La riforma ‘Severino’ sul delitto di concussione.

a cura di Roberta D’Onofrio

Il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità.

La legge n. 190 del 6 novembre 2012, comunemente nota come legge “Severino”, è intervenuta ridisegnando l’intera politica di contrasto al fenomeno corruttivo[1] . Gli organismi internazionali da tempo sottolineano come un’efficace lotta alla corruzione richieda una politica integrata che coniughi il momento repressivo con efficaci strumenti di prevenzione al fine di ridurre le occasioni di illecito. Il legislatore ha, così, anticipato la risposta sanzionatoria punendo la “corruzione per l’esercizio della funzione”, nuova figura di reato riversata nel calco dell’art. 318 c.p. A recepimento di un orientamento della giurisprudenza di legittimità si sanziona la condotta del pubblico agente che costituisca un sodalizio in grado di asservire la pubblica funzione ad interessi privati, senza che la punibilità consegua alla puntuale individuazione di una precisa condotta oggetto dell’illecito mercimonio. La prestazione resa dal corrotto, lungi dal concretizzarsi in un’attività pattizia, finisce per “smaterializzarsi”, avendo ad oggetto la generica funzione o qualità del pubblico agente impegnato ad assicurare “protezione” al corruttore nei suoi futuri rapporti con l’amministrazione pubblica. [2]

Proprio con riferimento ai soggetti “propri” dei delitti contro la pubblica amministrazione, occorre premettere i tratti fondamentali della distinzione tra pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio. Ex art. 357 c.p., agli occhi della legge penale è pubblico ufficialecolui che, pubblico dipendente o soggetto privato, eserciti una pubblica funzione legislativa (di formazione delle norme giuridiche), giudiziaria (cioè giurisdizionale, compresa quella di collaborazione allo ius dicere) o amministrativa.[3] In particolare,  è pubblico ufficiale colui che, in un quadro di regole di diritto pubblico, concorra alla formazione e alla manifestazione della volontà dell’ente o eserciti poteri autoritativi (cioè coercitivi o comunque discrezionali, incidenti unilateralmente sul patrimonio giuridico dei destinatari degli atti) o certificativi (cioè comportanti attestazioni dotate di particolare efficacia probatoria).

È l’assenza di tali poteri che, in ultima analisi, conduce al “declassamento” dell’agente a “mero”incaricato di pubblico servizio ex art. 358 c.p. Tale soggetto, infatti, adempie a compiti di rilievo pubblicistico, quindi disciplinati secondo le “forme” della pubblica funzione, svolgendo però un’attività “sostanzialmente” intellettiva di rango intermedio fra la pubblica funzione (la sola ad implicare l’esercizio di poteri deliberativi, autoritativi o certificativi) e le semplici mansioni d’ordine (cioè di pura esecuzione) o prestazioni di opera meramente materiale (cioè richiedenti il solo uso della forza fisica). [4]

Venendo alle figure criminose più tradizionali, la concussione è da sempre considerata la fattispecie “cardine” dell’apparato di salvaguardia penale del corretto esercizio dei poteri pubblici, tanto da prevedere la pena più severa tra i delitti contro la PA. La legge n. 190/2012 ha inciso sulla struttura dell’art. 317 C.P. intervenendo essenzialmente su tre aspetti: l’eliminazione dell’incaricato di pubblico servizio quale soggetto attivo del reato, che così diviene “proprio” esclusivamente del pubblico ufficiale, mentre il semplice cittadino extraneus può essere coinvolto nella reazione sanzionatoria attraverso il concorso nel reato proprio; l’aumento del minimo edittale della pena detentiva, da quattro a sei anni di reclusione; lo “scorporo” dal delitto di concussione della condotta per  induzione confluita nella nuova figura di reato [5] dell””induzione indebita a dare o promettere utilità”ex art. 319 quater c.p.

 A completare il quadro delle novità previste dalla legge n. 190/2012 con riferimento alla fattispecie di concussione, si rammenta l’obbligo di informativa del decreto che disponga il giudizio per il pubblico dipendente accusato di tale reato alla P.A. di appartenenza, l’estensione allo stesso delle particolari ipotesi di confisca ex art. 12 sexies della legge n. 356/1992, nonché la sua inclusione nel novero dei reati  tipizzati ai fini della responsabilità amministrativa degli enti di cui al d.lgs. n. 231/2001.

