Introduzione – Programma di Unità Per La Costituzione

Rinnovo del CDC dell’Associazione Nazionale Magistrati

1. Gli eventi che hanno caratterizzato l’anno appena trascorso hanno determinato l’apertura di una stagione in cui l’etica della responsabilità deve permeare le future decisioni che la classe dirigente del Paese è chiamata a prendere.

In tale contesto l’Associazione Nazionale Magistrati, quale organo rappresentativo della Magistratura, che a pieno titolo fa parte delle istituzioni chiamate  a lavorare per il Paese, deve con serietà svolgere il proprio ruolo.

Il Presidente Ciampi, in un Suo recente scritto, constatato come questo “non è il Paese che sognavo”, reputa che il “male oscuro” che affligge la società italiana abbia un’origine culturale ed etica prima e più che politica, economica e sociale. L’affievolirsi dei valori ispirati agli ideali di solidarietà, di rispetto dell’altrui dignità, di integrità morale in favore dei falsi miti  del successo, del guadagno a ogni costo, dello sfrenato, e quasi compulsivo, individualismo costituisce forse la principale ragione di fondo della richiesta della supplenza giudiziaria.                                                    

Infatti il declino delle organizzazioni partitiche, incapaci ormai di selezionare un’adeguata classe dirigente e, di conseguenza, di trovare una soluzione politicamente ragionevole fra le contrapposte  istanze sociali,  ha  acriticamente rimesso alla Magistratura la soluzione di complesse questioni che dovevano e devono essere affrontate in una sede ben diversa.

 Con la conseguenza che la stessa Magistratura, pur nell’esercizio di proprie competenze istituzionali, è stata spesso destinataria di ingenerose, e talvolta feroci, accuse di indebita ingerenza nella sfera di competenza costituzionale di altri poteri dello Stato.

La nuova stagione dovrà, invece, caratterizzarsi per il reciproco rispetto e piena legittimazione di ogni istituzione del nostro Paese e, per quanto riguarda la Magistratura, il profondo e convinto rispetto della terzietà costituzionale, che     significa principalmente “non collateralismo” da qualsivoglia potere. A tal proposito, Unità per la Costituzione ribadisce che la “terzietà costituzionale” ha quale punto di riferimento irrinunciabile i principi costituzionali, valori cardine del nostro sistema democratico.

Unità per la Costituzione chiede ai propri aderenti una di presa di distanza, in concreto, da ogni centro di potere esterno alla magistratura. Ciò non vuol dire “separatezza”, bensì consapevolezza della diversità delle prerogative e delle competenze delle altre istituzioni e, in particolare della “politica”.

La Magistratura deve tenersi visibilmente lontana dalle tentazioni di fare opposizione o collateralismo politico, in quanto, in uno Stato di diritto, chi amministra giustizia non può essere o apparire di destra, di centro o di sinistra.

Unità per la Costituzione, da tempo, sostiene che il magistrato che entra, legittimamente, in politica effettua una scelta irreversibile, senza ritorno. Tanto vale, soprattutto, per coloro che si impegnano in ruoli di amministrazione locale, per i quali è ancora maggiore l’impatto di “schieramento”, del tutto incompatibile con la stessa essenza della “terzietà” e della “imparzialità”.

Recenti vicende hanno riproposto con forza la questione, rendendo ormai necessario un efficace intervento legislativo, che disciplini l’intera materia.

Il principio dell’ art. 102 della Costituzione – dell’esercizio del  potere diffuso della giurisdizione, che  appartiene a ogni singolo giudice, nonché a ogni magistrato dell’Ufficio del PM – deve rimanere intangibile, per fini di garanzia effettiva dell’uguaglianza tra i cittadini.

Questo valore, che pure è fondamentale nel sistema di bilanciamento tra i poteri dello Stato, oggi è messo a rischio di svuotamento sostanziale, per effetto di recenti  interventi ordinamentali e normativi, che possono portare a una sorta di “omologazione culturale”.

A tal fine molta attenzione meritano:  la Scuola della Magistratura concepita dalla riforma dell’Ordinamento Giudiziario come entità autonoma; il nuovo processo di Cassazione, che favorisce l’omologazione giurisprudenziale, rendendo il magistrato immune da critiche, ma anche meno “coraggioso” nel consacrare, attraverso l’interpretazione, nuovi diritti; la prevista organizzazione delle Procure della Repubblica, che di fatto vanifica l’esercizio dell’azione penale come espressione del potere diffuso della giurisdizione; il nuovo sistema di illeciti disciplinari, che sovrappone fattispecie processuali a fattispecie di mancanze deontologiche.

Bisogna, poi, scongiurare “rischi” di cedimenti etici. Più volte il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, in qualità di Presidente del Consiglio superiore, ha sottolineato l’importanza decisiva “dell’affermazione e del consolidamento di rigorose regole deontologiche per i magistrati per garantire il bene prezioso della credibilità morale edella imparzialità e terzietà del magistrato”.

Sulla “questione morale” occorre una rinnovata e maggiore consapevolezza che consenta, senza distinzioni o primazie correntizie, ormai superate, di sconfiggere il lassismo delle abitudini culturali che provengono dall’abbassamento generale dei livelli etici nelle istituzioni.

Su questo terreno l’ANM, nel rispetto dei propri compiti istituzionali, deve richiamare ogni sua componente a rafforzare attenzione e vigilanza sulle condotte dei propri iscritti ed a potenziare una forte unità sulla condivisione di valori imprescindibili per ogni magistrato, abbandonando sterili contrapposizioni nella consapevolezza che il cedimento morale di un magistrato è una sconfitta per l’intera magistratura. Nella valutazione delle condotte deontologiche dei propri iscritti, la ANM deve operare, celermente ed  al contempo con prudenza e serietà, trovando un giusto equilibrio fra sterili moralismi ed inammissibili indulgenze.