I fondi del PNRR e le possibili infiltrazioni della CRIMINALITA’ ORGANIZZATA

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Intervista di Roberto Patscot e Valentina Ricchezza a Maurizio Ascione (sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano)

Gli stanziamenti miliardari tra il 2021 ed il 2026 per la realizzazione delle progettualità del PNRR stimoleranno gli appetiti  delle organizzazioni mafiose. Quali sono i settori più a rischio secondo lei?

La criminalità organizzata secondo quali modalità potrebbe cercare di controllare e distrarre i fondi del PNRR?

Va in premessa ricordato che il Piano governativo contiene la descrizione delle forme di impiego delle risorse comunitarie (denominate Next Generation EU, di cui al Regolamento UE n. 241/21), che i Paesi membri dell’Unione utilizzeranno per la ripresa delle economie nazionali, gravemente provate dagli effetti della pandemia di Covid-19.

Le quote del Next Generation EU sono state ripartite non solo in base a criteri proporzionali come la numerosità della popolazione dei vari Paesi, ma anche in base a elementi perequativi come la perdita di Pil dovuta alla crisi economica, con l’intento di offrire alle economie maggiormente provate dalla pandemia uno strumento per una ripartenza effettiva.

Il motivo di fondo della azione europea in quest’ambito è rinvenibile nel vincolo di fiducia che le istituzioni comunitarie hanno inteso integrare e rafforzare coi Paesi membri, riconoscendo loro la elargizione di ingenti risorse a condizioni finanziarie di favore, per agevolarli nel rinvigorire i rispettivi sistemi economici dopo le gravi perdite subite soprattutto nel corso del 2020, poggiando sui principi della leale collaborazione e della buona fede (art. 4 n. 3 TUE), e secondo una  impostazione di politica economica volta alla moltiplicazione degli investimenti e al superamento, almeno in questa fase, delle politiche del rigore di bilancio.

Con l’impiego di risorse finanziarie di tale portata, nella interlocuzione tra istituzioni comunitarie e Stati membri non potrebbe non valere una esigenza di fondo di natura fiduciaria, basata sulla leale collaborazione tra le parti, al di là di quelle che possono essere poi le forme di risposta amministrative e giurisdizionali nel caso di mancato assolvimento degli obiettivi e dei risultati del programma di ripresa e resilienza.

Del resto, il principio di leale collaborazione viene in rilievo proprio quando la realizzazione di un obiettivo comunitario richieda un esercizio coordinato delle competenze sia delle istituzioni UE sia di quelle nazionali.

Trattandosi di enormi flussi finanziari derivanti dal comparto pubblico, riconosciuti a monte da un Regolamento Europeo , è chiaro che la criminalità organizzata, che si presenti apparentemente interessata all’ammodernamento tecnologico, piuttosto al classico settore degli appalti pubblici,  potrebbe tentare di inserirsi già proprio nella fase degli accrediti in banca delle cospicue somme, mediante ad esempio produzione ed esibizione di falsa documentazione amministrativo contabile, per mezzo di società di comodo , rappresentate da meri prestanome, utile a frodare l’ente erogatore in ordine al possesso dei necessari requisiti di legge per accedere al contributo ; il denaro così carpito , potrebbe poi abbastanza rapidamente essere allocato presso altri conti , anche previo prelievo in contanti, in ciò anche con il favore di qualche sportellista di banca compiacente, ed essere così dirottato presso banche estere, in Paesi a fiscalità privilegiata e in tutto o in parte privi di regolare sulla trasparenza nella erogazione del credito,  allo scopo di occultare e riciclare le risorse mediante condotte ai sensi degli artt 648 bis e 648 ter.1 cp  

Il dato secondo il quale solo il 40% dei fondi del PNRR appare destinato al Mezzogiorno potrebbe determinare una migrazione delle organizzazioni criminali verso le aree geografiche del nord?