Sotto il profilo soggettivistico, la novellata formulazione dell’art. 317 c.p. ha circoscritto la condotta illecita imputandola al solo pubblico ufficiale, in controtendenza rispetto alla modifica introdotta, a suo tempo,  dalla legge n. 86/1990 ( che estendeva la fattispecie all’incaricato di pubblico servizio). Il legislatore, evidentemente, ha ritenuto che l’attribuzione di poteri decisionali limitati renda l’incaricato di pubblico servizio sostanzialmente “incapace” di cagionare un metus tale da costringere il privato cittadino a soggiacere alla sua volontà estorsiva.

Ebbene, la limitazione del soggetto attivo del reato de quo al solo pubblico ufficiale è stata assai criticata in dottrina[6]. La prassi, infatti,  opporrebbe seri argomenti contro la sottovalutazione della capacità coattiva del “semplice” incaricato, spesso percettore di prestazioni significative e comunque punibile in modo irragionevolmente più severo attraverso la riconduzione del suo comportamento all’estorsione “aggravata” ex artt. 629 e 61 n. 10 c.p per condotte del tutto assimilabili. Sul punto,  si ritiene che la legge 190/2012 possa aver operato un’abolitio criminisparziale contraendo la portata normativa della disposizione ed allineandola alla versione antecedente il 1990.[7]

Con riferimento all’elemento oggettivo del reato, a seguito dell’esclusione dalla fattispecie tipica della condotta per induzione (la c.d. concussione implicita), la “costrizione” è divenuta l’unica modalità attraverso cui si manifesta esternamente l’abuso integrante il delitto di concussione (detta esplicita o violenta).[8]

Dopo la legge n. 190 del 2012 la sopravvivenza nell’art. 317 c.p. del solo termine “costringe” porta a ritenere che la condotta rilevante sia costituita da “qualunque violenza morale attuata con abuso di qualità o di poteri che si risolva in una minaccia, esplicita o implicita, di un male ingiusto recante lesione non patrimoniale o patrimoniale, costituita da danno emergente o a lucro cessante”[9].

Una novità di rilievo introdotta dalla riforma Severino è rappresentata dall’art. 319 quater c.p., inserito in coda alle ipotesi di corruzione “passiva”. La disposizione ha sancito la “scissione” del reato di concussione in concussione per costrizione ed induzione indebita a dare o promettere utilità . La concussione implicita, mutata in induzione indebita a dare o promettere utilità, ha assunto un’autonoma configurazione seppur in via sussidiaria (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”, nei casi di concorso apparente di norme recede la fattispecie meno grave).[10]

Il bene giuridico tutelato dall’art. 319 quater c.p. emerge dalla stessa collocazione formale della disposizione fra i delitti contro la pubblica amministrazione: scopo general-preventivo della norma è quello di tutelare penalmente il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa ex art. 97 della Cost. [11] Integra il “buon andamento” l’efficiente ed efficace funzionamento della pubblica amministrazione. L'”imparzialità”, invece, coincide con l’assenza di indebite interferenze esterne che devino l’azione dal perseguimento “obbiettivo” delle finalità prescritte dalla legge.

Prima dell’intervento innovatore varato dalla legge n. 190/2012, al bene pubblico appena accennato si aggiungeva la tutela dell’integrità patrimoniale del cittadino che, posto di fronte all’obbligata intermediazione pubblica, non doveva subire le conseguenze materiali dell’illecita pressione coattiva esercitata dal soggetto pubblico. Con la recente modifica e l’estensione della platea degli attori del reato, per la sola componente “induttiva”, ai privati che rendano la dazione o la promessa, non è più possibile ritenere il delitto in argomento plurioffensivo, come invece si ammetteva rispetto alla concussione ante riforma[12].

