Intercettazioni mediante il captatore informatico: slalom tra differenti regimi autorizzativi e tra norme vigenti e norme non ancora in vigore

1. Premessa. 2. Il captatore informatico: nozione e funzioni. 3. La sentenza delle Sezioni Unite n. 26889/2016 “Scurato”.4. Le riforme normative del 2017 e del 2018.5. Presupposti e regime autorizzatorio: discipline differenziate secondo la tipologia di delitto perseguito alla luce delle modifiche di cui al d. lgs. 216/2017 e alla l. 3/2019.6. L’intercettazione mediante captatore informatico in attesa dell’entrata in vigore delle modifiche compiute dal d. lgs. 216/2017.

1.  Premessa

L’impiego delle nuove tecnologie sia per commettere reati[1] sia come canale (principale) di comunicazione tra correi ha implementato l’esigenza da parte degli investigatori di poter ricorrere all’uso di strumenti tecnici in grado di captare il flusso comunicativo che si muove sulla rete internet e su piattaforme telematiche.

Come spesso accade, la realtà corre più veloce del diritto e del legislatore e così si sono creati vuoti di disciplina che sono stati colmati dalla giurisprudenza attraverso l’attività di interpretazione delle norme esistenti.

Così è accaduto in materia di intercettazioni mediante l’uso del captatore informatico: l’esigenza di rafforzare il contrasto alla criminalità è stata perseguita da parte degli inquirenti anche grazie al ricorso all’uso dimalwareinoculati su dispositivi elettronici ed informatici “bersaglio”. In assenza di una disciplina che contemplasse specificatamente l’impiego di captatori informatici quale modalità di intercettazione, gli operatori del diritto hanno applicato la normativa di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p.; tuttavia, la multifunzionalità di questovirusinformatico e la sua pervasività ha suscitato notevoli dubbi sulla sua compatibilità con il rispetto dei diritti inviolabili della persona, di cui agli artt. 14 e 15 Cost., nonché all’art. 8 CEDU; dubbi che hanno condotto la giurisprudenza a contrasti interpretativi sino alla pronuncia da parte delle Sezioni Unite nel 2016 della sentenza “Scurato” che ha ammesso la possibilità di far ricorso al captatore informatico per intercettare comunicazioni tra presenti solo nell’ambito dei procedimenti per delitti di criminalità organizzata.

Solo l’anno successivo il legislatore è intervenuto con il d. lgs. 216/2017, dettando una (prima) disciplina in punto di intercettazioni (ambientali) mediante captatore informatico; disciplina che, tuttavia, non è ancora vigente per effetto di proroghe che, ad oggi, ne hanno posticipato al 31 luglio 2019 l’entrata in vigore.

L’effetto delle modifiche normative compiute tramite il d.lgs. 216/2017 e, poi, la l. 3/2019 è stato quello di creare tre differenti regimi autorizzativi per l’impiego del captatore informatico in base alla tipologia di reato, distinguendo presupposti e oneri motivazionali per i delitti di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p., per quelli commessi dai pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione e, infine, per i delitti “comuni” diversi, cioè, da quelli appena citati.

Ma, a seguito delle citate novelle, la maggiore difficoltà per l’operatore del diritto che oggi decida di ricorrere all’impiego del captatore informatico per compiere intercettazioni è quella di individuare la disciplina applicabile, poiché le norme di cui al d. lgs. 216/2017 non sono ancora entrate in vigore, ma la l. 3/2019, che ha modificato i testi degli artt. 266 e 267 c.p.p. come emendati dal citato decreto legislativo, è già vigente dal 31 gennaio 2019.

2.   Il captatore informatico: nozione e funzioni.

Prima di esaminare nel dettaglio la disciplina normativa delle intercettazioni mediante uso del captatore informatico, è necessario comprendere cosa esso sia e quali potenzialità funzionali abbia. Secondo la definizione elaborata nel mondo informatico, il captatore informatico[2] è un software -ed in particolare modo un malware [3], cioè un virus– che, una volta entrato all’interno del dispositivo elettronico “infettato”, è in grado di svolgere una molteplicità di attività.

Può essere inoculato sia da remoto, mediante l’inoltro di un file (mail, sms, applicazione di aggiornamento, etc…), sia fisicamente, avendo nella materiale disponibilità l’apparecchio bersaglio, in modo comunque occulto. Esso si compone di due parti: una prima (server) che viene inviata nel dispositivotargeted una seconda parte (client) che permette di controllare da remoto il contenuto statico o dinamico del dispositivo infettato.

Una volta installato il malware su un qualunque apparecchio elettronico, esso può captare non solo il flusso in tempo reale di dati e/o conversazioni che transitano su di esso, ma anche i dati conservati nella memoria del dispositivo. Infatti, il virus consente di intercettare il traffico dati in entrata ed in uscita, di acquisire comunicazioni e conversazioni mediante applicativi (quali whatsapp[4], messenger, etc..), di attivare il microfono intercettando tutto quanto viene detto in presenza del dispositivo infettato, di azionare la webcam consentendo videoriprese, di perquisire l’hard disk reperendo informazioni e dati nella memoria del dispositivo e di farne copia, di decifrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera (funzione di “keylogger“), nonché di permettere la geolocalizzazione del soggetto che ha in mano l’apparato infettato[5] e, infine, di visualizzare tutto ciò che appare sullo schermo (screenshot).

Se nel panorama informatico è chiara la definizione di malware con funzioni captative e/o ispettive e/o di perquisizione, in ambito giuridico il legislatore -neppure quello delle recenti riforme del 2017 e del 2019- ha fornito una definizione di captatore informatico.

Tuttavia, per comprendere in punto di diritto a cosa ci si riferisca e quali funzioni del captatore sono consentite, occorre partire dall’esame letterale delle disposizioni normative. Il captatore informatico viene menzionato e disciplinato, dopo le modifiche apportate dal d. lgs. 216/2017, nell’alveo delle intercettazioni, quale strumento attraverso cui captare le conversazioni tra presenti; ecco, quindi, che un primo elemento importante è proprio questo: il legislatore ha considerato e disciplinato solo la funzione intercettativa (e non anche di ispezione e/o perquisizione[6]).

Come meglio si illustrerà a breve, dal tenore letterale delle norme di cui all’art. 266 co. II c.p.p. e all’art. 267 co. I c.p.p., come novellate dal citato decreto legislativo, si comprende che si è voluto disciplinare l’utilizzo del captatore nelle sole intercettazioni ambientali[7] tra presenti e solo nella forma uditiva[8].