Sulla base dei più recenti dati statistici in materia di C.O. , è probabile che i fenomeni criminali di maggiori proporzioni in ambito PNRR si verifichino proprio nel nord Italia, per il fatto che in tale territorio si concentra la più alta fetta della ricchezze e del PIL nazionale, per il fatto poi che qui sono presenti i principali istituti finanziari ed è fiorente la logistica per la costituzione di società fiduciarie , trust , ecc, al fine di schermare le operazioni di ripulitura dell’indebita locupletazione , inoltre al nord i rapporti con i Paesi esteri sono molto più avanzati e frequenti , in particolare con alcuni Paesi che offrono condizioni di favore agli investitori ed agli operatori economici interessati a delocalizzare in tutto o in parte la propria ricchezza , infine perché le ultime inchieste giudiziarie mostrano proprio come i grandi territori del nord siano ormai costantemente oggetto di appetiti criminali in ambito appalti pubblici e servizi finanziari.

Come si potrebbero contrastare i gruppi criminali per evitare che si inseriscano nella filiera della distribuzione delle risorse del PNRR?

E’ recente la notizia del sistema di controlli preventivi strutturati dal Viminale per scongiurare le infiltrazioni ed assicurare che le imprese che accedono ai fondi non siano infiltrate. Crede che la strategia contenuta nella circolare della ministra dell’Interno contenga degli strumenti preventivi, anche in ordine al sistema di controlli sulle documentazioni societarie, sufficiente per poter contrastare il fenomeno?

Crede che il sistema di semplificazioni amministrative per l’accesso ai fondi stanziati possa effettivamente costituire un viatico per agevolare le infiltrazioni delle organizzazioni criminali?

Quale potrebbe essere il ruolo della magistratura nella fase preventiva?

Venendo in discussione ingenti risorse europee, stanziate in una sorta di rapporto sinallagmatico col perseguimento di obiettivi di medio – lungo termine a cura del Paese membro, il legislatore comunitario ha chiaramente architettato il dispositivo finanziario in discussione alla stregua di un rapporto di durata o ad esecuzione continuata, dove la elargizione delle somme ad opera di Bruxelles avviene man mano che la Commissione UE ha modo di riscontrare, in concreto, la realizzazione degli obiettivi di cui al PNRR, intensificando il sostegno finanziario in relazione allo stato di avanzamento del piano e al rispetto del cronoprogramma (art. 24 Reg. 241/21).

E’ infatti stabilito che dopo aver raggiunto i traguardi e gli obiettivi concordati e indicati nel piano per la ripresa e la resilienza, quale approvato dall’istituzione comunitaria, lo Stato membro interessato presenta alla Commissione una richiesta motivata relativa al pagamento del contributo finanziario.

La Commissione valuta se i pertinenti traguardi e obiettivi indicati nella decisione di esecuzione del Consiglio siano stati conseguiti in misura soddisfacente. Il conseguimento soddisfacente dei traguardi e degli obiettivi presuppone che le misure relative ai traguardi e agli obiettivi conseguiti in precedenza non siano state annullate dallo Stato membro. Se effettua una valutazione positiva, la Commissione adotta, senza indebito ritardo, una decisione che autorizza l’erogazione del contributo finanziario.

Se, invece, a seguito della valutazione la Commissione accerta che i traguardi e gli obiettivi indicati nella decisione di esecuzione del Consiglio non sono stati conseguiti in misura soddisfacente (termine, quest’ultimo, che richiederà uno sforzo interpretativo in sede applicativa, specialmente nelle prime fasi temporali del piano, per non essere agganciato a parametri oggettivi, richiedendo valutazioni discrezionali che competono alla Commissione e alle sue strutture tecniche, se del caso facendo riferimento alle metodologie impiegate in altri settori dove pure l’UE dispone a favore dei Paesi elargizioni con vincolo di scopo, nonché mediante la interlocuzione con le istituzioni del Paese interessato), il pagamento della totalità o di parte del contributo è sospeso.

