La Corte europea dei diritti dell’uomo – Prima Sezione – con la sentenza resa il 7 dicembre 2017 nella causa ARNOLDI c. ITALIA (ric. 35637/04), adottata all’unanimità e con una opinione separata con osservazioni in tema di ammissibilità, ha accolto, in applicazione dell’art. 6 CEDU, il ricorso proposto da una cittadina italiana a cui la corte di appello di Venezia aveva rigettato la richiesta di risarcimento del danno morale e materiale, ai sensi della legge “Pinto”, per l’eccessiva durata di un procedimento penale relativo al delitto di falsità ideologica di privato in atto pubblico (art. 483 c.p.), durato oltre sette anni e conclusosi con l’archiviazione per intervenuta prescrizione del reato quando esso ancora si trovava nella fase delle indagini preliminari e, dunque, prima che la ricorrente potesse costituirsi parte civile. In particolare, la Corte ha riconosciuto la somma di euro 4.500,00 per la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo non accogliendo, invece, il ricorso con riferimento alla lesione del diritto di accesso ad un Tribunale e del diritto di proprietà (art. 1, Primo Protocollo). La decisione della corte veneziana era conforme alla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui il diritto al risarcimento del danno da durata non ragionevole del processo penale non spetta al danneggiato che non si sia (o fino a quando non si sia) costituito parte civile (tra le tante, sentt. nn. 1405/03, 13889/03, 11480/03, 569/07: più di recente, sentt. nn. 14925/15, 8291/16, 26625/16).
La Corte EDU ha rigettato l’eccezione del Governo italiano secondo cui, nella specie, l’articolo 6 CEDU non sarebbe stato applicabile per non avere la ricorrente rivestito la qualità di parte nel procedimento penale. In proposito la Corte EDU – dopo aver ricordato l’orientamento seguito dalla Corte di cassazione – ha, per contro, sottolineato che lo spirito della Convenzione impone di non fermarsi ad un approccio formalistico nella individuazione della nozione di parte e di cogliere, al di là delle apparenze, la realtà della situazione litigiosa. La Corte EDU ha quindi rilevato che, in concreto, la ricorrente aveva interesse a domandare in sede penale, mediante la costituzione di parte civile, il risarcimento dei danni causati dal reato di falso al suo diritto di carattere civile e che la stessa, d’altra parte, si era attivata esercitando almeno una delle facoltà attribuita alla parte offesa dal codice di procedura penale (in particolare, aveva prodotto dei documenti). Sulla scorta di tali rilievi, il ricorso della ricorrente per violazione dell’articolo 6 CEDU è stato ritenuto ammissibile, ancorché ella non si fosse mai costituita parte civile ed ha potuto, quindi, essere deciso nel merito
La Corte ha, peraltro, ritenuto irrilevante la circostanza (specificamente valorizzata, da ultimo, in Cass. 26625/16) che, nelle more delle indagini, la ricorrente avrebbe potuto esperire un’autonoma azione in sede civile ed ha sottolineato come, nel momento in cui un ordinamento nazionale predispone un mezzo di tutela di un diritto civile (quale la costituzione di parte civile in sede penale) il rispetto delle garanzie di cui all’art. 6 CEDU dev’essere assicurato indipendentemente dalla eventuale esistenza di mezzi di tutela alternativi.