I reati ecoambientali nell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale

1.       Premessa

Fino a tempi recenti, il sistema penalistico di protezione dell’Ambiente si è imperniato su alcune norme contenute nel codice penale e nel D. Lgs. n. 152 del 03 Aprile 2006, anche noto come Testo Unico sull’Ambiente (di seguito, T.U.A.).

Il T.U.A., in particolare, riportava una serie di disposizioni incriminatrici, quasi del tutto di natura contravvenzionale, costruite secondo lo schema di reati di pericolo astratto e integrate dalla realizzazione di una data condotta, consistente nella mera disobbedienza di altri precetti del medesimo corpo normativo, a cui facevano rinvio[1].

Peraltro, il regime giuridico proprio delle contravvenzioni, da cui discendeva la scarsa afflittività delle sanzioni previste, la prescrizione breve, l’inconfigurabilità della fattispecie tentata ex art. 56 c.p., oltre che la previsione dell’oblazione quale causa di estinzione del reato, rendeva la richiamata normativa del tutto insufficiente a tutelare efficacemente l’interesse ambientale.

La giurisprudenza ha cercato di colmare le lacune sussistenti in questo settore attraverso il ricorso al delitto di disastro innominato di cui all’art. 434 c.p.[2].

Come noto, il concetto di disastro non trova propria definizione positiva, limitandosi il codice penale a indicare tale fenomeno come categoria generale da ricostruirsi alla stregua degli specifici eventi descritti nella relativa parte speciale e, più precisamente, nel Titolo VI, dedicato ai delitti contro la pubblica incolumità.

Gli interpreti sono stati chiamati, dunque, a individuare le caratteristiche dell’evento disastroso attraverso un’indagine induttiva, partendo dalle singole fattispecie tipizzate.

In questo senso sono stati tratteggiati tre elementi costitutivi del generale concetto di disastro[3].

Il primo elemento è stato individuato nel dato dimensionale dell’evento, che deve essere di entità rilevante, sebbene non anche immane.

Inoltre, l’evento di grandi proporzioni deve essere dotato di capacità diffusiva, ovvero in grado di espandere la propria enorme portata distruttiva e di fuoriuscire dalla sfera di controllo del suo autore, che ne perde il dominio e, con esso, ogni possibilità di perimetrarne l’estensione.

In ultimo, l’evento grandioso ed incontrollabile deve essere idoneo a porre a repentaglio la pubblica incolumità, ovvero a creare un pericolo per la vita o l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, da valutarsi in concreto nel caso dell’art. 434 c.p., senza la necessità che tali beni risultino effettivamente vulnerati ai fini dell’integrazione della fattispecie[4].

Peraltro, anche la disposizione appena richiamata non è stata in grado di approntare una tutela sufficiente rispetto ad eventi qualificabili come disastro ambientale, soprattutto in ragione degli stringenti termini di prescrizione del reato, che mal si conciliavano con fenomeni di inquinamento passibili di essere scoperti e ricollegati come causa efficiente di un pericolo concreto per la collettività solo dopo molti anni dalla realizzazione dell’illecito.

Come evidenziato dalla Corte Costituzionale e dal Legislatore comunitario[5], oltre che sottolineato dal clamore mediatico destato da recenti e gravi vicende nazionali[6], l’inadeguatezza del precedente sistema richiedeva un urgente intervento legislativo diretto a costruire uno specifico corpus di leggi penali in grado di presidiare in modo appropriato il bene giuridico ambiente.

La riforma del diritto penale ambientale intervenuta con il D. Lgs. n. 68 del 22 Maggio 2015 ha tentato di conformarsi a tale obiettivo, muovendosi verso l’integrazione delle fattispecie già previste dal T.U.A., la modifica di norme di parte generale del codice penale[7] e l’aggiornamento della disciplina della responsabilità amministrativa degli Enti dipendente da reato.

Ma soprattutto la novella è intervenuta sulla parte speciale del codice Rocco, introducendovi il nuovo Titolo VI bis dedicato ai delitti contro l’ambiente, composto di cinque nuove figure delittuose: l’inquinamento ambientale (art. 452 bis c.p.), il disastro ambientale (452 quater c.p.), il traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452 sexies c.p.), l’impedimento del controllo (art. 452 septies c.p.) e l’omessa bonifica (art. 452 terdecies c.p.).

Grazie alla riforma, l’Ambiente, per la prima volta nella storia del nostro Ordinamento, è assurto a bene giuridico finale, perdendo il tradizionale carattere di ancillarità rispetto all’interesse della salvaguardia dell’incolumità pubblica.

Ciò equivale a dire che tale passaggio ha significato l’abbandono di una nozione antropocentrica dell’ambiente in favore di una nuova prospettiva ecocentrica[8].

La seguente trattazione intende soffermarsi sull’analisi delle nuove fattispecie criminose inserite nel codice penale e delle questioni giurisprudenziali più rilevanti maturate successivamente alla relativa introduzione.

