Il rilievo del sapere scientifico nella recente giurisprudenza costituzionale e di legittimità

di Alessandro De Santis

1.Evoluzione scientifica e libertà di autodeterminazione: considerazioni introduttive

Il tema della scienza rappresenta una costante nella descrizione fenomenologica dell’immagine del mondo del giurista. In particolare, nell’orizzonte della modernità, proprio della seconda metà del XX secolo, in virtù della progressiva irruzione della dimensione tecnica nella storia delle società umane, «la scienza del diritto non può più accontentarsi di un’immagine del mondo in cui le scienze della natura stiano solo sullo sfondo»[1], sicché la razionalità diviene essenza della scienza giuridica. In altre parole, il diritto pretende di regolamentare quotidianamente concreti spaccati di vita, cosicché si riempie di senso solo ove il legislatore e l’Autorità Giudiziaria acquistino la capacità di risolvere razionalmente problemi di accertamento relativi al mondo dei fatti.

Nel senso dell’esaltazione del ruolo giuridico del sapere scientifico depone altresì la concezione del processo quale modello essenzialmente epistemico, ossia sostanzialmente orientato verso l’accertamento della verità dei fatti, ferma la relatività di contesto e di metodo che necessariamente influenza tale accertamento[2].

Concentrando l’indagine entro un più moderno e ristretto frangente temporale, non può tralasciarsi di considerare che la progressiva valorizzazione giuridica del sapere scientifico si lega inscindibilmente anche alla progressiva esaltazione della libertà di autodeterminazione della persona quale centro tolemaico di rotazione del sistema giuridico, che emerge prepotentemente in alcune recenti prese di posizione della giurisprudenza di legittimità e costituzionale.

Questa tendenza si esprime, in primo luogo, attraverso la valorizzazione dell’art. 32 Cost., quale strumento che consente a ciascun individuo la gestione personalistica della sua situazione psico – fisica, attraverso una scelta effettiva tra le più opzioni lecite messe a disposizione dal contesto scientifico di riferimento, posto che a ciascuna scelta corrisponde una modalità di estrinsecazione della personalità[3].

Osservando l’evoluzione giurisprudenziale più recente, può rilevarsi che depongono in tal senso talune pronunce della Corte di cassazione che, oltre a dilatare i contenuti dell’obbligo informativo cui il medico è tenuto nei confronti del paziente, includendovi anche i dettagli relativi alle potenziali complicanze[4], sono giunte ad ammettere la risarcibilità della lesione della libertà di autodeterminazione in sé considerata, derivante dalla mancata informazione, prescindendo dalla verificazione di un pregiudizio alla salute. E ciò senza negare la configurazione del danno risarcibile in termini di “danno – conseguenza”, bensì sottolineando che «la libertà di autodeterminarsi costituisce un bene di per sé, quale aspetto della generica libertà personale», sicché la conculcazione della facoltà del paziente di decidere se autorizzare o non autorizzare il medico all’esecuzione dell’intervento proposto, o addirittura rivolgersi altrove, costituisce di per sé la perdita di un bene personale[5].

Come innanzi accennato, nel senso dell’esaltazione della persona si pongono anche le più recenti prese di posizione della Corte costituzionale relative alla L. 40/2004, anche successive alla epocale sentenza n. 162/2014, in materia di fecondazione eterologa, che saranno successivamente oggetto di approfondimento[6].

Invero, gli arresti giurisprudenziali di cui sopra sembrano attestare la “crisi evolutiva”,che, negli ultimi anni, sta attraversando l’arte medica. Crisi legata alla circostanza che da un lato, grazie al progresso delle tecnologie, questa arte contribuisce sempre più al prolungamento della vita e, dall’altro, si trova a confrontarsi con problematiche nuove, quali la qualità della vita, l’assistenza dell’ammalato incapace, il superamento delle barriere dell’incoscienza e tutte le ulteriori questioni poste dalla moderna bioetica. Seguendo questa spinta evolutiva la medicina moderna avverte con crescente pressione l’esigenza di allargare gli orizzonti per affondare le proprie radici nel territorio delle altre scienze, rifiutando una cura settoriale che vede l’uomo quale entità puramente fisica. La condizione dell’uomo, piuttosto, va valutata in tutta la sua globalità, tenendo in adeguata considerazione tutte le sue componenti corporali, emotive, sentimentali e comunque trascendenti che, nella loro inestricabile complessità, costituiscono l’essere umano[7].

2.Il rilievo del sapere scientifico nella giurisprudenza costituzionale

Tali esigenze, nel loro incedere evolutivo, hanno fatto breccia in diverse importanti pronunce della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, anche non strettamente relative al settore della responsabilità medica, in un contesto caratterizzato dalla presenza sempre più capillare della scienza nella vita quotidiana e dalla dipendenza tecnologica che ha plasmato le società contemporanee[8].

Già con la sentenza n. 282 del 2002, i giudici della Corte costituzionale si erano premurati di precisare che «non è, di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni. Poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, (…)», in tal modo rimarcando la necessità di tener conto, nell’esercizio dell’attività legislativa, dello stato delle evidenze scientifiche e sperimentali[9].

In maniera ancor più dirompente la Consulta si è espressa nella più recente pronuncia che ha determinato l’abbattimento del divieto di fecondazione eterologa, dichiarando espressamente l’incompatibilità di tale divieto con l’art. 32 Cost. (oltre che con gli artt. 2, 3, 31 Cost.). In tale occasione, infatti, i giudici costituzionali hanno sostenuto che l’impossibilità per la coppia di vivere l’esperienza della genitorialità avvalendosi della PMA eterologa e, dunque, degli strumenti più avanzati messi a disposizione dalla scienza medica, impatta inesorabilmente con il surriferito dettato costituzionale, con conseguente illegittimità della disciplina normativa restrittiva. E ciò senza che tale divieto si configuri quale mezzo ineludibile adoperato dal legislatore per salvaguardare ulteriori interessi di pari rango, attesa l’opacità e l’assenza di fondatezza tecno – scientifica degli interessi contrari invocati a sostegno dello stesso[10].