Tenuto conto della enorme importanza degli obiettivi di fondo congegnati dal Regolamento 241/21 ai fini del PNRR e, corrispondentemente, della portata davvero ingente dell’impegno finanziario europeo, deve ritenersi che gli Stati beneficiari delle erogazioni siano chiamati ad intervenire su tutti i fronti, pur di tutelare gli interessi finanziari del bilancio UE nella materia che ci interessa, non potendo ritenersi esclusive le forme di risposta amministrativo – comunitarie già contenute nel Regolamento 241 (art. 24), ma dovendo, se del caso, ad esse accompagnarsi le tradizionali forme di azione giurisdizionale, quelle di matrice europea (mediante il vaglio della Corte di Lussemburgo sull’operato degli Stati) e quelle di diritto interno, incluse quelle penalistiche; sol che si consideri , da un lato, che il Regolamento citato riporta alla attenzione degli Stati espressamente le classiche figure di matrice penalistica della frode, della corruzione e del conflitto di interessi, e dall’altro lato, ricordando che in presenza di fatti criminosi l’ordinamento nazionale è proprio gravato dall’obbligo di agire per reprimere i  reati a danno dell’UE, nella stessa misura in cui è chiamato ad agire rispetto a condotte illecite con danno per il bilancio di Stato o di altri enti pubblici (artt. 112 Cost., 316 ter, 640 co II, 640 bis cod. pen.).  

Un approccio diverso, non rispettoso dello sforzo finanziario europeo e della fiducia accordata dalle istituzioni comunitarie ai fini PNRR, non sarebbe quindi ammissibile, ed anzi sottoporrebbe gli Stati al rischio di una procedura di infrazione innanzi alla Corte di Lussemburgo, ai sensi degli articoli 258 e seguenti TFUE.

Il rimando alla legislazione, alla amministrazione e alla giurisdizione nazionale, unitariamente considerate, da parte del Regolamento 241/21 (art. 22), ai fini della più incisiva risposta nei confronti di condotte contrarie allo spirito del Recovery Fund, e del relativo PNRR approvato dal Consiglio UE, comporta la necessità dello sforzo delle Autorità interne volto a garantire, nel tempo, una costante ed effettiva difesa degli interessi finanziari dell’Unione, sia perché tali interessi rappresentano in definitiva gli interessi di tutti i cittadini dei Paesi aderenti alla zona euro, sia perché soltanto in tal modo è possibile “stare ai patti”, non tradendo il rapporto di fiducia instaurato con le istituzioni comunitarie, e non incorrere in profili di responsabilità, azionabili dalla Commissione europea sia attraverso i rimedi amministrativi specifici, di cui al citato al Regolamento, sia sollecitando un intervento della Corte di Giustizia, in sede di procedura di infrazione dello Stato inadempiente agli obblighi di verifica della regolarità e della correttezza nella gestione dei finanziamenti erogati, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, l’individuazione e la rettifica delle frodi, dei casi di corruzione e dei conflitti di interessi. Occorre a questo punto domandarsi quali potrebbero essere gli strumenti di risposta efficace in sede penale, che l’ordinamento giuridico interno potrebbe assicurare, con particolare riguardo ai casi più allarmanti di consumazione di fatti di frode o comunque di indebito conseguimento delle ingenti risorse, certamente in quanto tali oggetto di attenzione dei poteri malavitosi, specie poi quando il tutto assuma i contorni tipici della criminalità organizzata di stampo mafioso; laddove al danno finanziario in sé si accompagna un clima di soggezione o addirittura l’esercizio di atti di violenza, per tacitare la resistenza di funzionari pubblici non disposti a trattare col crimine o di imprenditori onesti, che vedano in tal modo compromesse le proprie aziende, il tessuto economico del settore locale e il principio della libera concorrenza.  

Certamente la previsione di un reato meramente formale o documentale, contrario al bene della pubblica fede, come quello derivante dal combinato disposto di cui all’art. 483 c.p. e agli artt. 46 e 47 Dpr 445/2000, non sembra in grado di contemplare l’intero orizzonte del possibile fenomeno patologico, sotteso agli enormi flussi finanziari che il PNRR è in grado di innescare.

La prassi giudiziaria ben conosce la limitata portata dissuasiva connessa ad una previsione, fine a se stessa, del reato di falso ideologico, se si considera in particolare la impossibilità di effettuare attività di intercettazioni telefoniche, la impossibilità di addivenire alla applicazione di misure cautelari e poi di giungere spesso ad una pronuncia di condanna, prima che l’illecito dichiarativo si estingua per intervenuta prescrizione.

