Cass. civ. Sez. I su Diritto alla conoscenza dei parenti da parte dell’adottato

Segnalazione Roberto Conti

GRUPPO DI ATTUAZIONE DEL PROTOCOLLO D’INTESA TRA CORTE DI CASSAZIONE E CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

DIRITTI DELLA PERSONALITA’ – IDENTITA’ PERSONALE – DIRITTO A CONOSCERE LE PROPRIE ORIGINI – PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI SENSIBILI – BILANCIAMENTO FEA DIRITTI FONDAMENTALI – RICHIESTA DEL FRATELLO DI CONOSCERE LE ORIGINI DELLE SORELLE -INTERPELLO -.

Riferimenti normativi:

Convenzione Internazionale sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, artt. 7 e 8

Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993

Legge n. 184 del 1983, artt. 28 e 73

D.P.R. n. 396 del 2000, art. 30

CEDU, art. 8

Costituzione artt. 2, 3

Pronuncia segnalata:

Cass. civ., Sez. I, sentenza 20.03.2018, n. 6963

1. La controversia trae origine dal rigetto dell’istanza formulata da una persona ultraventicinquenne al Tribunale per i minorenni di Torino al fine di conoscere le generalità delle proprie sorelle, la cui identità gli era sconosciuta a causa della precedente adozione da parte di famiglie diverse.

La Corte d’Appello di Torino, confermando il provvedimento di diniego reso dal giudice di prime cure, rilevava che l’art. 28 L. 184/1993 tutela il diritto ai legami familiari limitatamente alle origini e all’identità dei genitori biologici, con conseguente preclusione, per il giudice, di interpretare estensivamente la norma fino a ricomprendervi la tutela del diritto alla conoscenza dell’identità delle sorelle biologiche. In tale ultima ipotesi prevaleva, infatti, il diritto alla riservatezza delle predette, a presidio del quale operava, peraltro, la sanzione penale prevista dall’art. 73 L. n. 184/1983 per la diffusione di notizie atte a rintracciarle.

L’interessato, nel proporre ricorso per cassazione, censurava la violazione del diritto alla salvaguardia dell’identità, del nome e delle relazioni familiari sanciti dagli artt. 7 ed 8 della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia del 20 novembre 1989, resa esecutiva con L. n. 176/1991, dovendosi allo stesso riconoscere il diritto all’identità consistente nel ricercare le proprie origini, le proprie radici e conoscere le informazioni relative alla famiglia biologica. Il ricorrente prospettava, altresì, la violazione dell’art. 30 della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 nonchè dei commi 4 e 5 dell’art. 28 L. n. 184/1993, laddove il giudice non avrebbe ricompreso nelle relazioni familiari anche quelle con le sorelle.

2. Preliminarmente, Cass. n. 6963/2018 ha disatteso l’istanza di rimessione alle Sezioni Unite formulata dal Procuratore Generale, non ritenendo fondata la prospetta inammissibilità del ricorso per omessa notifica al Pubblico Ministero e per difetto di partecipazione dello stesso al procedimento di merito.

In primo luogo, il Collegio ha sottolineato che l’inammissibilità per mancata notifica del ricorso per cassazione al Pubblico Ministero, al quale sia riconosciuto l’intervento ma non il potere di promuovere l’accertamento giudiziale, non opera qualora le funzioni ad esso spettanti siano attribuite al Procuratore Generale presso il giudice ad quem e sia assicurata la sua partecipazione al giudizio (Cass. Sez. Un. n. 3556/2017).

Relativamente al secondo profilo di inammissibilità, Cass. n. 6963/2018 ha rilevato che l’art. 28, L. n. 184/1983 non prevede l’obbligatoria partecipazione del Pubblico Ministero al procedimento con il quale l’adottato, che abbia raggiunto il venticinquesimo anno di età, intenda far valere il proprio diritto di accesso alle informazioni relative alla sua origine, essendo in gioco un  diritto potestativo rispetto al quale non sussiste un interesse di natura pubblicistica tale da esigere la partecipazione del Pubblico Ministero, come invece accade quando ad essere coinvolti sono soggetti minori di età, tanto da richiedere in via generale il controllo e, quando previsto dalla legge, l’iniziativa dell’ufficio del P.M.