Ma se così è, si può utilizzare il captatore informatico per intercettare telefonate che transitano via internet[9]? E ancora: è possibile utilizzarlo per intercettare chat mediante la funzione screenshot? A queste domande potrebbe, in prima battuta, rispondersi negativamente, in forza di due argomenti: in primo luogo, il dato letterale in maniera inequivoca prevede e disciplina il captatore informatico solo in ambito di intercettazioni ambientali; in secondo luogo, dal momento che si tratta di uno strumento particolarmente invasivo e pervasivo, in quanto, una volta inoculato, esso potrebbe potenzialmente svolgere una pluralità di funzioni (captative ma anche di ispezione/perquisizione), nell’intenzione del legislatore il suo impiego deve essere circoscritto e limitato ai soli casi espressamente disciplinati.

Tuttavia, un esame più approfondito delle norme deve condurre a dare risposta positiva ai quesiti sopra formulati; se, infatti, è consentito normativamente l’utilizzo del captatore per intercettare le comunicazioni tra presenti, a fortiori deve ritenersi ammessa l’intercettazione telefonica mediante tale strumento, non ponendosi neppure il problema dei luoghi di cui all’art. 614 c.p.. Come già anticipato, il captatore informatico può svolgere, anche contemporaneamente, una pluralità di funzioni (captazione/perquisizione/keylogger/screenshot) la cui cornice autorizzativa nella quale l’Autorità Giudiziaria ne consente l’utilizzo in base alla disciplina normativa relativa a ciascuna attività deve essere individuata dal singolo operatore, in relazione alla funzione specifica del malwareche si intende attivare[10]. In altri termini, l’aver disciplinato una sola funzione del captatore (cioè quella che consente da remoto l’attivazione del microfono per intercettare le comunicazioni tra presenti) non significa escludere la possibilità di impiegarlo con altre funzioni.

Ma, allora, perché dettare una disciplina del captatore informatico limitata alle intercettazioni di comunicazioni tra presenti? La motivazione va individuata, da un lato, nella poca conoscenza tecnica dello strumento in questione e, dall’altro, dalla volontà di circoscrivere proprio la funzione di attivazione del microfono perché, come affermato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza “Scurato”, “le caratteristiche tecniche dello strumento di intercettazione in argomento” qualificano giuridicamente l’attività di captazione alla stregua di “intercettazioni ambientali”[11].

E’ proprio la natura itinerante dell’intercettazione mediante captatore informatico, limitatamente alla sua funzione di “microfono”, ad aver creato in seno alla giurisprudenza di legittimità contrasti interpretativi risolti dalle Sezioni Unite nel 2016.

3.  La sentenza delle Sezioni Unite n. 26889/2016 “Scurato”.

In un panorama caratterizzato dall’assenza di una normativa ad hoc che disciplinasse l’impiego del captatore informatico nelle intercettazioni, alla luce della sua pervasività, una volta inoculato nel dispositivo elettronico portatile, il primo punto fermo nella individuazione dei confini del suo utilizzo è stato posto dalla sentenza emessa dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione n.  26889/2016 (ric. Scurato), chiamate a dirimere un contrasto interpretativo formatosi all’interno della Sesta Sezione.

Nei recenti anni, infatti, si erano creati due orientamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità: secondo la prima interpretazione, espressa nella sentenza “Musumeci” (Cass., Sez. VI, n. 27100 del 2015), “l’intercettazione di conversazioni tramite il c.d. agente intrusore, che consente la captazione “da remoto” delle conversazioni tra presenti mediante l’attivazione, attraverso il c.d. virus informatico, del microfono di un apparecchio telefonico smartphone, dà luogo ad un’intercettazione ambientale che può ritenersi legittima, ai sensi dell’art. 266, comma secondo, cod. proc. pen. in relazione all’art. 15 Cost., solo quando il decreto autorizzativo individui con precisione i luoghi in cui espletare l’attività captativa.“. Ciò che, secondo questa opzione ermeneutica, costituisce elemento imprescindibile per ritenere legale e utilizzabile le comunicazioni tra presenti intercettate mediante l’uso del captatore informatico è rappresentato dal riferimento all’ambiente: solo l’individuazione ab origine  dei luoghi (circoscritti) nel provvedimento di autorizzazione del GIP permette una piena tutela (ed una legittima compromissione) del diritto alla riservatezza delle comunicazioni di cui all’art. 15 Cost. e del diritto alla inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost.; invero, i Giudici della sentenza “Musumeci” hanno ritenuto che la mancata indicazione specifica dei luoghi in cui avviene la captazione non consentirebbe al giudice di poter conoscere il dove le comunicazioni captate si svolgono, soprattutto al fine di verificare il rispetto del disposto di cui all’art. 266 co. II c.p.p., qualora si acceda ad un luogo di privata dimora.

Le Sezioni Unite, invece, propendendo per il secondo orientamento interpretativo, dopo aver svolto un breveexcursussulle caratteristiche tecniche e di funzionamento del captatore informatico ed aver ripercorso le opzioni ermeneutiche formatesi, hanno affermato che “L’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l’installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico è consentita nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata per i quali trova applicazione la disciplina di cui all’art. 13 del D.L. n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto”, specificando altresì che “per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi quelli elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., nonché quelli comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato“.

L’approdo esegetico, espresso nei principi di diritto poc’anzi riportati, poggia su di un percorso argomentativo di carattere logico- deduttivo che si sviluppa nei seguenti passaggi:

–  l’intercettazione con captatore informatico è “sostanzialmente di natura ambientale” e “itinerante“, dando luogo alla captazione di tutte le conversazioni tra presenti che si verificano in pluralità di luoghi in cui la persona -che porta con sé il dispositivo infettato- si reca;

–  la normativa di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p. non richiede l’indicazione (precisa) del luogo in cui avvengono le intercettazioni quale elemento indispensabile per l’autorizzazione, salvo il caso in cui esse debbano compiersi in un luogo di privata dimora: solo in questa ipotesi l’art. 266 co. II c.p.p. impone al Giudice procedente un obbligo di precisazione, nel decreto di autorizzazione, del luogo in cui dovrà avvenire la captazione, corredato da un onere motivazionale in punto di attualità dello svolgimento in quella dimora dell’attività criminosa;

–  proprio la caratteristica tecnica di questa modalità di intercettazione di dar luogo alla captazione di conversazioni tra presenti in ogni luogo in cui il bersaglio si reca -e, quindi, anche in una pluralità di luoghi di privata dimora- rende di fatto impossibile per il Giudice non solo predeterminare nel provvedimento autorizzativo tutti i luoghi in cui potrà essere attivato il microfono, ma anche controllare che venga rispettato il disposto di cui all’art. 266 co. II c.p.p., rischiando di dover emettere così una autorizzazione “al buio“;