Il falso ideologico in atto pubblico, infatti, potrebbe comprendere in sè soltanto un segmento, molto parziale, di una più articolata e complessa vicenda illecita, dato che  la prassi giudiziaria dimostra come le frodi sulle erogazioni o le agevolazioni pubbliche, anche quelle di matrice comunitaria, si caratterizzano per pluralità ed eterogeneità delle condotte truffaldine , alcune certamente di natura documentale (e qui può senza dubbio rilevare la norma di cui all’art 483 c.p.), ma altra parte della più ampia condotta contra ius, in rapporto funzionale /organico con la prima , può poi consistere in situazioni di fatto o vicende reali , che non potrebbero come tali essere perseguite attraverso lo strumento repressivo del falso documentale, pur trattandosi di una parte costitutiva, complementare e indispensabile ai fini della consumazione del reato.

Si pensi, come già si anticipava, alla costituzione strumentale di società di comodo o alla accensione di conti correnti di puro transito, quali componenti della più complessa frode in essere, in rapporto sinergico con le false attestazioni , ma non perseguibili siccome non rientranti nella cornice incriminatrice di cui all’art 483 c.p. ; si rischierebbe , così , di lasciare impunita una parte non indifferente della più ampia condotta illecita , nonostante il suo concorrente rilievo eziologico nella determinazione del danno alle finanze europee.

Appare certamente più percorribile la strada delle fattispecie a danno di interessi patrimoniali (quindi i c.d. reati di evento, non quelli di mero pericolo), anche quelle di impronta pubblicistica, ed espressamente pensate anche rispetto a sovvenzioni od elargizioni comunitarie, alcune caratterizzate dalle tipiche componenti oggettive della frode (artt. 640 co II n. 1 e 640 bis c.p.), altre invece dimostrative di condotte meno subdole e fuorvianti anche se comunque miranti ad indebiti percepimenti (artt. 316 ter cp), perché in tal modo maggiormente potrebbe essere assorbito l’intero disvalore giuridico del fatto, specie laddove quest’ultimo si caratterizzi per essere il combinato di una serie collegata di comportamenti diretti in maniera decettiva a conseguire le elargizioni del PNRR, pur non disponendo l’istante sin dall’origine dei requisiti e delle condizioni di accesso al contributo comunitario. 

Bisogna poi tenere distinti il piano della fase genetica e quello della fase funzionale del rapporti di finanziamento, per come consegnato col Regolamento n. 241/21, perché è ben possibile che a fronte della regolare costituzione del vincolo l’illecito sopraggiunga in corso d’opera, allorchè, ad esempio, il mutuatario, dopo una iniziale corretta e regolare esecuzione della obbligazione, da un certo punto in avanti, cominci a rendersi inadempiente rispetto agli impegni e al vincolo di scopo previsti dal legislatore europeo, oppure rispetto all’obbligo di restituzione rateizzata del finanziamento, pur legittimamente conseguito all’origine.

In tal caso, si potrebbe configurare, proprio in quanto emerge la illecita gestione del rapporto, la fattispecie di cui all’art 316 bis cp, che sconta un po’ le sembianze del peculato, e quindi della sopravvenienza di infedeltà (all’origine non riscontrabile), in un patto legittimamente stipulato a monte con l’Ente comunitario.

Occorre poi guardare agli strumenti di risposta patrimoniale conseguenti al controllo di legalità, in particolare alla confisca di cui all’art 322 ter cp, ma anche alla fattispecie  della responsabilità amministrativa delle persona giuridica che abbia beneficiato, seppure soltanto in via transeunte o strumentale, della azione illecita posta in essere in occasione della erogazione del fido europeo (dlg.vo 231/2001) da parte dell’amministratore con pieni poteri, oppure dal prestanome indirizzato in tal senso dal dominus di fatto verso la indebita locupletazione e il successivo riciclaggio delle risorse (artt. 648 bis, 648 ter, 648 ter.1 c.p.).

Ma potrebbe essere necessario guardare anche alle norme penali fallimentari (artt. 216 RD 267/1942), perché la mutazione della condotta dell’imprenditore, nella fase funzionale del rapporto, potrebbe caratterizzarsi anche per la mala gestio della società beneficiaria del finanziamento, per avere l’amministratore, da un certo punto in avanti, deciso indebitamente di distrarre le risorse elargite dal finanziatore, sottraendole ai vincoli di scopo , e all’accordo raggiunto con l’Ente erogante.