Nella stessa visuale prospettica sembra collocarsi anche Corte. Cost., 5 giugno 2015, n. 96, che contribuisce al processo di smantellamento della L. n. 40/2004, dichiarando l’incostituzionalità degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194, accertate da apposite strutture pubbliche. Invero, la Consulta perviene ad una siffatta declaratoria di incostituzionalità evidenziando anche la violazione dell’art. 32 Cost., nella misura in cui non si consente alla donna di avvalersi della tecnica scientifica della cd. “diagnosi preimpianto” onde accertare processi patologici relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che possano determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna ed eventualmente evitare l’impianto stesso; pericolo ulteriormente incrementato ove la donna, in un momento successivo all’impianto, assuma la decisione di abortire[11].

Lungo la medesima linea interpretativa si colloca la successiva Corte cost., 11 novembre 2015, n. 229, che dichiara l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost., degli artt. 13, commi 3, lettera b), e 4 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela della maternità e sulla interruzione della gravidanza) e accertate da apposite strutture pubbliche. E ciò in considerazione della circostanza che se la diagnosi preimpianto è divenuta lecita per effetto della summenzionata Corte cost., n. 96/2015, certamente, in ossequio al principio di non contraddizione, tale condotta non può essere più attratta nella sfera del penalmente rilevante. In tal modo, più che approfondire la riflessione concernente il ruolo costituzionale del sapere scientifico, si ratifica e consolida la scelta di campo già operata in altre pronunce dalla Consulta, nel senso di garantire al cittadino la possibilità di estrinsecare la propria essenza autodeterministica nella gestione del suo personale itinerario sanitario, avvalendosi delle tecniche più avanzate messe a disposizione dalla scienza[12].

Tuttavia, una battuta di arresto (a ben vedere soltanto relativa) si registra con la recentissima Corte cost., 13 aprile 2016, n. 84, che dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 3, ultimo capoverso e 13, commi 1, 2 e 3 della legge n. 40 del 2004, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 9, 13, 31, 32 e 33, comma 1, della Costituzione. Più precisamente, le censure risultavano rivolte alla previsione del «divieto assoluto di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale che non sia finalizzata alla tutela dell’embrione stesso» e orientate ad ottenere una pronunzia additiva, tale da comportare un temperamento all’assolutezza del divieto.

Soffermando l’indagine sul rilievo del dato scientifico, è interessante sottolineare che, secondo il giudice rimettente[13], «a fronte dell’inevitabile estinzione cui vanno incontro gli embrioni non impiantabili (…) il bilanciamento dovrebbe più ragionevolmente operarsi a favore della destinazione di tali embrioni agli scopi di una ricerca scientifica suscettibile di salvare la vita di milioni di esseri umani»; ed inoltre, una tale destinazione manifesterebbe «un rispetto per la vita umana ben superiore al mero “lasciar perire”, dando un senso socialmente utile alla futura e inevitabile distruzione dell’embrione».

Ciò nondimeno, secondo il Giudice delle leggi, a fronte di una “scelta tragica”, «tra il rispetto del principio della vita (…) e le esigenze della ricerca scientifica – una scelta, come si è detto, così ampiamente divisiva sul piano etico e scientifico, e che non trova soluzioni significativamente uniformi neppure nella legislazione europea – la linea di composizione tra gli opposti interessi, che si rinviene nelle disposizioni censurate, attiene all’area degli interventi, con cui il legislatore, quale interprete della volontà della collettività, è chiamato a tradurre, sul piano normativo, il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto». In altre parole, la Corte costituzionale, in ossequio al secolare principio della separazione dei poteri, ribadisce che solo al legislatore compete la valutazione dell’opportunità di una siffatta scelta e l’eventuale selezione degli obiettivi e delle specifiche finalità della ricerca suscettibili di giustificare il “sacrificio” dell’embrione[14].

Dunque, potrebbe sembrare che il processo di costituzionalizzazione del sapere scientifico abbia subito una battuta di arresto. Ma si tratta di un’interpretazione certamente scorretta, nella misura in cui i giudici costituzionali non negano la compenetrazione e rilevanza costituzionale di tale sapere ma, piuttosto, si limitano a ribadire la centralità del ruolo del legislatore nel concreto bilanciamento dei diversi valori costituzionali in conflitto, nel caso di specie consistenti nel valore della ricerca scientifica e nel principio di vita e dignità dell’embrione, legato al più o meno ampio grado di soggettività e di dignità antropologica che gli viene riconosciuto e che viene radicato nell’art. 2 Cost.

Da ultimo, un ulteriore passo in avanti nel processo di costituzionalizzazione del valore della scienza lo si è registrato con la recentissima sentenza n. 5/2018, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le numerose questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Veneto in riferimento al D.L. n. 73/2017 («Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale»).

Invero, i giudici della Consulta, pur riconoscendo la discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, specificano che questa discrezionalità «deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte, e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia», altrimenti profilandosi una violazione dell’art. 32 Cost. E, difatti, proprio in questa prospettiva di valorizzazione della dinamica evolutiva propria delle conoscenze medico-scientifiche che debbono sorreggere le scelte normative in campo sanitario, il legislatore, attraverso l’art. 1, comma 1ter, D.L. cit., ha opportunamente introdotto un sistema di monitoraggio periodico che può sfociare nella cessazione della obbligatorietà di alcuni vaccini ove risultino non più necessari.

3.Il rilievo del sapere scientifico nella giurisprudenza di legittimità

Di particolare, interesse, inoltre, sono le prese di posizione recentemente fatte registrare dalla giurisprudenza di legittimità circa il ruolo assunto dal sapere scientifico nel diritto penale.

Chiaramente, tale interesse giurisprudenziale, legato alla necessità di spiegare l’eziologia degli eventi concretamente sottoposti all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria, riguarda soprattutto il campo dei reati colposi, ove il Giudice deve rivolgersi al sapere scientifico per ottenere conoscenze tali da supportare il ragionamento causale. Il tutto pur sempre considerando che risulterebbe utopistico un metodo di indagine affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi scientifiche universali o dotate di un coefficiente probabilistico prossimo ad uno, in quanto metodo insufficiente a governare i variegati accadimenti che coinvolgono il diritto penale; piuttosto, accade frequentemente che nel giudizio si debbano utilizzare leggi statistiche dotate di coefficienti medio-bassi di probabilità frequentista o addirittura generalizzazioni empiriche del senso comune[15], necessariamente corroborate, però, dall’indagine concernente la probabilità logica del decorso causale così ricostruito[16].