2.     L’inquinamento ambientale ex art. 452 bis c.p.

Le esigenze di innovazione che hanno mosso il legislatore della riforma del diritto ambientale del 2015 trovano proprio approdo nel delitto di inquinamento ambientale riportato nell’art. 452 bis c.p., che segna una netta discontinuità della nuova disciplina rispetto alle figure contravvenzionali di cui al previgente T.U.A.[9].

La fattispecie di nuovo conio è costruita secondo lo schema del reato a forma libera con evento dannoso e sanziona qualsiasi condotta soggettivamente realizzata con dolo generico[10] da cui sia eziologicamente derivato un pregiudizio significativo e misurabile dell’ambiente.

   Il perfezionamento oggettivo del reato passa per l’alternativa realizzazione di uno dei due eventi indicati dalla norma, che consistono nella compromissione o nel deterioramento delle matrici ambientali.

La perimetrazione semantica dei due eventi ha dato luogo ad un significativo dibattito tra gli interpreti.

Per alcuno i due termini sarebbero perfettamente fungibili tra di loro[11]; diversamente, altri sostengono che tra il deterioramento e la compromissione vi sia un rapporto di genere a specie, dove l’elemento diversificante starebbe nella strutturalità e assolutezza[12] ovvero nell’alterazione duratura o irreversibile[13] del secondo, a fronte della funzionalità e relatività ovvero nella lesione temporanea e sanabile del primo.

Sul punto, la giurisprudenza ormai consolidata[14] ha evidenziato che mentre la compromissione evoca un concetto assoluto, determinato da una degradazione del bene da cui scaturiscono ricadute in termini di totale o parziale impossibilità di fruizione rispetto alle proprie ontologiche funzionalità, il deterioramento rappresenta un dato relativo, che mette a confronto le condizioni strutturali primigenie del bene rispetto a quelle, ridotte, successive alla verificazione dell’inquinamento.

In altre parole, compromissione e deterioramento troverebbero comune denominatore nel fenomeno del danneggiamento[15], salvo, poi, diversificarsi in ragione delle proprie specifiche peculiarità.

In questo senso, il deterioramento consisterebbe nell’attività all’esito di cui una matrice ambientale viene diminuita del suo valore e alterata nella sua integrità originari, indipendentemente dal fatto che detto risultato possa essere recuperato nel breve o lungo termine ad opera dell’uomo o per la naturale capacità di autosanarsi del bene aggredito.

Diversamente, la particolarità dell’evento di compromissione non risiederebbe nella maggiore gravità del danno arrecato – come pure è stato sostenuto da alcuno – ma nell’incisione dell’aspetto funzionale del bene vulnerato, ovvero nella rilevante riduzione della sua capacità di soddisfare i bisogni dell’uomo[16].

Il deterioramento e la compromissione delle matrici ambientali rappresentano il limite interno del reato ex art. 452 bis c.p., mentre quello esterno è dato dalla successiva fattispecie di disastro ambientale ex art. 452 quater c.p..

Come meglio si vedrà infra, il nuovo disastro ambientale si differenzia dall’ipotesi delittuosa in commento in quanto costruito intorno ad un quid gravior, dato da un danno da inquinamento avente carattere irreversibile ovvero così grave da poter essere superato solo mediante provvedimenti eccezionali[17].

Dunque, ragionando in negativo rispetto alla fattispecie disastrosa, consegue che il limite esterno di operatività del delitto di cui all’art. art. 452 bis c.p. si trova nel danno all’ambiente di carattere non permanente ovvero di non straordinaria gravità.

D’altro canto, è necessario evidenziare che gli eventi di deterioramento o di compromissione dell’ambiente penalmente rilevanti sono solo quelli qualificabili come significativi e misurabili.

Ciò equivale a dire che non ogni evento di danneggiamento del bene ambiente è idoneo ad integrare la fattispecie oggettiva del reato di inquinamento, ma solo quello apprezzabile in concreto nella realtà fenomenica.

Invero, se l’elemento della misurabilità evoca una valutazione oggettiva del danno, sulla base di scale e sistemi di calcolo convenzionali, quello della significatività è privo di una propria autonoma valenza euristica.

Tale vaghezza di significato ha destato perplessità di compatibilità costituzionale rispetto ai principi di precisione-determinatezza; tuttavia, alla data odierna non si registrano rimessioni della questione al Giudice delle Leggi, la disposizione potendo essere integrata attraverso la concreta valutazione giudiziale della non scarsa importanza del danno ambientale, alla luce sia di parametri qualitativi che quantitativi[18].

Sotto quest’ultimo aspetto, è stato affermato che tanto la condotta realizzata lungo un segmento temporale rilevante, quanto quella istantanea ma con effetti duraturi sull’ambiente può dar luogo ad un inquinamento significativo.

Del pari, sul piano della qualità, andrebbe considerato tanto il dato spaziale, relativo all’area colpita dall’inquinamento, quanto l’intensità degli effetti negativi del reato sulla matrice ambientale.