Quanto ai soggetti dell’induzione indebita, di grande rilievo è l’estensione della platea attiva del reato. Da un lato, si è confermata la rilevanza degli incaricati di pubblico servizio, figura invece uscita dal perimetro dell’art. 317 c.p. Dall’altro, come conseguenza del constatato “allargamento” degli attori coinvolti nella prassi corruttiva si sanziona, meno severamente, chi dà o promette denaro o altra utilità, dilatando l’area di punibilità sino all'”indotto”, soggetto esterno all’amministrazione, in ciò differenziando la fattispecie da quella di concussione. La legge “Severino” ha inteso escludere i tentativi “elusivi” della responsabilità penale da parte del privato fondati sulla precedente versione dell’art. 317 c.p. Sempre sul piano soggettivo, ai sensi dell’art. 322 bis, secondo comma, c.p., il delitto de quo può essere commesso anche dai soggetti pubblici di rilievo internazionale e da coloro che esercitano funzioni equivalenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche internazionali “qualora il fatto sia commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio in operazioni economiche internazionali ovvero al fine di ottenere o di mantenere un’attività economica o finanziaria” [13]. Invero, la citata riforma, da un lato, è intervenuta sulla fisionomia del delitto di concussione (art. 317 c.p.)  estromettendo dal novero dei soggetti attivi l’incaricato di pubblico servizio e, ciò che qui più rileva, eliminando l’induzione come modalità della condotta alternativa alla costrizione; dall’altro lato ha dato rilievo all’induzione nella struttura di un nuovo reato proprio del pubblico ufficiale e, questa volta, anche dell’incaricato di pubblicato servizio, che ripropone lo schema della vecchia concussione per induzione, con la differenza però che la punibilità è estesa al privato, che veste i panni del correo e non più, come nella concussione, della vittima (art. 319-quater c.p.)[14].

La struttura oggettiva del reato di induzione indebita  è composta da tre elementi: l’abuso della qualità o dei poteri, l’induzione e la dazione o la promessa indebita di denaro o di altra utilità. I primi due sarebbero due momenti della stessa condotta, infatti l’induzione è significativa quando causalmente determinata attraverso l’abuso che, pur non determinando un “asservimento” della volontà (tipico della concussione esplicita), sia causa d’una “deviazione” del privato dalla sua originaria intenzione, mentre la dazione (o promessa) costituisce l’evento finale del reato. [15]

L’abuso è l’elemento comune agli artt. 317- 319 quater e può riguardare le qualità o i poteri. Le due manifestazioni di abuso appaiono assolutamente equipollenti. È abuso (soggettivo) delle qualità l’uso indebito (cioè per “proprio tornaconto personale”) da parte del soggetto pubblico della propria “posizione” all’interno dell’amministrazione, del proprio status, a prescindere dall’esercizio dei poteri a questa corrispondenti. Invece è abuso (oggettivo) dei poteri l’esercizio delle potestà funzionali attribuitigli al di là delle ipotesi contemplate dalle norme che ne disciplinano l’esercizio, oppure nei casi di legge, ma con modalità difformi dal dovuto oppure omettendone l’applicazione quando invece sarebbe doverosa. L’abuso, in generale, consiste quindi nell’uso strumentale, per scopi diversi da quelli “istituzionali”, della propria qualifica soggettiva o dei poteri pur astrattamente di competenza del soggetto attivo. L’induzione è la “forma” attraverso la quale si manifesta ab externo l’abuso. È proprio su questo elemento che, a seguito delle novità legislative, si è registrata una marcata oscillazione in giurisprudenza nel tentativo di tracciare il confine fra “costrizione” e “induzione”, tanto da indurre la sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione a chiedere alle Sezioni unite di comporre il contrasto che nel proseguo si analizzerà.

Gli orientamenti invalsi in giurisprudenza possono essere così riassunti:

un primo orientamento, inaugurato dalla sentenza “Nardi” [16], riproponeva il criterio, tradizionale nella giurisprudenza pre-riforma, della intensità della pressione prevaricatrice: a modalità di pressione molto intense e perentorie, tali da limitare gravemente la libertà di determinazione del soggetto, corrisponderebbe la ‘costrizione’ ex art. 317 c.p.; a forme più blande di persuasione, suggestione, o pressione morale, che non condizionino gravemente la libertà di determinazione, corrisponderebbe l”induzione’ ex art. 319-quater c.p. (e la punibilità del privato si giustificherebbe proprio in ragione del margine di libertà di non accedere alla richiesta indebita proveniente dal pubblico agente, ovverosia per non aver resistito alla richiesta medesima);