Il tema della bancarotta potrebbe invero rilevare anche sin dall’origine del rapporto, allorchè cioè si dimostri che la società era stata costituita ed impiegata artatamente, al solo scopo di percepire indebitamente i finanziamenti del PNRR, essa rappresentando soltanto un veicolo utile a schermare i controlli e la vigilanza della P.A., ad introitare le risorse europee e infine a canalizzarle verso altri contesti imprenditoriali, magari verso conti esteri e su società off – shore (così poi dando sfogo alla successiva opera di riciclaggio o auto – riciclaggio); il tutto in un contesto quindi di gestione eteronoma, sfornita di ogni attività sociale, operativa e contabile, di ogni garanzia patrimoniale per il ceto creditorio, e in particolare per il Fisco, determinandosi rapidamente le condizioni per un accertamento giudiziale dello stato di insolvenza, atteso il pregiudizio sul capitale e la formazione di un ingente passivo, giammai ripianabile.   

Non va trascurato il fatto che lo stato emergenziale, che sembra protrarsi ulteriormente,  tra vicenda pandemica ed, ora, anche impennata inflazionistica legata alla guerra in Ucraina, potrebbe favorire la recrudescenza del fenomeno malavitoso organizzato, inducendo, ad esempio, qualche imprenditore, che versi in condizioni di scarsa liquidità, ad affidare le sorti della propria azienda nelle mani della criminalità mafiosa; questa, una volta impadronitasi dell’operatore economico in difficoltà, potrebbe indirizzarne le sorti, proprio a partire dall’accesso fraudolento al credito di cui al PNRR, sulla base di documentazione contabile falsa, collocando un prestanome al vertice dell’ente ed affiancandovi strutture societarie di comodo, utili soltanto al drenaggio illecito delle risorse nella direzione dei canali del riciclaggio, per poi inevitabilmente fallire.

Il controllo di legalità sull’andamento del finanziamento, di cui al Reg. UE 241/21, spettante alla magistratura penale, deve allora concentrarsi su ogni forma di incontro ravvicinato della criminalità organizzata con la impresa destinataria del sostegno bancario, guardando a tutte le possibili forme di contiguità, compiacente o soggiacente, dell’impresa alle influenze malavitose; e, cioè, sia al caso in cui l’operatore economico si lasci condizionare dalla minaccia mafiosa e si lasci imporre le condizioni da questa volute, sia al caso in cui egli decida di scendere consapevolmente a patti con la mafia, nella prospettiva di un qualsivoglia vantaggio per la propria attività (Cass. Pen., sent. del 27/03/2019; Cass. Pen., sent. del 18/04/2013).

Quanto poi allo scenario più propriamente investigativo, in considerazione della crescente esperienza sulla portata transnazionale delle condotte contrarie all’economia pubblica e alla trasparenza dei mercati, che si realizzano infatti per mezzo di strumenti finanziari e società straniere off shore, sedenti in Paesi a fiscalità agevolata e attraverso piattaforme digitali, come tali capaci di realizzare transazioni illecite estero su estero di capitali di grosse dimensioni, schermando il monitoraggio dei relativi flussi, i controlli antiriciclaggio (segnalazione di operazioni sospette) e le connesse verifiche tributarie, sarà fondamentale per il pubblico ministero servirsi dei sempre più collaudati strumenti di indagine e di cooperazione internazionale.