Su altro versante, il dato della misurabilità, definito dalla Corte di Cassazione come “ciò che è qualitativamente apprezzabile, o, comunque, oggettivamente rilevabile“[19], evoca la sussistenza di parametri di valutazione, la cui individuazione è attività di non semplice compimento, stante la mancanza di un rinvio espresso nell’art. 452 bis c.p. a norme specifiche in tal senso.

Peraltro, si è sostenuto che il recupero del descritto deficit normativo possa avvenire attraverso la valutazione dei comportamenti contrari ai precetti contenuti nelle norme del T.U.A., come il sistematico superamento di valori soglia ivi previsti, ovvero mediante l’analisi dell’estensione e durabilità degli effetti inquinanti sulle componenti ambientali e, ancora, la definizione dell’entità dei costi di recupero, di ripristino o di bonifica rispetto al grado di difficoltà tecnica e alla durata delle relative operazioni[20].

Analoghi problemi di precisione terminologica si riscontrano con riguardo all’oggetto materiale su cui ricade la condotta di inquinamento.

Non destano perplessità i riferimenti ai singoli componenti del bene ambiente enucleati dalla norma (le acque, l’aria, il suolo, il sottosuolo, la biodiversità della flora e della fauna), al contrario di quanto accade per il concetto di ecosistema, che presenta una definizione legale[21] non del tutto aderente all’accezione comune del termine, che indica il luogo dove i vari elementi della natura trovano il proprio spazio e il proprio equilibrio biologico, chimico e fisico.

Anche alla stregua dell’attuale produzione giurisprudenziale è controverso se il sostantivo “ecosistema” rappresenti una mera endiadi nell’economia della disposizione rispetto al bene giuridico ambiente ovvero se con questo termine il legislatore della Riforma abbia inteso inserire un elemento elastico e variabile, in grado di facilitare un’interpretazione estensiva della fattispecie oggettiva nelle ipotesi di più complessa sussunzione del caso concreto nell’ambito precettivo della norma.

Probabilmente, peraltro, il punto maggiormente problematico sotto il profilo della precisione è quello relativo al significato dell’avverbio “abusivamente”, riferito alla condotta di inquinamento e ripetuto anche nella disposizione di cui all’art. 452quaterc.p..

Il termine – che secondo alcuno integra un elemento costitutivo della condotta mentre, a parere dell’impostazione maggioritaria, si qualifica alla stregua di clausola di illiceità speciale – è stato decifrato dalla giurisprudenza di legittimità attraverso il richiamo alle pronunce in materia di delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 260 T.U.A., anch’esso costruito intorno al concetto di abusività.

A mente di tale orientamento, la condotta può dirsi abusiva quando venga realizzata in spregio di leggi statali o regionali, ancorchè non strettamente afferenti alla materia ambientale, ovvero in difetto o in violazione dei necessari e legittimi provvedimenti amministrativi autorizzatori.

Il termine “abusivamente”, in questo modo, si allinea al significato di contra jus e, a fronte della violazione della norma, individua la soglia del “rischio consentito” o di “inquinamento tollerato”, ovvero il punto di congiunzione tra la tutela dell’ambiente e la libertà di impresa e iniziativa economica.

In senso opposto si pone una parte della dottrina, secondo cui un approccio così formalista mal si concilia con i principi informatori della materia ambientale, come quelli di precauzione, prevenzione e sviluppo sostenibile ex artt. 3 bis e ss. T.U.A., e non affronta la questione circa l’abusività di condotte che, sebbene astrattamente legittime, in concreto producano effetti inquinanti[22].

Tuttavia, a questo riguardo, è stato ribattuto che i principi generali richiamati nel T.U.A. ridondano come indicazioni per il legislatore e non per il giudice, atteso che ricavare l’abusività dalla loro inosservanza darebbe luogo alla imprevedibilità del divieto[23].

3.     Il disastro ambientale ex art. 452 quater c.p.

L’inadeguatezza del precedente impianto normativo e della costruzione giurisprudenziale maturata intorno alla figura del disastro innominato ex art. 434 c.p. rispetto alle istanze di tutela del bene giuridico ambiente costituiscono le ragioni principali della introduzione del nuovo art. 452 quaterc.p., sul disastro ambientale[24].

La nuova fattispecie è costruita secondo il paradigma del reato istantaneo con effetti permanenti e, al pari del delitto di inquinamento ambientale, integra una ipotesi di evento dannoso, in questo modo distinguendosi dal disastro innominato, che, come gli altri delitti posti a presidio della pubblica incolumità, rappresenta un reato di pericolo, ancorchè, nell’ipotesi specifica, concreto e non astratto.

Le differenze proseguono sul piano sanzionatorio, alquanto più rigido, e culminano in relazione al termine di prescrizione raddoppiato.

Si tratta di un reato causalmente orientato alla verificazione effettiva di uno degli eventi di disastro, oggi espressamente tipizzati, che si pongono l’uno rispetto all’altro in rapporto di progressione criminosa[25] e, dunque, si distinguono per la diversa gravità del danno arrecato.