–  tuttavia, poiché l’art. 13 d. l. 152/1991 convertito, con modifiche, dalla l. 203/1991, derogando alla normativa generale di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p., consente nell’ambito dei delitti di criminalità organizzata che l’intercettazione ambientale possa essere disposta nei luoghi di privata dimora anche se non sussiste il fondato motivo di ritenere che in essi si stia svolgendo l’attività criminosa, nel decreto autorizzativo l’indicazione precisa del luogo in cui deve avvenire l’intercettazione anche mediante uso del captatore informatico è irrilevante, perdendo di fondamento la distinzione tra luogo di privata dimora e luogo non di privata dimora. Quando, quindi, si procede per un delitto di criminalità organizzata è “sufficiente che il decreto autorizzativo indichi il destinatario della captazione e la tipologia di ambienti dove essa va eseguita, risultando utilizzabile l’intercettazione anche qualora venga effettuata in un altro luogo rientrante nella medesima categoria“.

Questa disciplina, così come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite, risulta compatibile con la normativa sovranazionale ed in particolare con la CEDU: la Corte di Strasburgo[12] ha, infatti, avuto modo di affermare che in materia di intercettazioni la normativa interna di uno Stato contraente è conforme all’art. 8 della Convenzione a condizione -necessaria e sufficiente- che sia indicato in maniera chiara il destinatario dell’intercettazione.

Se la sentenza Scurato ha indubbiamente il pregio di aver previsto la possibilità di ricorrere al captatore informatico “senza limiti” nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata -intesi in senso ampio-, tuttavia le Sezioni Unite, non confrontandosi appieno con le concrete tecniche operative del malware e mosse dal timore (recondito) che il suo impiego da parte degli operatori possa sfuggire al controllo del Giudice, ne hanno azzerato l’utilizzo nei delitti diversi da quelli di criminalità organizzata. Se, infatti, una volta inoculato il virus nel sistema elettronico target, l’operatore può attivare e disattivare da remoto il microfono in plurime occasioni, esso ben può essere utilizzato per intercettare comunicazioni tra presenti quando l’apparato risulta in luoghi diversi dalle private dimore mediante il ricorso alla funzione di geolocalizzazione ovvero mediante ilpositioning, disattivando così il microfono quando il bersaglio si reca in luoghi di privata dimora[13]. A ciò deve aggiungersi che il timore del Giudice di non poter controllare ex post il rispetto del proprio decreto autorizzativo non trova alcun fondamento, poiché egli potrà controllare il rispetto delle proprio disposizioni attraverso i verbali, redatti da Pubblici Ufficiali di Polizia Giudiziaria e nei quali vengono annotate le accensioni e gli spegnimenti del microfono sul dispositivo, compiute anche in base alla localizzazione del target.

4.  Le riforme normative del 2017 e del 2018 

Il primo intervento normativo in materia si ha nel 2017 quando il legislatore con il d. lgs. 216/2017 interviene nel dettare una disciplina per l’impiego del captatore informatico quale strumento di intercettazione di comunicazioni tra presenti; disciplina che, ad una lettura non attenta, potrebbe apparire meramente recettizia dei principi espressi nella sentenza delle Sezioni Unite n. 26889/2016, ma che in realtà se ne discosta, come si illustrerà nel proseguo della trattazione.

L’art. 4 del citato decreto legislativo, modificando l’art. 266 co. II c.p.p., ha previsto la possibilità di utilizzare il captatore informatico, installandolo su apparecchi elettronici portatili, per intercettare le comunicazioni tra presenti, quando si procede per uno dei delitti indicati nel co. I della citata disposizione codicistica.

Da ciò emerge un primo dato: il captatore informatico, per la sua natura pervasiva e itinerante, è stato disciplinato quale modalità di intercettazione ambientale (e non anche semplicemente telefonica) e la sua inoculazione è stata limitata agli apparati elettronici portatili (con esclusione, quindi, a titolo esemplificativo, di pc fissi).

Inoltre, recependo il principio espresso dalle Sezioni Unite, si è stabilito all’art. 266 co. II bis c.p.p. che solo nei reati di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p.[14] è “sempre consentita” l’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di un captatore informatico su dispositivo elettronico portatile. Il ricorso all’avverbio “sempre” induce a ritenere che, nonostante nel co. II art. 266 c.p.p. non siano state indicate limitazioni all’uso del captatore informatico nei procedimenti per delitti diversi da quelli di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p., tuttavia, esse sussistano: proprio la natura “itinerante” delle intercettazioni mediante captatore informatico, alla luce di quanto affermato dalle Sezioni Unite, rende il riferimento al luogo irrilevante solo nei delitti di criminalità organizzata, mentre nei delitti diversi da quelli di criminalità organizzata l’intercettazione ambientale con captatore è ammessa solo quando è consentita nei luoghi di privata dimora ai sensi dell’art. 266 co. II c.p.p.. Analogamente alla disciplina dettata per i delitti diversi da quelli di criminalità organizzata vi era quella di cui all’art. 6 co. II d. lgs. 216/2017 -oggi abrogato per effetto della l. 3/2019- che prevedeva che nei procedimenti per delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni l’intercettazione ambientale mediante captatore non potesse essere eseguita nei luoghi di privata dimora quando non vi era motivo di ritenere che ivi si stesse svolgendo l’attività criminosa[15].

Il d. lgs. 216/2017 con il citato art. 4 ha modificato altresì il contenuto del decreto autorizzativo di cui all’art. 267 c.p.p., prevedendo che, indifferentemente dalla tipologia di delitto per il quale si procede, il giudice debba indicare -oltre ai gravi indizi di reato ed alla indispensabilità dello stesso per la prosecuzione delle indagini[16]-  anche le “ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini“. Certamente, il porre in relazione la necessità allo svolgimento delle indagini e non alla sua prosecuzione, induce a ritenere che sia soddisfatto l’onere motivazionale indicando semplicemente il perché si ritenga maggiormente conveniente (e proficuo) il ricorso al captatore informatico per intercettare le conversazioni tra presenti.

Proprio con riferimento al contenuto del decreto autorizzatorio si accentua maggiormente la differenza di disciplina in punto di impiego del captatore informatico nei procedimenti per delitti comuni rispetto a quelli in materia di delitti di criminalità organizzata. Si è, infatti, previsto che solo per i delitti comuni diversi da quelli di criminalità organizzata il Giudice è tenuto ad indicare altresì il tempo e i luoghi, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono (art. 267 co. I c.p.p.), mentre solo quando si procede per delitti di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p. è consentito al P.M. disporre l’intercettazione in via d’urgenza mediante uso del captatore informatico.

