Cedu Knox c. Italia

[CLASSIFICAZIONE]

DIVIETO DI TORTURA E DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE – DIRITTO AD UN PROCESSO EQUO

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione, artt. 13 e 111;

Convenzione EDU, artt. 3, 6 ed 8;

Codice di procedura penale, artt. 63 s., 143 ss..

[SENTENZA SEGNALATA]

Corte EDU, Sez. I, sentenza 24.1.2019, caso Knox c. Italia.

Divieto di tortura e diritto al rispetto della vita privata e familiare – interrogatorio dell’indiziato di reato – maltrattamenti e pressioni psicologiche – violazione (sotto il solo profilo processuale, per difetto di effettive indagini su quanto denunciato dall’interessata).

Diritto ad un processo equo – interrogatorio dell’indiziato di reato – diritto all’assistenza di un difensore – violazione – diritto all’assistenza di un interprete indipendente – violazione.  

Abstract. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Sez. I, sentenza 24/01/2019, caso Knox c. Italia), all’unanimità, ha ritenuto l’Italia responsabile della violazione degli articoli 3 (Proibizione della tortura) – sotto il solo profilo processuale – e 6 (Diritto a un equo processo) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nel procedimento al termine del quale la ricorrente Amanda Knox è stata condannata per calunnia; ha conseguentemente riconosciuto il diritto della ricorrente alla corresponsione di una somma di denaro (in totale, euro 18.400, dei quali 10.400 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale danno, ed 8.000 a titolo di rifusione di costi e spese sopportati per la procedura), non anche alla ripetizione del giudizio interno (secondo la c.d. “clausola Ocalan).

1. Le doglianze della ricorrente.

 La ricorrente aveva denunciato la violazione degli artt. 3 ed 8, e dell’art. 6, §§ 1 e 3, lett. C), della Convenzione EDU, lamentando di aver subito maltrattamenti dalla Polizia di Stato nel corso dell’interrogatorio del 6 novembre 2007, nel corso del quale la donna aveva accusato un cittadino congolese che, all’epoca dei fatti, lavorava in un bar di Perugia, di aver ucciso Meredith Kercher (l’uomo è stato conclusivamente assolto dall’accusa, mentre la dichiarante è stata condannata per il reato di calunnia alla pena di anni tre di reclusione).

In particolare, nel corso del predetto interrogatorio, ella sarebbe stata sottoposta a trattamenti degradanti ad opera di appartenenti alle forze dell’ordine, che la avrebbero schiaffeggiata, sottoponendola inoltre a violentissima pressione psicologica e privandola del sonno (la stessa Corte d’Appello perugina aveva rilevato l’abnormità della durata degli interrogatori, evidenziando che le prime dichiarazioni erano state immediatamente ritrattate).

Inoltre, la donna, pur essendo già indiziata di reato, non era stata informata del diritto di essere assistita da un legale di sua fiducia, e non era stata assistita da un difensore nel corso del predetto interrogatorio; ella non aveva neppure fruito dell’assistenza di un interprete indipendente, poiché quello fornitole dalla forze dell’ordine non si sarebbe limitato ad eseguire l’incarico conferito, ma avrebbe svolto una indebita attività di “mediazione” tra l’interessata e le Autorità procedenti .

2. L’esaurimento delle vie di ricorso interne.

La Corte EDU ha preliminarmente ribadito l’orientamento (da ultimo, Sez. I, 17/03/2016, caso ZALYAN ed altri c. Armenia; Sez. I, 28/03/2017, caso  ŠKORJANEC c. Croazia) secondo il quale non può ritenersi il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne nel caso in cui, alla data del ricorso, sia tuttora in corso il giudizio di rinvio, quando l’affermazione di responsabilità sia già divenuta definitiva (nel caso in esame, il giudizio di rinvio aveva ad oggetto unicamente la configurabilità o meno di una circostanza aggravante, mentre l’affermazione di responsabilità in ordine al delitto di calunnia ascritto alla ricorrente era già definitiva).

3. La violazione dell’art. 3 Conv. EDU.

Ciò premesso, la Corte EDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della Convinzione EDU, ma sotto il solo profilo procedurale, non anche sotto quello sostanziale.

A parere della Corte di Strasburgo, sotto il profilo sostanziale non risultava adeguatamente dimostrato il fatto che la ricorrente fosse stata effettivamente sottoposta ai denunciati maltrattamenti e pressioni psicologiche, volti ad indurla a rendere confessione in ordine al delitto oggetto d’indagine.

