di Maria Gallo
Il dibattito politico in corso ha riportato alla ribalta la problematica del reddito di cittadinanza che sta assumendo sempre più i connotati di una nuova figura nel panorama generale del welfare nazionale , delineato nei suoi principi fondamentali dagli Art. 38, 2 , 4 e 36 della Costituzione .
Tanto ha corrisposto ad una più ampia esigenza sociale , avvertita a livello europeo ed innescatasi sulla scia della Raccomandazione CEE n. 92/441/1992 , che aveva invitato gli stati membri a riconoscere , nell’ambito di un dispositivo di lotta all’emarginazione sociale , il diritto della persona a risorse e prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana. Si raccomandava, di conseguenza, di adeguare i propri sistemi di protezione sociale ai principi e agli orientamenti espressi nella raccomandazione stessa. Si affermava , perciò , un diritto fondato sul rispetto della dignità della persona umana concependo un ambito di tutela il più esteso possibile , fino a comprendervi tutte le più diverse forme di emarginazione . Si davano , inoltre, delle indicazioni pratiche per realizzare questa ampia tutela dall’emarginazione e povertà : fissando l’entità delle risorse giudicate sufficienti a coprire i bisogni essenziali , adeguando e modificando gli importi per bisogni specifici; prevedendo forme di assistenza, di informazione e consulenza per consentire a tutti di far valere i propri diritti .
Successivamente, nel 2010, è intervenuta una Risoluzione del Parlamento europeo (del 20.10.2010, 2010/2039/INI ) che ha dato una svolta decisiva al diritto del cittadino europeo e di chi stabilmente risiede nel territorio europeo , affermando il diritto ad un reddito che ne salvaguardi la dignità sociale . Si è così prescritto agli Stati membri di riconoscere il diritto basilare di ogni persona a disporre di un’assistenza sociale e di risorse sufficienti per vivere in modo dignitoso . Si richiamano, di tal guisa , i principi già fissati nell’art. 34 , III° co. , della Carta di Nizza .
Nell’ambito europeo ha preso forma , dunque, quello che si è definito cd. reddito minimo. Attraverso le esperienze dei diversi Stati membri si è , poi, fatto riferimento ai concetti di reddito di cittadinanza, di reddito minimo , di reddito di base incondizionato, utilizzati a volte in maniera indifferenziata ed a volte con contenuti abbastanza diversi tra loro .
Tentando di procedere ad una sistemazione dottrinale delle diverse figure emerse si è , in primis , individuato il Reddito di cittadinanza come diritto inalienabile e fondamentale dell’essere umano, al pari del diritto alla libertà religiosa , alla libertà di parola , al diritto al lavoro. Per questo verso costituisce un concetto a natura etico-filosofica poiché si afferma che ogni essere umano per il solo fatto di esistere ha diritto ad una propria fetta di ricchezza e nessuno ne può essere escluso.
Si è tentato così di affiancare all’idea di diritto sociale quello di giustizia sociale e soprattutto quella di cittadino . Così , nell’ opera del sociologo inglese Thomas H. Marshall “ Cittadinanza e classe sociale ” viene compiuta un’analisi delle componenti della cittadinanza e della loro influenza sui diritti . Si parla così di cittadinanza civile, politica e sociale a seconda dei diritti che vengono riconosciuti al cittadino in quanto tale . Proseguendo poi su tale impostazione , si afferma che lo Stato deve garantire un reddito minimo al singolo in quanto rientrante nel patrimonio dei diritti sociali , non potendo tale garanzia essere affidata completamente al mercato del lavoro , perché quel sistema è attualmente insoddisfacente.
Oggi il reddito minimo garantito o reddito minimo di inserimento: è un concetto che sempre più spesso viene indicato come reddito minimo di disoccupazione : è un reddito minimo condizionato allo stato professionale e al livello di reddito percepito, che è finalizzato all’inserimento lavorativo. Dunque , si tratta di un concetto collegato al lavoro e da esso condizionato perché infatti verrebbe erogata un’indennità , ai lavoratori precari, sottoposta alla condizione della ricerca di un’occupazione, secondo l’ormai diffuso sistema della cd. politica attiva del lavoro .