un secondo orientamento, inaugurato dalla sentenza “Roscia”[17], individuava invece la linea di discrimine tra le due ipotesi delittuose nell’oggetto della prospettazione: danno ingiusto e contra ius nella concussione; danno legittimo (giusto) e secundum ius nell’induzione indebita. Si osservava a supporto di questa tesi, da un lato, che è del tutto ragionevole la più severa punizione dell’agente pubblico che (nella concussione) prospetta un danno ingiusto, e non già, come nell’induzione indebita, una conseguenza sfavorevole derivante dall’applicazione della legge (c.d. danno giusto); dall’altro lato, si rilevava come fosse parimenti ragionevole punire il privato nella sola ipotesi (induzione indebita) in cui, aderendo alla pretesa dell’indebito avanzata dall’agente, perseguisse un tornaconto personale ;

un terzo orientamento, inaugurato dalla sentenza “Melfi”[18], si collocava infine in una posizione intermedia, di incontro tra i primi due orientamenti: individuava il criterio discretivo tra le due figure di reato nella diversa intensità della pressione psichica esercitata sul privato, con la precisazione però che, per le situazione dubbie, si sarebbe dovuto far leva, in funzione complementare, sul criterio del vantaggio indebito da questi perseguito.       

Le Sezioni Unitechiamate a comporre questo contrasto, con una delle sentenze più innovative [19], non avallano alcuno dei tre orientamenti: affermano anzi che ciascuno di essi “evidenzia aspetti che sono certamente condivisibili, ma non autosufficienti, se isolatamente considerati, a fornire un sicuro criterio discretivo”.

In particolare, il criterio dell’intensità della pressione psichica, indicato dal primo orientamento, “non coglie i reali profili contenutistici” delle condotte di costrizione e induzione e affida la determinazione della linea di confine tra le due modalità della condotta “a un’indagine psicologica dagli esiti improbabili, che possono condurre a una deriva di arbitrarietà”; il criterio dell’ingiustizia o meno del danno prospettato, propugnato dal secondo orientamento, “ha il pregio di individuare indici di valutazione oggettivi…ma incontra il limite della radicale nettezza argomentativa…la quale mal si concilia con l’esigenza di apprezzare l’effettivo disvalore di quelle situazioni ‘ambigue’, che lo scenario della illecita locupletazione da abuso pubblicistico frequentemente evidenzia”; la combinazione dei primi due criteri, prospettata dal terzo e ultimo orientamento, non fa d’altra parte venir meno gli anzidetti rilievi critici mossi ai criteri stessi (singolarmente considerati), e in particolare a quello, indicato, come principale, della intensità della pressione psichica.

Il cuore della riforma viene dunque individuato nel cambio ruolo del privato indotto alla promessa o alla dazione indebita: non più vittima, impunita, di un fatto concussivo, bensì concorrente (necessario) nel nuovo reato di induzione indebita. E questo cambio d’abito è il frutto della limitazione della concussione all’ipotesi costrittiva, che è coerente con la natura plurioffensiva del reato di cui all’art. 317 c.p., posto a presidio, assieme, di beni istituzionali e individuali . Viceversa, il privato non costretto ma indotto alla dazione indebita concorre nel delitto di cui all’art. 319quarter  c.p. che – affermano le SU – ha natura monoffensiva: “presidia soltanto il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione e si pone, pertanto, in una dimensione esclusivamente pubblicistica”. Nell’ipotesi considerata dall’art. 319-quater c.p. il privato non subisce dunque un’offesa a un bene di cui è titolare; concorre bensì nell’offesa al bene pubblico, e proprio per questo ne risponde penalmente.[20]

Il cuore di questo nuovo assetto normativo è che l’ induzione indebita  art. 319-quater c.p. non rappresenta per le Sezioni Unite un’ipotesi minore di concussione (come farebbe pensare la metafora dello ‘sdoppiamento’ della concussione stessa, che ha avuto una certa fortuna nell’immediatezza della riforma), gravitando bensì nell’orbita della corruzione – come conferma peraltro la collocazione all’interno del codice dell’art. 319-quater c.p. – della quale assimila la “logica negoziale” di reato-contratto bilateralmente illecito.   Elementi comuni alle due fattispecie sono gli eventi alternativi della dazione o promessa dell’indebito e l’abuso della qualità o dei poteri dell’agente pubblico, che le Sezioni Unite inquadrano non come un presupposto del reato ma come “un elemento essenziale della condotta di costrizione o di induzione”, nel senso che costituisce il mezzo imprescindibile per ottenere la dazione o la promessa di denaro. L’abuso – sottolineano in particolare le Sezioni Unite – “è lo strumento attraverso il quale l’agente pubblico innesca il processo causale che conduce all’evento terminale: il conseguimento dell’indebita dazione o promessa”. La condotta tipica, nelle fattispecie in esame, non si esaurisce dunque, rispettivamente, nella costrizione o nell’induzione: “abuso, da una parte, e costrizione o induzione, dall’altra parte…sono condotte che si integrano e si fondono tra loro.

