominati dal Parlamento di altissimo spessore culturale e morale.
Ritengo inverosimile che chi ragioni in buona fede e con piena onestà intellettuale possa realmente credere che dei giudici non vogliano, direi non abbiano interesse, quanto meno per salvaguardare il prestigio della propria categoria a giudicare imparzialmente su un illecito disciplinare. D’altro canto quale sarebbe, poi, l’alternativa a questa composizione? Persone che non conoscono la giurisdizione, le funzioni, la situazione degli uffici, che è quotidianamente mutevole: anche il miglior giurista potrebbe non conoscere, comprendere, intuire la situazione di quel particolare tribunale nel quel il giudice sottoposto a procedimento disciplinare ha lavorato.
Ma su tutto chiediamoci se una diversa composizione dell’organo disciplinare garantirebbe la libertà di giudizio che il magistrato deve a sua volta garantire al cittadino quando giudica sui suoi diritti.
In altre parole, siamo convinti che una diversa sezione disciplinare sarebbe “migliore” di questa e più credibile in altra composizione e posizione ordinamentale rispetto a questa? Io non credo proprio, e mi riconosco nelle regole fissate nella nostra Costituzione, la Carta fondamentale di questo Paese che da tante parti si vuol modificare. E questo mi preoccupa.
La maggior parte degli illeciti riguarda il ritardo nel deposito delle sentenze?
Vede, fino al 2006, prima del decreto legislativo 109/2006, la norma disciplinare era strutturata sulla responsabilità del magistrato che avesse leso un generico prestigio della magistratura: era poi il giudice disciplinare, in prima battuta, e le Sezioni Unite, successivamente, a dire se il prestigio della magistratura fosse stato leso da quella determinata condotta.
Il legislatore, nel 2006, ha quindi inteso tipizzare gli illeciti disciplinari, di modo che, oggi, se il giudice ha tenuto quel comportamento specificamente previsto dalla legge, ne risponde. In particolare, il legislatore ha previsto tre ipotesi di illeciti: quelli commessi nell’esercizio delle funzioni, quelli commessi fuori o illeciti conseguenti ad un reato, salvo poi a tipizzare rigidamente – e mi permetta di dire forse troppo rigidamente – talune fattispecie.
Percentualmente l’illecito che si verifica con più frequenza che trattiamo, è relativo al ritardo nel deposito delle sentenze.
Poi sono previste altre ventisei ipotesi di illecito nelle funzioni.
Poi ci sono gli illeciti commessi al di fuori dell’esercizio delle funzioni: ad esempio caso in cui un magistrato frequenti pregiudicati per reati magari inerenti alla funzione svolta o che potenzialmente possono essere oggetto di indagine dal proprio ufficio o ancora l’assumere incarichi extragiudiziari senza la prescritta autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura. Rammento che, anche quando non esercita le sue funzioni, al magistrato è richiesto un comportamento etico ed irreprensibile.
La tipizzazione prevede anche che gli illeciti disciplinari conseguenti al reato e quindi se un magistrato commette un qualsiasi reato è sottoposto a procedimento disciplinare anche se non è stata proposta querela nei suoi confronti dalla parte offesa.
In questo caso però l’iter disciplinare si sospende nelle more del giudizio penale?
Si, perché il giudizio penale è considerato un momento di accertamento più completo e approfondito e vi è l’esigenza di evitare ogni possibile contrasto tra giudicato penale e disciplinare. Per questo è previsto che gli accertamenti in sede penale siano recepiti in sede disciplinare. Ovviamente si sospendono anche tutti i termini che riguardano il procedimento disciplinare che non si estinguerà per il decorso del tempo.
Tornando all’ipotesi, della quale ha anche parlato il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, di una sezione disciplinare separata dai membri del Consiglio, così come, dopo l’entrata in vigore del d. l. 138/2011, è per gli ordini professionali come avvocati, giornalisti, ecc., non crede che ciò possa essere utile e avere maggiore indipendenza anche di giudizio per giudicare i magistrati?
Il parallelo non è del tutto condivisibile, anche considerata la composizione dei Consigli distrettuali di disciplina, di cui unicamente fanno parte colleghi dell’incolpato. In ogni caso: non dico che ciò sia sbagliato per i professionisti, ma ribadisco che il nostro Costituente ha voluto un assetto affatto diverso, considerata anche la pesante incidenza che la giustizia disciplinare potenzialmente può avere sull’indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale.
Per questo, la modifica della giustizia disciplinare richiede una eventuale riscrittura dell’art. 105 della Costituzione. Auspicabilmente previo ampio, ragionato e laico dibattito nella sede parlamentare e nel Paese. Come vede anche all’interno del CSM ci sono idee completamente diverse, sino ad essere confliggenti, sintomo di un fermento culturale fatto di confronto e fondato sulle differenze culturali.
Sono nata nelle Marche, a Senigallia (AN); sono in magistratura dal 1998.
Ho iniziato come giudice in Sicilia, a Termini Imerese (PA), sede che aveva come sezione distaccata quella di Corleone (di cui ho avuto per alcuni mesi il coordinamento) e dove ho svolto funzioni civili e penali, occupandomi di diverse materie in quanto ero in un piccolo ufficio.
Ho poi trascorso un breve periodo fuori ruolo: dal 2004 al 2006 come
consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte
di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e dal 2006 al 2008 come consulente presso l’ufficio legislativo del Ministero delle Politiche per la famiglia.
Nel 2008 sono rientrata in ruolo al Tribunale di Rimini come giudice penale (ho trattato reati di competenza monocratica e collegiale, procedimenti di riesame reale, misure di prevenzione, esecuzione penale). Da un anno sono Presidente della I Sezione (civile) del Tribunale di Ancona, che si occupa di famiglia, volontaria giurisdizione, successioni e divisioni, proprietà e possesso, responsabilità extracontrattuale e protezione internazionale, e comprende la sezione lavoro e previdenza.
Sono stata componente del Consiglio Giudiziario di Bologna dal 2012 al 2016 e componente della Sezione Autonoma giudici di pace e della Commissione Flussi.
Sono stata affidataria di magistrati in tirocinio e tirocinanti ex art. 73 ed ho curato per diversi anni, a Rimini, la formazione penale della magistratura onoraria.
Sempre a Rimini, ho collaborato con il Presidente alla redazione di intese e protocolli con la Procura della Repubblica ed il locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (sull’applicazione del c.d. braccialetto elettronico, sul lavoro di pubblica utilità per i reati in materia di codice della strada, sulla liquidazione degli onorari per patrocinio a spese dello Stato).
Il perché, il come, i temi
Ho accettato di candidarmi perché dopo quel che è emerso la scorsa primavera ho pensato che non basta lo sdegno – che pure ho provato, come tanti di noi – ma occorre un impegno concreto: le cose si cambiano dall’interno, con un di più di partecipazione.
Sono qui con la mia storia personale e professionale (la potete leggere sintetizzata sopra) e all’interno del gruppo di Unità per la Costituzione, nel quale ho iniziato e svolto attività associativa e che oggi sostiene la mia candidatura.
So bene che questa corrente è stata direttamente coinvolta nei “fatti di maggio”, con suoi esponenti sia consiglieri che non.
Ma – fermo restando che le diverse responsabilità, penali,disciplinari o morali,saranno accertate nelle sedi opportune – voglio dire che non solo credo ancora nel valore dei gruppi associativi come punti di riferimento e luoghi di confronto e di crescita, ma non ci sto a bollare tutto come marcio e immodificabile.
Unicost non solo ha preso le distanze da certe condotte, ma è parte lesa di quei comportamenti. E’ stata rapida e severa,all’indomani del disvelamento dei fatti, a fare autocritica, anche pagando un prezzo in termini di sofferenza personale, per i rapporti stretti, anche di amicizia, che ci legano ai colleghi coinvolti, senza esitazioni perché certi metodi sono inaccettabili, e se sono la degenerazione di un sistema, quel sistema va decisamente e radicalmente cambiato.
Vogliamo continuare ad esserci, a rappresentare la casa comune per quei colleghi che si riconoscono nei valori del non collateralismo con qualunque potere politico, del pluralismo delle opinioni, del riferimento ai principi costituzionali e della ricerca della declinazione concreta di quei principi.Con un metodo istituzionale e di dialogo, con lo stile della moderazione, che non è indifferenza alla realtà, e nemmeno adesione predefinita ad opzioni politiche, di qualunque colore siano.
Questione morale
La questione morale deve avere priorità. Solo il mantenimento di un livello elevato di eticità dei comportamenti esprime la capacità del Consiglio Superiore di riflettere verso l’esterno la sua alta funzione. è quindi indispensabile valorizzare il codice deontologico e disciplinare del magistrato ed applicarlo ogni volta che si presenti l’ipotesi di uno sviamento o di un abuso del ruolo e della funzione giudiziaria.
E’ necessario stabilire regole per evitare quell’intreccio pernicioso tra ruoli istituzionali e associativi, potere delle correnti, ambizioni personali e politica che è emerso la scorsa primavera, a partire da una rigorosa separazione tra le attività istituzionali e quelle associative: sono favorevole alla proposta (che proviene dal CDC della ANM) di modifica del Codice Etico nel senso della incandidabilità al CSM dei magistrati che svolgono ruoli associativi o altri incarichi (componenti il CDC ANM o le GES, i Consigli Giudiziari, il Consiglio Direttivo della SSM, presidenti e segretari dei gruppi associativi) fino alla scadenza naturale dell’incarico o dell’organo di appartenenza.
Autonomia dalla politica
E’ necessario avere un rapporto adulto e libero con la politica. La presenza nel CSM di una componente laica, pensata per scongiurare i rischi di autoreferenzialità e corporativismo, consente una interlocuzione istituzionale con la politica ed una leale collaborazione nell’attività di amministrazione che spetta al Consiglio.
Ci sono poi le interlocuzioni ufficiali con il Ministero della Giustizia e con le altre istituzioni. Nessun altro tipo di rapporto diretto con la politica è consentito. Ribadiamo con forza la più ferma opposizione a “contatti” non istituzionali da parte dei consiglieri che in qualsiasi modo attengano alle attività consiliari, contatti che avrebbero l’unica ragion d’essere in una logica di scambio (come è talvolta accaduto, non solo a maggio e non solo da parte di alcune correnti). Proprio perché il non collateralismo è la cifra di Unicost, e l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati sono valori imprescindibili, credo sia indispensabile mantenere la più assoluta terzietà ed evitare ogni tipo di adesione ad opzioni politiche espresse da una parte o dall’altra
Qualità della giustizia
Dopo anni (ormai lontani) di scarsa efficienza e ritardi nella risposta di giustizia, negli ultimi anni la produttività dei magistrati italiani è divenuta assai elevata.
Si è passati però ad una eccessiva focalizzazione sull’aspetto quantitativo (numero di definizioni, indici di smaltimento, durata media dei procedimenti),a detrimento, a volte, della qualità del prodotto giurisdizionale, conseguenza ancora più negativa in taluni ambiti, ad esempio quello della Cassazione, in cui deve essere assicurato il ruolo nomofilattico e un grado elevato di qualità dei provvedimenti. Occorre dare il giusto peso alle potenzialità dell’nformatica: utilissima per la lettura dell’attività giurisdizionale nel complesso (statistiche, distribuzione del lavoro, ecc.) e la gestione telematica dei procedimenti (come avviene nel settore civile), ma inadatta a risolvere da sola i problemi della giurisdizione: il processo telematico, prossimo al debutto anche nel penale, non può essere utilizzato per ‘cancellierizzare’ l’attività del giudice, mentre le analisi statistiche devono essere al servizio di una giustizia di qualità e in particolare essere in grado di rappresentare l’effettivo lavoro dei magistrati.
di Mariano Sciacca da questionegiustizia.it
I magistrati sono tutti chiamati a un patto costituzionale di autoriforma che consegni alle giovani generazioni di magistrati una nuova immagine dell’associazionismo giudiziario e del Csm.
Unicost c’è, forte del percorso dolorosissimo avviato da maggio e ancora in corso.
1. La posta in gioco
L’invito, pacato e accorato, di Mariarosaria Guglielmi, che mette in guardia dal rischio di un troppo veloce esaurimento della spinta al rinnovamento espressa dalla magistratura in esito all’indagine perugina, è da prendere in seria considerazione, tanto più in quanto, nell’incipit del suo intervento, si riconosce che questa riflessione si inscrive in «una prospettiva che chiama in causa la responsabilità dei gruppi e la loro capacità di rigenerarsi come strumenti di elaborazione culturale. E impegna tutta la magistratura a fare i conti con la profonda trasformazione subita in questi anni, per ricostruire intorno ai valori comuni una forte identità collettiva».
La riflessione, infatti, non può che essere collettiva: non all’insegna del “così fan tutti”, ovvero assecondando una deriva – in buona o malafede che sia – populistica da “uomo qualunque 2.0”, ma realmente ponendosi di fronte alla crudezza dei fatti (quanto meno di quelli che i giornali hanno concesso di conoscere, sempre ancora rimanendo in attesa di avere una visione completa di questi fatti), dovendosi ciascuno di noi confrontare con tutti i fatti di malgoverno della magistratura che, non necessariamente, si compiono nel chiuso di una hall alberghiera, ma che a volte trovano il loro luogo di elezione proprio dentro le mura di Palazzo dei Marescialli.
Mai come oggi la (tanto declamata negli anni) via dell’autoriforma dovrebbe trovare compatte, coerenti e collaborative tutte le componenti togate consiliari e associative per offrire al circuito istituzionale una risposta riformatrice degna di questo nome e all’altezza della sfida che abbiamo di fronte.
Proposte distoniche, quale il sorteggio, solo in questo modo potranno essere contrastate.
Quindi, non c’è che da accettare la (condivisibile) conclusione che la vera posta in gioco è il ruolo costituzionale del Csm.
2. Il pluralismo della magistratura associata, reale DNA di una magistratura fedele al disegno costituzionale
È altrettanto vero – e per chi scrive è musica per le orecchie – che «il pluralismo culturale e ideale, garantito dal collegamento con le articolazioni dell’associazionismo giudiziario, è ciò che ha reso il Consiglio rappresentativo della magistratura e della sua fisionomia costituzionale: non un ordine burocratico, gerarchicamente strutturato e uniformato culturalmente, ma una realtà viva e complessa che, nell’esperienza associativa, ha costruito la sua identità costituzionale e ha acquisito consapevolezza del suo ruolo».
La Carta costituzionale ha chiamato i magistrati italiani a essere vettori attivi, professionalmente attrezzati, di democrazia intesa in senso sostanziale e non solo formale. Ha chiesto loro di farsi carico della complessità culturale della società moderna e stanza di compensazione interpretativa delle tensioni che la società reale elabora e modifica, secondo un continuum logico-storico-sociale-economico che, ai nostri giorni, è diventato ancora più fluido e complesso (in una battuta dalla liquidità baumaniana alla forma dell’acqua camilleriana…).
Questa posizione costituzionale assegnata nel corso dei decenni ha trovato, sul fronte interno, proprio nell’Associazione magistrati il fondamentale terreno di coltura (e cultura) per pensare e ripensare il ruolo della giurisdizione e dei magistrati in quel contesto, a fronte degli inarrestabili mutamenti che il XX secolo e, ancor più, quello che viviamo hanno imposto alla società. Nel momento in cui le forze reali, inarrestabili, rischiano di travolgere e piegare il ruolo di garanzia delle istituzioni di controllo e promozione dei diritti, a maggior ragione si impone ai magistrati italiani organizzati di riflettere sul proprio ruolo e provare, pluralisticamente, a trovare una ragionevole mediazione tra le diverse anime e culture.
I fatti di maggio ci mettono, poi – saltando dal “macro” al “micro” – ancor più sulle corde.
Ho scritto (e ripetutamente affermato, nel corso delle interviste di questo periodo) che le storie e le responsabilità individuali non ci interessano, ad altre autorità spettandone la valutazione, se non nei limiti in cui le storie personali testimoniano un uso strumentale dell’agone associativo; che la riflessione che si impone richiede a ciascun gruppo un’autocritica serrata che guardi al proprio interno, alla distanza tra declamazioni, prassi condivise e autoassoluzioni; che se i summit fuori dalle mura consiliari non trovano alcuna giustificazione, non meno preoccupanti sono gli accordi che, a volte, si consumano a Piazza Indipendenza tra i togati e nel confronto con la componente laica.
La trasparenza degli atti, dei curricula, delle regole e delle modalità operative delle commissioni consiliari sono ormai passaggi fondamentali per restituire reale democraticità e credibilità al Csm, in modo tale che il percorso decisionale sia mappato, possa essere ricostruito e giudicato non solo in sede amministrativa, ma anche in sede pubblica dai cittadini italiani, ancor prima che dagli stessi magistrati.
L’esperienza consiliare degli anni 2010-2014 mi porta a essere ben consapevole che le strategie concordate in circuiti occulti e paralleli ben possono operare anche all’interno del Csm.
3. Le sirene della polarizzazione e la svendita della centralità costituzionale della magistratura italiana. Il dovere di un nuovo patto associativo con i giovani magistrati
E qui siamo chiamati tutti a un patto costituzionale di autoriforma che consegni alle giovani generazioni di magistrati una nuova immagine dell’associazionismo giudiziario e del Csm, al netto di artificiose ed elettoralistiche contrapposizioni tra “progressisti” e “moderati”, tra presunti innovatori alla Robespierre e conservatori ad oltranza da Congresso di Vienna.
Se, nel dibattito associativo, vi sono sensibilità che possono essere di complessa sintesi, allorquando ci si interroghi sui limiti di intervento pubblico dell’Anm su tematiche sensibili, di contro, credo che sul versante del rapporto con l’istituzione consiliare – non sembri paradossale – l’approccio costruttivo e di sintesi sia più semplice, condividendo tutti i gruppi associativi una cultura pluridecennale del governo autonomo. Tanto credo, pur nella consapevolezza che vi sono passaggi consiliari che segnano le distanze e diversità tra i gruppi associativi: penso al recente caso del procuratore di Arezzo, o a come è stata affrontata in plenum la questione del cambiamento di funzioni e al rilievo da assegnare ai corsi di riconversione.
Non è forse un caso che, su fondamentali opzioni ordinamentali in materia di incompatibilità ambientale, responsabilità professionale e disciplinare, valutazioni di professionalità, diritto di tribuna degli avvocati, carichi esigibili e via dicendo non si registrano divari incolmabili tra le diverse impostazioni consiliari.
Su questo terreno, dunque, si deve trovare un percorso comune e una piattaforma di autoriforma condivisa.
L’Anm oggi ha il compito, veramente storico, di mettere a frutto le sue migliori competenze per offrire una riflessione adeguata all’altezza della sfida culturale e politica post-perugina.
Dobbiamo credere alla necessità di non piegarsi a un bipolarismo identitario e politicizzato, di (pretesa) destra o sinistra che sia, che determinerebbe una perdita di contenuti, di capacità propositiva e di possibilità di incidere sul reale deleteria per la democrazia, ancor prima che per i magistrati italiani.
È proprio vero che «il tempo stringe».
Che la voglia di “rivincita” della politica, la pazienza al lumicino di tanti colleghi, la (bassa) credibilità della magistratura associata da parte dei cittadini siano segnali di un prossimo punto di non ritorno è sotto i nostri occhi.
Dobbiamo, allora, immaginare un’agorà telematica e reale, che ponga mano a una piattaforma programmatica riformatrice e sappia “moderatamente” individuare ragionevoli, reali e credibili proposte che attingano la discrezionalità consiliare e restituiscano ai colleghi fiducia e senso di appartenenza.
L’ascolto delle dichiarazioni programmatiche dei tre candidati si caratterizza, al di là e al netto delle enfatizzazioni di sapore esclusivamente sindacale ed elettoralistico, per una dichiarata condivisione di obiettivi politico-associativi che va resa – pur sussistendo differenze di prospettive di fondo e letture dell’ordinamento giudiziario non sempre coincidenti – concreta, testimoniata con proposte proprio da un’Anm coraggiosa e non sulle difensive, che deve sapersi proporre come nuovo vettore di autoriforma da sottoporre a un Csm affaticato, e colpito così duramente da dover essere sostenuto e rilegittimato.