D’altra parte, nel corso degli ultimi anni, il ricorso del giudice penale al sapere specialistico è diventato sempre più frequente per un duplice ordine di ragioni. Da un lato, i continui progressi del settore scientifico hanno via via reso più affidabili gli strumenti processuali di accertamento dei fatti[17]; dall’altro, si è registrata una significativa evoluzione del diritto penale sostanziale nel senso dell’introduzione di fattispecie di reato sempre più specialistiche e tecniche: si pensi alla recente riforma dei reati ambientali[18] o all’evoluzione legislativa in tema di criminalità informatica[19][20].

Al riguardo, la Corte di cassazione[21], occupandosi del noto “caso Thyssenkrupp” e, dunque, di responsabilità penale colposa, ha avuto modo di puntualizzare che «si rende necessaria una integrazione continua delle regole cautelari da adottare nello svolgimento di attività rischiose, attraverso le indicazioni provenienti dal sapere scientifico e tecnologico, sapere in continua evoluzione che reca il vero nucleo attualizzato della disciplina prevenzionistica». In tal modo, le norme di cautela che disciplinano lo svolgimento delle attività rischiose, tra le quali campeggia l’attività medico – chirurgica, fungono da valvola di collegamento con il tessuto scientifico, recependo in maniera continuativa le oscillazioni ed evoluzioni che all’interno dello stesso si manifestano, in guisa tale da orientare l’attività degli operatori professionali e, allo stesso tempo, il giudizio della magistratura. In tale ottica interpretativa, il sapere scientifico si tramuta nuovamente, sebbene in via indiretta, in strumento che garantisce il rispetto della libertà di autodeterminazione del singolo, non solo in riferimento al limitato comparto della gestione del suo itinerario sanitario, bensì, in senso più ampio, in ogni sua scelta di vita[22].

Difatti, i giudici della Suprema Corte ribadiscono fermamente il concetto per il quale la scienza e la tecnologia rappresentano le uniche fonti certe, controllabili ed affidabili, che consentono al giudice di operare come consumatore e non produttore di leggi scientifiche, così conferendo determinatezza alla fattispecie colposa.

E proprio la determinatezza delle fattispecie di reato evita arbitrarie ingerenze del potere giudiziario nella normazione penale, posto che, proprio entro una norma vaga ed indefinita potrebbe pericolosamente insinuarsi un’ermeneusi giudiziale creativa di diritto, tale da determinare una frattura tra il diritto stesso e la volontà popolare[23]. 

Un’applicazione ancor più concreta di tale ordine di idee si rinviene in una pronuncia successiva, con la quale la Corte di Cassazione giunge a sostenere che, per assolvere i doveri in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, «il datore non è esentato dalla conformità di un macchinario alla legislazione vigente al momento dell’acquisto ma ha l’onere di adeguare i presidi di sicurezza alle nuove acquisizioni tecnologiche e scientifiche», con la conseguenza che in mancanza di tale adeguamento risponde dell’infortunio del lavoratore avvenuto a causa del macchinario non conforme. E ciò in quanto l’art. 2087 c.c., nell’affermare che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, «stimola obbligatoriamente lo stesso ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche»[24]

È agevole rilevare, dunque, come la Corte di Cassazione, nel soppesare l’addebito di colpa effettuato nei confronti del datore di lavoro, adoperi il modello “dell’uomo più esperto”, altrimenti detti “della miglior scienza ed esperienza umana”[25]. Purtuttavia, una linea interpretativa siffatta presta il fianco ad un’agevole critica: un accertamento scevro da valutazioni soggettive, tese a verificare la concreta capacità dell’agente di adeguarsi al dovere di diligenza imposto dalla miglior scienza, rischia di risolversi in una concreta violazione del principio di colpevolezza, che impone di mandare esente da responsabilità penale il soggetto nei cui confronti non risultava esigibile, al momento della verificazione del reato, una condotta conforme ai parametri ordinamentali[26].

Su tale linea si colloca anche la recentissima pronuncia con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno perimetrato l’ambito operativo del regime di disciplina della responsabilità penale medica delineato dalla L. 24/2017 (cd. Legge Gelli-Bianco)[27].

In tale occasione, i giudici di legittimità hanno ancora una volta valorizzato il ruolo delle linee guida relative all’arte medica[28], precisando che da un lato devono costituire una guida per l’operatore sanitario, altrimenti disorientato dalla proliferazione incontrollata di clinical guidelines, così tenendosi a freno le conseguenze negative potenzialmente scaturenti da un incontrollato soggettivismo del terapeuta; dall’altro, attraverso il regolamento processo di certificazione ministeriale, che ne corrobora il grado di affidabilità e rilevanza, consentono di offrire una «plausibile risposta alle istanze di maggiore determinatezza che riguardano le fattispecie colpose qui di interesse», consolidando l’operatività concreta del principio di tassatività del precetto penale.

Si ripropone, quindi, l’apprezzabile concezione del rapporto tra diritto e scienza già emersa nell’ambito dell’articolata pronuncia relativa al “caso Thyssenkrupp”, in virtù della quale quest’ultima funge (e deve fungere) da parametro integrazione continua delle regole cautelari da adottare nello svolgimento di attività rischiose, operando il riempimento contenutistico ed evolutivo delle stesse, ed in tal modo garantendo la determinatezza dei comportamenti richiesti ai professionisti che svolgono tali attività, sì da evitare che il Giudice travalichi il ruolo di mero fruitore delle leggi scientifiche.

Cionondimeno, non si auspica un appiattimento supino dell’operato del sanitario sul contenuto delle linee guida, dovendosi piuttosto valorizzare l’iniziativa e capacità dello stesso nell’adeguamento di tali regole alle specificità del caso concreto; ed è proprio attraverso tale apprezzamento che il professionista «recupera la sua autonomia e manifesta il suo talento professionale», dissolvendo il paventato rischio della “medicina difensiva”.

Infine, risulta di particolare rilievo la recente pronuncia con la quale la Corte di Cassazione ha messo la parola fine alla complessa vicenda relativa alle responsabilità penali della Commissione Grandi Rischi in riferimento al terremoto dell’Aquila[29], trattandosi di pronuncia con la quale affronta il tema della rilevanza penale del sapere scientifico epidemiologico, basato su rilevazioni probabilistiche.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità si è tradizionalmente orientata su posizioni prudenti, sottolineando che «occorre comprendere se l’incremento delle probabilità studiato dall’epidemiologia quale base per l’individuazione e la dimostrazione con certezza, sul piano della causalità generale, di una relazione nomica, costituisca un dato di cui sia possibile far uso nel giudizio penale relativo ad un caso concreto»; in altre parole, «nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica occorrerà chiarire se l’effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali»[30].