Nondimeno, l’Italia è stata condannata per violazione dell’art. 3 sotto il profilo procedurale, in difetto dello svolgimento di una inchiesta volta ad accertare se effettivamente fosse avvenuto quanto denunciato dalla ricorrente, il che aveva impedito di acquisire elementi idonei a corroborare la denunciata violazione dell’art. 3 sotto il profilo sostanziale.

3.1.  La Corte di Strasburgo ha richiamato, in proposito, la propria decisione emessa dalla Grande Chambre, 28/09/2015, caso BOUYID contro Belgio, secondo la quale uno schiaffo data da agenti di polizia nei confronti di individui sotto il loro controllo integra un trattamento degradante, poiché, laddove un individuo sia privato della sua libertà o, più generalmente, si confronti con funzionari di polizia, ogni ricorso alla forza fisica che non sia reso necessario dalla condotta della persona lede la dignità umana e viola in linea di principio il diritto definito nell’articolo 3.

In tali casi, inoltre, chi denuncia di essere stato vittima di simili trattamenti ha diritto allo svolgimento  di un’indagine effettiva, in difetto della quale è configurabile una violazione dell’articolo 3.

4. La violazione dell’art. 6 Conv. EDU.

La Corte EDU ha condannato l’Italia anche per violazione dell’art. 6, §§ 1 e 3, lett. C), della Convinzione EDU, sotto due profili:

– in primo luogo, la ricorrente non era stata assistita da un difensore nel corso del menzionato interrogatorio del 6 novembre 2007, sebbene fosse già destinataria di accusa penale secondo i criteri della Convenzione;

– inoltre, ella non aveva fruito di adeguata assistenza di un interprete – necessaria in considerazione del fatto che la donna era alloglotta – poiché quello che era stato messo a sua disposizione non si era limitato ad eseguire l’incarico conferito, ma aveva svolto una indebita attività di “mediazione”, elemento che, sebbene portato ripetutamente all’attenzione delle autorità nazionali, ancora una volta non era stato oggetto di approfondimenti.

4.1. La Corte di Strasburgo ha richiamato, in proposito, la propria decisione emessa dalla Grande Chambre, 12/05/2017, caso SIMEONOVI contro Bulgaria, secondo la quale le garanzie accordate dall’art. 6 sono applicabili a partire non soltanto dal momento nel quale una formale accusa sia ufficialmente notificata, ma anche dal momento nel quale la posizione dell’indagato sia considerevolmente intaccata dalle azioni intraprese dalle autorità procedenti come un risultato del sospetto nei suoi confronti (§§ 110-111), e quella emessa dalla Grande Chambre, 13/09/2016, caso IBRAHIM ed altri contro Regno Unito.

Quest’ultima, in particolare, aveva efficacemente osservato che

296. La Cour doit tout d’abord déterminer à quel moment les garanties de l’article 6 ont commencé à s’appliquer au quatrième requérant. À l’inverse des trois premiers requérants, immédiatement placés en état d’arrestation, il a été interpellé par des policiers en tant que témoin potentiel et invité à les accompagner au commissariat pour les aider dans leur enquête (paragraphe 139 ci-dessus). La Cour admet que, à ce stade, la police ne le soupçonnait pas d’être mêlé à une infraction pénale et qu’il ne peut prétendre que les actes effectués en raison des soupçons qui auraient pesé sur lui ont eu des répercussions importantes sur sa situation (paragraphe 249 ci‑dessus). Or, alors qu’ilétait interrogéen tant que témoin, le quatrième requérant a commencé à s’auto-incriminer et les policiers qui conduisaient l’interrogatoire ont interrompu celui-ci afin de demander des instructions à leur supérieur. La Cour est convaincue qu’à ce stade l’interrogatoire avait donné corps au soupçon de perpétration par lui d’une infraction pénale, de sorte que, à partir de ce moment-là, les actions effectuées par la police ont eu des répercussions importantes sur sa situation et qu’il était dès lors l’objet d’une « accusation en matière pénale » au sens autonome que revêt cette expression sur le terrain de l’article 6 de la Convention.

Proprio richiamando la predetta affermazione, la Corte EDU ha, nel caso ora in esame, osservato che, anche a voler ritenere che i necessari indizi di reità non risultassero già acquisiti nel momento dell’interrogatorio svolto alle ore 1.45 del 6.11.2007, a conclusione diverse doveva giungersi, come riconosciuto anche dal Governo italiano, per il successivo interrogatorio svolto alle ore 5.45.