4. Il nostro impegno costituzionale
Unità per la Costituzione ha pagato il prezzo più alto, scontando il proprio scotto, come era nel giudizio delle cose e degli uomini. Se, però, crediamo che, in questa fase storica, alla tempesta non debba seguire quiete alcuna che copra quanto accaduto in un suicida smemoramento collettivo, occorre abbattere steccati e parole d’ordine, suprematismi moraleggianti (omettendo ogni commento sulla definizione di Unità per la Costituzione come polizza assicurativa per i colleghi in cerca di posti direttivi che, bontà sua, Livio Pepino recentemente, in un intervento ospitato su questa Rivista, ci rivolge, dimentico di essere stato parte integrante ed attiva del sistema associativo e istituzionale per decenni) e conventio ad excludendum in un’opera condivisa e coerente di ricostruzione deontologica, ordinamentale e associativa che coinvolga – mi si perdoni il qualunquismo che qualcuno potrà intravedere in questa espressione – tutte le persone perbene, ragionevoli e disinteressate che si trovano in ogni gruppo associativo e non siano mosse da tornacontismi e personalismi.
Noi ci siamo, ci riconosciamo fortemente nella terzietà costituzionale, siamo forti del percorso dolorosissimo avviato da maggio e ancora in corso, della solitudine di chi è chiamato a fare i conti – prima di tutti – con se stesso, della consapevolezza che «il riformista è ben consapevole d’essere costantemente deriso da chi prospetta future palingenesi, soprattutto per il fatto che queste sono vaghe, dai contorni indefiniti e si riassumono, generalmente, in una formula che non si sa bene cosa voglia dire, ma che ha il pregio di un magico effetto di richiamo. La derisione è giustificata, in quanto il riformista, in fondo, non fa che ritessere una tela che altri sistematicamente distrugge. È agevole contrapporgli che, sin quando non cambi “il sistema”, le sue innovazioni miglioratrici non fanno che tappare buchi e puntellare un edificio che non cessa per questo di essere vetusto e pieno di crepe (o “contraddizioni”). Egli è tuttavia convinto di operare nella storia, ossia nell’ambito di un “sistema”, di cui non intende essere né l’apologeta, né il becchino; ma, nei limiti delle sue possibilità, un componente sollecito ad apportare tutti quei miglioramenti che siano concretabili nell’immediato e non desiderabili in vacuo. Egli preferisce il poco al tutto, il realizzabile all’utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre rinviata trasformazione radicale del “sistema”. Il riformista è anche consapevole che alla derisione di chi lo considera un impenitente tappabuchi (o, per cambiare immagine, uno che pesta l’acqua nel mortaio), si aggiunge lo scherno di chi pensa che ci sia ben poco da riformare, né ora né mai, in quanto a tutto provvede l’operare spontaneo del mercato, posto che lo si lasci agire senza inutili intralci: anche di preteso intento riformistico. Essendo generalmente uomo di buone letture, il riformista conosce perfettamente quali lontane radici abbia l’ostilità a ogni intervento mirante a creare istituzioni che possano migliorare le cose» (cosi F. Caffè, La solitudine del riformista, Il manifesto, 29 gennaio 1982).
Il Plenum ha oggi definito la pratica per l’assegnazione del posto di Procuratore della Repubblica di Napoli, ufficio nevralgico nel sistema giudiziario italiano.
Si sono confrontati i profili di due magistrati di livello assoluto: il dott. Cafiero de Raho e il dott. Melillo, risultato, poi, vincitore.
Hanno votato per quest’ultimo i colleghi di Area: Cons. Ardituro, Aschettino, Clivio, Fracassi, Napoleone; il Cons. Galoppi; i membri laici: Cons. Balducci, Balduzzi, Casellati, Fanfani, Leone, Zanettin, nonchè il Primo Presidente ed il Procuratore Generale; si sono, invece, espressi in favore del dott. Cafiero de Raho il gruppo consiliare di Unicost – San Giorgio, Palamara, Cananzi, Forciniti e Spina – e i Cons. Aprile, Forteleoni, Pontecorvo, Morosini. Si sono astenuti i Cons. Morgigni e Zaccaria.
Abbiamo sostenuto con forza la scelta in favore di Cafiero de Raho.
Al di là delle sorti personali, la pratica in oggetto travalica i confini locali e investe il modello di magistrato meritevole di dirigere l’ufficio requirente più grande d’Italia.
Questi, sommariamente, i due profili in comparazione: un collega che da 37 anni esercita le funzioni requirenti, è stato inserito nella Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli fin dalla sua istituzione, sgominando il clan dei Casalesi; quindi, si è occupato dei reati contro la personalità dello Stato e di terrorismo; nell’aprile 2009 è stato nominato Procuratore aggiunto coordinatore dell’Area Caserta – Benevento della D.D.A. di Napoli; dal mese di aprile 2013 in poi, ha assunto le funzioni di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, città dove vive, per ragioni di sicurezza, in una caserma dei Carabinieri e un collega, pur bravissimo, che ha svolto le funzioni di Procuratore della Repubblica Aggiunto sino 12 marzo 2014, data in cui è stato collocato fuori ruolo quale capo di gabinetto del Ministro della Giustizia. Incarico che ha cessato di svolgere solo circa tre mesi orsono.
Alla stregua degli indicatori specifici di cui all’art.18 del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria, letto in combinato con il successivo art. 29, abbiamo, dunque, ritenuto che vantasse profili attitudinali direttivi più spiccati in relazione al posto direttivo da ricoprire il dott. Cafiero de Raho, che, da ben undici anni, svolge incarichi direttivi e semidirettivi, alla guida di uffici di grandi dimensioni, rispetto al dott. Melillo, che vanta unicamente un incarico semidirettivo che è durato solo quattro anni e sei mesi, svolgendo, nell’ambito di questo periodo, solo per un anno e due mesi circa, le funzioni di coordinatore della locale DDA.
Il descritto percorso professionale del dott. Cafiero de Raho è certamente quello che più incarna la figura del magistrato da noi preferita: dedito all’esigenze dell’ufficio e dell’utenza, impegnato, coraggioso, serio, rigoroso e con eccezionali capacità organizzative, come dimostra la difficile esperienza direttiva in corso.Si aggiunga che, a nostro giudizio, l’ufficio e il distretto di Napoli hanno necessità di un magistrato della levatura e dell’esperienza antimafia del dott. Cafiero de Raho per continuare con sicura efficacia l’opera di estirpazione di pervasive associazioni criminali, principale causa, anche per le riscontrate collusioni con apparati amministrativi e politici, della situazione di arretratezza socio-economica e ambientale di quelle terre.
Al tempo stesso questa figura rispecchia pienamente l’idea di un Csm in grado di difendere l’ordine giudiziario da ogni possibile influenza esterna, in coerenza con il principio di sua terzietà costituzionale.Questo è stato il punto cardinale del nostro programma elettorale; questo è l’impegno che profondiamo ogni giorno nella nostra attività consiliare.
Con rammarico, tuttavia, constatiamo che altri gruppi fanno seguire a proclami e dichiarazioni fatti concreti diversi, se non opposti, che, in ultima analisi e al di là del merito del collega Melillo, obiettivamente possono apparire contraddittori con la sempre predicata, ma spesso non praticata, lotta alla cd. carriere parallele.
Stupisce, infine, l’astensione del Cons. Morgigni, la quale, anch’essa, non sembra del tutto in linea con i comunicati del gruppo di appartenenza, che sempre invocano un’applicazione rigorosa del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria.
Ciò posto, ora e adesso formuliamo al Procuratore Melillo i nostri migliori auguri di buon lavoro nell’interesse del territorio e dell’ufficio partenopeo nonché della magistratura tutta.
Francesco CananziMassimo ForcinitiLuca PalamaraMaria Rosaria San GiorgioSaro Spina
SESTA COMMISSIONE
ORDINE DEL GIORNO EX ART. 45, CO. 3 R.I.
SEDUTA DEL 18 MARZO 2015 – ORE 10.00
INDICE
PARERI……………………………………………………………………………………..
PARERI
1) – 3/PA/2015 Sesta Commissione – Nota pervenuta in data 5 marzo 2015 dal Ministro della Giustizia con cui trasmette, per il previsto parere, limitatamente alle parti riguardanti l’Amministrazione della giustizia, il testo del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 10 febbraio 2015, concernente:
“Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazioni allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione”.
(relatore Consigliere MOROSINI)
– 58/VV/2015 Settima Commissione – Nota in data 19 gennaio 2015 con la quale il Segretario Generale comunica che il Comitato di Presidenza, nella seduta in data 16.1.2015, presa in esame la nota pervenuta in data 13.1.2015 dalla Settima Commissione, ha autorizzato l’apertura di una pratica, eventualmente con esame congiunto con la Sesta Commissione, finalizzata alle valutazioni sui moduli organizzativi adeguati al contrasto del terrorismo nazionale ed internazionale nell’ambito dell’organizzazione degli uffici giudiziari.
(relatore Consigliere ARDITURO)
La Sesta e Settima Commissione propongono al Plenum di approvare la seguente
delibera:
«I. – Premessa .
I drammatici fatti di Parigi del 7 gennaio ripropongono la sfida che il terrorismo internazionale da tempo ha lanciato alla comunità mondiale. Le nuove forme di terrorismo di matrice islamica, connotato da formazioni molto mobili sul territorio, senza una base precisamente localizzata e con una spiccata propensione alla commissione di reati di criminalità organizzata, rendono indilazionabile un potenziamento delle forme di coordinamento stabile tra uffici di procura e necessaria l’individuazione di referenti centrali per l’interlocuzione con gli organi investigativi sovranazionali.
Per questi motivi, nel gennaio scorso, le Commissioni Sesta e Settima del CSM chiedevano l’apertura di una pratica sul tema: “Interventi per il potenziamento delle forme di coordinamento investigativo in materia di terrorismo internazionale e per l’individuazione di referenti centrali nell’interlocuzione con le Autorità estere”.
L’11 febbraio 2015, il CSM deliberava un’iniziativa di approfondimento sul tema del contrasto al terrorismo internazionale, strutturata sul duplice versante del confronto interno alla magistratura e di quello che coinvolge gli altri attori istituzionali, in vista di una risoluzione generale sui temi sopra menzionati.
Il 18 febbraio 2015, veniva emanato il Decreto-legge n. 7, avente ad oggetto “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione”.
Così, l’originaria iniziativa dell’organo di governo autonomo si trasformava in una
preziosa occasione di riflessione sui contenuti delle novità normative e del disegno di legge di conversione, in vista della formulazione di un parere. E, per questo motivo, nella seduta congiunta del 3 marzo 2015, le Commissioni Sesta e Settima hanno deliberato di richiedere all’ Ufficio Studi del CSM un contributo in merito al citato decreto-legge.
L’apporto consultivo del C.S.M. – che, nel caso di specie, è stato formalmente sollecitato dal Ministro della giustizia – poggia, in questo caso, non solo sull’articolato parere dell’Ufficio Studi, pervenuto in data 12 marzo 2015, ma anche sui frutti di un momento di dialogo tra diversi attori istituzionali, avvenuto nei giorni del 2 e 3 marzo 2015, del quale lo stesso C.S.M. è stato ideatore ed organizzatore: ciò che, a prescindere dagli aspetti di merito, rappresenta univoca e feconda indicazione metodologica.
Si rammenti che al confronto hanno partecipato, oltre a tutti i procuratori distrettuali italiani, il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, il procuratore generale presso la Corte di Cassazione e il Procuratore nazionale antimafia, esponenti dei seguenti organi istituzionali: rappresentanti dei ministeri della Giustizia, degli Affari esteri, della Difesa, dell’Economia e delle Finanze; il sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega ai servizi di sicurezza; i rappresentanti del DIS, dell’AISI e dell’ AISE; i rappresentanti del R.O.S. dei carabinieri e della DIA; i rappresentanti di Eurojust; il Garante per la protezione dei dati personali; il rappresentante della Scuola della Magistrato; il magistrato di collegamento della Divisione Terrorismo del Consiglio d’Europa; il magistrato di collegamento con gli Stati Uniti d’America; il rappresentante di collegamento con la Francia.
II. L’impianto generale dell’ intervento legislativo
Il decreto legge in esame è stato approvato al dichiarato scopo di conformare l’ordinamento nazionale alle indicazioni provenienti da primari consessi sovranazionali, quale il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (cfr. risoluzioni nn. 2170 del 15 agosto 2014 e 2178 del 24 settembre 2014, a più riprese richiamate nel testo del decreto-legge e nel disegno di legge di conversione), nonché a vincolanti fonti normative di matrice europea (quale il Regolamento UE n. 98/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2013, relativo all’immissione sul mercato e all’uso di precursori di esplosivi). Sicuramente apprezzabile appare, sotto questo profilo, l’intendimento dell’Esecutivo di incamminarsi, con significativa inversione di tendenza, sulla strada del recupero dell’endemico ritardo nell’implementazione di discipline ed accordi sottoscritti nell’ambito della cooperazione internazionale; ritardo che, secondo quanto unanimemente ritenuto dagli esperti del settore intervenuti nel workshop del 2-3 marzo, ha arrecato non marginale pregiudizio all’attuazione delle strategie di contrasto al terrorismo su scala planetaria.
Va rilevato come l’atto normativo in esame contenga, oltre a disposizioni (artt. 1-4, 6- 10, 20, commi 1-5) di carattere sostanziale, processuale, ordinamentale o, comunque, connesse ad attribuzioni e compiti del C.S.M., ulteriori misure – afferenti, rispettivamente, a “potenziamento e proroga dell’impiego del personale militare appartenente alle forze armate” (art. 5), “missioni internazionali delle forze armate e di polizia” (artt. 11-16), “iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione” (artt. 17-19) ed alla copertura finanziaria (art. 20, commi 6-7) – che, per intuibili ragioni di sintesi, non saranno, in questa sede, oggetto di esame.
In termini di inquadramento generale, va evidenziato come il decreto legge n.7, posto in essere sull’onda dei drammatici fatti parigini del gennaio 2015, si inserisca in una precisa linea di tendenza che ha visto il Legislatore interno attivarsi, a più riprese, in particolare negli anni 2001 e 2005, in conseguenza di emergenze contingenti piuttosto che curare la predisposizione di un corpus normativo organico ed autonomo (1)
………………………….
(1) In specie, dopo l’11 settembre 2001 vennero emanati tre Decreti-legge con i quali il Governo intese dare attuazione alle misure deliberate in seno all’Unione europea, con modifiche del codice penale e del codice di procedura penale, rimodulando le norme già esistenti per fronteggiare il terrorismo interno. Si tratta
rispettivamente dei: d.l. 28.9.2001, n. 353 conv. in l. n. 415 del 2001; d.l. 12.10.2001, n. 369 conv. in l. n. 431 del 2001; d.l. 18.10.2001, n. 374 conv. in l. n. 231 del 2001.
Nella circostanza, il principale profilo di novità riguardò l’introduzione del reato di “associazione con finalità di terrorismo internazionale” (art. 270-bis c.p.), che fu accompagnato, sul versante della procedura penale, dall’inserimento di tale fattispecie criminosa tra quelle assoggettate ad una disciplina derogatoria, sotto molti profili, rispetto a quella ordinaria (sulla competenza a svolgere indagini incidendo sull’art. 51, comma 3-quater, c.p.p.; sui termini di durata delle indagini preliminari e sulla eventuale proroga ex artt. 406, comma 5-bis e 407, comma 2, n. 4, c.p.p.; sulla duplice presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere novellando l’art. 275, comma 3, c.p.p.) .
Inoltre, vennero estese anche alle indagini relative al terrorismo internazionale alcune misure della legislazione antimafia in materia di: intercettazioni telefoniche, ambientali e di flussi informatici; intercettazioni preventive su autorizzazione del p.m.; attività sotto copertura; misure di prevenzione personali e patrimoniali; l’impiego del sistema della videoconferenza per l’esame e la partecipazione a distanza degli imputati detenuti e dei collaboratori di giustizia.
L’attentato di Madrid del 2004 e, soprattutto, quello londinese del luglio 2005 spinsero, poi, il Legislatore all’incisiva novella operata dal D.L. 27 luglio 2005, n. 144, conv. con modificazioni nella L. 31 luglio 2005, n. 155 (c.d. decreto Pisanu), per effetto del quale è stata, tra l’altro, enunciata la nozione di “condotta con finalità di terrorismo” destinata a ridurre al minimo il rischio di contrasti interpretativi (art. 270- sexies c.p.) e sono state introdotte le nuove fattispecie di arruolamento e di addestramento con finalità di terrorismo anche internazionale (artt. 270-quater e quinquies c.p.).
Nella medesima sede, si è inteso intervenire sugli apparati di polizia e di intelligence mediante la previsione dei colloqui investigativi – finalizzati a consentire agli organi della polizia di sicurezza e/o giudiziaria di acquisire da persone detenute o internate informazioni utili per lo svolgimento di indagini in materia di terrorismo – e del permesso di soggiorno a fini investigativi, da rilasciare agli stranieri che abbiano collaborato con l’autorità rendendo informazioni utili ai fini della prevenzione o dell’accertamento dei reati.
La novella del 2005, diversamente da quella del 2001, ha privilegiato, in ossequio alla filosofia che anima gli interventi legislativi di altri Stati europei, l’ottica della prevenzione rispetto a quella della repressione e, dunque, della giurisdizione: essa ha rafforzato le competenze di forze di polizia ed agenzie informative, sicché, per logica derivazione, hanno acquistato maggior peso le correlate scelte dell’autorità politica.
…………………………
Il sistema risultante dagli innesti operati dalla normativa precedente degli anni 2001 e 2005 appariva, peraltro, incompleto in ragione dell’assenza di misure volte ad accentrare le funzioni di coordinamento investigativo intese alla più efficace conduzione delle indagini distribuite sul territorio nazionale tra le ventisei procure distrettuali: in questo senso si espresse, al tempo, lo stesso C.S.M. che, nella risoluzione approvata dall’Assemblea Plenaria il 12 luglio 2006, ebbe a rilevare che “…la costituzione di un organismo di coordinamento (n.d.r.: definito nel documento “D.N.A.T.”, cioè “Direzione Nazionale Anti Terrorismo”) è ormai necessaria. Essa è anzi urgente, in quanto occorre dare risposta alle esigenze derivanti dal contrasto del terrorismo internazionale”.
Uno dei principali tratti distintivi dell’apparato legislativo di contrasto al terrorismo
internazionale risiedeva, d’altro canto, nell’assenza di previsioni relative all’uso nei
procedimenti penali dei risultati conoscitivi conseguiti dai Servizi informativi e di sicurezza.
Ciò costituiva il precipitato di una precisa opzione politica volta a mantenere intatto il nitido confine, che, in linea di principio, deve separare la ricerca e l’assunzione di informazioni effettuate dai Servizi dall’attività investigativa svolta dal Pubblico ministero. Si è sempre ritenuto, infatti, che questa sia l’unica soluzione compatibile con il quadro costituzionale italiano, nel quale l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione penale dall’esecutivo sono salvaguardate, tra l’altro, attraverso la previsione della diretta disponibilità della polizia da parte dell’Autorità giudiziaria (art. 109 Cost.), regola questa che persegue l’evidente obiettivo di escludere che l’esecutivo, attraverso il canale della polizia, possa in qualche modo condizionare l’accertamento processuale.
Uno sguardo d’insieme sui contenuti del Decreto-legge in esame, ne rivela, innanzitutto, l’ambizione di assecondare e facilitare l’azione preventiva e di accrescere, al contempo, efficienza e completezza della risposta giurisdizionale.
Da un canto, viene ribadita, una volta di più, la centralità delle attività informative in relazione a fenomeni criminali di portata mondiale, radicati in realtà territoriali in cui poco più che illusoria è la prospettiva di contare sugli ordinari strumenti di cooperazione, sì da affidare alle agenzie compiti imprescindibili, la cui esecuzione presuppone l’apprestamento di un idoneo catalogo di garanzie funzionali.
Dall’altro, si incide sull’architettura ordinamentale attribuendo – in adesione ad una
delle possibilità che erano state, al riguardo, prospettate – alla preesistente Direzione Nazionale Antimafia compiti di coordinamento in materia di antiterrorismo senza, tuttavia,replicare tale schema a livello distrettuale.
Tangibile si palesa, dunque, lo sforzo finalizzato ad accrescere i margini di sicurezzaed efficienza operativa, a fronte del quale si pone, tuttavia, la necessità di cogliere, inconcreto, la declinazione della riaffermata separazione tra prevenzione e giurisdizione.