Infine, va rilevato che il Governo nel citato decreto legislativo è intervenuto anche nel prevedere la necessità di utilizzare solo malware dotati di criteri di conformità stabiliti con normativa secondaria:  l’art. 5, introducendo il comma II bis nel corpus dell’art. 89 disp. att. c.p.p., ha previsto che possano essere “impiegati soltanto programmi conformi ai requisiti tecnici stabiliti con Decreti del Ministro della Giustizia“. Questa disposizione ha trovato la sua specificazione nel D.M. emesso dal Ministero della Giustizia in data 20 aprile 2018 che all’art. 4 ha dettato i requisiti tecnici che devono avere i captatori informatici; tra questi assume, in particolar modo, rilevanza quello indicato al comma III lett. b) in forza del quale i sistemi di sicurezza di cui devono essere dotati i captatori informatici devono prevedere “misure idonee ad assicurare la permanenza e l’efficacia del captatore sul dispositivo durante tutto il periodo di attività autorizzata e con i limiti previsti dal decreto autorizzativo, in modo da garantire il completo controllo da remoto“.

A questo primo intervento normativo ne è seguito un altro, apportato con la l. 3/2019 (c.d. Spazzacorrotti), la quale, al fine di rafforzare gli strumenti investigativi per contrastare i più gravi reati contro la pubblica amministrazione, ha modificato le norme del c.p.p. relative alle intercettazioni. In particolare, la l. 3/2019 ha inserito nell’art. 266 co. II bis c.p.p. anche i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, prevedendo per essi, al pari di quelli di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p., la possibilità di ricorreresempreall’uso del captatore informatico per effettuare le intercettazioni di comunicazioni tra presenti. Ha, inoltre, stabilito che quando si procede per tali reati in materia di pubblica amministrazione il Giudice nel decreto autorizzativo deve indicare il tempo ed i luoghi in cui è consentita l’intercettazione mediante captatore informatico. Infine, ha abrogato il comma II dell’art. 6 d. lgs. 216/2017 che nei procedimenti per delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione limitava la possibilità di disporre le intercettazioni ambientali nei luoghi di privata dimora solo se vi era motivo di ritenere che ivi si stesse svolgendo l’attività criminosa.

Se, questo, in sintesi è il percorso normativo che si è succeduto negli ultimi due anni, occorre esaminare ora più approfonditamente le discipline che ne sono uscite; discipline differenziate tra loro in relazione all’ipotesi accusatoria oggetto di investigazione.

5.  Presupposti e regime autorizzatorio: discipline differenziate secondo la tipologia di delitto perseguito alla luce delle modifiche di cui al d. lgs. 216/2017 e alla l. 3/2019.

Un esame approfondito della disciplina attualmente contenuta nelle norme di riferimento, codicistiche ed extracodicistiche, in materia di intercettazioni ambientali mediante impiego del captatore informatico installato nei dispositivi elettronici portatili consente di affermare che il legislatore, attraverso le novelle legislative, ha creato tre differenti regimi autorizzativi, differenziando i presupposti, nonché il contenuto del provvedimento autorizzatorio in relazione alla tipologia di reato per il quale si procede.

Il primo regime è quello concernente i procedimenti per reati comuni, nei quali sono ricompresi i delitti diversi da quelli di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p. e da quelli commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

Si tratta di una categoria residuale per la quale è prevista una disciplina generale: quando si procede per tali delitti che rientrano nell’elenco di cui al comma I art. 266 c.p.p. l’intercettazione delle comunicazioni tra presenti mediante l’uso del captatore è consentita in presenza di gravi indizi di reato e qualora sia assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini; tuttavia, quando deve svolgersi in un luogo di privata dimora, il suo impiego è subordinato alla condizione per la quale si deve fondatamente ritenere che ivi si stia svolgendo l’azione criminosa (art. 266 co. II c.p.p.). In questi casi il Giudice, nel decreto con il quale autorizza l’intercettazione con tale modalità, dovrà indicare il tempo ed i luoghi, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono (art. 267 co. I c.p.p.), oltre alla necessità del captatore informatico per lo svolgimento delle indagini -condizione, questa che, come si è poc’anzi visto, è comune a tutti i procedimenti penali, indipendentemente dal tipo di delitto per il quale si procede-. Infine, quando si procede per un delitto comune di cui all’art. 266 co. I c.p.p. il Pubblico Ministero non può disporre l’intercettazione ambientale mediante captatore informatico in via d’urgenza (art. 267 co. II bis c.p.p.).

Il problema che si pone con riferimento all’impiego del captatore informatico nei procedimenti per delitti comuni è certamente costituito dalla conciliabilità con le limitazioni indicate dal legislatore e la natura “itinerante” dello strumento captativo in questione; natura che aveva condotto le Sezioni Unite del 2016 ad escludere -quanto meno fattualmente- la possibilità che in questi procedimenti il malware potesse essere inoculato per intercettare le comunicazioni tra presenti. Il legislatore del 2017, probabilmente maggiormente consapevole del funzionamento del virus inoculato, ha ritenuto di non escluderne completamente la possibilità di utilizzo, ma di sottoporlo ad una attenta verifica ex ante da parte del giudice con indicazione di tempo e luoghi, nonché ex post mediante la registrazione di tutte le attività di accensione e spegnimento del microfono nel verbale delle operazioni di cui all’art. 268 c.p.p.[17]. Qualora, invece, la captazione debba avvenire nei luoghi di privata dimora, opererà la norma di cui all’art. 266 co. II c.p.p., a condizione che si abbia fondato motivo di ritenere che in quei luoghi si stia svolgendo l’attività criminosa.

Accanto alla disciplina generale, si affianca una prima normativa speciale per i procedimenti per delitti di criminalità organizzata.