Il ragionamento seguito dalla Suprema Corte nella recente pronuncia, invece, principia dalla considerazione che quando il Giudice non dispone, per la ricostruzione della realtà fenomenica, di regole scientifiche caratterizzate da certezza, il ricorso alle generalizzazioni del senso comune (sapere esperienziale) costituisce una reale e insuperabile necessità del giudizio, pur se necessariamente corroborato da una valutazione di credibilità razionale. Sicché, in tale ottica, anche il sapere scientifico epidemiologico può essere adoperato per l’accertamento della causalità individuale, purché il giudice sottoponga l’ipotesi esplicativa offerta dalla regola d’esperienza «al più serrato confronto con gli elementi fattuali che caratterizzano la fattispecie concreta». E ciò in quanto, dinanzi al multiforme atteggiarsi del reale, «spetta al giudice fondare le proprie inferenze fattuali sulle migliori basi conoscitive disponibili nella cultura del proprio tempo»[31].

In aggiunta, oltre che per l’accertamento del nesso causale, le Sezioni Unite attribuiscono rilievo alle rilevazioni epidemiologiche anche ai fini del riscontro dell’elemento soggettivo della colpa. Segnatamente, sostengono che il principio di colpevolezza deve ritenersi rispettato nella misura in cui il soggetto agente, al momento della condotta, possa seriamente rappresentarsi la rischiosità del suo agire o del suo omettere rispetto a determinati eventi, corrispondenti a quelli poi verificatisi, anche laddove su tale pericolosità non vi sia pieno consenso della comunità scientifica. E alle medesime conclusioni deve pervenirsi anche laddove «ci si trovi in presenza dei primi approfondimenti scientifici o di studi epidemiologici ancora incompleti o di esperimenti condotti su animali», a meno che le prime applicazioni non escludano radicalmente la riferibilità all’uomo di tali ultimi esperimenti.

Dunque, pur ribadendo la necessità di un vaglio rigoroso del profilo della “probabilità logica”, la Suprema Corte riconosce una rilevanza inedita al sapere epidemiologico di matrice probabilistica, destinato ad orientare il giudice nell’accertamento del nesso causale, ove emerga l’impossibilità di attingere a leggi scientifiche dotate di coefficienti più elevati di probabilità frequentista; ed altresì destinato a governare il successivo profilo dell’accertamento della colpa, nella perimetrazione delle regole cautelari cui il soggetto agente deve adeguare la propria condotta per non incorrere in un addebito di responsabilità penale.

Ma trattasi di un’evoluzione interpretativa che desta significative perplessità. Invero, delinea una modalità di accertamento del rapporto di causalità che si discosta significativamente dagli standard di certezza tradizionalmente richiesti dalla giurisprudenza di legittimità e cristallizzati dalla cd. “sentenza Franzese”[32], nonché idonei a sorreggere la compressione del bene costituzionale della libertà personale, facendo applicazione di generalizzazioni del senso comune senz’altro idonee all’accertamento della causalità generale, ma non anche a discendere sul più complesso piano della causalità individuale.

Inoltre, un’evoluzione siffatta profila ulteriori criticità anche quanto al rispetto del principio di colpevolezza. Difatti, deve considerarsi quantomeno dubbia l’esigibilità, nei confronti del soggetto agente, e pur volendo utilizzare il modello della “miglior scienza ed esperienza”[33], di un comportamento rispettoso delle regole cautelari ricavabili non solo da leggi scientifiche accreditate, ma anche da meri studi epidemiologici, categoria entro la quale la Suprema Corte sembra forzosamente incastonare anche gli esperimenti condotti su animali la cui riferibilità all’essere umano non risulti oggetto di espressa smentita.

In definitiva, pur risultando senz’altro apprezzabile la spinta giurisprudenziale, in linea con l’attuale conformazione del tessuto economico – sociale, verso una sempre più intensa integrazione tra sapere scientifico e mondo giuridico, non appare pienamente conferente, sotto il profilo logico – argomentativo, la recente esaltazione del ruolo del sapere epidemiologico, in quanto tale da insidiare le terminazioni nervose di un principio cardine del diritto penale, quale il principio di colpevolezza, e da aprire il campo ad ingiustificate conculcazioni del valore fondamentale della libertà personale, oggetto di specifica consacrazione ad opera dell’art. 13 Cost.

4.Considerazioni conclusive

Al netto di tali osservazioni critiche, a ben vedere riferite ad un ben specifico e confinato approdo giurisprudenziale, non può omettersi di rilevare che il quadro globale odierno è quello di una compenetrazione continua tra diritto, giurisprudenza e scienza, nel quale il sapere scientifico assume anche il ruolo di ineliminabile strumento di estrinsecazione della persona.

È infatti il sapere scientifico che mette a disposizione dell’essere umano nuovi mezzi attraverso i quali estrinsecare la propria essenza ontologica e vivere autodeterministacamente la propria esistenza, soprattutto nella gestione del proprio personalissimo itinerario sanitario[34]; mezzi tra i quali è possibile annoverare, a titolo esemplificativo, la diagnosi preimpianto e le tecniche di procreazione medicalmente assistita eterologa. Il tutto, in un contesto sociale caratterizzato dalla rapidissima circolazione delle informazioni e dalla sempre più pregnante presenza della scienza nella vita quotidiana, attraverso una dipendenza tecnologica improntata all’istantaneo (o semi-istantaneo) appagamento delle esigenze individuali che ha plasmato lo stile di vita dell’umanità contemporanea.

Ed è sempre il sapere scientifico che, consentendo ed imponendo al giudice di operare come consumatore e non produttore di leggi scientifiche, pone il cittadino al riparo da eventuali esercizi arbitrari del potere giudiziario e consente altresì l’individuazione preventiva delle condotte conformi e di quelle difformi dal quadro ordinamentale, garantendo allo stesso la possibilità di orientarsi liberamente nell’un senso e nell’altro.