Su questo campo coesistono, infatti, l’opinione di chi reputa che l’attribuzione alla
D.N.A. di compiti di coordinamento investigativo rischi di tradursi in vuota enunciazione diprincipio se non accompagnata dal conferimento di competenze e poteri e quella che, al contrario, privilegia un approccio ispirato ad una prudente ottica garantistica; tali linee di pensiero, in qualche occasione, si pongono in chiave francamente dialettica, ciò che accade, ad esempio, con riferimento alla concreta articolazione e disciplina dei “colloqui personali con detenuti ed internati” promossi e posti in essere dalle agenzie di informazione.
Sin da ora è opportuno peraltro segnalare che il nuovo corpus legislativo interviene a riposizionare l’asse di equilibrio tra esigenze di sicurezza e tutela della privacy, in presenza dirischi di attentati terroristici.
Da ultimo, in sede di premessa, si impongono brevi notazioni sul metodo procedurale seguito per l’emanazione di un atto normativo che, indubbiamente, presenta in alcune sue disposizioni riflessi ordinamentali.
In effetti, sarebbe auspicabile, nei limiti in cui sia possibile, tentare di non rispondere alle esigenze di adeguamento del tessuto normativo, che, di volta e in volta, si pongono, con lo strumento della decretazione d’urgenza, laddove questa in qualsivoglia modo innovi l’organizzazione degli uffici giudiziari. Ciò comporta l’adesione ad opzioni che potrebbero, in linea ipotetica, persino, giungere a condizionare l’esercizio stesso delle funzioni giurisdizionali. D’altronde, l’Ordinamento giudiziario assume un decisivo rilievo costituzionale, spettando ad esso l’attuazione alle garanzie di indipendenza ed autonomia riconosciute alla magistratura dalla legge suprema. E risulta di tutta evidenza come l’introduzione con la normativa d’urgenza di modifiche di disposizioni dell’Ordinamento giudiziario, non consenta, per evidenti vincoli temporali, l’adozione di scelte adeguatamente discusse e, soprattutto, precedute dalla piena ed efficace interlocuzione con il C.S.M., come previsto dalla legge n.10 del 1958, pur nel rispetto delle prerogative del Parlamento.
III. L’estensione dell’area di punibilità alle condotte preparatorie agli atti di terrorismo anche internazionale.
Il capo I (articoli da 1 a 8) reca misure volte ad attualizzare la vigente disciplina degli strumenti normativi in materia di prevenzione e repressione dei fenomeni terroristici, in particolare quelli di matrice internazionale.
L’art. 1 modifica l’assetto di alcuni reati in materia di terrorismo nel dichiarato intento di estendere, in attuazione della risoluzione dell’ONU n. 2178 (2014), l’area della punibilità e consentire un più efficace e completo intervento repressivo.
Detta norma propone una pluralità di previsioni che presentano il pregio di delineare con nitore i confini della rilevanza penale delle fattispecie e di consentire, per tale via, il superamento di indirizzi ermeneutici restrittivi.
In dettaglio, il comma 1 integra l’art. 270-quater del codice penale, concernente il
reato di arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale, prevedendo la rilevanza penale anche per la condotta del reclutato (e non solo del reclutato come prima del decreto), in precedenza sanzionata solo in caso di partecipazione alla associazione finalizzata al terrorismo. Tuttavia, la condotta del reclutato non può esaurirsi nella prestazione del mero assenso al compimento di reati con finalità terroristiche, rispetto al quale può trovare applicazione solo la misura di sicurezza di cui all’art. 115 del codice penale. Il comportamento punibile consiste, piuttosto, nel mettersi seriamente e concretamente a disposizione come milite, e quindi soggiacendo a vincoli di obbedienza gerarchica, per il compimento di atti di terrorismo, pur al di fuori e a prescindere dalla messa a disposizione con assunzione di un ruolo funzionale all’interno di una compagine associativa tradizionalmente intesa.
In questo senso, il mettersi in viaggio, o l’apprestarsi a un viaggio, per raggiungere i luoghi ove si consumano azioni terroristiche dovranno assumere i connotati di “atti idonei e non equivoci” della esplicazione di un precedente reclutamento, ossia di immissione volontaria e consapevole in una milizia, votata al compimento di azioni terroristiche.
Nella prospettiva del legislatore d’urgenza, l’estensione dell’art. 270-quater c.p. all’arruolato soddisfa gli obblighi assunti sul piano internazionale, giacché il viaggio – riguardato dal punto di vista di chi lo organizza o chi lo effettua – è suscettibile di assumere i tratti oggettivi dell’estrinsecazione di una pregressa, o comunque almeno contestuale, condotta di reclutamento. Con ogni probabilità, si tratta di una fattispecie destinata ad essere ravvisata in un numero assai limitato di casi, rispetto alla quale spetterà alla concreta esperienza giurisdizionale la precisa determinazione.
Al fine di dare completa attuazione alla richiamata risoluzione n. 2178 dell’ONU, viene poi introdotta, con l’inserimento nel codice penale dell’art. 270-quater.1, una nuova ipotesi di reato destinata a punire, al di fuori dei casi di cui agli artt. 270-bis e 270-quater, l’organizzazione, il finanziamento e la propaganda di viaggi finalizzati al compimento di condotte con finalità di terrorismo.
Al pari di quella sopra descritta, la fattispecie incriminatrice ha natura residuale, in
quanto afferisce alle ipotesi in cui sia insufficiente la prova dell’inserimento del soggetto nell’associazione terroristica.
L’adeguamento ai dettami della risoluzione dell’ONU si completa, infine, attraverso
l’intervento sull’art. 270-quinquies del codice penale, che punisce l’addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale. Su tale ipotesi di reato, che, sino ad oggi, postulava un rapporto necessariamente duale tra addestratore e addestrato, viene innestata una nuova fattispecie di reato che rende punibile anche l’auto-addestramento, cioè la condotta di chi si prepara al compimento di atti di terrorismo, attraverso una ricerca e un apprendimento individuali e autonomi delle «tecniche» necessarie a perpetrare simili atti.
In questo senso, il primo comma prevede che le pene previste per il reato in questione si applichino anche al soggetto che acquisisce autonomamente o da terzi istruzioni sull’utilizzo di esplosivi, armi, sostanze chimiche o nocive, nonché sulle tecniche per il compimento di atti di violenza o sabotaggio.
La nuova condotta incriminata, al pari di quella già oggi sanzionata dall’art. 270-
quinquies, è connotata dal dolo specifico, essendo, in specie, prevista la punibilità di chi, avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo, pone in essere condotte con le medesime finalità.
Per questa via, l’area della punibilità viene estesa ai terroristi che operano sganciati da sodalizi e da organizzazioni (cosiddetti lupi solitari), in ossequio ad una linea di tendenza seguita anche da altri Paesi europei, quali la Francia, dove è stata introdotta la fattispecie di impresa terroristica individuale. Ciò comporta un inedito arretramento della soglia della rilevanza penale sino al compimento di atti meramente preparatori, che interpellerà la capacità dell’interprete di assicurare il rispetto del principio di necessaria offensività della condotta –
Infine, in coerenza, con quanto previsto dalle modificazioni, operate dall’art. 2, riguardanti i reati di cui agli artt. 302 e 414 c.p., viene introdotta una circostanza aggravante di pena, da applicarsi a condizione che le condotte di addestramento siano perpetrate attraverso il ricorso a strumenti telematici.
IV. La rilevanza penale dell’attività di proselitismo e il controllo, anche giurisdizionale, dei siti internet.
L’art. 2 del provvedimento, concernente l’attività di proselitismo posta in essere dai foreign fighterse dalle organizzazioni che compiono condotte con finalità di terrorismo, di cui all’art. 270-sexies del codice penale, contiene misure finalizzate a reprimere le azioni realizzate mediante lo strumento telematico, idoneo a raggiungere un numero sempre maggiore di potenziali combattenti.
Dette misure, integrative di quanto previsto dall’art. 7-bis del Decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, mutuano, in parte, il modello, già positivamente sperimentato, relativo al contrasto della pedopornografia sul web.
Più in dettaglio, con il comma 1 si prevede l’aumento della pena (rispettivamente di un terzo e fino a due terzi) della reclusione per i reati di istigazione e apologia del terrorismo, di cui agli artt. 302 e 414, quarto comma, del codice penale, quando tali fatti sono commessi attraverso strumenti telematici e informatici.
Il comma 2 prevede l’istituzione e il costante aggiornamento di una black list dei siti internet – alimentata dalle segnalazioni dei competenti organi di polizia – utilizzati per le attività di cui all’art. 270-bis e per le finalità di cui all’art. 270-sexies del codice penale, comprese quelle di proselitismo, di arruolamento dei foreign fighters, nonché di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale.
La black list è aggiornata dal Servizio polizia postale del Dipartimento della pubblica sicurezza, già individuato dal citato art. 7-bis del Decreto-legge n. 144 del 2005 anche per le operazioni sotto copertura relative alla creazione di siti nelle reti di comunicazione, nonché ai fini della prevenzione e della repressione delle attività terroristiche o di agevolazione delterrorismo.
Il comma 3 prevede l’obbligo per i fornitori di connettività di inibire l’accesso ai medesimi siti individuati con provvedimento dell’Autorità giudiziaria procedente (formula che, si nota incidentalmente, consente di ricomprendere il Pubblico ministero), attraverso la creazione di appositi filtri.
La disposizione, che non prevede sanzioni nel caso in cui il destinatario dell’ordine
non lo esegua, va letta in combinazione con quella, di maggiore incisività, prevista al successivo comma 4, in base alla quale il Pubblico ministero, quando procede per i delitti di cui agli artt. 270-bis, 270-ter, 270-quater e 270-quinquies c.p. commessi con finalità di terrorismo e vi sono concreti elementi per ritenere che detti reati sono compiuti per via telematica, ordina, con decreto motivato, ai fornitori dei servizi di hosting o di altri connessi alla rete internet, di rimuovere i contenuti riguardanti i predetti delitti.
L’ordine va immediatamente adempiuto e comunque nell’arco di quarantotto ore; in caso di sua inosservanza, l’Autorità giudiziaria dispone l’interdizione all’accesso al dominio internet nelle forme e con le modalità del sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p..
L’oscuramento del sito per effetto di decreto di sequestro preventivo non è, però,
ammesso con riferimento alle pagine web di testate giornalistiche telematiche regolarmente registrata, prodotti editoriali che, a differenza degli altri spazi comunicativi (blog, mailing list, chat, newsletter, e-mail, newsgroup, messaggi istantanei, ecc.), godono delle guarentigie previste per la stampa dall’art. 21 Cost., per come di recente confermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (informazione provvisoria su sentenza del 29.1. 2015, Fazzo).
V. Le contravvenzioni relative all’immissione sul mercato o all’uso di precursori
di esplosivi.
L’art. 3 mira ad adeguare l’Ordinamento interno alle disposizioni del Regolamento
(UE) n. 98/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2013, relativo all’immissione sul mercato e all’uso di precursori di esplosivi, che sottopone la circolazione e l’uso delle predette sostanze a una serie di obblighi e di restrizioni, stabilendo che, fatta eccezione per i soggetti che esercitano attività commerciali o di impresa, i precursori di esplosivi soggetti a restrizioni non possano essere messi a disposizione di soggetti privati e che questi ultimi non possano introdurli, detenerli o usarli.
La norma di fonte europea prescrive, inoltre, agli operatori economici di segnalare al punto di contatto nazionale, previamente individuato dallo Stato membro, le transazioni sospette, le sparizioni e i furti aventi ad oggetto le sostanze elencate negli allegati dello stesso Regolamento, ovvero le miscele o gli altri preparati che le contengono, materiali che, sovente di uso comune, possono essere facilmente utilizzati per il compimento di atti di matrice terroristica o comunque violenta.
Atteso, ancora, che il Regolamento de quo richiede che le violazioni di tali divieti e
obblighi siano puniti con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, l’art. 3 del D.L. n. 7/2015 introduce nel codice penale due nuovi reati contravvenzionali.
Trattasi di una opzione di criminalizzazione che esclude, come segnalato dal Procuratore Nazionale Antimafia, la possibilità di attivare le metodologie investigative riservate ai reati di maggiore gravità e che, peraltro, non si palesa del tutto coerente dal punto di vista sistematico.
A questo proposito, è agevole notare, sulla premessa che gli artt. 678-bis e 679-bissono inseriti nel libro III del codice penale, relativo ai reati di natura contravvenzionale e, in particolare, nella sezione relativa alle “contravvenzioni concernenti la prevenzione di infortuni nelle industrie o nella custodia di materia esplodenti“, come il contenuto delle disposizioni non afferisca alla prevenzione degli infortuni ed appaia, di conseguenza, poco pertinente rispetto alle finalità di tale sezione del codice.
In particolare, con il nuovo art. 678-bis viene punita la messa a disposizione di privati delle sostanze che contengono da sole o in miscele i precursori di esplosivi in concentrazioni superiori ai valori limite indicati nell’allegato I al predetto Regolamento.
L’art. 679-bis, in analogia con quanto previsto in tema di omessa denuncia di materie esplodenti, sanziona poi, con l’arresto fino a dodici mesi ovvero con l’ammenda fino a 371 euro, l’omessa denuncia dei furti o delle sparizioni delle sostanze in argomento.
L’omessa segnalazione all’Autorità delle transazioni sospette riguardanti i precursori di esplosivo è, da ultimo, punita a titolo di illecito amministrativo.
La transazione si intende sospetta quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 9,paragrafo 3, del Regolamento, condizioni modulate sulla base dei dati che gli operatori economici, che effettuano la vendita dei materiali, sono tenuti ad annotare nel registro delle operazioni già oggi previsto dall’art. 8 del testo sovranazionale.
VI. Le misure di prevenzione personale e patrimoniale nel contrasto a fenomeni
terroristici.
L’art. 4 del disegno di legge di conversione del Decreto-legge n. 7 del 2015 opera in primo luogo interventi integrativi e modificativi della disciplina dei presupposti e delle modalità di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali e personali previste dal D.Lgs. n. 159 del 6 settembre 2011 (cd. Codice antimafia). La finalità, esplicitata nella relazione di accompagnamento del testo normativo proposto, è quello di estendere ai fenomeni criminali di matrice terroristica il sistema cd. del “doppio binario” di misure preventive e sanzionatorie già sperimentato nell’Ordinamento in relazione alla criminalità mafiosa.
Il primo comma della norma integra l’art. 4, comma 1, lett. d) del codice antimafia
che, nel testo attualmente vigente, stabilisce che le misure di prevenzione contemplate nella medesima legge possano essere applicate anche a “coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale”.
Il testo in discussione ne propone l’integrazione nel senso che siano oggetto di applicazione delle misure anche coloro che pongano in essere atti preparatori a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’art. 270-sexies del codice penale. In continuità e coerenza con quanto stabilito alle norme incriminatrici che precedono, l’intervento è mirato a prevenire ed impedire l’azione dei cd. foreign fighters, cioè coloro che, secondo la relazione di accompagnamento al d.d.l. “senza essere cittadini o residenti, si recano in Paesi dove agiscono questi sodalizi (di carattere terroristico, capaci di attrazione e proselitismo, n.d.r.) per combattere al loro fianco o per commettere azioni terroristiche”.
L’estensione a tali soggetti delle misure di prevenzione personali, quali in primo luogo la sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza, eventualmente accompagnata dall’obbligo o divieto di soggiorno è quindi evidentemente finalizzata a prevenire l’espatrio verso i Paesi in cui operano le organizzazioni terroristiche cui si intende aderire. Per rendere più efficace e diretto lo strumento preventivo, la proposta di legge introduce anche la misura provvisoria del ritiro del passaporto da parte del Questore, allo scopo di evitare che il periodo di tempo necessario all’adozione dei provvedimenti di urgenza da parte del Presidente del Tribunale già previsti dall’art. 9 D.Lgs. n. 159/11, “possa essere sfruttato dal soggetto interessato per allontanarsi dal territorio dello Stato” (cfr rel. accompagnamento).
Si prevede, con l’introduzione del comma 2-bis del citato art. 9, un provvedimento
urgente sottoposto a convalida, sullo schema delle misure di prevenzione in materia di prevenzione della violenza sportiva – art. 6 comma 3 della legge 13 dicembre 1989 n. 401 – di cui saranno applicabili i principi elaborati dalla giurisprudenza. Più in particolare, si tratta del temporaneo ritiro del passaporto e nella sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento con provvedimento del Questore, adottato unitamente alla presentazione della proposta di applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e
dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale. Esso, insieme alla proposta, deve essere comunicato immediatamente al Procuratore distrettuale che, se non ne dispone la cessazione, ne chiede la convalida, entro 48 ore, al Presidente del Tribunale. Il Presidente del Tribunale decide entro 48 ore, ferma restando l’inefficacia del provvedimento cautelare se la convalida non interviene entro 96 ore dall’adozione.
Si è quindi disegnato un settore residuale di intervento, autonomamente rilevante,
relativo ad atti che, apprezzabili per la rilevanza esterna obbiettiva e la evidente finalizzazione criminosa, restino tuttavia nell’ambito della preparazione del delitto senza integrare la fattispecie di reato, neppure nella forma tentata.
Quest’ultima scelta è coerente con l’impostazione dogmatica tradizionale che individua nel settore della prevenzione un sistema alternativo ed autonomo rispetto a quello della repressione penale, precisamente orientato all’obbiettivo di impedire che condotte delittuose siano commesse, e quindi applicate sulla base di indizi di pericolosità contemplati da specifiche norme di legge e non collegate all’accertamento di condotte specifiche di reato.
Tale opzione si distingue dalle soluzioni adottate nel contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso ove il Legislatore ha inteso articolare l’arsenale dello Stato, nel contrasto a gravi fenomeni delinquenziali, attraverso la possibilità di un ricorso, per gli stessi fatti, sia a strumenti preventivi che repressivi. Ma l’indicazione proprio la soluzione del decreto legge in commento appare maggiormente in sintonia con i principi generali.
Quanto agli strumenti di prevenzione di cui all’art. 9 del Codice antimafia, è stata
segnalata, già nella struttura attuale della norma, la mancata previsione di un termine di durata della misura di limitazione della libera circolazione stabilita in via provvisoria dal Presidente del Tribunale. Tale lacuna, cui fino ad ora ha supplito la giurisprudenza (cfr. Cass., sez. I, 23 aprile 2004, n. 26268), rischia di provocare problemi di compatibilità con i principi costituzionali e convenzionali in materia di libertà di circolazione, e potrebbe essere utilmente colmata in sede di conversione della norma.
Ulteriore novità dell’art. 4 del disegno di legge in commento consiste, alla lettera c), nell’estensione della circostanza aggravante prevista dall’art. 71 del Codice antimafia – relativa all’essere stato il reato commesso da parte di soggetto sottoposto a misura di prevenzione personale – anche ai reati di matrice terroristica o, comunque, con finalità diterrorismo.
La lettera d), che inserisce l’art. 75-bis del D.Lgs. n. 159/2011, prevede un’autonoma fattispecie di reato punibile con la reclusione da uno a tre anni, della condotta di chi violi le prescrizioni contenute nei provvedimenti di prevenzione provvisoria d’urgenza adottati dal Questore e dal Presidente del Tribunale ai sensi dell’art. 9 del medesimo codice. Per tale reato è previsto l’arresto in flagranza, giustificato probabilmente dalla concretezza del pericolo di allontanamento.
D’altra parte, i limiti edittali della pena sono inferiori a quelli minimi stabiliti dall’art. 280 c.p.p. per l’applicazione di misure cautelari custodiali, cosicché potrebbe risultare sproporzionata la privazione temporanea della libertà che non può avere alcun seguito oltre i termini della convalida dell’arresto.
Né, allo stato, sembra potersi fare applicazione dell’istituto processuale di cui al quinto comma dell’art. 391 c.p.p. che consente l’applicazione di misura custodiale oltre i limiti edittali della pena per il reato – ove l’arresto sia stato convalidato in ipotesi specifiche – in quanto la fattispecie in commento non sembra rientrare tra i casi individuati dalla norma, da interpretarsi in maniera necessariamente restrittiva in ragione della compressione che da essi deriva dei fondamentali diritti di libertà individuali.