Operando un significativo mutamento giurisprudenziale, le Sezioni Unite tornano, pertanto, a ribadire la  necessità di individuare un criterio discretivo “più affidabile ed oggettivo” di quello tradizionale, imperniato sulla maggiore o minore intensità della pressione psichica. Nella ricerca di un simile criterio differenziale le Sezioni Unite – che muovono dall’esame del concetto di ‘costrizione’ – seguono la strada aperta da un’interpretazione conforme al principio di offensività, fondamentale canone ermeneutico per il giudice. Il dato normativo ci dice che il privato va esente da pena solo quando è ‘costretto’ alla dazione o promessa indebita; e va esente da pena proprio perché, come si è ricordato, subisce un’offesa a beni che fanno capo alla propria persona. Costringere’ significa infatti obbligare taluno a compiere/non compiere una certa azione, il che è realizzabile attraverso violenza fisica o, più spesso, attraverso minaccia.

E’ proprio la minaccia, in particolare la modalità dalla condotta di concussione con la quale si realizza l’evento di costrizione (l’ipotesi della concussione realizzata con violenza è “di rara attuazione’)  e la minaccia si caratterizza, secondo le Sezioni Unite, come “forma di sopraffazione prepotente, aggressiva e intollerabile socialmente”, che incide sull’altrui “integrità psichica e libertà di autodeterminazione” . Osservano poi le SU che, per “porre argini ad interpretazioni troppo estensive e per non correre il rischio…di eludere il principio di tipicità”, “la dottrina più recente ha evidenziato come prospettazione minacciosa ha sempre per oggetto un male (art. 1435 c.c.) o danno (così, espressamente, l’art. 612 c.p.) ingiusto, cioè un fatto contra ius, a discapito di interessi della vittima. Ed ha altresì sottolineato, soprattutto, comela minaccia presuppone sempre una vittima, messa con le spalle al muro  perché oggetto di un sopruso e costretta, appunto, ad agire, in assenza di una sostanziale alternativa, non per conseguire un vantaggio, ma per evitare un danno (de damno vitando) .

L ‘induzione viene dunque anzitutto definita, in negativo, come l’effetto che non consegue a una minaccia. In positivo, viene riempita di caratterizzazioni modali, nel tentativo di far salvo il principio di determinatezza/precisione della legge penale, assegnando al relativo concetto “una funzione di selettività residuale rispetto al verbo ‘costringere’ presente nell’art. 317 c.p.”. [21]

Secondo le Sezioni Unite, in particolare, la nozione di ‘induzione’ va determinata in connessione con l’abuso di potere o qualità dell’agente pubblico e con l’elemento – ancora una volta decisivo – della punibilità del privato indotto alla dazione o promessa indebita.

In particolare, per le SU “la punibilità del privato è il vero indice rivelatore del significato dell’induzione”, che va intesa come “alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un rapporto comunicativo non paritario, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l’ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi” facenti capo alla p.a.”. Le “modalità della condotta induttiva“, che non devono essere evidentemente aggressive e coartanti, non possono che concretizzarsi nella persuasione, nella suggestione, nell’allusione, nel silenzio e, perfino, nell’inganno (“sempre che quest’ultimo non verta sulla doverosità della dazione o della promessa, del cui carattere indebito il privato resta perfettamente conscio; diversamente si configurerebbe il reato di truffa)”.[22]