La Corte – sempre in linea con i propri precedenti in materia (Corte EDU, Grande Chambre, 09.11.2018, caso BEUZE c. Belgio) ha ribadito che le restrizioni al diritto di essere assistito da un avvocato sono legittime solo se:

1) giustificate da ‘validi motivi’ (c.d.compelling reasons);

2) vi si ricorra solo in circostanze eccezionali;

3) abbiano natura temporanea;

4) vengano parametrate su una valutazione individuale delle circostanze particolari del caso concreto.

Nel caso di specie, tuttavia, la Corte ha osservato che le autorità italiane non avevano allegato né dei validi motivi, né delle speciali circostanze in grado di giustificare una limitazione delle garanzie della ricorrente, e neppure erano riuscite a dimostrare che, nonostante l’accertata indebita restrizione del diritto della ricorrente all’assistenza di un difensore, il processo potesse definirsi ugualmente equo.

4.2. Con riferimento al diritto all’assistenza di un interprete, la Corte di Strasburgo ha ricordato che incombe sulle Autorità procedenti l’onere non soltanto di nominare, ma anche di controllare di continuo la proficuità dell’operato dell’interprete nominato nell’interesse del soggetto assistito, richiamando, in proposito, la propria decisione emessa dalla IV Sezione, 28/08/2018, caso VIZGIRDA contro Slovenia, che aveva efficacemente osservato quanto segue:

75. Under paragraph 3 (a) of Article 6 of the Convention, any person charged with a criminal offence has the right “to be informed promptly, in a language which he understands and in detail, of the nature and cause of the accusation against him”. Whilst this provision does not specify that the relevant information should be given in writing or translated in written form for a foreign defendant, it does point to the need for special attention to be paid to the notification of the “accusation” to the defendant. An indictment plays a crucial role in the criminal process, in that it is from the moment of its service that the defendant is formally put on notice of the factual and legal basis of the charges against him. A defendant not familiar with the language used by the court may be at a practical disadvantage if the indictment is not translated into a language which he understands (see Hermi v. Italy [GC], no. 18114/02, § 68, ECHR 2006‑XII).

76. In addition, paragraph 3 (e) of Article 6 states that every defendant has the right to the free assistance of an interpreter. That right applies not only to oral statements made at the trial hearing but also to documentary material and the pre-trial proceedings (see Hermi, cited above, § 69). As regards the pre-trial phase, the Court notes that the assistance of an interpreter, as that of a lawyer, should be provided from the investigation stage, unless it is demonstrated that there are compelling reasons to restrict this right (see Baytar, cited above, § 50, and Diallo v. Sweden (dec.), no. 13205/07, § 25, 5 January 2010).

77. An accused who cannot understand or speak the language used in court has, therefore, the right to the free assistance of an interpreter for the translation or interpretation of all those documents or statements in the proceedings instituted against him which it is necessary for him to understand or to have rendered into the court’s language in order to have the benefit of a fair trial (see Hermi, cited above, § 69).

78. However, paragraph 3 (e) does not go so far as to require a written translation of all items of written evidence or official documents in the procedure. In that connection, it should be noted that the text of the relevant provisions refers to an “interpreter”, not a “translator”. This suggests that oral linguistic assistance may satisfy the requirements of the Convention (see Husain v. Italy (dec.), no. 18913/03, 24 February 2005).

79. The fact remains, however, that the interpretation assistance provided should be such as to enable the defendant to have knowledge of the case against him and to defend himself, notably by being able to put before the court his version of the events (see ibid.; Hermi, cited above, § 70; and Güngör v. Germany (dec.), no. 31540/96, 17 May 2001). The Court notes in this connection that the obligation of the competent authorities is not limited to the appointment of an interpreter but, if they are put on notice in the particular circumstances, may also extend to a degree of subsequent control over the adequacy of the interpretation (see Kamasinski v. Austria, 19 December 1989, § 74, Series A no. 168), and Diallo, cited above, § 23).

Ciò premesso, la Corte di Strasburgo ha ribadito che l’interprete deve fornire un effettivo ausilio all’accusato ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, ma il suo comportamento non deve mettere a repentaglio l’equità del processo.

Nel caso in esame, al contrario, l’interprete nominata aveva indebitamente inteso tessere una relazione umana ed emotiva con la ricorrente, auto-attribuendosi un ruolo di mediazione con le Autorità procedenti, assumendo un ruolo in un certo senso materno, che certamente non le era richiesto.

Tuttavia, pur avendo la ricorrente posto questi motivi di gravame all’attenzione delle Autorità, nessuna procedura volta ad accertare il fondamento o meno delle sue allegazioni, ed in particolare se il comportamento tenuto in concreto dall’interprete avesse avuto un impatto sul procedimento in corso, pregiudicandone l’equità.