Le prime due fattispecie del nuovo disastro ambientale rappresentano, altresì, una progressione criminosa rispetto al delitto di inquinamento ambientale[26].

Come accade nell’art. 452 bis c.p., i primi due eventi di danno indicati dall’art. 452 quater c.p. risultano penalmente rilevanti ove la condotta criminosa da cui scaturiscono sia realizzata abusivamente – nel senso già visto supra in riferimento al delitto di inquinamento ambientale.

Peraltro, nelle fattispecie in analisi, l’evento di danno è caratterizzato dalla stabilità. Più specificamente, la norma parla di danno “irreversibile” all’ecosistema, dove l’irreversibilità rileva sia in senso proprio, come impossibile superamento del grave danneggiamento posto in essere tanto per mano dell’uomo quanto in ragione della ontologica capacità di recupero del bene colpito, sia in senso cd. complesso, quale astratta possibilità di ovviare al danno, sebbene mediante il ricorso ad interventi particolarmente onerosi ovvero a provvedimenti straordinari.

Se ne ricava che l’irreversibilità del danno rappresenta la linea di demarcazione tra la sfera di afferenza dei delitti ex art. 452 bis c.p. ed ex art. 452 quater c.p.: fino a che il danno alla matrice ambientale sia sanabile, ovvero rimediabile attraverso strumenti ordinari, si ha un fenomeno di inquinamento; al contrario, in presenza di un danneggiamento stabile e permanente, ovvero superabile in natura ma solo attraverso misure eccezionali, si parla di disastro ambientale.

La terza fattispecie disastrosa tracciata dall’art. 452 quater c.p., invece, possiede una struttura sua autonoma e appare distaccarsi dall’ottica ecocentrica dei nuovi delitti contro l’ambiente per tornare nell’ambito della tutela delle matrici ambientali in senso funzionale alla pubblica incolumità, al pari delle originarie figure di disastro del codice Rocco.

Alcuni Autori, sulla scorta del puro dato letterale, hanno ritenuto che il perfezionamento oggettivo di tale specifica ipotesi criminosa, che sta nella messa in pericolo dell’incolumità di un numero indefinito di persone, non passi necessariamente per un’alterazione irreversibile dell’ambiente[27]; al contrario, la recente giurisprudenza di legittimità[28] ha rilevato come il pericolo arrecato alla pubblica incolumità rappresenti, in realtà, l’effetto collaterale di un danno grave ad una matrice, atteso che la scelta sistematica di inserire le tre distinte fattispecie di disastro ambientale nella stessa norma manifesta la determinazione legislativa di mantenerle tutte a presidio del comune interesse ambientale.

L’art. 452 quater c.p. è stato oggetto di perplessità non solo sotto l’aspetto della precisione-tassatività ma anche per i rapporti successori con la figura criminosa che, fino alla Riforma del 2015, ne aveva – parzialmente – coperto il campo di applicazione: il disastro innominato ex art. 434 c.p..

L’aspetto indubbiamente più problematico in questo senso è stato quello di decodificare la clausola di riserva con cui si apre la disposizione di nuovo conio.

L’anomalia di detta clausola di salvezza, diretta, in quanto tale, a superare i dubbi afferenti ad un concorso apparente di norme, dando espressamente corpo al principio generale di sussidiarietà, risiede nel fatto che i reati di cui agli artt. 434 c.p. e 452 quater c.p. non possono neanche in astratto essere messi in correlazione, possedendo diverse strutture e diverse oggettività giuridiche.

Sin dai primi contributi giurisprudenziali, dunque, è emerso con evidenza che il nuovo disastro ambientale non contribuisce né ad una abrogatio sine abolitione dell’art. 434 c.p. ex art. 2 co. 4 c.p., né, a fortiori, ad un’abolizione in materia ambientale ex art. 2 co. 2 c.p. della fattispecie più risalente.

La disposizione in parola, quindi, lungi dal contenere una clausola di riserva in senso tecnico giuridico, sarebbe costruita in modo da evidenziare positivamente la discontinuità e l’alterità della nuova incriminazione con il reato di disastro innominato e con i procedimenti giudiziali attualmente pendenti, incardinanti quest’ultima fattispecie[29].

4.     Il traffico e l’abbandono di materiale ad alta radioattività ex art 452 sexies c.p.

La riforma del 2015 ha inserito uno specifico delitto per contrastare l’allarmante fenomeno dell’inquinamento da materiali radioattivi, sia essi solidi, liquidi o gassosi[30], in questo modo conformandosi alle istanze comunitarie in tal senso[31].

In precedenza, l’unica disposizione specifica in materia era l’art. 260 co. 2 del T.U.A., che qualificava la gestione abusiva di ingenti quantità di rifiuti ad alta radioattività come circostanza aggravante del reato di traffico illecito di rifiuti.

Il nuovo delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività[32] ha una struttura complessa.

Il co. 1 dell’art. 452 sexies c.p. elenca una serie di comportamenti dal cui compimento discende la penale responsabilità dell’agente, senza l’apparente necessità di effettuare una loro valutazione in termini di concreta lesività circa il bene ambiente.