Il primo problema che si pone è l’individuazione dell’ambito operativo di siffatta disciplina: secondo il dato letterale dell’art. 266 co. II bis c.p.p., introdotto dall’art. 4 d. lgs. 216/2017, l’intercettazione mediante captatore informatico è sempre consentita nei delitti di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p.; a differenza dell’orientamento giurisprudenziale consolidatosi e ribadito dalle Sezioni Unite, quindi, non vi rientrano tutti i delitti di criminalità organizzata intesi in senso ampio, ai quali, però, si applica la disciplina di cui all’art. 13 d. l. 152/1991. Siffatta limitazione non solo risulta non giustificata, ma appare altresì irrazionale se si pensa che tutti i delitti di criminalità organizzata, così come interpretati dalla giurisprudenza, beneficiano, appunto, del regime derogatorio dell’art. 13 del citato decreto legge in materia di intercettazione. Combinando, quindi, la norma di cui all’art. 266 c.p.p. e quella di cui all’art. 13 d. l. 152/1991, risulta che nei procedimenti per i reati di cui all’art. 51 co. III bis e III quater c.p.p. l’intercettazione ambientale con captatore informatico può essere autorizzata in presenza di sufficienti indizi di reato, quando essa è necessaria per lo svolgimento delle indagini, anche nei luoghi di privata dimora e anche se non si ha motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.

Inoltre, la durata delle intercettazioni è pari a quaranta giorni, prorogabile per periodi successivi di venti giorni, anche in via d’urgenza da parte del Pubblico Ministero.

Trovano poi applicazione ulteriori singole disposizioni che, in alcuni casi, sono riferite alle intercettazioni senza distinzione di reato e che, in altri, si riferiscono solo a quelle per i delitti di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p. per espressa previsione normativa: nella prima categoria vi rientra l’obbligo di cui all’art. 267 co. I c.p.p. (come modificato dall’art. 4 d. lgs. 216/2017) di motivare specificatamente da parte del Giudice nel decreto autorizzativo anche in relazione alla necessità dell’utilizzo del captatore per lo svolgimento delle indagini[18]. Nella seconda categoria vi rientra, invece, la possibilità per il P.M. di disporre l’intercettazione ambientale mediante captatore informatico in via d’urgenza solo nei reati di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p., motivando non solo in punto di grave pregiudizio alle indagini derivante dal ritardo, ma anche di impossibilità di attendere il decreto autorizzativo del giudice (art. 267 co. II c.p.p.), specificando le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del Giudice (art. 267 co. II bis c.p.p.). Certamente, non vi è chi non noti che la valutazione in punto di urgenza di cui al comma II bis è pleonastica ed ultronea rispetto a quella, generale, contenuta nel comma II in cui l’urgenza si pone già in relazione al grave pregiudizio per le indagini derivante dal ritardo.

Se, tuttavia, si volesse attribuire un significato alla locuzione, nell’ottica di una interpretazione non abrogatrice della stessa, come dovrebbe essere interpretata? Per “grave pregiudizio alle indagini derivante dal ritardo” dovrebbe intendersi l’elevata probabilità di dispersione del dato investigativo fondamentale per le indagini, mentre “impossibilità di attendere il provvedimento del giudice” significherebbe certezza della perdita irrimediabile dell’elemento investigativo decisivo? Probabilmente, il legislatore ha solo voluto utilizzare perifrasi di rafforzamento di un concetto già espresso al comma II dell’art. 266 c.p.p., sottolineando che il grave pregiudizio deve accompagnarsi, in questo caso, alla impossibilità (anche materiale) di ottenere un decreto immediato di intercettazione da parte del Giudice: locuzioni che, pur fortificandosi tra loro, in realtà mantengono la loro valenza pleonastica.

Infine, vi è un tertium genus di disciplina, dettata per i reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione: esso rappresenta una amalgama di regole generali, derogate da regole speciali a loro volta, in alcuni casi, ulteriormente derogate da altre norme: il prodotto è una normativa “ad ostacoli”.

Proprio per questa tipologia di reati sia il d. lgs. 216/2017 sia la l. 3/2019 sono intervenute per estendere e, contestualmente, limitare l’impiego del captatore informatico quale modalità di intercettazione ambientale.

Il primo problema che si pone è stabilire l’ambito di operatività della disciplina derogatrice che si andrà a breve a descrivere; in altri termini, è necessario comprendere a quali delitti il legislatore si riferisca. L’art. 6 d.lgs. 216/2017 al comma I ha previsto che si applichi in materia di intercettazioni la disciplina di cui all’art. 13 d. l. 152/1991 per i delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con una pena non inferiore nel massimo ad anni cinque di reclusione. Il primo criterio ermeneutico è certamente quello letterale il quale non può che condurre a ritenere che il riferimento sia ai soli delitti contenuti nel capo I del titolo II del libro II del c.p., rubricato dei “delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”, dovendo escludersi, quindi, i delitti commessi dai privati contro la pubblica amministrazione. Tuttavia, secondo alcuni interpreti la relazione accompagnatoria al d. lgs. 216/2017, illustrando come, attraverso l’art. 6 del citato d. lgs., si sia voluto semplificare l’accesso alle intercettazioni “nei casi già previsti dalla legge- art. 266 co. I lett. b) c.p.p.- […]“, ha in realtà manifestato la volontà del legislatore di applicare la disciplina di cui all’art. 13 d. l. 152/1991 a tutti i reati contro la pubblica amministrazione, poiché l’art. 266 lett. b) c.p.p. consente di ricorrere allo strumento di intercettazione in tutti i delitti contro la pubblica amministrazione il cui massimo edittale sia non inferiore a cinque anni di reclusione. La questione non è di poco conto se si considera che uno dei reati-spia di delitti ben più gravi in materia di pubblica amministrazione è quello di cui all’art. 353 c.p. ovvero quello di cui all’art. 353 bis c.p. e che, essendo inseriti nel capo II dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione, potrebbero essere esclusi dall’ambito di cui all’art. 13 d.l. 152/1991, nonchè, come si dirà a breve, anche dalla possibilità di ricorrere al captatore informatico quale modalità di intercettazione ambientale, soggiacendo piuttosto alla disciplina generale di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p.. Se, quindi, l’esito interpretativo del criterio letterale contrasta con la ratio legis, deve indubbiamente prevalere il primo e, quindi, ritenersi che la disciplina speciale di cui all’art. 13 d. l. 152/1991 sia applicabile ai soli delitti di cui agli artt. 314-335 bis c.p. puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Tale opzione ermeneutica poggia, altresì, su una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che, nei casi in cui sono compressi i diritti inviolabili della persona, la normativa deve essere interpretata in senso restrittivo, soprattutto quando il dato letterale è chiaro, senza necessità di ricorrere al criterio (sussidiario) della intenzione del legislatore.