Va ricordato che è lo stesso Regolamento n. 241/21 a prescrivere l’obbligo della interlocuzione con le strutture sovranazionali di indagine, come OLAF, EPPO, ecc. (art. 22 lettera e); la prima più risalente nel tempo, sedente in Bruxelles e chiamata a svolgere la inchiesta amministrativo – comunitaria per conto della Commissione europea, attraverso il lavoro sinergico di magistrati e forze di polizia appositamente distaccati dal territorio di origine e impegnati essenzialmente nelle istruttorie che riguardano fatti di frode a danno degli interessi finanziari dell’Unione (valga per tutte, il grosso lavoro che Olaf ha svolto negli anni con riguardo alle truffe sui contributi comunitari, alle frodi Iva, al sistema di contingentamento della produzione dei derivati del latte); Eppo, sedente in Lussemburgo, è invece di più recente introduzione e presenta caratteristiche strutturali e funzionali che la avvicinano maggiormente ad una istituzione giurisdizionale, di impronta penale (piuttosto che amministrativa, come lo è Olaf), dato che in questo caso i magistrati e la polizia giudiziaria, pur essendo anch’essi impegnati ai fini della tutela degli interessi finanziari dell’Unione, svolgono a tal fine indagini in senso stretto e a seguire perseguono i reati a danno dell’UE nella sede penal-processuale, presso il distretto del luogo in cui la frode risulta essere stata consumata; la normativa di settore provvede a regolare i rapporti tra i magistrati Eppo e quelli nazionali, riconoscendo ai primi il potere di agire per le sole frodi finanziarie europee che superano, quanto all’importo del danno per il bilancio dell’Unione, una certa cifra; in tal modo in linea di massima non si corre il rischio di sovrapposizioni tra la azione del Pm nazionale e quella dell’ufficio di Lussemburgo; come pure non sembrano profilarsi interferenze tra Olaf ed Eppo, atteso che la prima struttura come si diceva è per lo più impegnata nell’ambito amministrativo, come supporto tecnico e di inchiesta a favore della Commissione UE (sebbene poi la prassi ha dimostrato come almeno in passato la magistratura requirente nazionale abbia spesso lavorato in collaborazione con Olaf, da questa ricavando preziose informazioni documentali, acquisite ed utilizzate a dibattimento come prove precostituite; o addirittura è accaduto che proprio grazie ad Olaf sia stato possibile escutere come testi in giudizio funzionari o tecnici appartenenti alle strutture della Commissione europea, al fine di acquisire informazioni testimoniali in ordine a vicende di comune interesse per il processo penale e per la inchiesta comunitaria).   

E’ chiaro che la introduzione di EPPO non fa che rafforzare il sistema di prevenzione e repressione di frodi a danno dell’Unione, come quelle che in teoria potrebbero verificarsi sugli enormi flussi finanziari connessi al Recovery Fund; infatti, alla classica struttura di inchiesta strettamente amministrativa, servente la Commissione UE, viene oggi ad aggiungersi una struttura sostanzialmente giurisdizionale, di livello sovranazionale, composta da magistrati e poliziotti già esperti nella materia delle frodi e degli illeciti commessi a danno delle casse erariali (ad esempio, le frodi IVA in quanto contributo armonizzato, quindi frutto di compartecipazione finanziaria tra bilancio interno e bilancio UE, rappresentano per numero e dimensioni il grosso del carico dei magistrati requirenti assegnati al settore dei reati tributari e societari, per cui chi ora esercita la attività presso la sede di Lussemburgo parte da una esperienza specifica e gode già di una certa sensibilità investigativa, con riguardo alle condotte illecite poste in essere a danno degli interessi sovranazionali e del bilancio europeo). 

Ma, poi, al ricorrere di fattispecie di criminalità organizzata, a parte il tradizionale strumento della rogatoria attiva di cui agli artt. 727 e ss. c.p.p., che si rende necessario ai fini della richiesta di attività giudiziaria con riguardo a Paesi extra UE, potrà certamente essere impiegato il recente e prezioso strumento dell’ordine di investigazione europea, grazie al quale l’opera di Eurojust (organo sovranazionale, sedente a L’Aja, al servizio della magistratura requirente in caso di reati di criminalità organizzata) sembra rafforzarsi e favorire soluzioni investigative ancora migliori di quelle passate, nella logica del lavoro sinergico tra autorità giudiziarie appartenenti a due o più Paesi dell’Unione.

Va ricordato infatti che, nel luglio 2017, è stato pubblicato il decreto legislativo n. 108 del 21 giugno 2017, contenente le norme per la trasposizione nell’ordinamento giuridico italiano dell’ordine di indagine europeo, di cui alla Direttiva del Consiglio e del Parlamento europeo n. 41 del 2014.