Con reddito di base incondizionato : si farebbe poi riferimento ad una misura universale garantita non solo ai cittadini ma a tutti i residenti nel territorio dello Stato , purché al di sotto di una certa soglia di reddito , per cui potrebbe rivolgersi non solo ai disoccupati ma anche a coloro che , pur lavorando, rimangano al di sotto di un certo reddito o a coloro che lavorino al nero e che quindi non maturino contributi utili ai fini dell’accesso agli ammortizzatori sociali .
Nella nostra esperienza , quando si parla di reddito di cittadinanza, in sostanza, si fa riferimento ad un concetto estrapolato dalle fonti comunitarie citate , la Risoluzione del Parlamento Europeo del 20.10.2010 e la Raccomandazione del Consiglio del 24.6.1992 laddove si parla di reddito minimo per riconoscere , nell’ambito dei sistemi di protezione sociale, il diritto fondamentale della persona a risorse e a prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana .
Come individuare, dunque, i caratteri distintivi del reddito di cittadinanza ?
In primo luogo deve notarsi che si tratta di un reddito , quindi di un utile in senso patrimoniale , diretto , nel senso che è un’erogazione monetaria in forma diretta , incondizionato , ovvero sganciato dalla prestazione lavorativa , universale , ovvero garantito a tutti gli individui .
Fissati questi caratteri essenziali va riconosciuto che la materia del reddito minimo / reddito di cittadinanza è stato un istituto quasi sconosciuto , finora, al nostro sistema di welfare in cui l’erogazione della prestazione dovrebbe avvenire a beneficio di soggetti che si trovino in una situazione di bisogno per la mancanza di lavoro .
Il richiamo al concetto di cittadinanza, come avviene nella formulazione più diffusa dell’istituto suggerisce, evidentemente, l’idea di un sostegno concesso ad individui quali componenti interni della cittadinanza .
L’erogazione avverrebbe pertanto in ipotesi in cui il soggetto sia privo di reddito perché ad esempio la disoccupazione persiste anche dopo l’esaurimento della prestazione previdenziale oppure nelle ipotesi di coloro che non siano riusciti nemmeno a maturare i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale o che siano rimasti incolpevolmente esclusi dal mercato del lavoro. Bisognerebbe, però , verificare il bisogno del soggetto in concreto cioè in relazione alla specifica situazione del soggetto.
Il trattamento avrebbe, per questo, l’esplicita funzione di promozione dell’inclusione sociale di soggetti sprovvisti dei mezzi per vivere , così come nella previsione della nostra Costituzione, agli art. 38 , 4 I° co. ovvero come nell’art. 10 della Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori , del 1989 ove si legge :
“ Ogni lavoratore della Comunità europea ha diritto ad una protezione sociale adeguata e deve beneficiare, a prescindere dal suo regime e dalla dimensione dell’impresa in cui lavora, di prestazioni di sicurezza sociale ad un livello sufficiente.
Le persone escluse dal mercato del lavoro, o perché non hanno potuto accedervi o perché non hanno potuto reinserirvisi, e che sono prive di mezzi di sostentamento devono poter beneficiare di prestazioni e di risorse sufficienti adeguate alla loro situazione personale.”
Seguendo questi principi, l’allocazione di un reddito non risponde alla logica dell’assistenza ai meno abbienti ma diviene espressione di quell’impegno a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale , che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini , impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese . Questo compito , però , lo stato lo aveva già assunto con l’art. 2 della Cost. al fine di permettere l’effettiva partecipazione alla vita sociale , per una reale appartenenza alla cittadinanza.
Andando, poi, ad esaminare con attenzione il testo dell’art. 38 della Cost. ci si accorge di un riferimento esclusivo al lavoratore e non ai cittadini , così da concludere per una garanzia al sostentamento da parte dello stato solo agli inabili al lavoro .
Per tutti coloro che sono rimasti fuori dal mercato e che , quindi, non avrebbero mezzi per garantirsi il diritto ad un reddito minimo esistenziale deve derivarsi questo diritto , guardando all’impianto costituzionale degli artt. 2 e 4 Cost. .
Ma la previsione costituzionale, nell’art. 36 Cost. , di un diritto al lavoro , che fondava la promessa della piena occupazione , della liberazione al bisogno attraverso una retribuzione proporzionata e in ogni caso sufficiente a garantire a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa , legittima, secondo la migliore dottrina , una lettura aperta dell’art. 38 ed una sua interpretazione estensiva, concedendosi all’inoccupato involontario il diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale.