Acclarata la natura decisoria del provvedimento impugnato, incidente sull’esistenza ed estensione della tutela dei diritti fondamentali ed inviolabili della persona, Cass. n. 6963/2018 ha accolto il ricorso.

Secondo la Corte l’art. 28, c. 5, l. cit., nell’affermare che “l’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere ad informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici”, ha inteso riconoscere all’adottato il diritto alla conoscenza delle informazioni relative all’intero nucleo familiare di origine. Per giungere a tale conclusione la Corte ha, per l’un verso, proceduto all’individuazione del contenuto del diritto alla conoscenza delle origini e, per altro verso,  esaminato la portata semantica dell’espressione utilizzata dal legislatore, proprio al fine di verificare se essa potesse limitarsi esclusivamente alla conoscenza delle origini genitoriali, ovvero si estendesse fino a ricomprendere ulteriori figure parentali.

3. Quanto al primo aspetto, la Corte ha ritenuto che lo sviluppo equilibrato della personalità individuale e relazionale si realizza tanto per il tramite della propria identità esteriore, di cui il nome e la discendenza giuridicamente rilevante e riconoscibile costituiscono elementi essenziali, che di quella ‘interiore’, per la quale possono assumere rilievo la conoscenza e l’accettazione della discendenza biologica e della rete parentale più prossima. Il riconoscimento della funzione di primaria importanza rivestita dall’identità personale e la consapevolezza della pluralità di elementi anche dialettici di cui si compone, quali il diritto a conoscere la verità sulla propria storia personale e quello a conservare la costruzione preesistente dell’identità propria e dei terzi eventualmente coinvolti, trova conferma, secondo Cass. n. 6963/2018, nelle pronunce delle Corti nazionali e sovranazionali che hanno riconosciuto la centralità del diritto alla conoscenza delle origini dell’adottato nei confronti della madre che si era avvalsa del diritto a non essere nominata. Il riferimento è a Corte dir.uomo, 25 settembre 2012, Godelli c. Italia e Corte cost. n. 278/2013, alle quali ha fatto seguito Cass. S. U., 25 gennaio 2017 n. 1946, che ha espressamente riconosciuto al giudice la possibilità, su richiesta del figlio di accedere alla propria storia parentale e pur in assenza di una disciplina procedimentale attuativa introdotta dal legislatore, di interpellare la madre che si sia avvalsa del diritto all’anonimato, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione con modalità procedimentali idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il più assoluto rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio non è incondizionato e trova un limite insuperabile allorché a seguito di interpello persista il diniego della madre a svelare la propria identità.

Orbene, muovendo dai principi fissati da tali precedenti, Cass. n. 6963/2018 si è interrogata sulla portata da riconoscersi all’art. 28, c. 5, cit., laddove attribuisce all’adottato ultraventicinquenne il diritto di accedere alle informazioni che riguardano “la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici”. Secondo un’interpretazione restrittiva il riferimento all’ “origine” potrebbe intendersi quale specificazione dell’ambito delle informazioni che il figlio ha il diritto di conoscere, da limitarsi all’identità dei genitori.

Cass. n. 6963/18, utilizzando i canoni ermeneutici dell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, ha invece attribuito al dato testuale una più ampia portata, in modo da includervi il diritto di risalire  oltre che ai genitori biologici, anche ai più stretti congiunti come i fratelli e le sorelle ancorchè non espressamente menzionati dalla norma. In tal modo, Cass. n. 6963/2018 ha valorizzato l’importanza dell’identità personale del soggetto, il quale raggiunto il venticinquesimo anno di età oppure sin dal compimento della maggiore età quando vi siano gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica ha il diritto di conoscere tutte le informazioni della propria rete parentale che siano funzionali allo sviluppo della sua personalità, ovvero oltre a quelle relative ai genitori biologici, quelle concernenti le proprie sorelle. 