In altre parole, sembra trattarsi di una fattispecie di mera condotta che evoca la figura del reato di pura e semplice disobbedienza.

Ciò trova conferma nella misura in cui il co. 2 ed il co. 3 della medesima disposizione prevedono un aggravamento della pena laddove quegli stessi fatti integranti reato generino rispettivamente un pericolo di deterioramento o compromissione di una matrice ambientale ovvero un pericolo per la vita o l’incolumità delle persone.

Se ne ricava che il traffico e l’abbandono di materiale ad alta radioattività di cui al co. 1 dell’art. 452 sexies c.p. integra un reato di pericolo indiretto, anche detto di pericolo di pericolo, che appare comunque conforme ai principi fondamentali del diritto penale – su tutti, quello di necessaria offensività – in quanto posto in funzione di ostacolo alla realizzazione di condotte particolarmente allarmanti in relazione all’oggetto materiale dell’illecito.

La ricostruzione che precede consente di collocare il delitto in analisi alla base di una ideale scala di gravità dei reati ecoambientali, che prosegue con il reato di inquinamento ex art. 452bisc.p. e culmina nel disastro ambientale.

Allo stesso modo che per le ipotesi criminose appena richiamate, tuttavia, anche il traffico e l’abbandono di materiale ad alta radioattività ha dato adito a diverse aporie interpretative.

Invero, si riscontra un evidente problema di vaghezza del concetto di “materiale ad alta radioattività”, come anche di quelli di deterioramento e compromissione, per cui valgono le stesse valutazioni effettuate supra con riguardo al delitto di cui all’art. 452 bis c.p., e, per transitività, di pericolo di inquinamento.

Fino all’introduzione del D. Lgs. n. 21 del 01 Marzo 2018 di modifica del T.U.A., i maggiori dubbi si sono annidati intorno al controverso rapporto tra la fattispecie di nuovo conio e l’art. 260 co. 2 T.U.A.[33].

La disposizione da ultimo menzionata sanzionava il traffico illecito di rifiuti ad alta radioattività e, dunque, sembrava sovrapporsi parzialmente al nuovo art. 452 sexies c.p., che attiene al traffico e all’abbandono di materiale ad alta radioattività.

Per tracciare uno spartiacque tra le due definizioni ed i rispettivi campi di applicazione è stato valorizzato il dato testuale, verificando se i termini “rifiuto” e “materiale” indicassero una medesima oggettività, ovvero avessero un diverso significato. In quest’ultimo caso, la questione si sarebbe risolta semplicemente sul piano letterale.

Diversamente, laddove si fosse riconosciuto ai due concetti un contenuto assimilabile, alcuni Autori proponevano di valorizzare l’elemento della professionalità dell’attività che presiede al traffico dei rifiuti radioattivi[34].

In altre parole, qualora il caso concreto avesse evidenziato che il traffico di rifiuti radioattivi costituisse l’oggetto – ancorchè non unico – di una vera e propria attività imprenditoriale illecita, si sarebbe integrata la più grave fattispecie dell’art. 260 co. 2 T.U.A., anche in ragione del fatto che il reato ex art. 452 sexies c.p. si apre con una clausola di riserva che fa salva l’applicazione di ipotesi criminose dotate di un impianto sanzionatorio più severo.

Al contrario, nel caso in cui la condotta di traffico di materiale radioattivo avesse finito per mettere in pericolo una matrice ambientale ovvero l’incolumità pubblica, avrebbero dovuto trovare applicazione rispettivamente le aggravanti di cui ai co. 2 e 3 del nuovo delitto contro l’ambiente, caratterizzati da una pena maggiore.

Peraltro, le valutazioni appena offerte rivestono attualmente mero rilievo storico, avendo il già menzionato D. Lgs. n. 21/2018 abrogato l’art. 260 co. 2 T.U.A..


5. L’impedimento del controllo ex art. 452 septies c.p.

Con la fattispecie di cui all’art. 452 septies c.p. il legislatore della novella ha inteso dotare della tutela penalistica il valore dato dalla necessità di cooperazione della collettività con gli organi preposti al controllo del rispetto delle regole in materia ambientale[35].

Si tratta di un delitto comune, ad evento plurimo – l’impedimento, l’intralcio, l’elusione dell’attività di vigilanza e la compromissione e dei suoi esiti – che può realizzarsi attraverso una delle tre condotte tipizzate: la negazione dell’accesso a certe aree, la predisposizione di ostacoli all’attività di controllo e la mutazione artificiosa dei luoghi dell’accertamento, diretta a celare l’attività criminosa.

In tutte le sue forme l’impedimento del controllo appare comunque proiettato verso la difesa di una matrice ambientale, in questo senso rivestendo la struttura di reato di pericolo, sotto forma di cd. reato ostacolo[36].

Anche l’art. 452 septies c.p. si apre con una clausola di riserva che fa salva l’applicazione di altra e più grave fattispecie.

