Intervento dal Consigliere Paolo Auriemma, a nome dei consiglieri di Unità per la Costituzione, al plenum del Consiglio Superiore della Magistratura in occasione della visita del Ministro della Giustizia, Paola Severino (9 maggio 2012)
Sottolineati, particolare, i temi relativi alla responsabilità civile, all’abbreviazione dei tempi del processo con possibile modifica della disciplina delle impugnazioni – che venne trattato in sede di parere sul cd “Tribunale delle Imprese”- all’attività del CSM sui carichi esigibili, alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
Mi rivolgo a Lei, anche a nome dei Consiglieri Riccardo Fuzio, Giuseppina Casella, Giovanna Di Rosa, Alberto Liguori e Mariano Sciacca, ritenendo doveroso, anzitutto prendere atto, e dare atto a Lei signor Ministro, di come oggi finalmente le riforme di cui la giustizia ha bisogno sono divenute non più occasione di scontri istituzionali, ma momento di costruttivo confronto tra la politica e la magistratura nell’ottica del perseguimento di un comune interesse di funzionalità ed efficienza dell’amministrazione della giustizia. In questa nuova ottica il Consiglio non mancherà di fornire il proprio contributo tecnico senza altra finalità che quella dell’interesse generale ad una giustizia efficiente e moderna.
Non mancheremo, per quella lealtà che deve informare i rapporti tra istituzioni dello Stato, di evidenziare le criticità che dovessimo ravvisare nei progetti di riforma che ci vengono sottoposti: lo faremo con chiarezza, ma con spirito costruttivo, indicando, se del caso, soluzioni alternative, senza alcuna pretesa di far prevalere ad ogni costo il nostro punto di vista, ma con la certezza che le nostre argomentazioni saranno ascoltate e valutate con l’attenzione che meritano.
Inoltre vorrei, innanzi tutto, condividere insieme a Lei alcune brevi notazioni tecniche sul tema della responsabilità civile dei magistrati, che anch’esso può incidere negativamente, se non correttamente modulato, sulla efficienza del sistema giudiziario.
L’intento del Consiglio Superiore della Magistratura è quello (che peraltro si addice a tutti gli organismi di rilievo costituzionale) di fornire spunti ed apporti tecnici di riflessione, per perseguire l’efficienza e la funzionalità del servizio-giustizia in ragione della centralità e della rilevanza costituzionale del ruolo del giudice nella definizione dei conflitti e nella giusta attuazione ed interpretazione delle leggi.
Le sentenze della Corte di Giustizia, non sollecitano un nuovo sistema della responsabilità civile del magistrato italiano, ma semplicemente affermano la necessaria responsabilità dello Stato per la violazione delle normative del diritto comunitario.
Tanto premesso occorre osservare, sul piano della efficienza del sistema giudiziario, che l’azione diretta nei confronti del magistrato, ove introdotta nel nostro ordinamento giuridico (oltre a costituire una assoluta singolarità nel quadro della legislazione europea e non solo), avrebbe funzionato, spero di poter parlare al passato, da centro propulsore di una pericolosa reazione a catena di astensioni e/o ricusazioni, con la inevitabile conseguenza, non solo teorica, di una paralisi nell’attività giurisdizionale. In proposito, basta leggere quali sono le conformi raccomandazioni del Consiglio d´Europa, che costituiscono la sintesi delle opinioni degli Stati europei.
Altrettanto preoccupante si rivela la diversa e più ampia connotazione della colpa grave in termini di “violazione manifesta della legge“, poiché tale ampia formulazione porta a costruire, come ipotesi di responsabilità civile, fatti di scarsa rilevanza quale la inosservanza di un termine ordinatorio. La grave situazione dei ruoli e dei carichi di lavoro dei magistrati italiani, come Lei ben sa, non è compatibile con una disciplina sulla responsabilità civile che dilata oltre misura la nozione di colpa senza richiedere il preventivo requisito della gravità e della non scusabilità della violazione.
La violazione manifesta della legge rappresenterà, insieme al dolo, il nuovo sistema della responsabilità civile fondato non più sul binomio dolo – colpa grave ma sul binomio dolo – violazione manifesta della legge, con la paradossale conseguenza che potrebbe ipotizzarsi una violazione manifesta della legge non grave, che dà adito a responsabilità ed una violazione grave, ma non manifesta esente, dal sistema di responsabilità.