In questo nuovo contesto, dunque, la scienza tende a penetrare progressivamente nell’impianto costituzionale, attraverso il viatico dell’art. 32 Cost., proprio in considerazione della predetta capillare presenza della stessa nella vita quotidiana, tale da ingenerare profonde modificazioni della piattaforma di valori su cui si innesta il funzionamento delle società contemporanee.

Diviene quindi sempre più auspicabile l’adesione alla ricostruzione per la quale proprio la scienza, nel suo carattere multiforme ed interdisciplinare, ha il compito di riempire di significato l’art. 32 Cost., sì da elevarsi al rango di parametro costituzionale interposto e condizionare la legittimità della legge. In tale ottica interpretativa, pienamente in linea con l’attuale conformazione del tessuto sociale, ogni provvedimento legislativo relativo al settore sanitario che si ponga in conflitto con le recenti acquisizioni scientifiche può potenzialmente essere dichiarato incostituzionale, palesandosi un contrasto con la surriferita disposizione. E, nel contempo, anche il giudice dovrà riempire i propri giudizi con i dati scientifici tratti dall’osservazione empirica, ma ciò pur sempre con la precisazione che le risultanze della scienza non possono costituire un dettame da seguire acriticamente, ma devono rappresentare un valore conoscitivo aggiunto di cui tener conto nell’esercizio delle rispettive attribuzioni.

In tale ottica, se da un lato la scienza non rientra direttamente nella categoria delle fonti del diritto, dall’altro le principali fonti del diritto e della bioetica, ossia leggi e sentenze, possono intervenire nei rispettivi settori di competenza solo tenendo in adeguata considerazione i risultati, pur relativi e dinamici, dell’osservazione scientifica, risultando il biodiritto frutto di un processo deliberativo tendenzialmente plurale e aperto a diverse componenti normative, nessuna delle quali in sé autosufficiente[35].

Tale impostazione teorica ha trovato un ponderato sviluppo nel lavoro di autorevole dottrina[36] che intende proporre la ricostruzione di un modello virtuoso dei rapporti fra ambito giuridico e ambito scientifico in cui la scienza si interpone tra Costituzione italiana e legge, condizionando la legittimità della seconda. In tal modo, la scienza, oltre ad assumere il ruolo di indicatore della «ragionevolezza scientifica» di una legge[37], si eleverebbe ad autentico parametro di costituzionalità, producendo la demolizione dei provvedimenti legislativi contrastanti con un concetto di salute mutato evolutivamente.

Chiaramente, l’adesione ad una ricostruzione siffatta consente di utilizzare la scienza quale parametro interposto solo in riferimento ai provvedimenti legislativi destinati a coinvolgere il bene giuridico della salute, in tal guisa perimetrando in maniera non del tutto condivisibile la rilevanza costituzionale del sapere scientifico. Ma si tratta pur sempre di un significativo passo in avanti destinato a mantenere l’impianto costituzionale al passo con i mutamenti che interessano il tessuto sociale, attraverso la fondamentale opera di “moderatore” svolta dalla Corte costituzionale, in un’evoluzione che conferisce concretezza al fisiologico fenomeno del cd. “anacronismo legislativo” e apre la via a future valorizzazioni del sapere scientifico.

E ciò in un contesto necessariamente caratterizzato dalla “co-partecipazione”[38] tra strumenti differenziati nell’esercizio della funzione legislativa, che garantisce copertura scientifica alla decisioni di natura politica e contestualmente ritaglia un adeguato spazio di autonomia in favore degli operatori professionali[39]; in tal modo, la bioetica non è più solo materia da regolamentare ma, di converso, strumento di impulso e di orientamento della funzione legislativa.


[1] D. Pulitanò, Il diritto penale tra vincoli di realtà e sapere scientifico, in Riv. it. dir. proc. pen.,  fasc. 3, 2006, 795 ss. Alla descrizione fenomenologica dell’immagine del mondo del giurista è dedicato K. Engisch, Vom Vom Weltbild des Juristen, Heidelberg, 1965, 15 ss., il quale effettua la ricostruzione di tale immagine effettuando una critica su due fronti: da un lato verso la riduzione normativistica di matrice kelseniana, dall’altro verso la riduzione puramente naturalistica. Per un approfondimento dei rapporti tra diritto e scienza, L. Chieffi, Ricerca scientifica e tutela della persona. Bioetica e garanziecostituzionali, Napoli, 1993; C.M. Mazzoni, (a cura di), Una norma giuridica per labioetica,Bologna, 1998.

[2] M. Taruffo, La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, Roma – Bari, 2009, 135. In senso contrario, F. Auletta, La prova scientifica: diritto, epistemologia, strumenti d’acquisizione, in Riv. trim. dir. proc. pen., fasc. 2, 2016, 461 ss., il quale osserva che la concezione del processo come modello epistemico è contrastata innanzitutto dal sistema di fissazione dei fatti controversi nel processo civile, cristallizzato dalla L. n. 69/2009, sistema in base al quale «salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione (…) i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita» (art. 115, comma 1, c.p.c.), in tal modo assoggettandosi lo stesso alla verità convenzionale portata alla luce dalle parti.

[3] Sul punto, G. Chinè, A. Zoppini, Manuale di diritto civileSeconda edizione, Roma, 2011,131 – 132; cfr. anche G. Coletta, Le difficoltà del dibattito bioetico e la necessità di una legislazione caratterizzata dal rispetto delle scelte individuali, in L. Chieffi, P. Giustiniani, Percorsi tra bioetica e diritto. Alla ricerca di un bilanciamento, Torino, 2010,  58 – 61. Quanto al riparto di giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo in relazione alle controversie concernenti la lesione del diritto alla salute, R. Garofoli, G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo,V edizione, Roma, 2012, 1791 – 1792.

[4] Cass. civ., Sez. III, 13 febbraio 2015, n. 2854; Cass. civ., Sez. III, 19 settembre 2014, n. 19731; Cass. civ., Sez. III, 29 settembre 2015, n. 19212, sulla scorta della considerazione che solo al paziente spetta la valutazione dei rischi cui intende esporsi, anche qualora la probabilità di verificazione dell’evento oggetto dell’informazione sia così scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia così alta da renderne certo l’accadimento.

[5] Cass. civ., Sez. III, 12 giugno 2015, n. 12205. Cfr. anche Cass. civ., Sez. III, 13 febbraio 2015, n. 2854, ove si afferma espressamente che l’acquisizione da parte del medico del consenso informato del paziente rappresenta l’oggetto di un’obbligazione diversa ed autonoma rispetto a quella di esecuzione dell’intervento medico; Cass. civ., Sez. III, 20 maggio 2016, n. 10414.