In ragione di tale strumento, è possibile sostenere che il delitto di impedimento di controllo prevalga sul più mite reato contravvenzionale di cui all’art. 137 co. 8 T.U.A.[37], circa l’impedimento all’accesso ad un sito di scarico.

6. L’omessa bonifica ex art. 452 terdecies c.p.

L’ultimo paragrafo di questa trattazione è dedicato alla fattispecie di cui all’art. 452 terdecies c.p., che completa la portata innovatrice della L. 68 del 2015 sulla parte speciale del codice penale.

Il reato di omessa bonifica è diretto a potenziare gli obblighi di reintegro e ripristino dell’ambiente presenti nell’intero quadro ordinamentale e, in questo senso, si erge come vera e propria norma di chiusura del sistema[38].

Invero, il delitto di nuovo conio si pone in un solco già tracciato in precedenza, seppur in modo diverso e più mite, dalla contravvenzione di cui all’art. 257 T.U.A.[39], che il legislatore della Riforma ha voluto mantenere, sebbene con modifiche sostanziali, come l’inserimento di una clausola di riserva atta a limitare l’applicabilità della fattispecie in caso di integrazione di più grave reato e la perimetrazione dell’efficacia della causa di non punibilità ex co. 4 alle sole fattispecie contravvenzionali.

Per alcuno la linea di demarcazione tra il nuovo delitto di omessa bonifica e la vecchia contravvenzione risiederebbe nella lettera dell’art. 257 T.U.A., che prevede una condotta circoscritta alla mera esecuzione delle opere di bonifica non in conformità al progetto approvato in sede amministrativa ai sensi dell’art. 242 e ss. T.U.A..

In tutti gli altri casi, in cui l’omessa bonifica si appalesa in modo più grave, troverebbe sempre applicazione l’art. 452 terdecies c.p..

Al contrario, è stato osservato[40] che, alla stregua della clausola di riserva inserita con la Riforma, il nuovo art. 257 T.U.A. opererebbe solo laddove l’omissione di bonifica non si riferisca ad un fatto qualificabile come inquinamento ex art. 452 bis c.p. ovvero, a fortiori, come disastro ambientale ex art. 452 quater c.p., in queste ipotesi dovendo applicarsi il delitto di omessa bonifica di cui all’art. 452 terdecies c.p..

7. Conclusioni

Le nuove fattispecie penali relative ai ccdd. ecoreati e, in generale, la Legge di Riforma di cui al D. Lgs. n. 68 del 22 Maggio 2015 hanno destato la perplessità di una considerevole parte degli operatori del Diritto, fino a spingere alcuni Autori a parlare di normativa dal “contenuto sconclusionato, oscuro e, in taluni tratti, decisamente orripilante”[41].

I problemi più evidenti della Novella si registrano circa il dato definitorio.

Se fino alla data odierna i nuovi delitti contro l’ambiente non sono stati colpiti dalla scure della Corte Costituzionale, per molti rimangono accesi i problemi di tassatività/determinatezza/precisione rispetto a concetti come “biodiversità” e in relazione alla costruzione pluristrutturata di alcune fattispecie, come il nuovo delitto di disastro ambientale.

Per altro verso, il D. Lgs. n. 68 del 22 Maggio 2015 si porrebbe in contrasto anche con il principio di ragionevolezza, alla stregua di quanto avviene quando da una condotta colposa di inquinamento o di disastro ambientale viene fatto derivare lo stesso pericolo di un fatto analogo, non avendo senso parlare di un pericolo dell’evento che si assume già  verificatosi [42].

Si confida, dunque, nell’opera ermeneutica della giurisprudenza che, come osservato nel corso della presente trattazione, in diversi casi ha già tempestivamente operato per far chiarezza sulla latitudine da riconoscere alla nuova normativa, sempre in un’ottica costituzionalmente orientata.

Federica Filippi


[1] Fanno eccezione a questa asserzione gli illeciti di cui agli artt. 256 bis e l’abrogato art. 260 T.U.A..

[2] La sentenza che ha aperto a questa linea giurisprudenziale è Cass., sez. IV, 23 maggio 1986, n. 4841. Ne sono seguite in termini analoghi Cass., sez. IV, 17 maggio 2006, n. 4675, Cass., sez. III, 19 gennaio 2018, n. 2209, Cass., sez. IV, 21 luglio 2014, n. 32170, Cass., sez. I, 19 novembre 2014, n. 7941.

[3] Tali elementi sono stati evidenziati da Corte Cost., 1 Agosto 2008, n. 327.

[4] Il co. 2 dell’art 434 c.p. prevede l’eventualità di un danno all’integrità personale o alla vita di alcuni soggetti e la assoggetta ad una maggiorazione della sanzione edittale. Si tratta, secondo l’orientamento maggioritario, di una autonoma fattispecie criminosa e non di una aggravante speciale. Sulla questione, cfr. A. GARGANI, “Il danno qualificato dal pericolo. Profili sistematici e politico-criminali dei delitti contro l’incolumità pubblica”,Torino, 2005, p. 311 ss.; Id., “Reati contro l’incolumità pubblica. Tomo I: Reati di comune pericolo mediante violenza, inTrattato di diritto penale – Parte speciale”, a cura di GROSSO, PADOVANI, PAGLIARO, vol. IX, Milano, 2008, p. 417 ss..