E’ opportuno che, in sede di conversione, il Legislatore ponga rimedio a tale profilo
problematico, prevedendo analoga eccezione alla regola generale dell’art. 280 c.p.p. ovvero, all’opposto, eliminando la previsione di arresto che, non potendo essere seguito da misura cautelare custodiale, finisce per realizzare una compressione della libertà personale fortemente limitata nel tempo e quindi, in ultima analisi, inutile ed ingiustificata.
Il comma 2 dell’art. 4 del disegno di legge di conversione interviene sull’art. 13 del testo unico di cui al Decreto legislativo n. 286 del 1998, estendendo l’applicazione dell’espulsione amministrativa per motivi di terrorismo – anche a coloro che pongono in essere atti preparatori alla partecipazione all’attività di organizzazioni terroristiche in territorio straniero, ed aggiornando i riferimenti normativi alle disposizioni del Codice antimafia.
Infine, la norma modifica il termine di deposito dei verbali relativi alle operazioni di intercettazione preventiva disciplinate dall’art. 226 delle Norme di attuazione del codice di procedura penale – D.Lgs. n. 271/91 – allungandolo a dieci giorni nell’ipotesi in cui sussistono esigenze di traduzione.
VII. Il rilascio di permessi di soggiorno per esigenze di giustizia.
L’art. 6 del disegno di legge di conversione del Decreto-legge n. 7 del 2015 modifica alcune norme del Decreto-legge n. 144 del 2005 – convertito con modificazioni dalla legge n. 155 del 2005.
Il comma 1, lettera a), modifica l’art. 2, comma 1 integrando la previsione della possibilità ivi prevista per il Questore di rilasciare permessi di soggiorno a stranieri non comunitari irregolari quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento relativi a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico, vi sia l’esigenza di garantire la permanenza nel territorio dello Stato dello straniero che abbia offerto all’autorità giudiziaria o agli Organi di polizia una collaborazione significativa, anche su richiesta dei direttori dei servizi di informazione. Tale istituto, alle condizioni e secondo la procedura descritta, viene esteso dalla novella anche all’ipotesi in cui la collaborazione del cittadino straniero sia necessaria in relazione ad attività illecite riconducibili alla criminalità transnazionale. Si tratta di previsione senz’altro utile al fine di arricchire il materiale conoscitivo acquisibile per l’attività di indagine.
VIII. Le novità in materia di trattamento dei dati personali da parte delle forze di
polizia.
L’art. 7 del Decreto-legge in oggetto detta nuove norme in materia di trattamento di dati personali da parte delle Forze di polizia.
La disposizione interviene a sostituire integralmente l’art. 53 del Decreto-legislativo del 30 giugno 2003, n. 196, cd. Codice della privacy.
Il significato della novella deve essere ricercato nella volontà, ben desumibile anche dalla Relazione di accompagnamento al D.L., di agevolare l’azione delle Forze di polizia nella raccolta dei dati e nell’analisi delle informazioni acquisite, quale presupposto imprescindibile per un’efficace azione di contrasto di fenomeni come il terrorismo e, più in generale, di quelli capaci di mettere a repentaglio la sicurezza pubblica nel Paese.
In questa prospettiva, la norma è presumibilmente volta ad eliminare una certa rigidità della previsione di cui all’art. 53, comma 1, nella misura in cui la stessa impediva alle Forze di polizia di acquisire dati e informazioni personali, qualora ciò non fosse espressamente previsto da norme di rango primario.
In altri termini, il Legislatore ha avvertito come eccessivamente restrittivo il perimetro con cui la legge consentiva il trattamento dei dati da parte delle Forze di polizia, con ritenute conseguenze pregiudizievoli sull’attività di prevenzione e di repressione dei reati, nonché ditutela della sicurezza pubblica.
L’intervenuta modificazione dell’art. 53, eliminandosi il menzionato connotato di rigidità, viene peraltro a livellare questo istituto con la disciplina, di cui all’art. 47 del codice, che disciplina i trattamenti di dati personali per ragioni di giustizia, norma che non richiede appunto che i predetti trattamenti siano previsti da specifiche disposizioni di legge. Ciò appare rispondente a corretti canoni di razionalità, tenuto anche conto che la normativa europea prevede, per la tutela dei dati personali, limiti ed eccezioni analoghi, sia per i trattamenti per finalità di giustizia, sia per quelli per finalità di polizia.
Lo ius superveniens, peraltro, sembra ripristinare un migliore rapporto di coerenza
anche con il successivo art. 54, il quale consente alle Forze di polizia e alle autorità di pubblica sicurezza di acquisire dati, per finalità di polizia, anche sulla base di previsioni contenute in atti regolamentari.
Al fine, quindi, di superare le indicate problematicità che rischiavano di condizionare negativamente l’azione di prevenzione delle Forze di polizia, l’art. 7, come si accennava, riscrive integralmente l’art. 53 del codice, sul modello di quanto stabilito dai precedenti artt. 46 e 47 per i trattamenti di dati personali in ambito giudiziario. La nuova versione del citato art. 53 definisce, al comma 1, la nozione di finalità di polizia in rapporto ai trattamenti di dati personali. La norma specifica che si intendono effettuati per finalità di polizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati all’esercizio di compiti di prevenzione e di tutela
dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché ai compiti di polizia giudiziaria svolti, ai sensi del codice di procedura penale, per la prevenzione e la repressione dei reati. Il comma 2 stabilisce che le Forze di polizia e gli altri Organi di Pubblica Sicurezza sono esentati dall’osservare le citate disposizioni del codice quando i trattamenti di dati personali sonoeffettuati:
a) dal Centro elaborazione dati (CED) di cui all’art. 8 della legge 1 aprile 1981, n. 121, ovvero dalle Forze di polizia sui dati destinati a confluire nel medesimo CED;
b) da Organi di Pubblica Sicurezza o da altri soggetti pubblici nell’esercizio delle
attribuzioni conferite da disposizioni di legge o di Regolamento.
Il risultato voluto dal Legislatore, di mantenere immutato il contenuto di specialità
della fattispecie agevolatoria, solo semplificandone e slargandone l’ambito applicativo, sembra dunque efficacemente perseguito attraverso una misura regolativa idonea a semplificare e razionalizzare l’istituto.
Invero, la pregressa imposizione di una espressa previsione legislativa fondativa
dell’attribuzione in ordine al trattamento dei dati, può, in alcuni casi, aver rallentato l’esigenza di continuo adeguamento degli strumenti investigativi all’evoluzione tecnologica.
Come ben evidenziato dal Garante della Privacy nell’audizione parlamentare sul D.L., la velocità con cui la tecnica (e con esso il crimine) si evolve richiede oggi, molto più di 11 anni fa (quando fu emanato il Codice), altrettanta celerità nel mutamento delle tecniche investigative. I tempi di questa rapida evoluzione non possono essere evidentemente i tempi connessi al procedimento legislativo.
E’ opportuno, dunque, segnalare che il vero nucleo di novità introdotto dal D.L. risiede nello scardinamento del sistema di fonti suscettibili di legittimare la raccolta di dati, sino ad oggi limitato alla legge ordinaria. Con l’entrata in vigore del nuovo corpus, invece, il trattamento potrà fondarsi anche su norme regolamentari e sullo specifico decreto del Ministro dell’interno ricognitivo dei vari trattamenti svolti per fini di prevenzione e repressione dei reati.
Il “declassamento” di rango della norma attributiva del potere incide ovviamente su tutti gli ambiti investigativi e preventivi e non solo su quello propriamente antiterroristico.
La delicatezza del nuovo meccanismo starà chiaramente proprio in questo, cioè che, ove risultasse necessario l’utilizzo di un nuovo specifico strumento investigativo, non ancora tipizzato dalla legge, il Governo o lo stesso Ministro potranno legittimarne l’uso ex se, disciplinandone le caratteristiche.
Le possibili criticità del nuovo meccanismo, rispetto ai diritti di libertà costituzionalmente previsti, sembrano non allarmanti, dato che le nuove fonti secondarie di legittimazione dovranno pur sempre corrispondere a specifiche attribuzioni della polizia previste ex lege. Pertanto, l’ambito di discrezionalità non è indiscriminato, ma è comunque circoscritto in apicibus, all’interno di un sistema in cui l’azione dell’autorità di Pubblica Sicurezza, proprio perché idonea a incidere su diritti fondamentali, è rigidamente disciplinata dalla legge.
Pur all’interno di una strategia di flessibilizzazione, rimane peraltro pienamente condivisibile l’intervenuta tipizzazione espressa delle attività riconducibili alle finalità di polizia (prevenzione, oltre che repressione dei reati, pubblica sicurezza in senso stretto, attività di polizia giudiziaria), idonea a supportare istanze di certezza e chiarezza, tanto necessarie in un ambito così delicato.
In fase attuativa, la tenuta del sistema, in termini di ricerca di nuovi punti di equilibrio tra sicurezza e libertà, richiederà particolare attenzione in sede di approvazione dei Regolamenti e di emanazione dei decreti istitutivi di questi nuovi, eventuali, trattamenti.
Probabilmente, in sede di conversione, potrebbe essere opportuna da parte del Legislatore una chiarificazione sul ruolo, in subiecta materia, del Garante per la riservatezza.
Dato un certo margine di equivocità del tessuto regolativo, sarebbe quindi opportuno che, in sede di conversione, il Legislatore prendesse più chiara posizione sul punto, auspicabilmente strutturando una più incisiva interlocuzione consultiva col Garante. Invero, anche in occasione dell’incontro tenutosi presso il C.S.M. il 2 e 3 marzo u.s., è stata da più parti condivisa l’esigenza di una più forte traiettoria di equilibrio tra istanze diverse, obiettivo perseguibile attraverso la massima espansione degli istituti di garanzia, posto che il corretto trattamento e la protezione dei dati non è solo presidio di libertà dei singoli, ma anche una condizione strutturale della cyber security.
Come sopra si accennava, è rimasta, invece, immutata la norma dell’ultimo comma dell’art. 53, secondo cui, con decreto del Ministro dell’interno sono individuati i trattamenti non occasionali di cui al comma 2 effettuati con strumenti elettronici e i relativi titolari.
Per quanto si diceva, la conservazione della disposizione risulta senz’altro apprezzabile, dato che alcuni princìpi in materia di protezione dei dati personali si applicano all’attività delle Forze di polizia e di alcuni altri soggetti pubblici sulla base di adattamenti necessari in ragione della specificità dell’attività svolta. È pertanto necessaria, per disposizione di legge, una ricognizione analitica ed esaustiva di tali trattamenti, aggiornabile agilmente nel tempo.
Peraltro, l’inclusione o meno di un trattamento nel testo del decreto assume rilievo ai fini delle garanzie e dei diritti degli interessati.
Certamente, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 7, poiché nel decreto non devono più essere elencati solo i trattamenti di dati effettuati in base a “espressa” disposizione di legge che preveda “specificamente” il trattamento, nei limiti e con le modalità eventualmente stabiliti (art. 53, comma 1, D.Lgs. n. 196/2003 previgente), non sarà più necessario riscontrare, come avvenuto sino ad oggi, l’indefettibile presupposto che, per ciascuno dei trattamenti individuati, vi sia piena ed effettiva coincidenza fra quanto indicato nel decreto e l’espressa disposizione di legge legittimante.
In un’ottica d’insieme, ferma restando la necessità, unanimemente condivisa, di ampliare le basi di conoscenza e migliorare le correlate tecniche di elaborazione, rimane altrettanto indeclinabile esigenza, di rango non inferiore, di evitare eccessivi e non indispensabili sacrifici dei valori di riservatezza e privatezza, suscettibili di essere irrimediabilmente compromessi da una poco ponderata ed indiscriminata gestione dei flussi informativi che, peraltro, rischia di rivelarsi, per come insegna l’esperienza, poco fruttuosa in chiave propriamente investigativa oltre che poco rispettosa dei diritti fondamentali.
Sotto questo aspetto, non privi di fondamento appaiono i richiami alla recente giurisprudenza della Corte Suprema degli U.S.A.(2) e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (3), operati dal Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, in occasione dell’incontro del 3 marzo 2015.
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(2) Che, da ultimo, a maggio 2014 ha esteso alla perquisizione dei cellulari le tradizionali garanzie previste per le misure limitative della libertà personale, affermando che “il costo della privacy è il valore della democrazia”.
(3) Il riferimento attiene alla nota decisione con cui è stata annullata la Direttiva sulla c.d. Data Retention ed a quella sul c.d. diritto all’oblio in relazione alle attività dei motori di ricerca su Internet.
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IX. L’attività dei servizi informativi in materia di terrorismo.
Nell’ambito di una valutazione generale dei contenuti del Decreto-legge, si rileva la chiara volontà del legislatore di migliorare l’azione preventiva al fenomeno attraverso un rafforzamento degli strumenti di intervento e delle garanzie di status degli appartenenti ai servizi informativi. Esigenza tanto più significativa in quanto le caratteristiche del terrorismo internazionale impongono attività di acquisizione di informazioni e di dati anche in realtà territoriali e governative dove la cooperazione internazionale in ambito investigativo è carente o addirittura impossibile da realizzarsi in concreto e con prospettive di buon andamento. In tali contesti il lavoro preventivo ed informativo assume centralità, e deve essere oggetto di una regolamentazione idonea a tutelare, per un verso lo status degli agenti e per altro le garanzie generali di tenuta del sistema ordinamentale – anche nei rapporti internazionali con altri Stati ed istituzioni sovranazionali – e dei diritti fondamentali di libertà singoli.
In questo contesto l’art. 6 del disegno di legge di conversione del Decreto-legge n. 7 del 2015 modifica alcune norme del Decreto-legge n. 144 del 2005 – convertito con modificazioni dalla legge n. 155 del 2005- recante “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale“. In particolare il comma 1, lettera b), introduce nell’art. 4 del D.L. 144 del 2005 una norma temporanea volta a consentire, fino al 31 gennaio 2016, ai servizi di informazione di effettuare colloqui personali con i soggetti detenuti o internati, al fine di acquisire informazioni per la prevenzione dei delitti con finalità terroristica di matrice internazionale. La norma, mutuando la disciplina già stabilita al comma 2 nel medesimo art. con riferimento al diverso istituto delle intercettazioni preventive di comunicazioni, precisa che tali colloqui sono effettuati su richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri, formulata anche a mezzo del Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) e previa autorizzazione del Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, concessa quando sussistono specifici e concreti elementi informativi che rendano assolutamente indispensabile l’attività di prevenzione. È, inoltre, previsto che dello svolgimento del colloquio sia data comunicazione scritta al Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, che provvederà alla relativa annotazione in un registro riservato, e ne venga informato il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir). Si
tratta di innovazione che si inserisce nella cornice normativa disciplinante l’attività del personale addetto al DIS e ai servizi di informazione per la sicurezza, istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, come da ultimo disciplinata dalla legge n. 124 del 2007 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto).
Sul punto va innanzitutto rilevato che va condivisa la prudenza che sembra orientare lo stesso legislatore in ordine a tale nuovo istituto nella misura in cui esso risulta introdotto quasi a livello sperimentale con una norma dalla vigenza temporanea, fino al 31 gennaio 2016. Le ragioni di tale prudenza appaiono di immediata percezione per la estrema problematicità – quasi ontologica – del contatto che si instaura fra il personale dei servizi informativi e soggetti in regime di restrizione della libertà personale. Del resto l’istituto dei colloqui investigativi con detenuti ed internati non è certamente nuovo in quanto previsto dall’art. 18 bis ord. pen., ma tale previsione si riferisce al contesto molto più garantito e fisiologico delle indagini di polizia giudiziaria e con riferimento ai colloqui effettuati dai responsabili di livello almeno provinciale degli uffici o reparti della polizia di stato o arma dei carabinieri (4.)
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(4) Sul punto va registrata una lacuna colmabile in sede di conversione del decreto intervenendo sull’art. 18 bis. Ord. Pen., attraverso l’estensione dell’obbligo di comunicazione di tali ufficiali di polizia giudiziaria al P.N.A: dell’esito dei colloqui investigativi, già previsto per i colloqui in materia di criminalità organizzata, anche
a quelli nella materi di cui all’art. 51 co. 3 quater. L’esito di tali colloqui ultimi vengono comunicati al Procuratore Nazionale Antimafia In base a tale disciplina il PNA può fare colloqui investigativi anche con riferimento alla materia del terrorismo ma non ha notizia dei colloqui eseguiti dai servizi né gli vengono comunicate le autorizzazioni eventualmente date agli organi di polizia (tale comunicazione è limitata ai casi di colloqui con soggetti indagati o imputati di uno dei reati di cui all’art. 51 comma 3 bis.
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Fatte queste considerazioni di premessa, che andranno opportunamente verificate alla scadenza del 31 gennaio 2016, va rilevato che in coerenza con tale quadro normativo di riferimento, il nuovo istituto conferma la scelta legislativa di separazione tra le attività investigative condotte dalla polizia giudiziaria nel procedimento penale sotto il coordinamento dell’autorità giudiziaria e l’attività informativa preventiva di cui sono titolari i Servizi di intelligence. Se la prima, infatti, è finalizzata all’accertamento ed alla punizione delle condotte di reato secondo un procedimento formalizzato nel rigoroso rispetto dei diritti fondamentali e delle prerogative di difesa di coloro che siano sottoposti ad indagine, la seconda ha come oggetto l’assunzione, in maniera deformalizzata e flessibile, di informazioni utili ad indirizzare le scelte di politica ed amministrazione affidata al potere esecutivo, in un contesto più ampio ed in rapporto ad una molteplicità di soggetti anche non istituzionali che si muovono in un quadro spesso sopranazionale. La scelta di separazione va senz’altro apprezzata nella misura in cui si rivela capace di garantire la integrità e la funzionalità autonoma e piena di ciascuno dei due sistemi di intervento, che potrebbero viceversa essere pregiudicati nell’operatività e negli esiti ove vi fosse contaminazione dagli atti assunti, ovvero delle regole, dei principi e delle logiche proprie dell’altro. In questo senso va ulteriormente condivisa la soluzione di affidare il potere, in sede amministrativa, di autorizzare l’attività di raccolta di informazioni con modalità invasiva dell’altrui sfera di libertà – intercettazioni e colloqui preventivi – verificandone la ricorrenza dei presupposti, al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, autorità che non è titolare di funzioni giudiziarie di investigazione diretta. Per lo stesso motivo, del resto, sono rigorosamente individuati e selezionati i canali ed i filtri – limitatissimi – per cui il patrimonio di conoscenze acquisito nell’attività preventiva può rifluire nei procedimenti giudiziari.
Di contro, è proprio tale indiscutibile scelta di separatezza degli ambiti di intervento, che impone una diversa e più approfondita riflessione sulla opportunità di un momento di contatto e di informazione, almeno in termini di scenari di riferimento, fra il sistema dell’intelligence e quello delle indagini. Questo necessario approfondimento non ha trovato risposte nell’articolato normativo del Decreto Legge e potrebbe essere oggetto di intervento in sede di conversione. Appare infatti chiaro che le stesse finalità complessive dell’intervento normativo, volte al miglioramento dell’efficienza del contrasto al temibile e pericoloso fenomeno del terrorismo, impongano soluzioni capaci di evitare duplicazioni, sovrapposizioni e contrasti fra le attività di prevenzione e quelle di repressione giudiziaria. Per semplificare, occorre aggiungere al principio della separatezza quello della comunicazione, quantomeno in termini di scenari informativi, fra le due attività. Tanto più nel momento in cui, come si vedrà, il Legislatore sceglie la strada del coordinamento investigativo nazionale affidato al Procuratore nazionale antimafia (che diviene anche Antiterrorismo), e nella consapevolezza che, soprattutto in certe zone del Paese, attività di matrice terroristica ed attività in senso ampio di stampo mafioso possono trovare elementi di contatto e di sovrapposizione. In questa logica sono emersi richiami a diverse ipotesi come quella di creare un momento di contatto informativo fra il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma ed il Procuratore nazionale (preventivo o successivo all’autorizzazione delle intercettazioni preventive o dei colloqui investigativi), prevedere la partecipazione (diretta o indiretta) del P.N.A. all’attività del C.A.S.A. (Comitato analisi strategica antiterrorismo (5)), o che ne sia comunque informato con riferimento agli scenari generali delle analisi e delle attività condotte, eventualmente anche attraverso un ufficiale di collegamento con il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS).