[6] Il riferimento è a Corte cost., 5 giugno 2015, n. 96 e Corte cost., 11 novembre 2015, n. 229 in materia di diagnosi preimpianto.

[7] Interessanti, al riguardo, le riflessioni di P. Franzini, Pensare la medicina, Milano, 2001, 70 – 71, il quale osserva che i lumi della scienza non vanno spenti ma resi anzi più vividi, così che «illuminino in un “insieme” che sia autenticamente scientifico tutti i “pascoli dell’essere” aperti all’umanità»; e ciò tentando nuove alleanze non solo con le altre scienze che automaticamente si sposano alla medicina (ad es. la fisica, la chimica, la matematica), ma anche con le “scienze dell’uomo”, che si collocano sul terreno della trascendenza e dell’immanenza. Quanto al rapporto tra evoluzione della medicina e diritto, L. Busatta, Per la costruzione di un pluralismo sostenibile nel rapporto tra diritto e scienze della vita, in Biolaw Journal, 1, 2016, ove si osserva che il rapidissimo sviluppo avvenuto nel mondo scientifico nel corso degli ultimi decenni ha rivoluzionato moltissimi settori dell’esperienza e della vita umana, non ultimo quello relativo alla cura della salute; e tale avanzamento impone al diritto, al crocevia tra pluralismo assiologico e sviluppo medico scientifico, «di confrontarsi con diverse discipline, di dialogare con altre scienze e di tradurre con strumenti e linguaggi propri della scienza giuridica concetti e nozioni appresi altrove».

[8] Per una panoramica ampia circa il rilievo del sapere scientifico nella giurisprudenza costituzionale e, più in generale, nel mondo giuridico, G. Forti, F. Centonze, Diritto e sapere scientifico in campo sanitario: un progetto di integrazione multidisciplinare, in Riv. it. medleg., fasc. 4 – 5, 2011, 915 ss.

[9] Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282. Di particolare interesse risulta anche Corte cost., 8 maggio 2009, n. 151, con la quale il divieto legislativo di creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre» è stato dichiarato illegittimo proprio perché tale proibizione, anche in combinato disposto con l’obbligo di impiantare contestualmente tutti gli embrioni prodotti, avrebbe obbligato il medico ad effettuare interventi che la letteratura medica è concorde nel considerare potenzialmente dannosi per la salute della donna e del feto. Sul punto, cfr. L. Violini, La tutela della salute e i limiti al potere di legiferare: sull’incostituzionalità di una legge che vieta specifici interventi terapeutici senza adeguata istruttoria tecnico-scientifica, in Le Regioni, 6, 2002, 1450 ss.

[10] Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, con la quale il giudice delle leggi: «1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui stabilisce per la coppia di cui all’art. 5, comma 1, della medesima legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili; 2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge n. 40 del 2004, limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3»; dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, della legge n. 40 del 2004, limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3»; dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, della legge n. 40 del 2004, nei limiti di cui in motivazione». Cfr. A. De Santis, La fecondazione eterologa nel quadro legislativo e giurisprudenziale italiano, in M. De Tilla, L. Militerni, U. Veronesi, Fecondazione eterologa, Milano, 2015, 253 – 260. In senso più ampio, sul rilievo costituzionale della dimensione medico – scientifica nella determinazione del momento a partire dal quale il processo biologico di sviluppo embrionale assume uno specifico rilievo giuridico, S. Agosta, Spingersi dove neppure alle più recenti acquisizioni medico-tecniche è consentito: la sfida del diritto all’epoca della rivoluzione biologica, in Rivista AIC, 1, 2014.

[11] Per approfondimenti sul punto, M. Bergo, Il riconoscimento del diritto alla fecondazione eterologa e alla diagnosi reimpianto nel sistema italiano di “regionalismo sanitario”, inGiur. cost., 5, 2015, 1738 ss.; L Chieffi,La diagnosi genetica nelle pratiche di fecondazione assistita: alla ricerca del giusto punto di equilibrio tra le ragioni all’impianto dell’embrione e quelle della donna ad avviare una maternità cosciente e responsabile, in Giur. cost., 6, 2006, 4713 ss.

[12] Con la medesima sentenza è invece esclusa la censurabilità della scelta legislativa di vietare e sanzionare penalmente la condotta di «soppressione di embrioni», anche ove riferita a embrioni che, in esito a diagnosi preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica. Invero, anche in riferimento a questi embrioni, la cui malformazione non giustifica un trattamento deteriore rispetto a quelli sani, si prospetta l’esigenza di tutelare la “dignità dell’embrione”, «alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione», non essendo l’embrione considerabile alla stregua di mero materiale biologico. Del resto, nella fattispecie, «il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione (ancorché) malato (…) non trova però giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista», anche in considerazione della circostanza che «il divieto di soppressione dell’embrione malformato non ne comporta, per quanto detto, l’impianto coattivo nell’utero della gestante».

[13] Trib. Firenze, ordinanza 7 dicembre 2012.

[14] Per approfondimenti sul punto, C. Casini, M. Casini, Soggettività dell’embrione, “contraccezione di emergenza”, obiezione di coscienza: riflessioni dopo la sentenza costituzionale 84/2016, in Dir. fam e pers., 3, 2016, 861 ss.; in senso più ampio, L. D’Avack, Scienza e ricerca scientifica L conflitto di valori tra benefici e rischi, in Dir. fam. e pers., 4, 2017, 1255 ss.

[15] R. Blaiotta, Il sapere scientifico e l’inferenza causale, in Cass. pen., fasc. 3, 2010, 1265B ss; si rammenta che l’Autore è stato anche estensore della sentenza relativa al “caso Thyssenkrupp”, ossia Cass. pen., Sez. Un., 18 settembre 2014, n. 38343, che sarà successivamente oggetto di approfondimento. Per una riflessione più ampia circa i rapporti tra diritto penale e sapere scientifico, F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, 1975; F. Stella, Giustizia e modernità , 3a Ed., Milano, 2003.

[16] Per approfondimenti sul punto, Cass. pen., Sez. Un., 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese.