[5] Si tratta, in particolare, della Direttiva 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela penale dell’ambiente.

[6] Per un maggiore approfondimento sul punto, cfr. F. FORZATI “Irrilevanza penale del disastro ambientale, regime derogatorio dei diritti e legislazione emergenziale: i casi Eternit, Ilva ed emergenza rifiuti in Campania. Lo stato d’eccezione oltre lo stato di diritto”, in DPC del 11 Marzo 2015.

[7] Giova ricordare la modifica, di particolare rilievo, dell’art. 157 co. 6 c.p., circa il raddoppiamento dei termini di prescrizione dei nuovi delitti contro l’ambiente di cui al Titolo VI bisc.p..

[8] In questi termini, relativamente al delitto ex art. 452 bis c.p., C. Cass., Sez. 3,  06 Novembre 2018, n. 50018. In dottrina, CORNACCHIA L., “Inquinamento ambientale”, in AAVV., “Il nuovo diritto penale dell’ambiente”, Bologna, 2018.

[9] La disposizione recita: “E’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata”.

[10] L’art. 452 quinquies c.p. punisce gli stessi fatti di cui all’art. 452bis c.p. a titolo di colpa.

[11] G. PAVICH, “Reati di inquinamento ambientale e disastro ambientale: prime questioni interpretative”, in Cassazione Penale 2017, vol. 57.

[12] L. MASERA, “I nuovi delitti contro l’ambiente”, in DPC del 17 Dicembre 2015.

[13] LA SPINA L., “Il delitto di inquinamento ambientale doloso”, in AA.VV., “Il nuovo diritto penale ambientale”, Roma, 2016.

[14] Cass. sez. III, 3 Novembre 2016, n. 46170. In senso conforme, Cass. sez. III, 3 Marzo 2017, n. 10515, Cass. sez. III, 30 Marzo 2017, n. 15865, Cass. sez. III, 20 Aprile 2017, n. 18934, Cass. sez. III, 6 Luglio 2017, n. 52436, Cass. sez. III, 9 Novembre 2017, n. 5834, e, da ultimo, Cass. sez. III, 6 Novembre 2018, n. 50018.

[15] Cass. sez. III, 3 Marzo 2017, n. 10515, richiamata da Cass. sez. III, 20 Aprile 2017, n. 18934.

[16] Appare che, attraverso il riconoscimento dell’ambiente nella sua portata funzionale rispetto alle esigenze dell’uomo, non avviene un ripensamento in senso antropocentrico del bene giuridico tutelato, atteso che la condivisa accezione di ambiente comprende il significato di sistema costituito non solo grazie alle forze della natura ma anche per mezzo dell’intervento dell’uomo, in ragione della sua preservazione e corretto sfruttamento.

[17] Cass. sez. III, 3 Novembre 2016, n. 46170.

[18] RUGA RIVA C., “Il delitto di inquinamento ambientale al vaglio della Cassazione: soluzioni e spunti di riflessione”, in DPC del 22 Novembre 2016.

[19] Cass. sez. III, 3 novembre 2016, n. 46170.

[20] RUGA RIVA C, “Il delitto di inquinamento ambientale al vaglio della Cassazione: soluzioni e spunti di riflessione”, in DPC del 22 Novembre 2016.

[21] Cfr. D.P.C.M. 27 dicembre 1988, allegato 1 circa le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale, che alla lett. e) definisce gli «ecosistemi» come «complessi di componenti e fattori fisici, chimici e biologici tra loro interagenti ed interdipendenti, che formano un sistema unitario e identificabile (quali un lago, un bosco, un fiume, il mare) per propria struttura, funzionamento ed evoluzione temporale».

[22] E’ discusso se si parli di violazione del principio di precauzione in caso di mancato ricorso alle BAT (best available techniques), laddove queste consentano un abbattimento delle emissioni anche oltre i limiti normativi. Alcuni Autori hanno distinto il caso di inosservanza delle migliori tecniche disponibili per la salvaguardia ambientale quando il comportamento lesivo sia precedente in linea con autorizzazioni amministrative e precedenti alla loro introduzione, da quello in cui le BAT preesistano alla condotta autorizzata. Per un maggiore approfondimento sul punto, cfr. BOSI M., “Le best available techniques nella definizione del fatto tipico e nel giudizio di colpevolezza”, in DPC del 25 Maggio 2018.

[23] Per un approfondimento sul punto, cfr. RUGA RIVA C., “Dolo e colpa nei reati ambientali,Considerazioni su precauzione, dolo eventuale ed errore”, in DPC del 19 Gennaio 2015.

[24] La disposizione riporta che: “Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo. Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata”.

[25] Cass. sez. III, 3 Marzo 2017, n. 10515.

[26] Cass. sez. I,  17 Maggio 2017 n. 58023.