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(5) Si tratta di un tavolo permanente tra polizia giudiziaria e Servizi di intelligence, di condivisione e valutazione delle informazioni relative alla minaccia terroristica interna ed internazionale, costituito nel 2004 con Decreto del Ministro dell’Interno.
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Quanto alle garanzie di tutela del personale dei servizi di informazione, il D.L. interviene con l’art. 8, introducendo talune utili disposizioni volte al rafforzamento delle “garanzie funzionali” e della tutela dell’anonimato del personale dei Servizi di informazione e
sicurezza interna ed esterna, individuati, nel nostro ordinamento, dall’Agenzia informazioni e
sicurezza interna (AISI), dall’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e dal
Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS).
In particolare il comma 1, integrando il comma 2-bis dell’art. 497 cod. proc. pen. (rubricato Atti preliminari all’esame dei testimoni), consente al personale dei Servizi di indicare, in occasione della deposizione resa in un procedimento penale avente ad oggetto le attività da essi svolte “sotto copertura”, le generalità, anch’esse “di copertura”, utilizzate nel corso di tali operazioni, così estendendo le analoghe garanzie già previste per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, anche esteri, nonché per gli ausiliari e le persone interposte, che abbiano svolto attività sotto copertura, nell’ottica di garantire l’esigenza di tutela dell’anonimato dei soggetti impegnati nelle attività informative e contestualmente di evitare di ricorrere a discutibile istituto della testimonianza anonima. La garanzia viene estesa anche
al di fuori delle ipotesi disciplinate dall’art. 497 , comma 2 bis, c.p.p. dalla contestuale modifica dell’art. 27 della legge n. 124/2007 (“Tutela del personale nel corso di procedimenti giudiziari“), cui il comma 2 dell’art. in commento, ha aggiunto un comma 3-bis, tale da consentire l’utilizzazione dell’ identità “di copertura” in ogni stato o grado del procedimento tutte le volte che ciò sia necessario mantenere segrete le loro vere generalità nell’interesse della sicurezza dello Stato o per tutelarne l’incolumità.
Il comma 2 dell’art. 8, inoltre, modifica l’art. 17, comma 4, della legge n. 124/2007 (rubricato Ambito di applicazione delle garanzie funzionali), estendendo anche ad alcuni delitti con finalità di terrorismo, le condotte di rilevanza penale che il personale dei Servizi di informazione per la sicurezza può essere autorizzato a commettere ai sensi del successivo art. 18. Si tratta anche in questo caso di una scelta da condividere con riferimento all’indicazione di ulteriori condotte di reato contigue alla fattispecie associativa prevista dall’art. 270-bis cod. pen. e ad altre ipotesi delittuose tipiche dei fenomeni terroristici, quali: la partecipazione ad associazioni sovversive (art. 270, comma 2, cod. pen.), l’assistenza agli associati (art. 270-ter, cod. pen.), l’arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-quater, cod. pen.), l’organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo (art. 270-quater.1, comma 2, introdotto dall’art. 2 del Decreto-Legge in esame), l’addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-quinquies, cod. pen.), l’istigazione a commettere uno dei delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato (art. 302, cod. pen.), la partecipazione a banda armata (art. 306, comma 2), l’istigazione a commettere delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità o apologia degli stessi delitti (art. 414, comma 4, cod. pen.)(6).
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(6) Non secondaria, sul punto, la cosiderazione che le fattispecie incriminatrici appena elencate, ora ricomprese tra quelle scriminabili ai sensi dell’art. 17, non sono state incluse tra quelle per le quali non può essere opposto il segreto di stato: ciò che potrebbe determinare situazioni di sovrapposizione tra le attività dei Servizi di informazione e quelle della polizia giudiziaria.
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X. Il coordinamento nazionale delle indagini nei procedimenti per i delitti di terrorismo, anche internazionale. Le Procure distrettuali ed i rapporti con la procura Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo.
Occorre in questa sede far riferimento alla fondamentale funzione svolta dalla magistratura italiana per far fronte ad emergenze drammatiche come quelle del terrorismo interno, anche attraverso una capacità di auto-organizzazione che ha spesso anticipato gli interventi normativi di settore. Ciò è accaduto, come è stato ricordato, perché è stato espresso un eccellente livello di professionalità in termini di specializzazione, lavoro di gruppo, coordinamento spontaneo tra uffici giudiziari, raccordo effettivo e leale con la polizia giudiziaria, capacità di gestione dei collaboratori di giustizia, e rispetto delle garanzie degli imputati. In particolare l’esperienza del coordinamento spontaneo fra magistrati ed investigatori della polizia giudiziaria dei diversi uffici, prima nell’esperienza del terrorismo interno e, più recentemente, in quella del terrorismo internazionale, ha dimostrato la capacità della magistratura di far fronte, attraverso l’organizzazione e la condivisione del lavoro e delle informazioni, alla mutevolezza dei fenomeni criminali senza attendere l’intervento normativo ed anzi anticipandone le soluzioni. Tali soluzioni di coordinamento, sperimentato dalla fine degli anni settanta, anticiparono anche quelle poi ritenute prevalenti ed esemplari del coordinamento fra i magistrati antimafia.
E’ per questo che, dopo i terribili fatti del 2001, ed i primi interventi normativi ad essi conseguenti, le 26 Procure Distrettuali competenti in materia di terrorismo ed eversione ex art. 51 c. quater c.p.p., su iniziativa di alcuni magistrati esperti in quel settore, hanno assunto la decisione di organizzare spontaneamente il loro coordinamento, per elaborare indirizzi strategici e giurisprudenziali in materia, per intensificare i rapporti di coordinamento e fare il punto sul livello della cooperazione internazionale ( si tratta di iniziative a cui hanno via via partecipato anche rappresentanti di Eurojust ed altri Paesi Europei e che per un certo periodo
si sono fisicamente svolti nella struttura del Consiglio Superiore della Magistratura).
Nel frattempo la magistratura ha più volte chiesto un intervento normativo volto ad
introdurre istituti di coordinamento nazionale delle indagini in materia di terrorismo.
Con risoluzione adottata dall’Assemblea plenaria del 12.7.2006, anche il Consiglio
Superiore della Magistratura, dopo un approfondito esame della normativa e delle prassi internazionali, nonché delle esigenze concretamente imposte dal fenomeno del terrorismo internazionale, si era categoricamente espresso sul punto, a favore dell’istituzione di una Procura Nazionale Antiterrorismo, autonoma o inglobata nella Procura Nazionale Antimafia.
A questa indicazione ha aderito il Decreto-Legge in commento, che al capo II, intitolato “Coordinamento nazionale delle indagini nei procedimenti per i delitti di terrorismo, anche internazionale“, introduce, con gli artt. 9 e 10, una pluralità di disposizioni che conferiscono al Procuratore Nazionale Antimafia anche le competenze in materia di coordinamento delle attività di contrasto giudiziario al terrorismo anche internazionale, adeguando, corrispondentemente, numerose previsioni del codice di procedura penale e del cd. codice antimafia. Le modifiche introdotte sia gli assetti organizzativi della Direzione Nazionale Antimafia (e Antiterorrismo), sia ed il complesso delle sue attribuzioni, anche nel rapporto con le Procure distrettuali e con la polizia giudiziaria. Di conseguenza, il Consiglio Superiore della Magistratura se ne occuperà non solo in questa sede consultiva, ma soprattutto in sede di normazione secondaria in ordine all’impatto delle novità legislative in materia di organizzazione.
Dunque, la Direzione Nazionale Antimafia è stata pertanto ribattezzata, dall’art. 10 del Decreto-legge in commento (che ha sostituito l’art. 103 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159), come “Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo”; e l’Organo preposto al vertice della struttura giudiziaria di nuova istituzione è stato individuato nel Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo, che ha preso il posto del “Procuratore Nazionale Antimafia” (ciò che ha comportato la necessità di una serie di minuti interventi di adeguamento normativo alla nuova denominazione).
A livello territoriale l’organizzazione delle strutture giudiziarie requirenti nella materia antiterrorismo è stata invece differenziata e distinta rispetto a quanto avviene nella materia antimafia. L’attuale assetto degli organismi giudiziari antimafia è, infatti, caratterizzato dalla presenza di strutture territoriali, quali le direzioni distrettuali antimafia (cd. D.D.A.), costituite come articolazioni della Procura della Repubblica distinte dai singoli gruppi di lavoro esistenti all’interno delle stesse, le quali vengono coordinate dalla Direzione Nazionale Antimafia. Si tratta di articolazioni che sono destinatarie di una precisa normativa primaria e di una dettagliata disciplina secondaria del CSM. Nella materia antiterrorismo, invece, la scelta del Governo è stata quella di confermare l’assetto previgente, con il quale le funzioni antiterrorismo erano state devolute alle Procure distrettuali, senza peraltro procedersi alla costituzione di organismi inquirenti e requirenti ad hoc (7)
………….
(7) Coerentemente con questa scelta l’art. 10 (rubricato Modifiche al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante: Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), stabilisce, al comma 3 lett. a), la modifica dell’art. 105, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (rubricato “Applicazione di magistrati del pubblico ministero in casi particolari“), statuendo che il procuratore nazionale possa applicare temporaneamente alle procure distrettuali, i magistrati appartenenti alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, quelli appartenenti alle direzioni distrettuali antimafia «oltre che quelli addetti presso le procure distrettuali alla trattazione di procedimenti in materia di terrorismo anche internazionale», per la trattazione dei procedimenti relativi ai delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. penale, di particolare complessità o che richiedano “specifiche esperienze e competenze professionali“.
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Il decreto continua dunque a rimettere le relative competenze in capo al Procuratore della Repubblica distrettuale, il quale potrà modulare l’organizzazione dell’ufficio, e quindi l’attribuzione delle relative competenze in capo ai singoli sostituti, in funzione sia delle concrete manifestazioni assunte localmente dalla criminalità terroristica, sia delle risorse, umane e materiali, disponibili. Si tratta di una scelta sulla quale il dibattito scaturito nell’immediatezza della formulazione del D.L. è stato particolarmente vivace, in quanto le diverse opzioni (inglobamento nelle D.D.A. o gruppi di lavoro autonomi) presentano indubbiamente vantaggi e svantaggi. Utilizzare le D.D.A. avrebbe probabilmente avuto il merito di semplificare e rendere automaticamente operante e coerente il complesso normativo di riferimento, quanto a poteri, attribuzioni, rapporti con la Direzionale nazionale Antimafia ed Investigativa e gestione della Banca dati. Di contro, non è
dubbia la circostanza che le materie investigative di riferimento sono assai diverse, soprattutto per come si esplicano nelle diverse realtà territoriali e distrettuali, dove si coniugano con distinte modalità di attuazione delle condotte e del rapporto con altre fattispecie illecite (si pensi al rapporto con i delitti di immigrazione, di contraffazione, di armi, di traffico di stupefacenti ecc..), tanto da consigliare la creazione di volta in volta di moduli organizzativi elastici e gruppi di lavoro interdisciplinari, soluzioni queste che si scontrerebbero con le rigidità organizzative proprie delle Direzioni Distrettuali Antimafia. In questo senso, e nell’ottica di preferire la scelta del legislatore d’urgenza, la considerazione che dal monitoraggio effettuato dal C.S.M. con la collaborazione dei Procuratori Distrettuali è emersa la attuale esiguità (che non può ch auspicarsi resti tale come conseguenza delle caratteristiche del fenomeno in atto) del numero dei procedimenti pendenti in materia di terrorismo internazionale.
Il collegamento ed il rapporto fra le Procure distrettuali antiterrorismo e la Direzione nazionale antiterrorismo dovrà attuarsi innanzitutto attraverso la creazione ed implementazione di una banca dati nazionale, sul modello di quanto accaduto con la nota banca dati SIDDA-SIDNA in uso in materia di criminalità organizzata che elabora a livello centrale le informazioni, relative alle indagini preliminari ed ai procedimenti pendenti o espletati presso le singole Direzioni distrettuali, con riferimento ai reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p.. Un sistema che, dunque, si fonda sulla implementazione delle banche dati esistenti a livello locale presso le Direzioni distrettuali, le quali vengono collegate ad una banca dati centrale capace di elaborare le varie informazioni pervenute, e che costituisce un modello di gestione del dato a fini conoscitivi ed investigativi di assoluta e riconosciuta eccellenza nel panorama internazionale. Infatti il D.L. prevede che “il Procuratore Nazionale Antimafia e antiterrorismo, nell’ambito delle funzioni previste dall’art. 371-bis, accede al registro delle notizie di reato, ai registri di cui all’art. 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55, e alle banche dati istituite appositamente presso le Procure distrettuali, realizzando se del caso collegamenti reciproci”, con una estensione che pare configurare l’accesso, da parte della Procura Nazionale Antimafia, a tutte le altre banche dati istituite presso le Procure distrettuali: non solo a quelle relative ai procedimenti di competenza delle D.D.A. ex art. 51, comma 3-bis cod. proc. pen., e quelle afferenti ai delitti previsti dal comma 3-quater in materia di terrorismo, ma anche ai delitti, consumati o tentati, previsti dal comma 3-quinquies (8).
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(8) Si tratta dei delitti di cui agli artt. 414-bis, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609- undecies, 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 640-ter e 640-quinquies del codice penale).
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Orbene, nell’ambito di una generalizzata positiva valutazione in ordine al rafforzamento del sistema della centralizzazione delle banche dati in materia investigativa e giudiziaria, è evidente che la realizzazione concreta di un sistema da utilizzare in materia di antiterrorismo dovrà essere oggetto di puntuale disciplina da parte del Procuratore nazionale nell’ambito della cornice normativa secondaria e sotto il controllo del C.S.M., anche per la risoluzione dei problemi che la scarna normativa primaria non risolve, in particolare con riferimento alle modalità organizzative con cui verrà realizzato il collegamento tra il sistema informativo della Procura nazionale antimafia e le banche dati delle Procure distrettuali concernenti i procedimenti in materia di terrorismo. Nell’ottica della preannunciata soluzione di utilizzare direttamente il sistema SIDDA-SIDNA dovranno verificarsi in concreto le soluzioni di implementazione, di accesso e di gestione ad opera di gruppi di lavoro distrettuali antiterrorismo esterni alle Direzioni Distrettuali Antimafia.
In questo ambito, in sede di conversione appare necessario modificare l’art. 102 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (cd. codice antimafia), a mente del quale il Procuratore distrettuale o un suo delegato deve curare che i magistrati addetti alla D.D.A. ottemperino all’obbligo di assicurare la completezza e la tempestività delle reciproche informazioni. Stando alla formulazione espressa della disposizione, infatti, tale obbligo continua a permanere in capo ai soli magistrati delle D.D.A., mentre esso non è stato esteso ai magistrati competenti sulla materia del terrorismo. In mancanza, sarà il CSM a verificare l’esistenza di gli spazi per colmare la lacuna normativa.
XI. I poteri di coordinamento del Procuratore nazionale Antiterrorismo – le disposizioni processuali ed ordinamentali.
L’art. 9 del Decreto Legge (rubricato Modifiche al d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447, recante: “Approvazione del codice di procedura penale“), stabilisce al comma 4, lett. b) la modifica del comma 1 dell’art. 371-bis del cod. proc. pen. (ora rubricato Attività di coordinamento del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo) che nella sua nuova formulazione è così congegnato: “Il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo esercita le sue funzioni in relazione ai procedimenti per i delitti indicati nell’art. 51 comma 3- bis e comma 3-quater e in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia e terrorismo. In relazione ai procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis dispone della Direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l’impiego a fini investigativi“.
Tale disposizione presenta uno dei profili più problematici della disciplina di nuovo conio, atteso che la sostituzione delle parole «A tal fine» con le parole «In relazione ai procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis» ha determinato una evidente discrasia tra l’attribuzione, in capo al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, di una competenza di coordinamento in materia di terrorismo e la possibilità di disporre della direzione investigativa antimafia e dei “servizi centrali e interprovinciali delle Forze di polizia” e di “impartire direttive intese a regolarne l’impiego a fini investigativi“. Tale soluzione appare verosimilmente riconducibile alla scelta politica di riservare i compiti organizzativi, in questa delicata materia, in capo al Dipartimento della Pubblica Sicurezza ed ai vertici delle Forze di polizia. Di errore materiale nella riformulazione della norma sembra invece trattarsi (e diversamente sarebbe un grave arretramento nel contrasto) laddove il nuovo 371 bis sottrae la possibilità di disporre dei predetti servizi investigativi anche con riferimento ai “procedimenti di prevenzione antimafia“, per i quali tale potere era, invece, in precedenza previsto. Tale ipotesi appare confermata altresì dal fatto che la lettera h) del comma 3 dell’art. 371-bis, cod. proc. pen. abbia previsto, tra i procedimenti avocabili in caso di ineffettività del coordinamento, anche quelli relativi ai delitti di cui al comma 3-quater dell’art. 51, cod. proc. pen.; ciò che sembra quindi confermare l’ipotesi di un errore materiale nella riformulazione del comma 1, che va necessariamente corretto in sede di conversione.
Ma una correzione si impone, questa volta di sostanza, anche con riferimento alla
sopra citata sottrazione della disponibilità dei servizi centrali e interprovinciali di polizia, se non anche della direzione investigativa antimafia, per rendere effettivo il coordinamento del Procuratore nazionale. Sul punto vale anche considerare che tali funzioni di coordinamento, espressamente richiamate nel comma 2 dell’art. 371 bis, appaiono di fatto non compiutamente esercitabili o largamente compromesse dall’impossibilità di utilizzarsi tali servizi proprio nella materia del terrorismo, attesa la centralità in questo ambito del lavoro di elaborazione ed analisi del dato di conoscenza che direttamente da tai organi deve essere trasmesso alla Procura Nazionale anche al fine della effettiva formulazione di direttive intese a regolare l’impiego della polizia giudiziaria a fini investigativi per la completezza ed effettività delle investigazioni.
Si tratta di evitare che la funzione del coordinatore nazionale delle indagini antiterrorismo si riduca a mero simulacro, una etichetta di fatto priva di effettivi poteri. Del resto è semplice rilevare che il modello di coordinamento che prevede il previgente art. 371 bis c.p.p., sperimentato in materia antimafia, per i riconosciuti risultati conseguiti, non può che essere replicato nella materia antiterrorismo, attribuendo al Procuratore nazionale la disponibilità dei necessari poteri attraverso l’utilizzazione dei servizi centrali di polizia impiegati in materia terrorismo. E’ fortemente auspicabile, di conseguenza, la modifica in sede di conversione nel senso del ritorno alla previgente formulazione dell’art. 371 bis c.p.p, con il solo adeguamento nominalistico che aggiunge di volta in volta alla parola “antimafia”, quella “antiterrorismo”.
Occorre altresì prevedere all’art. 54 ter c.p.p., nel caso di un contrasto di competenza insorto tra diversi uffici del Pubblico ministero nei reati ex art. 51 co. 3 quater, da risolversi con decisione del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, la necessità di acquisizione dl parere del Procuratore Nazionale, coerentemente con quanto previsto per i reati indicati nell’art. 51 co. 3 bis c.p.p.. Si tratta di lacuna verosimilmente ascrivibile ad un errore materiale, considerato che invece è stato correttamente adeguata la norma, per certi versi speculare dell’ art. 54-quater, cod. proc. pen. nel caso di richiesta di trasmissione degli atti a un diverso Pubblico ministero avanzata dalle parti private.
Quanto alle disposizioni ordinamentali, va rilevato che contestualmente alla attribuzione delle nuove competenze, l’art. 10 del Decreto- legge n. 7/2015, modificando il d.lgs 6.09.2011 n.159, ha previsto la presenza, accanto al Procuratore Nazionale, di due magistrati con funzioni di Procuratore aggiunto, nonché, quali sostituti procuratori, di magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione di professionalità (comma 2), i quali “sono scelti tra coloro che hanno svolto, anche non continuativamente, funzioni di Pubblico ministero per almeno dieci anni e che abbiano specifiche attitudini, capacità organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti in materia di criminalità organizzata e terroristica” (comma 3).