Entrando nella descrizione della disciplina, la norma principale in materia di intercettazioni nei procedimenti per delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione con pena edittale massima non inferiore a cinque anni di reclusione è costituita dall’art. 6 d. lgs. 216/2017 che si compone di due commi: nel primo è contenuto il rinvio all’art. 13 d. l. 152/1991 con conseguente applicazione per tali reati del regime speciale per le intercettazioni (sufficienti indizi di reato, necessità dello strumento di captazione in relazione allo svolgimento delle indagini e possibilità di intercettare le comunicazioni tra presenti nei luoghi di privata dimora anche se non vi sia motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa); il secondo comma, invece, prevede(va) che l’intercettazione ambientale mediante captatore informatico non possa avvenire nei luoghi di privata dimora se non vi è motivo di ritenere che in esso si stai svolgendo l’attività criminosa. In altri termini, il comma II dell’art. 6 del citato d. lgs., derogando alla normativa speciale, stabilisce l’assoggettamento alla disciplina generale di cui all’art. 266 co. II c.p.p. quando l’intercettazione ambientale mediante captatore informatico debba avvenire nei luoghi di privata dimora.

A ciò si sono recentemente affiancate le disposizioni introdotte dalla l. 3/2019 che hanno complicato il panorama normativo, soprattutto per le intersezioni di norme modificate (ma non ancora vigenti) con norme vigenti ma che non hanno alcun senso senza la parte non in vigore, come si dirà nel paragrafo seguente.

Invero, la l. 3/2019 ha introdotto alcune rilevanti modifiche: in primo luogo, ha abrogato il comma II dell’art. 6 d. lgs. 216/2017, eliminando il requisito dello svolgimento in atto dell’attività criminosa nei luoghi di privata dimora, applicandosiin totola norma di cui all’art. 13 d.l. 152/1991; ha, poi, modificato l’art. 266 co. II bis c.p.p. prevedendo che, analogamente ai procedimenti per i delitti di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p., l’intercettazione ambientale mediante captatore informatico sia sempre consentita.

Così disponendo, il legislatore sembrerebbe aver unificato il regime autorizzativo delle intercettazioni con captatore informatico nei procedimenti di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p. e quello nell’ambito dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. In realtà, le modifiche che sono state apportate dalla l. 3/2019 all’art. 267 c.p.p. consentono di affermare che il legislatore ha voluto creare una terza disciplina, peculiare e non completamente sovrapponibile a quella dei delitti di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p.: infatti, a differenza di questi ultimi e analogamente ai procedimenti per delitti comuni, il decreto con cui il Giudice autorizza l’intercettazione ambientale mediante captatore informatico deve indicare i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono (art. 267 co. I c.p.p.). Siffatta disposizione sembra perdere la propria funzione delimitativa poiché, alla luce della modifica apportata all’art. 266 co. II c.p.p. ed a seguito dell’abrogazione del comma II dell’art. 6 d. lgs. 216/2017, il luogo in cui avviene l’intercettazione ambientale non ha alcuna irrilevanza, essendo sempre consentita e non essendo necessario che nei luoghi di privata dimora si stia svolgendo l’attività criminosa. Inoltre, analogamente alla disciplina per i delitti comuni, il P.M. non può disporre in via d’urgenza l’intercettazione mediante captatore informatico (art. 267 co. II bis c.p.p.): di una tale differenziazione sfugge, in realtà, quale sia la ragione, se non (probabilmente) la volontà di evitare che sia il Pubblico Ministero, senza la previa autorizzazione del Giudice, a determinare i luoghi e i tempi in cui attivare il microfono per la captazione.

6.  L’intercettazione mediante captatore informatico in attesa dell’entrata in vigore delle modifiche compiute dal d. lgs. 216/2017.

Se quella appena descritta sembra essere attualmente la disciplina in materia di intercettazioni ambientali mediante uso del captatore informatico, così non è: non è così -se non in parte- la disciplina che un operatore del diritto deve applicare per effettuare delle intercettazioni legittime, poiché l’art. 4 d. lgs. 216/2017 ha modificato, sì, le norme di cui agli artt. 266 e 267 c.p.p., ma tali disposizioni non sono ancora entrate in vigore.

La vigenza delle modifiche contenute nell’art. 4 d. lgs. 216/2017, fissata in un primo momento dall’art. 9 al centottantesimo giorno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è stata posticipata, prima, con il d.l. 91/2018 al 31 marzo 2019 e, poi, successivamente, con l’art. 1 co. 1139 l. 145/2018 al 31 luglio 2019.

Sembrerebbe, quindi, che in assenza della vigenza delle norme di cui agli artt. 266 e 267 c.p.p., come modificate dal d. lgs. 216/2017, la disciplina applicabile sia quella pre-riforma 2017 alla luce dei principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza Scurato del 2016.

Tuttavia, così non è: la l. 3/2019, che è entrata in vigore in data 31 gennaio 2019, è intervenuta ad apportare modifiche sia alle norme del c.p.p. sia all’art. 6 co. II d. lgs. 216/2017.

Se si leggono le sole norme di cui agli artt. 266 e 267 c.p.p. attualmente vigenti si può ben vedere che le locuzioni introdotte dalla l. 3/2019 perdono di significato e non hanno alcuna valenza perché norme attualmente vigenti sono state inserite in norme non ancora vigenti.

Si potrebbe pensare che, nonostante le norme modificate dal d. lgs. 216/2017 non siano ancora in vigore, tuttavia esse possano svolgere la funzione di “norme di principio”, poiché comunque già inserite nel testo codicistico; in realtà, non può sostenersi ciò perché non sono stati affermati principi, ma solo delle regole e le regole valgono solo nel momento della loro vigenza.

Ciò che, invece, ha determinato una modifica immediata della precedente disciplina è quella derivante dall’abrogazione del comma II dell’art. 6 d. lgs. 216/2017 per effetto della quale nei procedimenti per i delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni si applica l’art. 13 d.l. 152/1991 e l’intercettazione ambientale mediante captatore informatico in luoghi di privata dimora non soggiace più alla limitazione di cui al comma II dell’art. 6 d. lgs. 216/2017.

Ma, quindi, quale è attualmente la normativa applicabile qualora si volesse ricorrere alle intercettazioni di comunicazioni tra presenti mediante captatore informatico?

La disciplina è costituita dagli artt. 266 e 267 c.p.p. nella versione attualmente vigente, cioè non modificata dall’art. 4 d. l. 216/2017, nonché dalle norme di cui alla l. 3/2019, unitamente ai principi di diritto fissati dalle Sezioni Unite nella sentenza Scurato del 2016.

Cercando, quindi, di esaminare il regime autorizzativo delle intercettazioni ambientali mediante uso del captatore informatico e mantenendo per comodità espositiva la distinzione tra reati comuni, reati di criminalità organizzata e reati contro la pubblica amministrazione, lo stato attuale dell’arte può così essere descritto.