[17] Sul punto, P. P. Rivello, La prova scientifica, in G. Ubertis, G. P. Voena (diretto da), Trattato di procedura penale, Milano, 2014, 137 ss.

[18] Riforma attuata con L. n. 68/2015. Sul punto, A. Cimmino, I nuovi delitti contro l’ambiente: istanze repressive ed effettività della tutela penale nell’assetto normativo successivo alla riforma ex lege 68/2015, in M. De Tilla, L. Militerni, U. Veronesi (a cura di), L’inquinamento ambientale. Riflessioni normative e bioetiche, Milano, 2016, 139 – 206.

[19] Emblematica, al riguardo, risulta la L. n. 547/1993. Sul tema dell’evoluzione in senso tecnico del diritto penale sostanziale, M. Taruffo, Conoscenza scientifica e decisione giudiziaria: profili generali, in Aa.Vv., Decisione giudiziaria e verità scientifica, Milano, 2005, 5 ss. Circa il difficile rapporto tra sapere scientifico e discrezionalità legislativa nella disciplina in materia di stupefacenti, V. Manes, L’eterointegrazione della fattispecie penale mediante fonti subordinate, tra riserva “politica” e specificazione “tecnica”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 97 ss.

[20] M. Lamanuzzi, Nota redazionale a Cass. pen., sez. IV, 18 marzo 2015, n. 18080, in Riv. it. dir. med. leg., fasc. 3, 2015, 1185 ss. All’interno di tale pronuncia, la Suprema Corte chiarisce che «il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento, posto al servizio del giudice di merito», fermo restando che il giudice stesso è chiamato a valutare l’affidabilità delle informazioni veicolate all’interno del processo dai consulenti, dando conto «del controllo esercitato sull’affidabilità delle basi scientifiche (…), soppesando l’imparzialità e l’autorevolezza scientifica dell’esperto che trasferisce nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali».

[21] Cass. pen., Sez. Un., 18 settembre 2014, n. 38343. Cfr. sul punto, A. Panti, La responsabilità nelle attività mediche, in R. Bartoli (a cura di), Responsabilità penale e rischio nelle attività mediche e d’impresa, Firenze, 2010, 168 ss.

[22] Con maggiore prudenza si esprime Cass. Pen., Sez. IV, 29 aprile 2015, n. 18080 che, pur ammettendo che il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento, posto al servizio del giudice di merito, puntualizza ulteriormente che «qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non può avere l’esito di accreditare l’esistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice; che il ricorso a competenze specialistiche con l’obiettivo di integrare i saperi del giudice, rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell’uomo comune, si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti (conferimento dell’incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione degli esperti in dibattimento) ad impulso del giudicante e a formazione progressiva; e che la valutazione di legittimità, sulla soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e conformità alle regole della logica dimostrativa dell’opinione espressa dal giudice di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio».

[23] Sul punto, cfr. R. Garofoli, Manuale di diritto penale. Parte generale, Roma, 2011, 149 – 150. Il tutto senza obliterare che la determinatezza delle fattispecie penali, ed in particolare delle fattispecie colpose, garantisce altresì la tenuta del principio di colpevolezza, di cui all’art. 27 Cost., contribuendo all’individuazione delle condotte concretamente “esigibili” dal soggetto agente, nonché del diritto di difesa, di cui all’art. 24 Cost. e del principio del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost.

[24] Cass. pen., Sez. IV, 3 febbraio 2016, n. 4501.

[25] In dottrina, in senso favorevole circa l’applicazione di tale criterio, T. Padovani, Diritto penale, Milano, 2012, 202; M. Grotto, Principio di colpevolezza, rimproverabilità soggettiva e colpa specifica, Torino, 2012, 165 ss., 402 ss.

[26] Sull’evoluzione del principio di colpevolezza, G. Delitala, Il fatto nella teoria generale del reato, Padova, 1930, 84 – 85; H. Achenbach, Riflessioni storico – dommatiche sulla concezione della colpevolezza di Reinard Frank, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 851 ss.; G. Fiandaca, Considerazioni su colpevolezza e prevenzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 798 ss.; T. Padovani, Teoria della colpevolezza e scopi della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 836 ss.

[27] Per un’analisi approfondita della novella normativa, A. De Santis, La colpa medica alla luce della legge Gelli-Bianco, in Studium iuris, 7/8, 2017, 790 ss.; P. Piras, Imperiti sine culpa non datur. A proposito del nuovo art. 590 sexies c.p., in www.penalecontemporaneo.it.

[28] Definite come «condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi, reputate tali dopo un’accurata selezione e distillazione dei diversi contributi, senza alcuna pretesa di immobilismo e senza idoneità ad assurgere al livello di regole vincolanti».

[29] Cass. pen., Sez. IV, 24 marzo 2016, n. 12478.

[30] Cass. pen., Sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786, cd. “sentenza Cozzini”. Cfr. anche Cass. pen., Sez. IV, 10 giugno 2010, n. 38991, ove si ribadisce ancor più fermamente che gli studi di natura epidemiologica condotti sulla popolazione non consentono di accertare la causalità in riferimento a singoli decessi. Sul fondamento, anche filosofico, di tale modalità rigorosa di accertamento del nesso di causalità, O. Di Giovine, La causalità tra scienza e giurisprudenza, in Riv. it. med. leg., fasc. 1, 2016, 31 – 55.

[31] In tale visuale prospettica, le massime di esperienza non si prestano a essere giudicate in termini di affidabilità probabilistica, bensì in termini di effettiva appartenenza al consolidato sapere esperienziale proprio dello specifico settore di rapporti oggetto di giudizio e alla loro razionale operatività nella specifica situazione concreta in cui trovano applicazione. In altro passaggio, la Suprema Corte afferma che «accade frequentemente che nel giudizio si debbano utilizzare leggi statistiche ampiamente diffuse nell’ambito delle scienze naturali, talvolta dotate di coefficienti medio-bassi di probabilità frequentista; nonché generalizzazioni empiriche del senso comune e rilevazioni epidemiologiche. Occorre, in tali ambiti, procedere a una verifica particolarmente attenta sulla fondatezza delle generalizzazioni e sulla loro applicabilità nella fattispecie concreta; ma nulla esclude che, quando sia scartata l’incidenza nel caso specifico di fattori interagenti in via alternativa, possa giungersi alla dimostrazione del nesso di condizionamento». Il rilievo delle leggi scientifiche di natura probabilistica nell’accertamento del nesso di causalità affonda le sue radici nel terreno filosofico, come evidenziato da W. Salmon, 40 anni di spiegazione scientifica, Padova, 1992. Volgendo lo sguardo al versante medico, tale modello di spiegazione causale rinviene le sue origini nel Diciannovesimo secolo, allorquando, nell’indagine empirica sulle leggi della natura, si riscontrava la predominanza di un approccio bio – sperimentale di tipo analitico, fondato su indagini condotte in laboratorio e svolte sulla base di modelli sperimentali, fondati sull’elaborazione di ipotesi a partire dai dati clinici; cfr., sul punto, R. Festa, V. Crupi, P. Giaretta, Forme di ragionamento e valutazione delle ipotesi nelle scienze mediche, in A. Pagnini (a cura di), Filosofia della medicina, 2010, 129.