Passando all’esperienza diretta va osservato che la politica legislativa , in questo settore, con il delegare alla legislazione regionale, è risultata deficitaria perché si è visto che solo alcune delle Regioni, cui il compito era stato demandato , hanno provveduto a legiferare in materia di reddito di cittadinanza e a dare applicazione a tale tipo di sostegno . E soprattutto si è constatato che il delegare alle regioni compiti primari dello Stato centrale ha determinato il fallimento dell’esperienza .
Per conoscenza diretta , ad esempio, si fa riferimento concreto a quanto accaduto nella Regione Campania, laddove , con legge n. 2/ 2004 si previde l’erogazione , ai residenti da almeno 24 mesi nella Regione Campania , in condizioni di indigenza, del reddito di cittadinanza , pari ad un’erogazione mensile di 300 euro al nucleo familiare e in specifici interventi mirati all’inserimento scolastico, formativo e lavorativo.
Con il rinnovo della Giunta regionale l’istituto ha poi avuto una battuta di arresto e nel 2010 la legge è ,poi, definitivamente stata abrogata per esigenze di contenimento della spesa . Da questa esperienza, tuttavia, sono emersi tutti i limiti insiti nella scelta di affidare alla legislazione regionale e alla sua finanza, piuttosto che alla finanza statale, un compito oggettivamente arduo . Le conseguenze di tale scelta si sono riverberate ,poi , nel campo giudiziale generando un contenzioso, a causa delle esclusioni dal novero dei beneficiari, tuttora in corso di definizione in secondo grado , e ciò nonostante l’intervento risolutivo della giurisprudenza di legittimità e l’abrogazione della Legge Regionale che ne sanciva il diritto .
In sostanza , il problema che si è posto – come già accaduto nel passato con la L.R. 11/1984 che disponeva l’attribuzione di contributi economici alle famiglie che provvedono direttamente all’assistenza di soggetti non autosufficienti portatori di handicaps psico-fisici – è il contrasto tra l’esiguità di fondi stanziati allo scopo e l’enormità della platea degli aventi diritto.
L’art. 1 della Legge Regionale n. 2/2004 prevedeva infatti : La Regione Campania considera il reddito di cittadinanza una prestazione concernente un diritto sociale fondamentale.
Il reddito di cittadinanza rientra nei livelli essenziali delle prestazioni sociali da garantire su tutto il territorio nazionale nell’ambito delle politiche di inclusione e coesione sociale promosse dalla Unione Europea.
La Regione Campania, nel quadro delineato dai commi 1 e 2, avvia una sperimentazione sul territorio regionale del reddito di cittadinanza.
L’art. 2 prevedeva : Ai residenti comunitari ed extracomunitari da almeno sessanta mesi nella Regione Campania che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 3 è assicurato il reddito di cittadinanza come misura di contrasto alla povertà e all’esclusione e come strumento teso a favorire condizioni efficaci di inserimento lavorativo e sociale.2. Il reddito di cittadinanza, che fa riferimento alle persone nel contesto del nucleo familiare, consiste in una erogazione monetaria che non supera i 350,00 euro mensili per nucleo familiare correlata ed in funzione di specifici interventi mirati all’inserimento scolastico, formativo e lavorativo dei singoli componenti
L’art. 3 prevedeva: Nell’ambito del tetto fissato dall’articolo 2, comma 2, hanno diritto all’erogazione monetaria di cui al reddito di cittadinanza i componenti delle famiglie anagrafiche con un reddito annuo inferiore ad euro 5.000,00 che ne fanno richiesta. 2. Beneficiano degli specifici interventi mirati all’inserimento scolastico, formativo e lavorativo di cui al reddito di cittadinanza i singoli componenti delle famiglie anagrafiche di cui al comma 1 senza limiti di numero. 3. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale, approva con apposito regolamento, le modalità specifiche di calcolo del reddito stimato individuando i criteri di utilizzo dell’indicatore di situazione economica equivalente – ISEE – adottato dall’istituto nazionale della previdenza sociale – INPS -, ai fini della individuazione degli aventi diritto in relazione alle risorse disponibili.