Nell’ambito dei procedimenti per delitti “comuni”, che non ricadono in quelli di criminalità organizzata né in quelli commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, valgono le affermazioni di principio contenute nella parte motiva della sentenza a Sezioni Unite n. 26889/2016: le caratteristiche tecniche del captatore informatico che lo rendono una modalità di intercettazione (sempre) ambientale “itinerante” e che, in punto di operatività, rendono impossibile al Giudice sia in fase autorizzativa sia in fase di controllo il verificare la ricorrenza del presupposto di cui all’art. 266 co. II c.p.p. in tutti i luoghi di privata dimora in cui si reca il bersaglio, conducono ad escludere che possa essere impiegato il captatore informatico quale modalità di intercettazione ambientale.

Diversamente deve affermarsi per i delitti di criminalità organizzata per i quali, nella vigenza dell’art. 13 d. l. 152/1191, non è rilevante la natura privata o pubblica del luogo in cui possono essere intercettate le comunicazioni tra presenti e quindi nei procedimenti per tali delitti è sempre consentito l’impiego del captatore informatico. Per esso il regime autorizzativo sarà semplicemente subordinato alla presenza di sufficienti indizi di reato e alla necessità del suo utilizzo per lo svolgimento delle indagini. Su questo secondo presupposto giova precisare che in questa fase di “transizione”, in assenza della vigenza delle norme di cui agli artt. 266 e 267 c.p.p. come modificate dal d. lgs. 216/2017, non è richiesto al Giudice un ulteriore onere motivazionale in ordine alla necessità dell’adozione dello strumento del captatore informatico quale modalità di intercettazione, ma sarà sufficiente la motivazione in punto di necessità dell’intercettazionetout court.

In relazione ai delitti di criminalità organizzata è, poi, utile sottolineare un altro aspetto tutt’altro che secondario: se, come già detto, in questo momento storico, l’operatore del diritto che voglia ricorrere alle intercettazioni ambientali mediante captatore informatico, deve fare applicazione delle norme di cui agli artt. 266 e 267 c.p.p., nonché della disciplina derogatrice di cui all’art. 13 d.l. 152/1991, alla luce dei principi espressi nella citata sentenza delle Sezioni Unite, l’intercettazione ambientale con captatore informatico è sempre possibile nei delitti di criminalità organizzata che non sono solo quelli di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p., ma anche quelli facenti capo ad una associazione di cui all’art. 416 c.p. finalizzata a commettere le attività criminose più diverse, con esclusione del mero concorso di persone nel reato. Questo è un importante punto di distinguo della disciplina attualmente vigente con quella che, salvo ulteriori modifiche, entrerà in vigore dal 31 luglio 2019. L’importanza pratica si può ben comprendere alla luce di un esempio chiarificatore: nel quadro attuale di vigenza parziale delle norme si può procedere ad intercettazione mediante captatore informatico quando si indaga per un delitto di cui all’art. 416 c.p. finalizzato alla commissione dei delitti di furti e/o rapine, mentre con la disciplina che entrerà in vigore da agosto 2019 ciò non sarà consentito, poiché tali reati non rientrano in quelli indicati all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p..

Venendo, infine, alla disciplina al momento vigente che l’operatore del diritto deve applicare qualora voglia procedere ad intercettare mediante uso del captatore informatico nell’ambito di un procedimento per delitto commesso da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, la norma cardine di riferimento è l’art. 6 d. lgs. 216/2017 come modificato da l. 3/2019: l’intercettazione in questi casi può essere autorizzata qualora vi siano solo sufficienti indizi di reato ed essa sia necessaria per lo svolgimento delle indagini. La captazione di comunicazioni tra presenti in luoghi di privata dimora, per effetto dell’abrogazione del comma II dell’art. 6 d. lgs. 216/2017 per opera della l. 3/2019, in questi procedimenti può avvenire anche se non vi sia motivo di ritenere che in essi si stia svolgendo l’attività criminosa. Se, quindi, anche per le intercettazioni ambientali nei procedimenti per tali reati è divenuto irrilevante il luogo -analogamente a quanto previsto dalla norma di cui all’art. 13 d. l. 152/1991- può applicarsi il principio espresso dalle Sezioni Unite nel 2016 secondo cui “è consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti -mediante l’installazione di un captatore informatico in dispositivi elettronici portatili- anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa.“[19]. E, inoltre, nell’attesa dell’entrata in vigore delle norme di cui agli artt. 266 e 267 c.p.p., così come modificate dal d. lgs. 216/2017, in questi procedimenti il Giudice non dovrà neppure, allo stato, indicare tempo e luoghi, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono.

Laura Brunelli


[1] Si pensi, a tal proposito, non solo ai reati di cui agli artt. 615 ter e ss. c.p.p., ma anche a tutti i reati comuni commessi mediante l’utilizzo di internet, come ad esempio il delitto di riciclaggio mediante bit-coin ovvero la cessione di sostanze stupefacenti nel “deep web”.

[2] E’ opportuno precisare che il termine captatore informatico ovvero quello di agente intrusore sono locuzioni coniate dalla giurisprudenza di legittimità che ha affrontato i primi casi di intercettazione mediante l’utilizzo di malware; a tal riguardo cfr., rispettivamente, Cass., Sez. V 16556/2009 e Cass., Sez. VI, 27100/2015.

[3] Nel genus malware si colloca la species del Trojan Horse, la cui caratteristica, rispetto ad altri tipi dimalware, è quella di non diffondersi autonomamente, dovendo invece il programma malevolo essere scaricato dall’utente che ha un ruolo attivo nella propagazione dello stesso.

[4] Allo stato attuale risulta complicato, in ragione di difficoltà tecniche, la captazione in tempo reale delle comunicazioni che avvengono tramite l’applicativo whatsapp: così A. Giarda e G. Spangher (a cura di),Codice di Procedura Penale-Tomo I, sub art. 266, IPOSA, 2017, p. 2612. Tuttavia, va rilevato che nonostante whatsapp usi la crittografia end-to-end è possibile inserire un “key escrow“, inoculandolo in modo nascosto ed inserendo così nella conversazione tra due soggetti un terzo “lettore” estraneo ai soggetti che chattano. Va altresì precisato che le conversazioni whatsapp possono essere intercettate attraverso la funzione screenshot che crea dei fotogrammi di quanto il lettore, che ha in mano il dispositivo infattato, visualizza sullo schermo del dispositivo stesso.

[5] L. Palmieri, La nuova disciplina del captatore informatico, in www.dirittopenalecontemporaneo.it .