Il nuovo strumento di cooperazione, entrato poi in vigore in data 28 luglio 2017, consente al Desk italiano di Eurojust, al pari degli altri Desk nazionali presenti presso l’organo sovranazionale sito a L’Aja, di assistere le autorità giudiziarie nazionali ed estere nell’agevolare i rapporti di cooperazione giudiziaria, basati sul nuovo strumento di cooperazione per le esigenze del coordinamento investigativo transnazionale; che nella fattispecie certamente si verificheranno con frequenza, data la natura sovranazionale del dispositivo finanziario del Recovery Fund e data poi la esperienza giudiziaria più recente, la quale mostra proprio come le grandi frodi a danno degli interessi finanziari di impronta pubblicistica, come lo sono i fondi provenienti da Bruxelles, sfociano spesso in transazioni bancarie e finanziarie nella direzione dei canali esteri, allo scopo di aggirare controlli di polizia giudiziaria e vigilanza delle Authority e, dunque, rendere ineluttabile il pregiudizio patrimoniale arrecato alle casse dell’Ente erogante.

Il reato di riciclaggio e reimpiego, poi quello più recente di auto – riciclaggio (in vigore infatti soltanto da gennaio 2015), certamente consentono una risposta punitiva rafforzata, in caso di frode a danno del regime pubblico di contribuzione e incentivazione comunitaria, perché facilitano la ricostruzione della “pista dei soldi”, permettendo al Pm di spingersi ben oltre la stretta vicenda del delitto presupposto.

Tuttavia, la componente spaziale e quella temporale giocano oramai un ruolo decisivo, nello scenario globale dei rapporti tra professionisti e imprese, i quali anche grazie alle più moderne tecnologie possono transigere e concludere affari illeciti in tempi rapidissimi e su piattaforme soltanto virtuali.

Di qui l’importanza di una risposta tempestiva e coordinata delle autorità pubbliche chiamate a prevenire e contrastare fenomeni criminosi a danno degli interessi finanziari dell’Unione, connessi al piano nazionale di ripresa e resilienza, e in primo luogo delle autorità nazionali, in ragione del principio della prossimità e in attuazione di una esigenza di leale cooperazione tra i livelli nazionali e quelli sovranazionali.

Il rischio di interdittiva, previsto dal codice antimafia, e la procedura di commissariamento aziendale sono, secondo lei, le uniche strategie possibili?

La rilevanza del tema in discussione, in quanto connesso ad una doppia, grave emergenza, quella ormai cristallizzata di carattere igienico – sanitaria, nonchè quella socio – economica, quest’ultima, come già detto, sembra in realtà ulteriormente incalzare per via delle spinte inflazionistiche e della crisi internazionale con la Russia, potrebbe rendere necessaria, sempre in ottica di deterrenza del fenomeno del crimine organizzato, una anticipazione del vaglio di legalità sulla istruttoria, la erogazione e, infine, la gestione del finanziamento PNRR.

In altri termini, già prima del possibile intervento repressivo della magistratura penale, può diventare necessario un intervento anticipatorio delle Istituzioni chiamate nella sede delle misure di prevenzione, in attuazione delle norme di cui al testo speciale antimafia n. 159/2011 (artt. 84 e ss.).

Gli organi di pubblica sicurezza, in persona del Prefetto, infatti, ben potrebbero monitorare l’andamento dei flussi finanziari, concessi ai sensi del Reg. UE, in relazione a quegli operatori economici che si mostrino interessati alla erogazione del denaro e che, tuttavia, risultino già in qualche modo vicini ad ambienti della criminalità organizzata, seppure non a livelli tali da condurre, almeno nella immediatezza, ad un accertamento di responsabilità penale in senso stretto.  

La giurisprudenza amministrativa, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle interdittive antimafia adottate dagli organi di P.S., delinea da tempo il perimetro entro il quale è ben possibile per il Prefetto intervenire, allo scopo di scongiurare infiltrazioni del crimine organizzato nella economia legale e nei rapporti tra imprese e banche, con pericolo per la tenuta del tessuto sociale e per il principio della libera concorrenza; e questo a prescindere o, se si vuole, preliminarmente ad una indagine e ad un processo poi promosso dal PM, sulla base di elementi di prova di altra portata individualizzante.

Si afferma in particolare che (Consiglio di Stato, sentenze 8 luglio 2020 n. 4372 ; 11 maggio 2020 n. 2962; 2 maggio 2019, n. 2855; 27 novembre 2018, n. 6707; 28 ottobre 2016, n. 4555) la interdittiva antimafia, di cui è titolare l’Autorità di Pubblica Sicurezza, si colloca in uno stadio assolutamente preliminare del procedimento penale, ed anche in presenza di condotte non penalmente rilevanti, e persino nell’ipotesi in cui il procedimento penale si sia concluso con un’archiviazione o un’assoluzione.