Il diritto in parola, però, si atteggia in maniera diversa a seconda che l’ambito delle informazioni riguardi unicamente i genitori biologici o coinvolga anche i parenti più prossimi, richiedendosi in tale ipotesi un’adeguata attività di bilanciamento volta a contemperare i diritti contrapposti.

In definitiva, il diritto dell’adottato ultraventicinquenne è di natura potestativa solo ove abbia ad oggetto le informazioni dei genitori biologici, sicché non potrà essere impedito il suo esercizio, non ostandovi ragioni di tutela del segreto dei genitori, destinato a soccombere per espressa volontà legislativa. In tale evenienza, infatti, è lo stesso legislatore ad avere  svolto una valutazione generale ex ante sulla netta preminenza del diritto dell’adottato rispetto a quello dei genitori biologici, tale da escludere alcun bilanciamento d’interessi da eseguirsi ex post.

Tale soluzione non può trovare, tuttavia, automatica applicazione laddove siano coinvolti soggetti che, pur parenti prossimi, si trovano in una condizione diversa da quella dei genitori biologici. Rileva, in questo caso, per l’un verso, il diritto ‘a non voler rivelare la propria parentele biologica e a non voler mutare la costruzione della propria identità attraverso la conoscenza d’informazioni ritenute negativamente incidenti sul raggiunto equilibrio di vita’. Per altro verso, vi è anche una concorrente esigenza di garantire la protezione dei loro dati personali e sensibili, dotati di natura ontologicamente riservata e anch’essi meritevoli  di protezione rispetto ad ingerenze di terzi, potendo tale intrusione essere legittimata solo mediante consenso del possessore delle informazioni stesse.

Non si configura, dunque, in tale evenienza un diritto potestativo incondizionato capace di consentire, in via assoluta, al titolare che ne faccia richiesta l’accesso alle informazioni di cui necessita al fine di soddisfare le proprie esigenze conoscitive, tale posizione dovendo confrontarsi con il contrapposto diritto alla riservatezza dei fratelli biologici, anch’esso di matrice  costituzionale e convenzionale.

4. Cass. n. 6963/2018 ritiene che sia compito del giudice, in assenza di una valutazione legislativa sulla preminenza dell’un diritto sull’altro in gioco, provvedere attraverso un concreto bilanciamento fra posizioni concorrenti e parimenti meritevoli di tutela. Bilanciamento che deve essere operato mediante l’interpello procedimentalizzato ed individuato da Cass. Sez. Un. n. 1946/2017, alla luce dei principi affermati dalla Corte EDU e da Corte cost. n. 278/2013, ossia nell’ambito di un procedimento camerale che si svolge davanti al Tribunale per i minorenni del luogo di residenza nel quale il giudice provvede ad un’interrogazione riservata nei confronti del titolare del diritto, esperibile una sola volta e con modalità pratiche individuate  nel rispetto dei limiti imposti dalla natura dei diritti in gioco.

In conclusione, secondo Cass. n. 6963/2018, il ricorso legislativo al termine “origine” non può aver altro significato se non quello di ricomprendere nelle informazioni di cui l’adottato può aver contezza, anche quelle relative ai propri fratelli e sorelle biologici, trattandosi di una conoscenza essenziale che può condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona. Pertanto, non sussiste in favore delle sorelle e dei fratelli un divieto espresso a far conoscere la loro identità, ancorché l’accesso a tali dati debba essere autorizzato dagli stessi titolari a seguito di apposito interpello, mediante il quale sia possibile confrontare, caso per caso, posizioni giuridiche soggettive di pari rango, rispetto alle quali manca una predeterminazione legislativa circa la prevalenza gerarchica da attribuire a taluni interessi e diritti a scapito di altri.