Con Legge Regionale n. 4 del 15.3.2011, art. 1 comma 208 , è stata dettata legge di interpretazione autentica degli artt. 2 e 3 della Legge regionale 2004/2 prevedendo che : gli artt. 2 e 3, comma 1 della legge regionale 19.2.2004 n. 2 si interpretano nel senso che il reddito di cittadinanza è corrisposto ai soggetti utilmente collocati in ciascuna graduatoria d’ambito, secondo le modalità definite dal regolamento di attuazione 4 giugno 2004 n.1, fino all’esaurimento delle risorse disponibili assegnate al relativo ambito.
Inoltre, con una successiva delibera regionale, n. 705 del 2005 , si è stabilito di fissare la erogazione monetaria nell’importo massimo di € 350,00.
Con l’intervento normativo del 2011 – malamente definito interpretativo – si è riportato l’accento sul punto dolente , e cioè sulla necessità di effettuare il riparto fino all’esaurimento delle risorse disponibili e tra i soggetti individuati dalla graduatoria prevista dai Comuni. Prevedibilmente, tuttavia, l’esclusione di alcuni , per effetto dell’esaurimento delle risorse disponibili, e l’erogazione del beneficio ad altri ha determinato il sorgere di un contenzioso di notevole entità .
La problematica ha, infine , ricevuto una definitiva soluzione giuridica a seguito di diverse pronunce della Suprema Corte ( tra le quali si ricorda Sez.U, Sentenza n. 18480 del 09/08/2010 ) che da ultimo ha affermato :
In materia di reddito di cittadinanza, la pretesa che si fondi sul mero possesso dei requisiti, indicati dalla legge reg. Campania 19 febbraio 2004, n. 2, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, in base al principio di prospettazione della domanda, senza che assuma rilevanza l’eccezione, sollevata dalla Regione, dell’asserita insussistenza del diritto, perché condizionato, nella sua effettiva esplicazione, dal collocamento dell’interessato nella graduatoria prevista dal regolamento 4 giugno 2004, n. 1, ove non siano stati impugnati gli atti di formazione della stessa e quelli riferiti alla valutazione discrezionale della specifica posizione, trattandosi di questione che non implica l’accertamento di situazioni soggettive esulanti dalla cognizione del giudice ordinario, ma che si traduce nella confutazione nel merito della domanda dell’attore, fatta salva la possibilità per il giudice di disapplicare gli atti amministrativi – a mezzo dei quali il diritto è stato negato – in forza degli artt. 4 e 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. (Sez. U, Sentenza n. 12644 del 05/06/2014, Rv. 631276 – 01)
La legge reg. Campania 15 marzo 2011, n. 4, nel riconoscere il reddito di cittadinanza ai soli richiedenti utilmente collocati in graduatoria, e nei limiti dello stanziamento per il relativo ambito, comporta una determinazione in misura fissa e non variabile della prestazione ed ha natura di legge di interpretazione autentica degli artt. 2 e 3, comma 1, della legge reg. Campania 19 febbraio 2004, n. 2, poiché predilige una delle interpretazioni possibili delle norme interpretate, senza che rilevi, in senso contrario, la pregressa diversa interpretazione delle Sezioni Unite e senza che, pertanto, sia elusiva dell’obbligo di osservanza delle norme sovranazionali in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, par. 1, della CEDU. Né, in tal modo, si realizza un’ingiustificata interferenza nell’amministrazione della giustizia, in quanto la sua efficacia retroattiva – comunque insuscettibile di incidere su diritti retributivi e previdenziali definitivamente acquisiti – è giustificata dalla necessità di tutelare interessi costituzionalmente protetti, quali la concretezza degli interventi assistenziali e il rispetto delle esigenze di bilancio dell’ente erogatore. (Sez. U, Sentenza n. 12644 del 05/06/2014, Rv. 631277 – 01)
D’altro canto , l’esaurimento delle risorse disponibili ha dato luogo all’abrogazione della prestazione ( con legge regionale n. 16 del 7.12.2010, art.2 ) .
Si è così concluso l’esperimento del reddito di cittadinanza in ambito regionale , scontratosi con l’insuperabile problema delle risorse economiche concretamente stanziabili.