Ulteriore notazione grave che ci permettiamo di segnalarLe riguarda la c.d. “clausola di salvaguardia”, che oggi riconosce al giudice la possibilità di decidere orientandosi secondo una interpretazione delle norme di diritto, pur sempre nel solco delle logiche e delle regole di interpretazione dettate dai codici procedurali.
E’ bene premettere, in proposito, che l’interpretazione costituisce il cuore dell’attività giudiziaria, “la funzione stessa del giudicare, che esclude ogni responsabilità ” per utilizzare una espressione di un insigne giurista italiano che ben rappresenta in cosa consista il giudizio. Da ciò, si comprende come l’eliminazione della clausola di salvaguardia comprometta la “piena autonomia ed indipendenza e la possibilità di giudicare con serenità “, poiché il giudice non può essere considerato responsabile per presunti errori se questi sono frutto di una motivata interpretazione normativa. La ricchezza e la peculiarità del diritto risiede proprio nell’attività di interpretazione della legge, compito certo non facile, ma non per questo derogabile o rinunciabile per uno stato di diritto.
E’ questo il mondo del diritto e privarlo dell’attività di interpretazione sarebbe un po’ come rinunciare al valore della libertà nell’esercizio della funzione giurisdizionale. Del resto la Corte Costituzionale ha affermato che l’attività interpretativa rappresenta un elemento essenziale ed irrinunciabile per l’esercizio autonomo ed indipendente della giurisdizione. La sentenza della Corte Costituzionale n. 18/1989 in proposito, nel respingere un’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata sulla legge n. 117/88, ha affermato chiaramente che quella legge non contrasta con la Costituzione proprio perché tutela la garanzia costituzionale dell’indipendenza la quale “e’ diretta a tutelare l’autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e l’interpretazione delle norme di diritto”.
Siamo certi, Signor Ministro, che Lei comprende queste nostre preoccupazioni, le quali, va ribadito, non nascono da limitati intenti di difesa corporativa, ma da volontà di salvaguardia dei valori della Costituzione a beneficio della collettività e del bene comune, di cui il diritto stesso rappresenta la base.
E’ per tutta questa serie di ragioni che chiediamo una particolare attenzione ed una particolare meticolosità degli organismi istituzionali nella materia della responsabilità civile dei magistrati, poiché qui è in gioco lo stato di diritto, con le sue regole basate su giudizi sereni ed equilibrati.
Passando ad altro argomento, va detto che dall’esigenza di garantire in tempi ragionevoli una risposta giudiziaria tempestiva e, quindi efficace, il Consiglio si è fatto carico di approvare la risoluzione sui piani di gestione dei procedimenti civili e la determinazione dei carichi esigibili. Per la prima volta la dirigenza giudiziaria italiana è chiamata ad una programmazione annuale di natura gestionale per lo smaltimento dei procedimenti civili.
Viene indicata una metodologia unica nazionale con un procedimento cui sono chiamati a partecipare tutti i magistrati dell’ufficio, che mette al centro, tuttavia, una logica di responsabilizzazione dei dirigenti che vengono richiamati a motivare in modo puntuale le ragioni delle scelte gestionali in ordine alla produttività futura dell’ufficio.
A partire dal secondo anno saranno oggetto di valutazione i risultati conseguiti negli anni precedenti e dovranno essere specificate la ragioni dell’eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Occorre considerare che il meccanismo ideato permette al capo dell’ufficio, in caso di conseguimento degli obiettivi, di ottenere il riconoscimento degli incentivi economici previsti dalla legge, con ovvia ricaduta positiva sulle valutazioni ai fini della conferma o dell’attribuzione di un nuovo incarico; per altro verso, la individuazione di obiettivi non realistici sarà valutata quale limite alla sua capacità organizzativa.
E’ valorizzato, poi, un profilo altrettanto importante: la necessità di una lettura della produttività sotto l’aspetto qualitativo, che la legge non ha mostrato di valorizzare adeguatamente e che si presta a facili elusioni: su questo Signor Ministro abbiamo richiamato l’attenzione affinché i fondi non vengano attribuiti agli uffici giudiziari più disinvolti nella gestione delle statistiche giudiziarie.
Sotto un diverso profilo, l’efficienza del sistema giudiziario impone una sua riorganizzazione territoriale. In questo quadro, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie è, da tempo ed unanimemente, richiesta innanzitutto della stessa magistratura per dare maggiore funzionalità agli uffici giudiziari e renderli più corrispondenti alle esigenze di efficienza e prontezza della risposta alla domanda di giustizia.