[27] BELL A.H. – VALSECCHI A., “Il nuovo delitto di disastro ambientale, una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio”, in DPC del 21 Luglio 2015.

[28] Cass. sez. III, 18 Giugno 2018, n. 29901.

[29] Cass. sez. I, 17 Maggio 2017, n. 58023.

[30] La definizione di rifiuto radioattivo è riscontrabile nel D. Lgs. n. 230 del 17 Marzo 1995 e s.m.i. dove se ne parla come di “qualsiasi materia radioattiva,ancorché contenuta in apparecchiature o dispositivi in genere, di cui nonè previsto ilriciclo o la riutilizzazione”.

[31] Il delitto di nuovo conio si pone verso l’adempimento della Direttiva 2008/99/CE, il cui art. 3 lett. e) richiede la sanzione dei fatti in cui si assista a “la produzione, la lavorazione, il trattamento, l’uso, la conservazione, il deposito, il trasporto, l’importazione, l’esportazione e lo smaltimento di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose”.

[32] Secondo la nuova disposizione: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività. La pena di cui al primo comma è aumentata se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla metà”.

[33] Il testo dell’art. 260 T.U.A. precedente al D. Lgs. n. 21 del 01 Marzo 2018 recita in questo modo: “1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni. 2. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni. 3. Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter del codice penale, con la limitazione di cui all’articolo 33 del medesimo codice. 4. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente. 4-bis. È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca”.

[34] TELESCA M., “Osservazioni sulla L n. 68/2015 recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”: ovvero i chiaroscuri di una agognata riforma”, in DPC 17 Luglio 2015.

[35] Il nuovo delitto prevede che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

[36] Secondo RUGA RIVA C., “Ambiente in genere. Il delitto di impedimento del controllo”, in Lexambiente.it del 03 Novembre 2017, il reato di impedimento di controllo fa eccezione rispetto alla nuova visione ecocentrica dell’ambiente, ponendosi a presidio diretto di un bene giuridico intermedio, che sarebbe appunto l’interesse alla pianificazione e al controllo ambientale. Se ne ricava che la fattispecie in parola deve essere ricostruita alla stregua di reato di danno.

[37] Il dispositivo della norma indica che: “1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29 quattuordecies, comma 1, Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro. 2. Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena è dell’arresto da tre mesi a tre anni e dell’ammenda da 5.000 euro a 52.000 euro. 3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5 o di cui all’articolo 29 quattuordecies, comma 3, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l’arresto fino a due anni. 4. Chiunque violi le prescrizioni concernenti l’installazione e la gestione dei controlli in automatico o l’obbligo di conservazione dei risultati degli stessi di cui all’articolo 131 è punito con la pena di cui al comma 3. 5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro. 6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell’effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma. 7. Al gestore del servizio idrico integrato che non ottempera all’obbligo di comunicazione di cui all’articolo 110, comma 3, o non osserva le prescrizioni o i divieti di cui all’articolo 110, comma 5, si applica la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi e con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti pericolosi. 8. Il titolare di uno scarico che non consente l’accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all’articolo 101, commi 3 e 4, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la pena dell’arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 689 del 1981 e degli articoli 55 e 354 del codice di procedura penale. 9. Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell’articolo 113, comma 3, è punito con le sanzioni di cui all’articolo 137, comma 1. 10. Chiunque non ottempera al provvedimento adottato dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 84, comma 4, ovvero dell’articolo 85, comma 2, è punito con l’ammenda da millecinquecento euro a quindicimila euro. 11. Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104 è punito con l’arresto sino a tre anni.12. Chiunque non osservi le prescrizioni regionali assunte a norma dell’articolo 88, commi 1 e 2, dirette ad assicurare il raggiungimento o il ripristino degli obiettivi di qualità delle acque designate ai sensi dell’articolo 87, oppure non ottemperi ai provvedimenti adottati dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 87, comma 3, è punito con l’arresto sino a due anni o con l’ammenda da quattromila euro a quarantamila euro. 13. Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purché in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente. 14. Chiunque effettui l’utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonché di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all’articolo 112, al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste, oppure non ottemperi al divieto o all’ordine di sospensione dell’attività impartito a norma di detto articolo, è punito con l’ammenda da euro millecinquecento a euro diecimila o con l’arresto fino ad un anno. La stessa pena si applica a chiunque effettui l’utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente”.

[38] Il nuovo delitto recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000“.

[39] L’art. 257 T.U.A. prevede che: “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro. 2. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose. 3. Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale. 4. L’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per le contravvenzioni ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1″.

[40] Cfr. Relazione sulla legge n. 68 del 22 Maggio 2015, Ufficio del Massimario della Cassazione.

[41] PADOVANI T., “Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l’ambiente”, in Guida al Diritto, n. 35, 01 Agosto 2015.

[42] L’art. 452 quinquies c.p. prevede che: “Se taluno dei fatti di cui agli articoli 452 bis e 452 quater è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi. Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo”.