Si tratta di norme sicuramente incomplete, che richiedono integrazioni in sede di conversione o normativa regolamentare accessoria, nella misura in cui esse non fanno riferimento all’ampliamento dell’organico dell’ufficio almeno nella misura di due unità da destinare al ruolo di procuratori aggiunti, e laddove non è specificata la qualifica che deve essere in possesso dei magistrati che concorrano all’assegnazione del posto di Procuratore Nazionale Antimafia ovvero ai due posti neo-istituiti di Procuratore aggiunto. Si tratta, queste ultime, di modifiche che devono intervenire necessariamente anche sul decreto legislativo n. 160 del 2006. Può suggerirsi un tessuto normativo in base al quale i sostituti svolgano funzioni requirenti di coordinamento nazionale per le quali sia richiesta la terza qualifica di professionalità, i procuratori aggiunti svolgano funzioni requirenti semidirettive di coordinamento nazionale per le quali sia prevista la quarta qualifica di professionalità, e il procuratore nazionale svolga funzioni direttive di coordinamento nazionale per le quali sia prevista la quinta valutazione di professionalità. Occorre prevedere poi in via generale per tutti i magistrati della Direzionale Antimafia e Antiterrorismo, con qualsiasi funzioni, che i criteri di valutazione per la nomina siano disgiunti e non congiuntivi, poiché altrimenti (se, ad esempio, si dovesse pretendere che ognuno abbia esperienze specifiche sia in materia di antimafia che di antiterrorismo) il campo degli aspiranti si ridurrebbe di gran lunga, anche a scapito della indubbiamente preminente – in fatto – della funzione di coordinamento antimafia. In questo ambito, oltre che in quello relativo alla istituzione e gestione della banca dati nazionale, sarebbe utile una norma di
attribuzione al C.S.M. di un potere regolamentare di dettaglio, tale da orientare al
momento dell’indizione del concorso le attitudini richieste in base alle concrete esigenze del momento dell’ufficio come rappresentate di volta in volta dal Procuratore Nazionale (necessità di magistrati esperti in criminalità organizzata e/o terrorismo).
XII. Ulteriori proposte di integrazione in sede di conversione.
L’espletamento della funzione consultiva richiesta dal ministero della Giustizia al C.S.M. in ordine al decreto Legge va inteso nel senso di includere anche segnalazioni in ordine a lacune relative alla stessa materia in trattazione. In particolare va rilevata la necessità di un ripensamento di sistema del ruolo di coordinamento che effettivamente va attribuito al Procuratore Nazionale. Ad ogni buon conto, rientra pienamente nei compiti del Consiglio Superiore, indipendentemente dalla richiesta di parere, formulare proposte di intervento normativo.
Ebbene ci si può limitare ad indicare i temi di un tale auspicabile intervento di completamento, che dia al tessuto normativo in via di approvazione definitiva i caratteri della completezza e sistematicità.
Deve pertanto segnalarsi l’opportunità:
1) dell’estensione al PNA del potere di proposta patrimoniale anche per le misure di prevenzione antiterrorismo attraverso una integrazione dell’art. 17 d.legs 359/2011;
2) della revisione della disciplina sui collaboratori di giustizia, che attualmente in materia di terrorismo prevede l’intervento dei Procuratori generali presso le Corti d’appello con funzioni di coordinamento, che a seguito dell’istituzione del Procuratore nazionale antiterrorismo vanno adeguatamente ripensati e rivisti attraverso la modifica della legge 45/2001;
3) della modifica dell’art. 47 d.legs 21.11.2007 n.231 in materia di “operazioni sospette” nel senso della trasmissione al PNA anche di quelle in materia di terrorismo, e non solo di quelle attinenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso.
4) della formale attribuzione in capo al Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo del ruolo di corrispondente nazionale (e/o punto di contatto) con Eurojust, nella materia del terrorismo, unitamente al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, che ha finito svolto tale ruolo.
5) dell’integrazione del comma 5 ter dell’art. 727 c.p.p. che prevede l’obbligo di trasmissione delle rogatorie al PNA nei procedimenti di cui all’art. 51 comma 3 bis
c.p.p., introducendo un analogo obbligo per le rogatorie relative ai reati ex art. 51 co. 3 quater., in considerazione della naturale connotazione transnazionale di tali fattispecie.
Infine, con riguardo alla norma che dispone i finanziamenti per le missioni internazionali e per la lotta al terrorismo internazionale, si segnala che l’utilizzo dell’espressione “Islamic State” può ingenerare equivoci sotto il profilo del diritto internazionale, laddove non sia preceduta dalla precisazione per cui quella espressione richiama la denominazione comunemente diffusa di una semplice organizzazione terroristica.
In altri termini, parrebbe opportuno sostituire l’espressione “contrasto alla minaccia terroristica dell’ Islamic State”di cui all’art.12 comma del decreto legge con l’espressione “contrasto alla minaccia derivante dalla organizzazione terroristica comunemente denominata Islamic State”.»
Il presente parere viene trasmesso al Ministro della Giustizia.
Intervista a Rossella Marro, presidente Unicost su Avvenire di oggi
La magistrata: sulla riforma governo e Parlamento accelirino, ma rispettando il pluralismo della Toghe
Nell’ordine del giorno di Plenum della settimana prossima è stato richiesto l’inserimento della risoluzione generale sui piani di smaltimento dell’arretrato civile e la determinazione dei carichi esigibili.
Per lo studio e la predisposizione della risoluzione è stata aperta una pratica congiunta tra quarta e settima commissione.
Presso la settima commissione a settembre è stato così costituito un apposito gruppo di lavoro composto dai consiglieri di settima commissione relatori (Sciacca, Pepe e Vigorito), da tutti i magistrati segretari di settima commissione, da un rappresentante dell’ufficio studi del Csm, da due componenti della Sto.
Il gruppo ha lavorato 5 mesi coordinandosi, settimana dopo settimana, con il Ministero di Giustizia e in particolar modo con Dgstat per i rilevanti profili di estrazione statistica che questa materia pone.
Il gruppo di lavoro, pur composto da consiglieri di gruppi diversi, ha lavorato serenamente e si è confrontato su di una materia cosi spinosa e incandescente senza pregiudizi di sorta in modo istituzionale e mai indulgendo a posizioni preconcette o facili slogan.
Si è inteso cosi dare attuazione alla legge 111 del 2011 che con l’articolo 37 richiede ai dirigenti di pianificare la gestione dei procedimenti civili pendenti sulla base di una equilibrata valutazione dei carichi di lavoro e dei profili di produttività esigibile per i magistrati. Sino ad oggi non ho ritenuto di scrivere ai colleghi, tanto più considerando le responsabilità che mi competono come presidente della settima commissione referente.
Per celerità di esposizione mi richiamo ad una @ di Francesco Vigorito (che sottoscrivo in pieno) inviata su Area, che ha ben sintetizzato la proposta di maggioranza.
La norma citata indica come presupposto per la determinazione del “rendimento dell’ufficio”, i “carichi esigibili di lavoro dei magistrati” che devono essere “individuati dai competenti organi di autogoverno”.
Si è ritenuto che nella determinazione dei carichi occorra indicare:
- una metodologia unica nazionale che porti all’adozione di un metodo omogeneo a livello locale;
- la produttività reale per anno di ciascun giudice (considerando anche assenze, esenzioni, trasferimenti ecc.) di unità omogenee (sezione o settore) tenendo conto della produttività quadriennale trascorsa;
- la media delle produttività anno\giudice nel periodo di tempo considerato;
- indici di lettura\correzione dei carichi esigibili individuati;
- un rapporto con gli standard medi di definizione dei procedimenti ( art. 11 del D.lvo 160, come riformulato dalla L. n. 111 del 2007).
Sintetizzando la delibera, che è molto più ampia, sui singoli punti si è stabilito che:
- si debba tener conto delle diverse funzioni esercitate dal magistrato in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni e d’altro canto della tipologia di ufficio nel quale il magistrato svolge il proprio lavoro, delle condizioni specifiche dell’ufficio nel suo complesso e conseguentemente della situazione degli organici del personale togato e del personale amministrativo, delle articolazioni dell’ufficio sia nella suddivisione in sezioni nella sede centrale sia sul territorio (numero e consistenza delle sedi distaccate, destinazione dei magistrati in via esclusiva o meno ad una di esse, promiscuità delle funzioni), della situazione di organico, del carico di lavoro gravante sui singoli magistrati sia in termini numerici che qualitativi, della rotazione sui singoli ruoli che caratterizzino anno per anno il lavoro del settore civile e delle singole sezioni;
- si debbano tener presente per un verso i procedimenti definiti con sentenze e, per altro verso, in particolare per il settore civile, i procedimenti cc.dd. altrimenti definiti, assegnando al dirigente il compito di individuare e valorizzare debitamente tutte le ulteriori tipologie provvedimentali diverse dalle sentenze che impegnano i magistrati ed incidono significativamente sul tempo a disposizione per la trattazione e la definizione dei procedimenti civili (provvedimenti cautelari, decreti ingiuntivi, le ordinanze ex art. 186 ter e quater e 702 bis cod. proc. civ., provvedimenti possessori e nunciatori, nonché ogni altro provvedimento con contenuto decisorio che impegni significativamente il magistrato nella definizione dei procedimenti);
- si debbano considerare, ai fini della individuazione dei carichi esigibili, i seguenti profili :
- produttività quadriennale trascorsa considerata rispetto, preferibilmente, alla sezione o, comunque, al settore di attività tenendo conto della reale presenza del magistrato in ufficio (quindi delle assenze, degli esoneri ecc.) e ricorrendo alla media delle produttività anno\giudice nel periodo di tempo considerato.
- individuazione di una fascia elastica di produttività sostenibile (cd. range di produttività).
In sostanza, una volta individuata la media di produttività anno/giudice della sezione o del settore nel periodo quadriennale precedente alla rilevazione e tenendo presente la effettiva presenza dei magistrati in ufficio si stabilisce un’area di produttività che si estende dal -25% (arrotondato all’unità) sotto la media, fino al +25% (arrotondato all’unità) sopra la media al quale far riferimento per impostare il programma di gestione.
L’eventuale presenza di magistrati caratterizzati da produttività anomale – in difetto o in eccesso rispetto alla platea dei magistrati che svolgano analoghe funzioni e si occupino delle medesime materie -, potrà convenientemente essere considerata dal dirigente dell’ufficio in modo tale da evitare che tale valore anomalo possa fornire una ricostruzione non aderente alla realtà della complessiva produttività sperata ed esigibile della sezione o del settore nel quale opera il magistrato stesso.
L’elasticità del criterio da adottare consente di verificare, alla luce della situazione del singolo ufficio, se vi sia o meno la possibilità di elaborare un realistico programma di gestione complessivo degli affari (ad es. individuando diversi modi di organizzazione del lavoro delle sezioni e dei singoli magistrati, introducendo nuove modalità di informatizzazione del lavoro ecc. ecc…) ovvero, in alternativa, di garantire o migliorare i livelli di produttività e la durata dei processi.
L’individuazione finale degli obiettivi di programma di gestione deve seguire ad una sintesi valutativa del dirigente di ogni singolo ufficio che tenga conto dell’applicazione di “indici di lettura” o “di correzione del dato” (costituiti per un verso dalla disponibilità di risorse umane e materiali; all’organico effettivo e alle prospettive di trasferimento di magistrati in servizio; alla significatività del turn-over di magistrati nell’ufficio; alla disponibilità di locali per le udienze; al livello di informatizzazione, ecc. e per altro verso dal carico di ruolo, costituito dalle pendenze e dalle sopravvenienze; dalla natura intrinseca dei procedimenti e alla loro complessità procedurale; dalla disponibilità di GOT e alle modalità del loro impiego, dalla anzianità delle cause ecc.)
Il risultato ottenuto deve essere attentamente valutato dai dirigenti e, in prima istanza, dai singoli magistrati e, per i tribunali divisi in sezioni, dai Presidenti delle Sezioni, attraverso un procedimento partecipato che è illustrato nella delibera.
Illustrata per sommi capi la parte della delibera sui carichi esigibili, ritengo oggi di contro doveroso intervenire per una pluralità di motivi.
Le commissioni in seduta congiunta il 7 marzo hanno licenziato a maggioranza (Sciacca, Vigorito, Di Rosa, Pepe, Racanelli, Carfi, Rossi,) la scorsa settimana il testo definitivo della bozza del gruppo di lavoro e ora la parola passa al plenum. In limine litis in seduta congiunta è stata presentata una proposta alternativa da parte del cons. Aniello Nappi, che ha raccolto il suo solo voto e quello del consigliere laico Nicolò Zanon.
Il consigliere Palumbo si è invece astenuto (e di questo sento di doverlo ringraziare pubblicamente, ben comprendendo per i consiglieri laici la difficoltà di addentrarsi in una materia molto tecnica e così delicata e la conseguente esigenza di meditare sino al plenum le diverse opzioni).
Ritengo opportuno allegare la proposta di minoranza del cons. Nappi in modo tale da consentire a ciascuno di farsi una propria idea.
Il cons. Nappi imputa alla delibera di maggioranza di essere troppo tiepida, anzi lassista, in punto di carichi esigibili e di costituire essa delibera in prospettiva un commodus discessus ed un facile viatico a generalizzati abbassamenti della produttività dei magistrati italiani, ritenendo di contro che i magistrati attraverso lo strumento – da lui proposto e da me considerato quanto meno estemporaneo edoriginale- dell’autodichiarazione di produttività debbano essere responsabilizzati sulla propria produttività individuale in modo tale da innescare una vera e propria corsa a chi la spara più grossa e a chi riesce a produrre di più.
Ha sostenuto in commissione che la proposta di maggioranza è frutto di unesoterismo scientistache erroneamente fa riferimento ai metodi statistici, ritenendo di contro che quando si tratti invece di definire gli obiettivi di rendimento di un ufficio, non ci si può appiattire sulle medie (comunque determinate), ma bisogna valorizzare le diversità, per ottenere da ciascun magistrato il massimo consentito dalle sue capacità di lavoro; altrimenti il rendimento si riduce anziché crescere (queste ultime righe – preciso- non sono frutto di una mia libera interpretazione, ma escono dalla sua penna).
Ha infine accusato la delibera di maggioranza di essersi piegata a logiche sostanzialmente “sindacali”.
La deriva culturale sottesa ad un simile modo di intendere il nostro lavoro si commenterebbe da sé, ma purtroppo i tempi attuali mal sopportano il riferimento al principio di realtà (id estil riferimento alle condizioni in cui i magistrati lavorano e i picchi di produttività già da tempo raggiunti in tantissimi uffici… la Cepej docet) e si nutrono di slogan e facili richiami che sono pericolosissimi per le conseguenze pratiche cui possono portare.
E’ bene chiarire subito che il presente intervento non si nutre di alcun fervore correntizio: la delibera di maggioranza – lo ripeto – è il frutto (sicuramente perfettibile, è chiaro) condiviso di un gruppo di lavoro costituito da un consigliere di Unità per la Costituzione, uno di Magistratura Indipendente e uno di Area.
Voglio a tal riguardo ringraziare pubblicamente Francesco Vigorito e Alessandro Pepe (oltre che i magistrati segretari, dell’ufficio studi e della S.T.O.) per come hanno lavorato in modo istituzionale e mai indulgendo in reciproci e speculari irrigidimenti.
Parimenti un ringraziamento va al Ministero di Giustizia e in particolar modo al cons. Birritteri e al dott. Fabio Bartolomeo che hanno consentito di lavorare al gruppo di lavoro sul versante delle valutazioni statistiche.
Grazie veramente.
Peraltro già sulle mailing list abbiamo letto che, in parallelo al lavoro del CSM, sia il Tribunale di Milano che la Corte di Appello di Napoli sono stati colpiti dallo stesso virus scientista\esoterico adottando modalità simili di calcolo dei carichi esigibili.
La stessa discussione in seduta congiunta ha visto un contributo positivo di analisi e condivisione da parte degli altri consiglieri togati presenti (Carfì, Rossi, Di Rosa, Racanelli).
Proprio in seduta congiunta Nello Nappi ha imputato alla metodologia proposta per i carichi esigibili di individuare la fascia di produttività fisiologica dell’ufficio (fascia costituita da un range compreso tra il 25 sopra e sotto la media di produttività per sezione\ufficio) in modo rigido in quanto (asseritamente) costrittivo per il dirigente che intenda programmare un aumento di produttività superiore al 25%.
Ometto ogni considerazione sulla praticabilità di un aumento di produttività dell’ufficio superiore al 25%: ciascuno può farsi un’idea. Tutto si può – in ipotesi – fare, purchè sia motivato e adeguatamente supportato da dati oggettivi. Fermo restando, come abbiamo scritto nella delibera di maggioranza, che il raggiungimento dei risultati programmati sarà oggetto di anno in anno di una verifica da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, anche ai fini della conferma del dirigente, per comprendere se la programmazione sia stata efficace e realistica ovvero se il dirigente abbia scritto solo un libro dei sogni.
Ma comunque tornando alla discussione avvenuta in commissione:
- è stato chiarito che la proposta di maggioranza prevede l’individuazione di una fascia di produttività cd. fisiologica che (all’esito del campionamento statistico sulla produttività passata della sezione\ufficio e seguendo un procedimento di formazione dei carico esigibili partecipato a tutti i magistrati dell’ufficio) verrà sempre in ultima analisi valutata dal dirigente giudiziario che dovrà fare una prognosi della futura produttività; prognosi che dovrà essere realistica, fondata su dati oggettivi e sulle proiezioni di risorse materiali, di organico e di strutture preventivate per l’anno a venire;
- è stato precisato che la fascia è indicativa – così come perlatro già si era proposto nel lavoro sugli standard di rendimento – e alla fine il dirigente, purchè motivi adeguatamente, è libero di prescindere dal riferimento al 25%, ben potendo prospettare e programmare per l’anno a venire una diminuzione di produttività o un aumento superiore alla soglia individuata.
Se dovessero residuare dubbi si potrà chiarire ancor meglio in seduta plenaria tale profilo.
In coscienza ho\abbiamo lavorato in questi mesi in silenzio insieme agli altri colleghi per garantire ai magistrati italiani finalmente un sistema perfettibile ma razionale di gestione dei procedimenti civili e di individuazione di una produttività fisiologica degli uffici che possa o almeno tenti di coniugare la quantità con la qualità delle nostre decisioni.
In questo modo, richiamandomi al bellissimo libro del Vicepresidente Michele Vietti, daremo una risposta seria e concreta allaFatica dei Giusti.
Grazie e buon lavoro a tutti.
Mariano Sciacca
PROPOSTA NAPPI
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
SETTIMA COMMISSIONE REFERENTE
Bozza
I programmi di gestione ex art. 37 d.l. n. 98/2011, convertito nella legge n. 111/2011
1. – Inquadramento generale e ambito di applicazione.
L’art. 37 del d.l. n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 del 2011, indica nella rubrica “Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie” e, al primo comma, dispone che i dirigenti degli uffici giudiziari provvedano a redigere annualmente un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti.
L’individuazione normativa dell’oggetto del programma di gestione consente di escludere dal novero dei destinatari del precetto i dirigenti degli uffici giudiziari requirenti. Infatti la norma, introdotta nel corpo di un intervento legislativo contenente Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, è chiaramente finalizzata a stimolare l’introduzione di misure organizzative e prassi virtuose, che consentano di raggiungere risultati di contenimento della spesa pubblica, anche nel campo degli esborsi legati agli indennizzi corrisposti in applicazione della c.d. legge Pinto, 24 marzo 2001 n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo).
Proprio la divisata ratio normativa, tuttavia, consiglia di interrogarsi, come si dirà in prosieguo, sull’opportunità di allargare il campo di intervento anche al settore giudicante penale, ove si consideri che gli interventi dei dirigenti sul settore civile per perseguire gli obiettivi dei programmi di gestione inevitabilmente devono coinvolgere l’intero assetto organizzativo dell’ufficio.
Destinatari della norma in esame sono anche gli Uffici dei Giudici di Pace. Sono perciò pervenuti in Ottava Commissione diversi programmi di gestione redatti dai Coordinatori di tali Uffici, per i quali si provvederà con separata delibera.
Il primo comma del citato art. 37 dispone quanto segue:
«I capi degli uffici giudiziari sentiti, i presidenti dei rispettivi consigli dell’ordine degli avvocati, entro il 31 gennaio di ogni anno redigono un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti. Con il programma il capo dell’ufficio giudiziario determina:
a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell’anno in corso;
b) gli obiettivi di rendimento dell’ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa».