La consapevolezza della grave congiuntura economica può costituire una opportunità per realizzare obiettivi di razionalizzazione e determinazione delle dimensioni ottimali degli uffici, ma non può e non deve costituire l’unico e stringente criterio cui orientare il progetto di modifica delle circoscrizioni.
Questa affermazione non deve essere intesa come dissenso sullo schema di decreto legislativo, ma come richiesta di una valutazione complessiva delle generali linee di politica giudiziaria in tema di recupero di risorse da destinare alla giustizia, di riordino della magistratura onoraria, di valorizzazione delle scelte di risoluzione alternativa delle controversie.
Occorre, peraltro, agire per il recupero dell’efficienza del sistema, anche sugli istituti processuali. Ed in questo dobbiamo annotare che in occasione del parere reso il 22 febbraio scorso sul Tribunale delle imprese, il Consiglio Le ha rappresentato l’opportunità di ampliare la portata dell’intervento riformatore, prendendo atto che, senza una radicale modifica del sistema delle impugnazioni civili, ogni sforzo riformatore risulterà vano, poiché e’ noto che il maggiore rallentamento nella durata delle cause civili si verifica nel giudizio di secondo grado, che si riflette poi negativamente anche sulla durata del giudizio di cassazione, determinando le condizioni favorevoli per le successive richieste di riparazione economica per la durata eccessiva del processo ai sensi della c.d. legge Pinto.
Anche la recente visita del presidente della CEDU in Italia ha avuto il principale scopo di sensibilizzare il nostro Paese sul problema della durata dei processi che danno luogo, quasi automaticamente, alle numerose condanne in sede europea.
L’attuale effetto pienamente devolutivo del giudizio d’appello conduce, infatti, ad una sostanziale duplicazione del giudizio di primo grado, con l’evidente allungamento della durata complessiva del processo civile. I dati statistici dimostrano, peraltro, che sono bassissime le pronunce di integrale riforma delle sentenze di primo grado. E’ qui che occorre intervenire urgentemente. E’ nello sviluppo dei gradi di giudizio d’impugnazione che si determina l’allungamento a dismisura della durata dei processi.
Si potrebbe, pertanto, modulare la proposizione dei motivi di appello sulla falsariga dei motivi per cassazione: in tal modo si limiterebbe la rinnovazione del giudizio sugli stessi atti, indirizzandolo contemporaneamente su più precise contestazioni della sentenza, seguendo in tal modo i sistemi della gran parte dei Paesi europei. Ciò avrebbe anche effetti benefici in termini di uniforme applicazione del diritto oggettivo e, conseguentemente, di accelerazione e di prevedibilità della decisione, coerenti con la creazione di un giudice altamente specializzato e professionalmente attrezzato.
In questa direzione, bisogna avere il coraggio di trasformare il giudizio di appello in un gravame capace di determinare un affinamento dei risultati conseguiti, trasformando la fase dell’appello in un giudizio di natura cassatoria, in cui i motivi di critica della sentenza di primo grado andrebbero modellati su quelli attualmente previsti dall’art. 360 c.p.c. per il ricorso per cassazione. L’eventuale giudizio di cassazione andrebbe, quindi, limitato alla sola denunzia di violazione di legge, così peraltro si avrebbe la piena conformità alla previsione dell’art. 111 della Costituzione, sottraendo al sindacato di legittimità il controllo sulla motivazione.
Diversamente si può inserire, in linea con il modello tedesco, un efficace filtro di ammissibilità dell’impugnazione, agile e stringente, sia per l’appello che per la cassazione, che consenta di limitare il nuovo esame ai casi effettivamente necessari.
In tal modo si farebbe propria l’esperienza in tanti Paesi europei di civil law che possono vantare sistemi giuridici efficaci perché riescono a coniugare la tutela del diritto con il necessario pragmatismo, senza indulgere al velleitario formalismo.
Il numero enorme dei processi civili pendenti, che viene riproposto in occasione delle inaugurazioni dell’anno giudiziario non e’ più sostenibile ed i magistrati si sono fatti carico, con grande spirito di sacrificio, di aumentare considerevolmente il loro impegno, come dimostrano i dati in costante crescita della produttività dei magistrati. Ma oltre non si può andare e non si può chiedere, anche perché e’ evidente che sarebbe un ulteriore sforzo del tutto inutile senza un cambiamento radicale nella direzione di una sensibile riduzione del numero complessivo dei processi.
Da Lei, signor Ministro, che sappiamo sensibile a questi temi, ci aspettiamo coraggio e determinazione: si tratta forse di scontentare qualcuno oggi, per accontentare tutti i cittadini domani.
Paolo Auriemma