La ratio di anticipazione della tutela nel settore del contrasto alla criminalità organizzata impone al Prefetto di attestare la sussistenza del rischio infiltrativo, siccome desunto dalla lettura integrata degli elementi fattuali rilevanti nella vicenda, i quali possono risultare significativi ai fini antimafia, pur se non assistiti da un’evidenza tale da ritenere raggiunta la relativa prova oltre ogni ragionevole dubbio, nell’ambito penale.

Non si richiede alla Prefettura, come poi al Giudice amministrativo, di pervenire ad un grado di convincimento che resista ad ogni ragionevole dubbio: è sufficiente, ai fini dell’emissione di un’informativa interdittiva antimafia, e poi della valutazione in sede giurisdizionale in ordine alla sua legittimità, l’essere ragionevolmente persuasi della ricorrenza di indici fortemente sintomatici di contiguità, connivenza o comunque condivisione di intenti criminali. Il metro di valutazione è quello del più probabile che non, dove appunto la probabilità cruciale che il pericolo infiltrativo sussista esclude ogni ipotesi di segno diverso.

L’impianto motivazionale dell’informativa deve, quindi, rappresentare compiutamente il quadro degli elementi indiziari in base ai quali l’Autorità abbia ritenuto attuale e concreto il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata di tipo mafioso all’interno della società od impresa interessata, evidenziando in particolar modo gli elementi di permeabilità criminale che possono influire anche indirettamente sull’attività dell’impresa, la quale si viene a trovare in una condizione di potenziale asservimento rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo mafioso.

La Corte Costituzionale, a sua volta, con recente pronuncia (sent. 57/2020), sembra proprio confermare una tale impostazione, non rilevando alcuna irragionevolezza nella limitazione o restrizione delle potenzialità e delle capacità operative di una azienda privata, per opera di un provvedimento amministrativo (e non giudiziario), quale è l’atto prefettizio, che miri a scongiurare l’accesso al credito da parte di una impresa orbitante in ambienti di criminalità organizzata.

La Consulta ha affermato in particolare che la scelta legislativa di affidare alla Autorità amministrativa il compito di impedire alla impresa priva di concludere rapporti contrattuali con la P.A., non costituisce violazione del principio della libera iniziativa economica (art. 41 Cost.), in quanto essa si giustifica per le dimensioni preoccupanti del fenomeno mafioso e per la sua pericolosità.

La funzione della interdittiva, prosegue la Corte Costituzionale, è quella di anticipare il rischio di infiltrazione mafiosa nella economia, nella finanza e nel credito, mediante un monitoraggio costante di quelle realtà territoriali e di quegli operatori economici che cagionano un grave vulnus non soltanto alla concorrenza e al mercato, ma alla stessa libertà e alla dignità umana.   

L’informativa del Prefetto, quindi, fonda su elementi più sfumati, rispetto a quelli necessari in sede giudiziaria, ma poi all’occorrenza viene sottoposta al vaglio del Tar, anche in sede cautelare, ai fini della eventuale declaratoria di sospensiva del provvedimento amministrativo, di per sé immediatamente efficace, verificandosi consistenza e coerenza dell’atto del prefetto, unitamente al dato temporale di durata di efficacia della misura. 

Il discorso è ovvio che acquisti una certa pregnanza laddove si tratta delle finanze dell’Unione, siccome congegnate dal Regolamento 241/2021 ai fini del PNRR, in quanto il rischio di infiltrazione della criminalità mafiosa in tal caso non costituisce più un problema esclusivamente finanziario o monetario, ma investe profili di grave allarme per il carattere economico e sociale, perché può voler significare che le logiche e i metodi del crimine organizzato possono raggiungere direttamente il cuore dell’Europa, mettere a repentaglio i suoi principi ispiratori, come quello della trasparenza e della libera concorrenza tra operatori economici e mondo dell’impresa, superando i vecchi confini territoriali del Mezzogiorno e andando al di là delle tradizionali forme di indebito approvvigionamento di risorse pubbliche.