[32] Cass. pen., Sez. Un., 11 settembre 2002, n. 30328.

[33] Già di per sé idoneo, come già innanzi osservato, ad ingenerare dubbi significativi in riferimento alla tenuta del principio di colpevolezza. Per un approfondimento sull’utilizzo del parametro della cd. “miglior scienza ed esperienza” ai fini dell’accertamento della colpevolezza individuale, A. Perin, La crisi del “modello nomologico” fra spiegazione e prevedibilità dell’evento nel diritto penale. Note introduttive e questioni preliminari sul fatto tipico colposo, in Riv. itdir. proc. pen., 3, 2014, 1371 ss., ove si osserva che tale impostazione teorica determina l’emersione di una problematica ulteriore, ponendo il diritto in una posizione di deferenza rispetto alla scienza e rinuncia alla creazione di un parametro autenticamente normativo vincolando eccessivamente il giudice al consenso maturato nella comunità degli esperti. Cfr. anche, V. Villa, Teorie della scienza giuridica e teorie delle scienze naturali. Modelli e analogie, Milano, 1984, 22.

[34] E ciò in ossequio all’insegnamento proveniente dalla più avvertita giurisprudenza. Al riguardo, è opportuno menzionare Cons. St., Sez. VI, 2 settembre 2014, n. 4460 che, sviluppando l’orientamento già espresso in maniera conferente da Cass. civ., Sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, osserva che cura non è «ciò che l’Amministrazione ritiene di proporre o imporre al paziente, in una visione autoritativa di salute che coincida solo con il principio di beneficialità (…)ma il contenuto, concreto e dinamico, dell’itinerario umano, prima ancor che curativo, che il malato ha deciso di costruire, nell’alleanza terapeutica con il medico e secondo scienza e coscienza di questo, per il proprio benessere psico-fisico, anche se tale benessere, finale e transeunte, dovesse preludere alla morte»; ed anche che «di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c’è spazio – nel quadro della c.d. “alleanza terapeutica” – per una strategia della persuasione, perché il compito dell’ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c’è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma, allorché il rifiuto abbia tali connotati, non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico».

[35] C. Casonato, Introduzione al biodiritto, Trento, 2006, 18 – 19, 199 – 213; C. Casonato, Biodiritto: il difficile rapporto tra scienza e legge, in Unitn., Anno XIII, no. 125, agosto – settembre 2011, da www.periodicounitn.unitn.it (accesso del 03 – 12 – 2015); F. Puzzo, Progresso bio – tecnologico, personalismo costituzionale e diritto alla vita, in Aa.Vv.,Costituzione, Economia, Globalizzazione, Napoli, 2013, 923 – 940.

[36] C. Casonato, La scienza come parametro interposto di costituzionalità , in Rivista AIC, 2016, 2, 6 ss. L’Autore, però, evidenzia che l’adesione ad siffatto orientamento innesca anche alcune riflessioni problematiche. In particolare, potrebbe risultare eccessivo far dipendere la discrezionalità politica del Parlamento, espressione della volontà popolare, da quanto riportato in riviste prestigiose governate dalla comunità scientifica, con conseguente vulnus del principio della separazione dei poteri e creazione di potenziali conflitti di interesse. Inoltre, la medicina non è scienza che si basa su elementi certi, fissi ed immutabili, con la conseguenza che potrebbe risultare piuttosto difficoltosa l’individuazione delle teorie scientifiche provviste di un grado di condivisione e consolidamento tali da renderne ragionevole l’utilizzo quale parametro costituzionale. Sicché occorre indicare «un rapporto di proporzionalità inversa tra discrezionalità politica del Parlamento e grado di condivisione sugli effetti di un particolare trattamento da parte della comunità scientifica di riferimento». Cfr. anche, G. D’Amico, Scienza e diritto nella prospettiva del giudice delle leggi, Messina, 2008; G. Gemma, Giurisprudenza costituzionale e scienza medica, in A. D’Aloia (a cura di),Bio-tecnologie e valori costituzionali. Atti del seminario di Parma svoltosi il 19 marzo 2004, Torino, 2005, 37, si esprime in termini di «giudizio di scientificità».

[37] S. Penasa, La “ragionevolezza scientifica” delle leggi nella giurisprudenza costituzionale, in Quad. cost., 2009, 4, 817 ss.; cfr. anche G. Vaccari, La sentenza n. 151/2009 della Corte costituzionale: sulla ragionevolezza scientifica di un intervento legislativo in materia di procreazione medicalmente assistita, in Studium Iuris, 11, 2009, 1175 ss.

[38] Sul punto, S. Rodotà, M. Tallacchini, Introduzione, in S. Rodotà, M. Tallacchini (a cura di),Ambito e fonti del biodiritto, Milano, 2010.

[39] F. Cortese, S. Penasa, Dalla bioetica al biodiritto: sulla giuridificazione di interessi scientificamente e tecnologicamente condizionati, in Rivista AIC, 2015, 4, 14. Per una riflessione che travalica i confini nazionali sul rilievo del sapere scientifico nella discrezionalità legislativa e giurisdizionale, S. Penasa, Le “scientific questions” nella dinamica tra discrezionalità giurisdizionale e legislativa. Uno studio comparato sul giudizio delle leggi scientificamente connotate nelle giurisdizioni nazionali, sovranazionale e internazionali, inBiolaw Journal, 1, 2016, 39 ss.

Alessandro De Santis

Giudice a latere presso la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere; Dottore di ricerca in Scienze filosofiche (curriculum bioetico)