La norma ha inteso dunque imporre ai dirigenti degli uffici tre adempimenti:
1) la fissazione di obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti;
2) la fissazione di obiettivi di rendimento dell’ufficio;
3) la fissazione di un ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti.
Solo per il secondo adempimento si pone il problema di definire il concetto di “carichi esigibili di lavoro dei magistrati”, che ne condiziona la concreta operatività.
E’ immediatamente evidente, innanzitutto, che si tratta di concetto nettamente distinto da quello degli “standard di rendimento”, previsti dall’art. 11 c. 2 lettera b) del D. Lgs 5 aprile 2006 n. 160, come modificato dall’art. 2 c. 2 della L. 30 luglio 2007 n. 111.
Come già ricordato nella risoluzione del 7 settembre 2011, l’art. 11 c. 2 lettera b) del D. Lgs 5 aprile 2006 n. 160, come modificato dall’art. 2 c. 2 della L. 30 luglio 2007 n. 111, prevede ai fini delle valutazioni quadriennali di professionalità che il parametro della laboriosità sia riferito: “alla produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici e alla loro condizione organizzativa e strutturale, ai tempi di smaltimento del lavoro, nonché all’eventuale attività di collaborazione svolta all’interno dell’uffici, tenuto anche conto degli standard di rendimento individuati dal Consiglio superiore della magistratura, in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni”.
Gli standard di rendimento definiscono dunque la laboriosità media dei magistrati, al fine di individuarne il livello minimo necessario per superare le valutazioni periodiche di professionalità.
I “carichi esigibili” indicano invece il livello massimo di produttività sul quale ogni capo dell’ufficio può (e anzi deve) contare per fissare – e poi raggiungere – obiettivi di rendimento dell’intero ufficio, secondo le finalità indicate dallo stesso art. 37 cit.
E la diversa funzione dei due parametri comporta una conseguente necessaria diversificazione delle metodologie da utilizzare per determinarli.
Infatti la logica dei metodi statistici è certamente utile per la definizione degli standard di rendimento di cui all’art. 11 del D.lvo 160, perché, come s’è detto, qui si tratta di determinare la laboriosità media dei magistrati.
Quando si tratti invece di definire gli obiettivi di rendimento di un ufficio, non ci si può appiattire sulle medie (comunque determinate), ma bisogna valorizzare le diversità, per ottenere da ciascun magistrato il massimo consentito dalle sue capacità di lavoro. Altrimenti il rendimento degli uffici si riduce anziché crescere. Mentre è ragionevole ipotizzare che la finalità del legislatore del 2011 sia quella di favorire un incremento, non certo un decremento, del rendimento degli uffici.
La predeterminazione in astratto, e con riferimento a una media, di un limite ai rendimenti programmabili sarebbe esattamente il contrario di quanto con i programmi di gestione si vuole ottenere. Né avrebbe senso stabilire un limite ai rendimenti programmabili, per poi ammettere la possibilità di superarlo, favorendo così incertezze e contenziosi.
Nella logica dell’art. 37 d.l. 98/2011, dunque, i “carichi esigibili” sono i livelli di rendimento ragionevolmente preventivabili in ragione delle effettive capacità di lavoro dei singoli magistrati destinati all’ufficio cui si riferisce un programma di gestione.
E in questa prospettiva la sola possibile metodologia di definizione dei «carichi esigibili» è il confronto del dirigente con i magistrati dell’ufficio, essendo evidente che qualsiasi previsione di rendimento non può non fondarsi su una leale e trasparente collaborazione tra il dirigente (che negli uffici più grandi si avvarrà dei presidenti di sezione) e i magistrati appartenenti all’ufficio.
Il dirigente dovrà diffondere la conoscenza della situazione organizzativa dell’ufficio, sotto il profilo delle risorse umane e materiali concretamente disponibili per il periodo di tempo da prendere in considerazione.
I magistrati dovranno indicare con apposita e motivata auto relazione la capacità di lavoro che si riconoscono, e dunque la produttività sulla quale il dirigente potrà contare in vista della fissazione degli obiettivi di rendimento dell’intero ufficio, in ragione di parametri predeterminati, quali la omogeneità o eterogeneità delle esperienze pregresse, la consistenza anche qualitativa del proprio ruolo, la minore o maggiore anzianità, l’eventuale onere familiare.
L’ottica da adottare è quella di una responsabilizzazione collettiva, che impegni tutti:
a) nella fase iniziale i singoli magistrati, nell’indicare una produttività concretamente raggiungibile e verificabile sia ex ante, in ragione di proiezioni realizzabili sulle statistiche pregresse, sia ex post, in ragione del confronto con i risultati ottenuti dagli altri magistrati in pari condizioni;
b) nella fase finale il capo dell’ufficio, che dovrà assumersi la responsabilità delle determinazioni conclusive.
2. – Coordinamento tra il programma di gestione ed il Documento Organizzativo Generale.
Nella Relazione introduttiva alla circolare tabelle per il triennio 2013/2015, deliberata in data 21 luglio 2011, si prevede che il DOG sia essenzialmente incentrato, tra l’altro, sulla fissazione degli obiettivi prioritari da perseguire nel triennio di validità della tabella – tra i quali va necessariamente inserito quello di smaltire tutte le cause di più antica iscrizione – e delle scelte organizzative adottate per realizzarli, anche ricorrendo alla predisposizione di adeguati piani di smaltimento.
L’omogeneità delle suddette finalità con quelle privilegiate dal legislatore con l’imposizione dell’obbligo di predisporre il programma di gestione dei procedimenti appare, dunque, di solare evidenza, onde occorre definire i rapporti tra i due istituti, essendosi peraltro già prevista l’allegazione al DOG dei programmi per la gestione dei procedimenti civili ed il loro invio ai Consigli Giudiziari per l’inserimento nel fascicolo dell’ufficio giudiziario di cui al par. 17 circolare tabelle 2013/2015.
L’articolazione del programma di gestione dei procedimenti può costituire l’occasione per l’adozione delle modifiche eventualmente necessarie all’assetto tabellare, secondo moduli razionali e coerenti alle scelte formulate nel medesimo programma.
Con tale strumento di nuovo conio, quindi, il dirigente dell’ufficio può declinare con cadenza annuale parte del contenuto del Documento Organizzativo Generale previsto dal par. 2 della circolare sulle tabelle per il triennio 2013/2015, secondo una programmazione predeterminata per linee generali su base triennale nel DOG, ma con verifiche a cadenza annuale in occasione della predisposizione dei programmi di gestione dei procedimenti, che possono suggerire eventuali “correzioni di rotta” resesi nel frattempo necessarie, da apportare con opportune variazioni tabellari.
Si tratta, allora, di immaginare una “programmazione quadro” triennale, vale a dire quella contenuta nel DOG, rispetto alla quale i programmi di gestione costituiscono una occasione di verifica annuale.
Tale forma di progettualità dovrebbe, allora, imporre un ripensamento generale in ordine alla programmazione della mobilità interna e al riassetto dei settori tramite variazioni tabellari, prevedendo sessioni annuali coordinate con il programma ex art. 37 e le analisi e obiettivi ivi contenuti, utilizzando gli istituti tabellari che consentono di procrastinare ed accorpare le scelte organizzative (es. supplenza provvisoria dei magistrati di nuova destinazione; assegnazione interna; ecc.) anche allo scopo di razionalizzare il fascicolo dell’ufficio giudiziario e agevolare il lavoro degli organi di governo autonomo centrale e locali.
3. – Programmi di gestione e settore penale.
La riconosciuta interdipendenza tra DOG e programmi ex art. 37 cit. impone di allargare il campo di intervento anche al settore penale, nell’esercizio di quel potere di normazione secondaria riconosciuto al CSM, tutte le volte in cui esso si esplichi sul fondamento della legge e trovi in essa i limiti del suo esercizio.
In questa prospettiva, considerando che non può essere articolato alcun razionale programma di gestione dei procedimenti civili se a monte non vengano individuate, sulla scorta della ragionata analisi dei fattori più volte ricordati, le risorse umane ad esso destinate e, dunque, non siano chiariti i rapporti numerici tra i magistrati da destinarsi al settore penale e al settore civile (non esistendo una pianta organica distinta per settore, argomentando ex par. 18 circolare tabelle 2013/2015), appare quanto mai necessario invitare i Dirigenti a predisporre adeguati programmi di gestione dei procedimenti anche nel settore penale, secondo le medesime modalità indicate per i procedimenti civili.
4. – Il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura
La ricostruzione dei rapporti tra DOG e programmi ex art. 37 consente anche di indicare le ulteriori ragioni ed i limiti dell’intervento del C.S.M., che è chiamato in causa dal primo comma della norma in esame per individuare i “carichi esigibili” e dal secondo comma in fase di valutazione dei risultati, precisamente “ai fini della valutazione per la conferma dell’incarico direttivo” ai sensi dell’art. 45 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160.
La concretezza e la serietà dei programmi di gestione devono infatti costituire oggetto di attenta valutazione da parte del C.S.M., giacché essi devono dimostrare la capacità di compiere una rigorosa analisi della situazione esistente con determinazione dei risultati realizzabili sulla base dei carichi di lavoro e delle risorse effettivamente disponibili, nonché della tipologia di contenzioso (anche in relazione al contesto territoriale, economico e sociale).
A tal proposito, il programma non deve necessariamente prevedere la riduzione delle pendenze nella misura di cui al comma 12 del medesimo art. 37, in quanto “gestione” non significa solo rendimento “quantitativo” ma presuppone una valutazione del risultato anche sotto il profilo “qualitativo” (ad esempio, impatto sulle cause più vecchie o complesse), mentre la valorizzazione del solo dato quantitativo può condurre a effetti distorti (in particolare impegno limitato all’abbattimento del solo contenzioso seriale o più semplice).
Non solo, ma il concetto di “gestione” rimanda al mantenimento di un equilibrio nell’organizzazione dell’ufficio, che potrebbe invece essere compromesso da una programmazione non realistica e finalizzata soltanto al raggiungimento dello scopo di cui al comma 12 in assenza di condizioni oggettive di fattibilità del programma.
5. – Il procedimento di formazione dei programmi di gestione
Come per il procedimento di formazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio, anche per la redazione del programma per la gestione dei procedimenti pendenti di cui all’art. 37 cit. deve necessariamente prevedersi un modello caratterizzato dalla partecipazione dell’intero ufficio.
Progetti discussi e partecipati consentono, peraltro, di perseguire finalità più trasparenti e condivise e, nel contempo, sono di stimolo alla motivazione ed alla integrazione di tutti i soggetti nella struttura complessivamente intesa.
Va indicata la seguente la scansione temporale:
Entro il 30 ottobre di ciascun anno ciascun presidente di sezione – previa acquisizione dei dati statistici sezionali e delle auto relazioni dei magistrati della sezione preventivamente informati dell’assetto organizzativo proposto all’esito di apposita riunione – deposita una relazione contenente i prospetti statistici, la proposta elaborazione dei carichi esigibili e le proposte di gestione dei ruoli civili della sezione. Nella relazione dovrà risultare il verbale dell’assemblea dei giudici di sezione e le osservazioni eventualmente proposte.
Deve essere garantita nell’occasione la consultazione dei magistrati in congedo per ogni causa.
Nei tribunali monosezionali o privi di sezioni gli adempimenti di cui sopra sono curati direttamente dal Presidente del Tribunale, previa riunione con tutti i giudici dell’ufficio
Entro il 30 novembre di ciascun anno il Presidente del Tribunale, acquisite le relazioni delle sezioni civili, deposita presso la propria segreteria il progetto di gestione ai sensi dell’art. 37 cit., con indicazione dei carichi esigibili proposti, eventualmente integrati e/o modificati con esplicita motivazione delle ragioni dell’accoglimento o del rigetto delle osservazioni e delle proposte presentate dalle singole sezioni civili.
Detto progetto e i relativi allegati sono inviati, sempre per via telematica e utilizzando la casella di posta elettronica dell’ufficio, a tutti i giudici, anche onorari, oltre che, per espresso disposto normativo, al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
Entro il 20 dicembre ciascun magistrato può proporre osservazioni al programma di gestione ovvero alla determinazione dei carichi esigibili presso la segreteria dell’ufficio. Analoga facoltà di segnalazione e proposta ha il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
Nei soli Tribunali metropolitani o con organico superiore a 40 unità il dirigente entro il 15 gennaio deve indire una riunione con tutti i presidenti di sezione ed i giudici coordinatori.
Nel corso delle riunioni dovranno essere rappresentate le criticità riscontrate con riferimento al progetto organizzativo di gestione depositato. Degli argomenti trattati nelle riunioni deve essere predisposto verbale riassuntivo.
Entro il 31 gennaio di ciascun anno il dirigente dell’ufficio trasmette al Consiglio Superiore della Magistratura e al Consiglio Giudiziario (o al Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione) il programma di gestione finale ai sensi dell’art. 37 cit..
Il Consiglio Giudiziario (o il Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione) entro il termine di giorni trenta deve trasmettere il suo parere di presa d’atto, con eventuali rilievi, al Consiglio Superiore della Magistratura. Decorso tale termine il Consiglio Superiore della Magistratura può adottare il provvedimento conclusivo del procedimento anche in assenza del parere dell’organo di governo autonomo territoriale.
Il programma deve contenere necessariamente una motivazione, ancorché sintetica ma esaustiva, in ordine alle ragioni addotte dal dirigente dell’ufficio per l’accoglimento o il rigetto delle osservazioni presentate. Al programma devono essere allegati i prospetti statistici utilizzati, quelli dei carichi esigibili individuati e i verbali delle riunioni effettuate.
A partire dal secondo programma vanno anche allegati i risultati conseguiti negli anni precedenti e vengono specificate la ragioni dell’eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Il programma deve anche prevedere la precisa indicazione di quali meccanismi, frequenza e forme di monitoraggio siano state predisposte per presidiarne l’attuazione.
Il programma di gestione e i relativi allegati devono essere trasmessi per via telematica – utilizzando la casella di posta elettronica dell’ufficio – a tutti i giudici presenti e a quelli in congedo.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, nel caso in cui si rendano necessari chiarimenti o approfondimenti, può investire delle questioni riguardanti il progetto presentato il Consiglio giudiziario competente (o il Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione) e la relativa Commissione flussi, ai fini della redazione di un parere integrativo o dello svolgimento della necessaria attività istruttoria.
Il procedimento si conclude con una delibera di presa d’atto, eventualmente corredata da rilievi, da trasmettersi al Ministero della Giustizia, per le valutazioni di competenza ai sensi dei commi 11, 12 e 13 dell’art. 37.
Copia della delibera deve essere inserita nel fascicolo personale del dirigente dell’ufficio.
Va qui sinteticamente precisato che il procedimento sopra indicato dovrà essere seguito anche per la formazione dei programmi di gestione della Corte di Cassazione, condivisa l’interpretazione secondo la quale la disciplina di cui all’art. 37 riguarda anche tale ufficio giudiziario, così come già ritenuto dallo stesso Presidente della Corte con la presentazione del programma di gestione nella prima fase di applicazione della disciplina.
Gentili Colleghi si informa che, in data odierna, il Plenum del Consiglio superiore della magistratura ha deliberato le pratiche di III commissione:
Copertura di un posto di sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Ancona
Il Consiglio ha deliberato delibera il trasferimento del dott. Luigi ORTENZI a sua domanda, alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Ancona, previo conferimento delle funzioni requirenti di secondo grado.
Copertura di quattro posti di consigliere della Corte d’Appello di Catania
Il Consiglio ha deliberato delibera il trasferimento dei sottoindicati magistrati, a loro domanda, alla Corte d’Appello di Catania con funzioni di consigliere, previo conferimento delle funzioni giudicanti di secondo grado:
- dott. Roberto Maria CENTARO
- dott.ssa Maria Stella ARENA
- dott. Nicolò CRASCI’
- dott. Antonino FICHERA
Saluti
Michele Ciambellini, Cochita Grillo, Marco Mancinetti, Gianluigi Morlini, Luigi Spina
In apertura di Plenum si è lungamente discusso della vicenda relativa alla polemica tra il Ministro Salvini ed il Procuratore di Torino Spataro, vicenda in relazione alla quale alcuni Consiglieri hanno richiesto l’apertura di una pratica a tutela a favore del collega Spataro, alla quale non abbiamo ritenuto di aderire.
È bene precisare che nel corso della discussione non si è parlato del merito della questione (e segnatamente se le esternazioni di Ministro o Procuratore fossero o meno sopra le righe), anche per non invadere le competenze del Comitato di Presidenza e, in caso di apertura della pratica, della Prima Commissione, eventualmente deputata ad esaminarla.
Ciò posto, i nostri interventi sono stati determinati dalla critica, a nostro giudizio ingenerosa, che alcuni consiglieri laici hanno mosso al Vice Presidente del CSM Ermini, dovuta al rilascio di una dichiarazione, non concordata con gli altri Consiglieri, nella quale evidenziava l’inopportunità dell’utilizzo di toni sprezzanti o irridenti potenzialmente in grado di delegittimare le istituzioni: a nostro avviso il Vice Presidente ha certamente il diritto di intervenire su fatti che riguardano l’autogoverno, soprattutto quando mosso dalla finalità di tutelare l’indipendenza della Magistratura; nel merito, poi, la posizione espressa ci è parsa equilibrata e ragionevole, in particolare sotto il profilo del richiamo alla sobrietà istituzionale rivolto a tutti gli interlocutori.
Questo e soltanto questo abbiamo sostenuto con gli interventi di Luigi Spina, Marco Mancinetti e Michele Ciambellini.
Proprio per tale motivo, e per la necessità quindi di mantenere sempre toni istituzionali anche nell’esercizio del diritto di critica, è stato da molti stigmatizzato l’intervento del Consigliere Cascini, che ha poi spiegato di essere stato frainteso, laddove ha utilizzato la parola ‘ragazzino’ associata all’attività del Ministro.
Abbiamo poi proceduto nell’esame delle numerosissime pratiche (è davvero impressionante il numero di fascicoli trattati ogni settimana) senza particolari problemi.
Va forse segnalato che tutte e tre le decisioni calendarizzate per il conferimento di uffici sono state adottate all’unanimità, su conforme proposta della Quinta Commissione, ed in particolare quelle sulla nomina di Maurizio Agnello a Procuratore Aggiunto a Trapani, di Vilfredo Marziani ad Avvocato Generale di Torino, di Domenico Taglialatela a Presidente di Sezione di Corte a Venezia.
Sul piano organizzativo vi segnaliamo la delibera con la quale, accogliendo le pressanti condivisibili richieste di molti presidenti di tribunale, è stato differito al 30/6/2019 il termine per la predisposizione dell’ufficio del processo, non essendo stata definita la procedura per il reclutamento dei nuovi giudici onorari di pace.
Sono poi state approvate moltissime pratiche relative alla predisposizione dei programmi di gestioneexart. 37 D.L. n. 98/2011, tutte scrutinate con grande attenzione dalla Settima Commissione. Va sul punto segnalato che, nonostante la situazione del contenzioso civile, nel suo dato nazionale, vede da ormai otto anni consecutivi una diminuzione delle pendenze, essendo positivo il cosiddetto indice di ricambio, in molte realtà territoriali le pendenze ultraquinquennali continuano ad essere numericamente significative.
Come già accaduto la scorsa settimana, a nostro avviso merita di essere segnalato il fatto che, nelle valutazioni di professionalità, anche nell’ultimoplenumè stato conferito il positivo superamento della valutazione di professionalità a colleghi che, nel quadriennio in valutazione, erano stati destinatari di una condanna disciplinare, e ciò applicando pienamente il principio sancito nell’ultima circolare della autonomia tra il procedimento disciplinare la valutazione di professionalità: è infatti evidente che è ben possibile ipotizzare una situazione in cui la sanzione disciplinare sia stata comminata per un singolo ed unico comportamento, non in grado di inficiare la positiva attività svolta per l’intero quadriennio.
Da ultimo, è stata deliberata l’ammissione di tutti i colleghi che ne avevano fatto domanda all’elenco di esperti a breve medio termine per far fronte alle necessità di programmazione del progettoEuralius-Consolidation of Justice Systemin Albania, alla cui realizzazione collabora il CSM. Siamo infatti convinti che l’attività internazionale arricchisca l’esperienza professionale dei magistrati, e pertanto abbiamo pensato di allargare il più possibile la platea degli interessati a questo progetto. Così facendo, inoltre, anche gli uffici dove gli esperti prestano servizio risulteranno meno penalizzati dall’attività di questi ultimi.