Lo scoglio delle risorse economiche è quello contro il quale si sono imbattuti, nel nostro paese , in questi giorni, Legge di Bilancio 2019 e Def 2019 , con i quali , secondo le anticipazioni diffuse, si era prevista , oltre al reddito di cittadinanza, una pensione di cittadinanza , in vigore , all’incirca, dall’aprile 2019 .
L’intera manovra finanziaria , come noto , non ha, tuttavia , superato il vaglio della Ue .
Ma tutto questo appare , realisticamente , rientrare nella normalità del welfare più moderno , divenuto ormai un bene accessibile solo ai paesi economicamente più stabili o semplicemente più benestanti .
Il moderno sistema di welfare, elaborato per la società industriale degli anni 60’ e 70’, condizionato dalla cd. teoria fordista , è, infatti , negli anni successivi , progressivamente entrato sempre più in crisi ad opera di due grandi fenomeni tra loro interconnessi : globalizzazione dei mercati e finanziarizzazione dell’economia .
In tali fenomeni si comprendono una serie di vicende che hanno comportato l’internazionalizzazione dei mercati dei beni, dei servizi e dei flussi finanziari , la crescita quantitativa e la diversificazione delle imprese multinazionali ( provenienti anche dalla Cina e dagli altri paesi emergenti ) , l’accelerazione degli investimenti diretti all’estero.
Così, dopo un lungo periodo caratterizzato da politiche protezionistiche , a partire dagli anni 80’ , si è registrato un capovolgimento del sistema degli investimenti sui quali sono stati rimossi tutti i controlli al fine di attirare capitali dall’estero .
In tal modo , si sono offerte nuove e cospicue opportunità di innovazione e sviluppo alle imprese mentre i governi nazionali hanno visto ridotta la loro capacità di controllo macroeconomico.
La globalizzazione, pertanto, ha messo in crisi non solo quella che era la politica economica di stampo keynesiano ma anche il carattere marcatamente nazionale degli schemi e dei programmi del contemporaneo Welfare State .
Finora , cioè, il nucleo dello Stato sociale si era identificato nello Stato Nazione ma con la globalizzazione è accaduto che , condizionando essa l’autonomia dei singoli paesi nella formulazione delle politiche economiche e sociali nazionali , si è ridotta la capacità degli stati di incidere sul tessuto economico e sociale .
A questo punto le economie di ciascun paese sono talmente interconnesse tra loro che il benessere di un paese viene sempre più a dipendere da quello degli altri con i quali i propri cittadini intrattengono rapporti di affari e questo legame ha portato a parlare di cd.globalizzazione dei rischi .
Ma anche le politiche , a loro volta , si sono evolute per effetto della globalizzazione, accrescendo il ruolo degli apparati finanziari che gestiscono i flussi di capitali , potenziando la cd. finanziarizzazione di tutta l’economia .
Innegabile è la priorità assoluta della stabilità monetaria , perseguita come obiettivo principale da ciascun Stato anche adetrimento dello sviluppo dell’occupazione .
Allo stesso tempo, nei paesi con maggiore sviluppo industriale , si è assistito ad una blocco del livello medio di salario reale.
Le imprese degli Stati più avanzati, infatti, tendono a delocalizzare nei paesi a bassi salari quei settori del processo produttivo richiedenti l’impiego di lavoro non qualificato . La possibilità di sostituire la mano d’opera non qualificata con lavoratori stranieri a basso costo accresce l’elasticità della domanda di lavoro non qualificato e produce conseguenze , nell’ambito della legislazione sociale, di non poco momento.
I maggiori costi sociali , l’elevata incertezza del lavoro, l’indebolimento del potere contrattuale delle associazioni sindacali nazionali, l’aumento dei compiti redistributivi e di assistenza dei sistemi previdenziali costituiscono il portato dei processi economici più recenti .
Il ricorso a lavoratori con costi sociali più bassi ha dato origine ad un fenomeno in cui i paesi economicamente emergenti , caratterizzati da una minore spesa pubblica in campo sociale e da oneri contributivi inferiori e con minor costo del lavoro, sono divenuti più competitivi rispetto a quelli con sistemi di sicurezza più avanzati e , sicuramente, più costosi .
Ed in tale ambito va a collocarsi l’impasse politica e legislativa sul reddito di cittadinanza .