[6] Invero, svolgendo una molteplicità di funzioni, l’impiego del captatore informatico soggiace a diverse discipline: se esso viene utilizzato per intercettare flussi di comunicazioni in tempo reale, dovrà soggiacere al regime autorizzativo di cui agli artt. 266 e ss. c.p.p., mentre, qualora se ne faccia un uso con finalità di reperimento di dati e/i informazioni presenti nella memoria dell’apparato elettronico, allora dovranno essere applicate le forme e le garanzie difensive di cui agli artt. 247 e ss. c.p.p.. La criticità maggiore risiede nella difficoltà di predeterminare sin dall’inizio la funzione del malware, potendo quest’ultimo, una volta iniettato svolgere anche tutte insieme e contemporaneamente le proprie funzioni.

[7] L’art. 266 co. II c.p.p. stabilisce che è sempre consentita nei reati di cui all’art. 51 co. III bis e III quater c.p.p. l’intercettazione delle comunicazioni tra presenti mediante il captatore informatico.

[8] L’art. 267 co. I c.p.p. prevede, infatti, che il Giudice nell’emettere il provvedimento autorizzativo deve indicare il tempo e i luoghi in relazione ai quali è consentita “l’attivazione del microfono”, escludendo la possibilità che attraverso il captatore informatico vengano compiute ambientali audio-video.

[9]Emblematiche a tal riguardo sono le chiamate che avvengono tramite Voice On IP (VOIP) tra cui, le principali, sono Whatsapp e Skype che avvengono tramite rete internet. Per tale ragioni si potrebbe, in realtà, sostenere che queste forme di captazione debbano essere ricondotte nell’alveo delle intercettazioni di cui all’art. 266 bis c.p.p., piuttosto che in quelle di cui all’art. 266 c.p.p.. La questione non è di poca importanza poiché l’art. 266 bis c.p.p. estende la possibilità di intercettare flussi telematici ed informatici (e quindi anche chat e/o chiamate vocali tramite internet) ai delitti commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche, che non rientrano nel catalogo di cui all’art. 266 co. I c.p.p..

[10] Così, a titolo esemplificativo, se si volesse inoculare il malware per effettuare una perquisizione informatica dei files contenuti nel dispositivo elettronico, si deve operare con le forme e le garanzie di cui all’art. 247 co. I bis c.p.p..

[11] Così Sezioni Unite Penali 26889/2016 (Scurato).

[12] Cfr. Sentenza Corte EDU, Grande Camera, del 04.12.2015 nella causa Zakharof vs Russia nella quale sono stati indicati i requisiti minimi che la normativa nazionale deve prevedere in materia di intercettazioni al fine di ritenerla compatibile con la Convenzione EDU.

[13] In termini analoghi cfr. CAJANI, Odissea del captatore informatico, in Cass. Pen., 11, 2016, pp. 4140 e ss., il quale, tuttavia, trae dalle argomentazioni svolte dalle Sezioni Unite la conclusione che nei procedimenti per delitti diversi da quelli di criminalità organizzata sono legittime le intercettazioni delle comunicazioni tra presenti mediante trojan disposte in luoghi rientranti nella previsione di cui all’art. 614 c.p. e nei quali si stia svolgendo l’attività criminosa, ove preventivamente indicati in maniera precisa nella richiesta di intercettazione; così come sarebbero altrettanto legittime le intercettazioni ambientali in procedimenti diversi da quelli di criminalità organizzata che avvengono in luoghi diversi da quelli di cui all’art. 614 c.p., allo stesso modo preventivamente indicati, anche se in forma meno specifica, essendo sufficiente il generico riferimento a tipo di ambiente, nella richiesta di intercettazione.

[14] In realtà, le Sezioni Unite avevano espressamente affermato che i delitti di criminalità organizzata non si esauriscono in quelli di cui all’art. 51 co. III bis e co. III quater c.p.p., dovendo invece essere intesi anche quelli di cui all’art. 416 c.p. correlati alle attività criminose più diverse. A titolo esemplificativo, mentre secondo le Sezioni Unite un procedimento per il delitto di cui all’art. 416 c.p. finalizzato a commettere furti e rapine rientrerebbe nell’alveo del concetto di criminalità organizzata ai sensi della disciplina derogatoria di cui all’art. 13 d.l. 152/1991, per il legislatore del 2017, invece, in relazione ad essi non è consentito compiere intercettazioni mediante captatore informatico.

[15] In deroga al regime speciale di cui all’art. 13 d.l. 152/1991, applicabile ai reati in questione per effetto dell’art. 6 co. I d. lgs. 216/2017.

[16] Ovvero, nei casi di cui all’art. 13 d.l. 152/1991, i sufficienti indizi di reato e la necessità dello strumento intercettativo in relazione allo svolgimento delle indagini.

[17] A tal riguardo, si ponga mente alla nuova formulazione di cui all’art.270 co. I bis c.p.p. che stabilisce l’inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite al di fuori dei limiti di spazio e tempo indicati dal Giudice nel decreto di autorizzazione.

[18] In altri termini, è richiesta una doppia valutazione di necessità in relazione allo svolgimento delle indagini: necessità delle intercettazioni e necessità della modalità di captazione mediante captatore informatico. 

[19] Si consideri altresì l’art. 270 co. I bis c.p.p., come modificato dal d. lgs. 216/2017 e non ancora entrato in vigore, secondo cui “i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile non possono essere utilizzati per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza”. Nella inoperatività di questa disposizione normativa, valgono le regole generali di cui all’art. 270 c.p.p., come interpretate dalla prevalente giurisprudenza di legittimità secondo cui “Sono utilizzabili i risultati delleintercettazioni disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le medesime sono consentite, anche quando al fatto venga successivamente attribuita una diversa qualificazione giuridica con la conseguente mutazione del titolo in quello di un reato per cui non sarebbe stato invece possibile autorizzare le operazioni di intercettazione.”(Cass., Sez. 6, Sentenza n. 50072 del 20/10/2009) e ancora “I risultati delle intercettazioni telefoniche disposte per uno dei reati rientranti tra quelli indicati all’art. 266 cod. proc. pen. sono utilizzabili anche relativamente ad altri reati che emergano dall’attività di captazione, ancorché per essi le intercettazioni non sarebbero state consentite. (In motivazione la Corte ha chiarito che, in tal caso, i contenuti delle intercettazioni sono utilizzabili a prescindere dal ricorrere delle condizioni dettate dall’art. 270 cod. proc. pen. in quanto il concetto di diverso procedimento non equivale a quello di diverso reato).(Cass., Sez. 6, Sentenza n. 19496 del 21/02/2018).