In Prima commissione, oltre procedere spediti nelle delibazioni delle procedure di incompatibilità e di autorizzazione degli incarichi extra-giudiziari, sono state molto interessanti le discussioni vertenti sui presupposti delle pratiche a tutela, con riferimento anche all’eventuale incidenza del tempo trascorso tra il fatto potenzialmente turbativo e la valutazione consiliare.
In Terza commissione prosegue il lavoro per la formazione del cd. “bollettone” per i posti di primo grado. La copertura completa dei posti vacanti sarà certamente garantita per i Tribunali di Sorveglianza e per gli uffici minorili, oltre che per gli uffici di piccole dimensioni. Si cercherà di determinare il numero dei posti a concorso entro limiti che consentano di definire la procedura velocemente, in modo da rispettare il principio del doppio bando annuale. La prossima settimana questo lavoro continuerà ad essere la priorità della Commissione, in maniera da giungere ad una pubblicazione entro metà gennaio.
In Quinta Commissione sono state votate le proposte per i due posti di Avvocato Generale della Corte di Cassazione, che vedevano domande da parte di candidati tutti davvero di altissimo livello.
Dopo una lunga analisi di tutti i profili e dopo una articolatissima discussione, sono stati votati, entrambi all’unanimità, i colleghi Piero Gaeta e Francesco Salzano.
L’unanimità anche su queste complesse pratiche (l’ennesima unanimità) è certamente un buon segno e un indice del fatto che in Quinta commissione il clima tra i componenti è collaborativo.
In Sesta Commissione c’è stato un tavolo tecnico con la Scuola Superiore della Magistratura per risolvere una serie di problematiche concrete relative al prossimo tirocinio dei MOT, ed in particolare al tirocinio mirato relativo al penultimo concorso ed al tirocinio generico relativo all’ultimo concorso.
Particolare attenzione il Consiglio vorrebbe dare alla rivitalizzazione della figura del magistrato coordinatore del primo anno di funzioni (cd.tutor), che in modo realtà territoriali risulta sostanzialmente disapplicata.
In Quarta e Settima commissione si continua con ritmi incessanti ad esaminare e approvare le centinaia di procedure che settimanalmente giungono dai vari uffici.
In Ottava Commissione si è proseguito con le audizioni, previste dalla circolare, dei giudici onorari destinatari di proposte di non conferma da parte del dirigente del consiglio giudiziario; e si è proseguito con l’esame delle numerosissime pratiche di gestione, quali i trasferimenti per motivi di salute e l’approvazione delle tabelle
Rimangono invece per il momento accantonato le oggettivamente delicate questioni in tema di trasferimento per incompatibilità, in attesa sia dell’esito del tavolo tecnico tra Ministero e magistratura onoraria; sia della pronuncia del TAR sul ricorso proposto dalle associazioni dei magistrati onorari avverso la circolare del CSM in materia.
Alla prossima settimana!
Marco Mancinetti, Cochita Grillo, Michele Ciambellini, Luigi Spina, Gianluigi Morlini
Cari colleghi, sperando di essere in qualche modo utili, proseguiamo nella prassi iniziata di illustrazione dell’attività settimanalmente svolta dal Consiglio.Come scrivevamo la scorsa settimana, tentiamo di farlo, nei limiti delle nostre capacità, con la massima obiettività possibile, cercando di mantenere fede all’impegno preso in campagna elettorale di ‘non dire bugie’ ed evitando la continua ricerca di polemiche con gli altri gruppi al solo fine di ottenere visibilità mediatica.
In Prima Commissione stiamo lavorando, d’intesa con gli altri componenti, ad una modifica della circolare che snellisca gli adempimenti richiesti per gli incarichi extragiudiziari di minore impatto, liberalizzando un po’ un settore che oggi vede un eccesso di dirigismo da parte del Consiglio: speriamo e pensiamo di potere arrivare alla modifica in breve tempo.Inoltre, e non potendo ovviamente essere più precisi riferendoci a pratiche secretate ed in trattazione, siamo fortemente convinti che occorra riportare il procedimento ex articolo 2 L.G. nel suo alveo naturale, chiaramente previsto dal Legislatore, e cioè di valutazione dei comportamenti non addebitabili al magistrato, lasciando alla sede disciplinare l’ipotesi in cui si discuta di comportamenti dolosi o colposi, quando non viene in rilievo una incompatibilità funzionale, con le conseguenti maggiori garanzie processuali previste dall’ordinamento. Questo abbiamo sempre detto in campagna elettorale, e questo ci riproponiamo di fare, augurandoci sul punto di incontrare anche l’adesione degli altri componenti.E’ stata poi affrontata, in una discussione preliminare, l’opportunità di monitorare periodicamente le eventuali situazioni di incompatibilità ex artt.18 e 19 già valutate e risolte negativamente in occasione della dovuta dichiarazione dell’interessato: da parte nostra abbiamo ritenuto inopportuno tale aggravio a carico dei colleghi, peraltro già destinatari di precisi obblighi di dichiarazione.
In Seconda Commissione le principali questioni riguardano l’interpretazione dei poteri istruttori del Plenum, con la conseguente necessità o meno di un ritorno in commissione di pratiche che debbono essere ulteriormente istruite, nonché il diverso tema della regolazione dell’attribuzione degli assistenti amministrativi ai consiglieri.Si è infatti verificata, per la prima volta a quanto ci consta, la inattesa situazione della mancata assegnazione ai consiglieri degli assistenti richiesti, ed a nostro avviso la segreteria non può negare l’assegnazione al consigliere dell’assistente da lui indicato.
In Terza Commissione si sono già formulate diverse proposte di tramutamento per la definizione di bandi di trasferimento, e si sta affrontando i numerosi problemi ordina mentali collegati al rientro in ruolo degli ex consiglieri.Il tema, onestamente non semplice, riguarda coloro che avevano funzioni direttivi e semidirettive all’epoca della loro elezione: infatti, per un verso la norma primaria di legge impone il rientro nello stesso ruolo anche in sovrannumero; per altro verso è difficile armonizzare tale esigenze con le peculiarità degli uffici che nel frattempo hanno visto quel posto coperto da altri magistrati, in particolare nel caso di direttivi, essendo evidente che non possono esservi due dirigenti dello stesso ufficio. Nei prossimi giorni dovremo quindi decidere quale soluzione adottare.In attesa del bando ordinario di trasferimenti, programmato per gennaio, si è decisa una pubblicazione straordinaria dei posti di Tribunale e Procura di Genova, in modo di anticipare di un paio di mesi la pubblicazione che comunque verrebbe fatta a inizio 2019: si tratta di un piccolo gesto di attenzione e solidarietà verso una città nel cuore di tutti per i noti fatti del ponte Morandi, gesto che certamente non può risolvere i tragici problemi che si sono verificati, ma che almeno serve per mostrare come il Consiglio sia vicino a Genova in questo momento.
In Quarta Commissione si è da subito iniziata la trattazione delle molteplici pratiche di valutazioni di professionalità.Si è poi avviata la discussione sull’annosa questione di carichi esigibili e standard di rendimento: il CSM è ormai da anni in ritardo nel dare adempimento alla previsione di legge che impone l’individuazione degli standard medi ai fini della valutazione di professionalità, e questa consiliatura ha certamente l’obbligo di adempiere alla previsione normativa dopo troppi anni di inerzia.
In Quinta Commissione, oltre ad alcune conferme quadriennali, abbiamo formulato le proposte per Avvocato Generale Torino e Presidente Sezione Appello Trento.La buona notizia è che entrambe le proposte sono state votate all’unanimità.
In Sesta Commissione si sta lavorando sui pareri ai testi legislativi in materia di giustizia, ed in particolare a quello sulla prescrizione.La scommessa che deve essere vinta è quella di formulare pareri che siano effettivamente tecnici e che diano conto dell’impatto delle proposte riforme sul sistema giustizia, senza formulare giudizi di natura politica ed essere così coinvolti in livelli di discussioni che non competono al Consiglio.Di particolare delicatezza è poi il tema della rosa dei nominativi da proporre a Commissione e Parlamento europeo per la Procura Europea (EPPO).Infatti, il Ministero ritiene che l’indicazione della rosa sia di propria competenza, mentre il Consiglio rivendica a sé tale prerogativa, sul presupposto che l’attività del procuratore europeo è di natura giurisdizionale e non già amministrativa, e che una indicazione da parte del Ministero porrebbe quindi seri problemi di compatibilità costituzionale, vista l’attribuzione che l’articolo 105 riserva all’organo di autogoverno.
In Settima Commissione, certamente una delle commissioni più ‘ lavorate’, si procede nell’esame delle molteplici questioni tabellari o organizzative, come nel caso di assegnazioni di magistrati requirenti alla DDA o di permanenza ultradecennale.Ha avuto poi inizio la disamina dei programmi di gestione degli uffici giudicanti, materia alla quale si intende prestare particolare attenzione nella verifica della ragionevolezza degli obiettivi di rendimento richiesti ai colleghi.
In Ottava Commissione, dopo avere come sempre definito una gran moltitudine di pratiche minori (tra le altre: trasferimenti e contenziosi amministrativi), abbiamo svolto diverse audizioni di magistrati onorari destinatari di proposte di non conferma da parte del Consiglio Giudiziario o del Dirigente.Il lavoro è certamente oneroso, ed è inutile nascondere che non sempre la commissione può contare su pareri realmente articolati dei Consigli Giudiziari.La questione più complessa resta sicuramente quella relativa alle incompatibilità, che sono poste dalla normativa primaria in modo estremamente rigido e che quindi non possono essere più di tanto temperate ad opera della normativa secondaria.Il Ministero ha peraltro fatto informalmente sapere che vi è allo studio una modifica della normativa primaria, e quindi è ipotizzabile che, in attesa di maggiori informazioni, per qualche settimana si potrebbero accantonare le pratiche ancora in attesa di definizione.
In Nona Commissione proseguono i contatti con le molteplici realtà consiliari europee.Un’osservazione sul punto merita di essere formulata: se in Italia le critiche al nostro organo di autogoverno sono numerose (e talvolta anche condivisibili!); all’estero l’esperienza del CSM è guardata con estrema attenzione, ed il grado di indipendenza del quale gode il nostro Consiglio è da tutti ritenuto come un modello, così come un modello è ritenuto il sistema di garanzia offerto ai singoli magistrati.
Si è poi tenuto un tavolo tecnico tra CSM e Scuola Superiore della Magistratura.I temi da trattare sono tanti (tra i principali: linee guida, formazione permanente, formazione MOT, formazione dirigenti, formazione onorari), ed abbiamo deciso di trattare le singole questioni in riunioni mensili specificamente dedicate alle varie tematiche.Ci ha poi molto colpito quanto riferito dalla Scuola in ordine al fatto che stanno fortemente diminuendo le dichiarazioni di disponibilità per la nomina a formatore decentrato, al punto che anche in grandi distretti talvolta l’interpello non ha alcun riscontro ed i posti vanno ripubblicati: a nostro avviso è davvero un peccato, perché la funzione di formatore decentrato è certamente stimolante; e l’unica spiegazione possibile è quella relativa al fatto che il carico di lavoro che ciascuno di noi gestisce è tale per cui non c’è spazio per assumere nuovi impegni lavorativi.Per questo, occorrerà che il CSM vigili in ordine al fatto che lo sgravio previsto dalle circolari per i formatori sia realmente garantito, e che ai formatori sia offerta una effettiva collaborazione da parte della struttura amministrativa degli uffici: solo così si possono realizzare le condizioni per rendere nuovamente di interesse la nomina a formatore e quindi per consentire il funzionamento delle strutture decentrate.
In Plenum la pratica di maggiore complessità è stata certamente quella, più sopra accennata parlando di Sesta Commissione, della nomina Procuratore Europeo, ed abbiamo disposto un rinvio alla prossima settimana per cercare di arrivare ad una soluzione condivisa da tutti, compresi i laici che hanno una posizione meno rigida rispetto a quella dei togati.Altro tema sul quale si è a lungo discusso e quello dell’eventuale modifica della circolare sulla dirigenza, al fine di meglio ricalibrare l’elencazione degli indicatori e le regole con cui operare il bilanciamento fra i diversi indicatori che possono vantare i vari aspiranti: a tale fine si è concordato sull’opportunità di incontri periodici per discutere dei criteri di nomina dei direttivi, che una volta individuati valgano per tutta la consiliatura.
Un caro saluto a voi tutti ed alla prossima settimana!
Roma 8.11.2018
Michele Ciambellini, Cochita Grillo, Marco Mancinetti, Gianluigi Morlini, Luigi Spina.
Cari colleghi, proseguiamo nell’attività di informazione dell’attività svolta dal Consiglio Superiore.
La settimana è iniziata con il Plenum straordinario di lunedì sulla vicenda, della quale vi avevamo riferito i giorni scorsi, relativa al parere che il Consiglio deve rendere in ordine al disegno di legge per la nomina della terna dei candidati alla Procura Europea (EPPO), terna all’interno della quale in sede comunitaria (Parlamento e Consiglio di comune accordo) si dovrà poi scegliere il rappresentante italiano.
I componenti togati del Consiglio hanno dall’inizio assunto una posizione molto netta, ritenendo che la proposta all’esame del Parlamento, la quale prevede l’indicazione dei nominativi da parte del Ministero, sia in violazione dell’articolo 105 della Costituzione, atteso chela Procura Europea, diversamente da Eurojust, svolge funzione giurisdizionale e non già amministrativa, con la conseguenza che l’indicazione dei candidati deve spettare al CSM e non al Ministero.
Il parere dell’Ufficio Studi del CSM sul punto è stato molto chiaro nel senso dell’esclusività della competenza consiliare in ordine alla formulazione della terna.
Poiché la componente laica del Consiglio aveva invece manifestato una posizione più possibilista in ordine all’indicazione dei nominativi, auspicando una procedura concertata tra CSM e Ministero, abbiamo cercato di arrivare a un testo di parere che potesse ottenere il consenso di tutti.
Purtroppo tale sforzo non è stato coronato da successo, e quindi è stato posto in votazione il parere così come formulato dall’ufficio studi.
Tale parere è stato approvato con il voto di tutti i componenti togati e con il voto altresì dell’avvocato Michele Cerabona.
Martedì serala Cameraha peraltro approvato il disegno di legge delega, prevedendo il potere del Ministro di designare la terna dei candidati a Procuratore Europeo scelti tra nove magistrati proposti dal CSM: soluzione per noi del tutto insoddisfacente poiché rimetterebbe esclusivamente al Ministro l’indicazione della terna.
A questo punto, qualora non vi siano modifiche del testo di legge nel passaggio al Senato, andrà valutata la possibilità di sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale per violazione dell’articolo 105 Cost.
In apertura del Plenum ordinario di mercoledì, il Presidente della Terza Commissione, Michele Ciambellini, ha spiegato le ragioni della unanime decisione di disporre un bando straordinario per la copertura del 50% dei posti vacanti presso gli uffici giudiziari di Genova, cioè per la pubblicazione di 4 posti giudicanti e 2 posti requirenti. Alleghiamo in calce l’intervento di Michele.
Sempre in apertura dei lavori, Luigi Spina e Gianluigi Morlini hanno evidenziato la gravissima situazione verificatasi negli uffici a seguito dalla sospensione, comunicata la notte precedente dal Ministero, dei servizi informatici, tra i quali il PCT ed il TIAP, indispensabili per l’esercizio dell’attività giudiziaria: come tutti sanno, ciò comporta enormi disfunzioni, ed una vera e propria totale paralisi nel settore civilistico.
Il vero problema è la costante periodicità con la quale il blocco dei servizi si verifica: infatti, se è vero che tale ultimo blocco sembra essersi verificato per un attacco informatico di hackers; è altrettanto vero che, come tutti i magistrati sanno, i disservizi informatici sono quotidiani, a partire dal blocco di Consolle ogni qual volta sono previsti aggiornamenti del sistema, e la situazione di disagio è aggravata dal fatto che in tali situazioni quasi sempre manca anche la dovuta assistenza da parte dei tecnici.
La situazione è poi addirittura paradossale per il settore civilistico, dove gli atti successivi a quelli introduttivi sono ex lege telematici, ciò che rende necessario l’utilizzo di Consolle per lo svolgimento dell’udienza; ed il Ministero, cui spetta il relativo onere, non riesce a garantire la piena funzionalità del sistema informatico, e quindi di fatto non consente il regolare ed agevole svolgimento dell’udienza.
Tra le pratiche inserite all’ordine del giorno, quella che è stata più diffusamente trattata ha riguardato la copertura del primo dei quattro posti vacanti di magistrato segretario, pratica istruita dal precedente Consiglio: dopo una lunga discussione, è stata votata la dottoressa Verde, che ha prevalso sulla dottoressa Giammaria.
Nel corso del dibattito, è stato affermato con forza dal nostro gruppo con l’intervento di tutti noi cinque consiglieri, il principio per cui nella valutazione complessiva professionale delle colleghe, nessun rilievo negativo deve essere attribuito ad eventuali assenze dal lavoro per maternità, e ciò in particolare ai fini della valutazione del periodo di permanenza nelle funzioni giurisdizionali, come invece adombrato in altro intervento.
Con convinzione, abbiamo poi sostenuto che nessun rilievo preferenziale deve essere attribuito al fatto che uno degli aspiranti abbia svolto in passato incarico di collaborazione con il CSM ai sensi dell’articolo 28 del regolamento interno, e ciò in coerenza con quanto abbiamo sempre sostenuto in campagna elettorale: anche da questo punto di vista abbiamo ritenuto di condividere la proposta a favore della collega Verde, poiché nell’altra è proposta veniva attribuito rilievo specialmente a tale esperienza.
Si è poi anche proceduto al ricollocamento in ruolo della gran parte dei precedenti consiglieri del CSM.
Come noto, l’iniziale volontà della competente commissione era quella di disporre il rientro contestuale di tutti i consiglieri uscenti.
Poiché però il rientro dei consiglieri che svolgevano funzioni direttive e semidirettive al momento dell’elezione presenta delicati problemi interpretativi – posto che in tal caso non è facile capire come attuare la disposizione di legge che dispone il rientro nel medesimo posto anche in sovrannumero, ed il parere dell’ufficio studi è stato sul punto molto dubitativo- si è deciso di disporre sin da ora il rientro in ruolo dei consiglieri che non avevano funzioni direttive o semidirettive, disponendo approfondimenti istruttori per i rimanentiexconsiglieri, al fine di meglio comprendere come procedere.
Va evidenziato che, nella storia del CSM, questo rientro in ruolo degliexconsiglieri è stato il più breve in assoluto, essendo intervenuto dopo un solo mese dalla formazione delle commissioni.
In Quarta Commissione continuano ad esitarsi le pratiche relative alle molteplici valutazioni di professionalità.
In una pratica particolarmente delicata, è stato per la prima volta affrontato il tema della rilevanza di fatti disciplinari successivi al periodo in valutazione, e la nostra posizione, diversamente da quella di altri componenti togati, è stata quella di ritenere tali fatti irrilevanti ai fini della valutazione di professionalità: a
Unità per la Costituzione, nel corso di un partecipato comitato di coordinamento tenutosi in data odierna, ha esaminato l’esito significativo della recente campagna elettorale e ringrazia tutti i colleghi che hanno confermato la fiducia nei candidati vicini al gruppo e nel percorso di rinnovamento intrapreso all’insegna del rigore morale, della promozione dell’attività associativa dell’A.N.M. e del dialogo quale metodo di confronto pluralista.
In occasione del C.d.C. abbiamo registrato la disponibilità alla candidatura per le elezioni suppletive del C.S.M. – collegio giudicante di merito – di Silvia Corinaldesi, Presidente di Sezione del Tribunale di Ancona.
All’esito del suo intervento di presentazione, riconosciamo nel suo percorso professionale i valori di indipendenza, impegno e competenza che devono caratterizzare ogni magistrato e tanto più devono essere presenti nei colleghi che intendono candidarsi alle elezioni del C.S.M..
Sottoponiamo al giudizio di tutti i colleghi e accogliamo con soddisfazione la candidatura di Silvia Corinaldesi.
La Presidenza e la Segreteria nazionale di Unità per la Costituzione