Tali condotte rappresentano forme di condizionamento psichico che, nel contesto della figura delittuosa di cui all’art. 319-quater c.p., sono funzionali a carpire una complicità prospettando un vantaggio indebito. Siamo al cuore della motivazione della sentenza: “è proprio il vantaggio indebito che, al pari della minaccia tipizzante la concussione assurge al rango di ‘criterio di essenza’ della fattispecie induttiva, il che giustifica…la punibilità  dell’indotto”, anche, tra l’altro, alla luce del principio di colpevolezza ex art. 27, co. 1 Cost.: ciò che si rimprovera al privato, punendolo, è di avere approfittato dell’abuso del pubblico ufficiale  per perseguire un proprio vantaggio ingiusto[23]. Le Sezioni Unite non si sottraggono da un’esemplificazione: scongiurare una denuncia, un sequestro, un arresto legittimi, assicurarsi comunque un trattamento di favore.  Quindi, si può affermare con le parole usate dalla Suprema Corte che “l’induzione non costringe ma convince” il privato a scendere a patti con il pubblico ufficiale., secondo una logica assimilabile, come si è detto, a quella corruttiva.

La netta conclusione alla quale giungono le Sezioni Unite è dunque che danno ingiusto e indebito vantaggio “sono elementi costitutivi impliciti”, rispettivamente, delle fattispecie di cui agli artt. 317 e 319 quater c.p.

Si tratta in particolare, secondo le Sezioni Unite, di elementi che il giudice deve apprezzare “con approccio oggettivistico” ma senza trascurare la sfera conoscitiva e volitiva del privato.

Profili di diritto intertemporale.

Così delineati i criteri discretivi tra le fattispecie previste dal 317 ed il 319 quater c.p.,  la Suprema Corte ha posto l’attenzione sul problema di profilo intertemporale tra la fattispecie di indebita induzione e la ‘vecchia’ fattispecie dell’articolo 317 cp.

Difatti, la libertà personale dei consociati, quale bene supremo inviolabile ex art. 13 Cost., è garantita dall’ordinamento attraverso l’affermazione del principio della irretroattività della legge penale, stretto corollario della legalità. L’art.2, 1 comma, c.p., trasponendo in materia penalistica il principio costituzionale sancito dall’art. 25, 2 comma, Cost., prevede che “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”.

La disposizione appena richiamata consacra la irretroattività delle norme penali sfavorevoli sopravvenute alla consumazione di un illecito penale. La ratio del divieto di retroazione si rinviene nell’esigenza, non tanto di garantire la certezza del diritto, quanto di evitare l’esercizio arbitrario del potere legislativo[24]. L’art. 2 c.p. non si limita a sancire l’irretroattività della norma di nuova incriminazione ma detta una serie di disposizioni volte alla regolazione del fenomeno successorio delle leggi penali. Al comma secondo, l’articolo in esame dispone che ” nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali. Con siffatta previsione il legislatore ha consacrato il principio della retroattività della norma favorevole al reo: laddove intervenga una legge che non prevede più la punibilità per un determinato fatto-reato, essa trova applicazione anche nel caso in cui il soggetto sia stato condannato con sentenza passata in giudicato (si parla in tal caso di ‘abolitio criminis’).
Il comma secondo dell’art. 2 c.p. è stato originariamente oggetto di questione di legittimità costituzionale, sollevata per l’asserito contrasto della norma con l’art. 25 , II comma, Costituzione, espressione del principio della irretroattività della legge. La Corte Costituzionale, intervenuta in merito, ha escluso che la retroattività della norma favorevole costituisca violazione del principio costituzionale succitato. La Consulta ha avuto modo di precisare che l’art. 2, II comma, c.p., non soltanto risponde ad un generale “favor libertatis”, ma rinviene il proprio fondamento costituzionale, se non nell’art. 25, 2 comma, Cost., nell’art. 3 Cost. La ratio, pertanto, risiede nel supremo principio di uguaglianza, il cui rispetto impone di uniformare i trattamenti sanzionatori degli stessi fatti, a prescindere dalla circostanza che questi siano commessi prima o dopo l’entrata in vigore della legge favorevole al reo. Autonoma rispetto alla previsione di cui all’art. 2, comma II, c.p. è la disposizione di cui al IV comma , la quale prevede che ” se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.

Ai fini dell’individuazione del fondamento dei commi citati valgono le stesse considerazioni svolte in punto di “abolitio criminis”: si valorizza, pertanto, il principio del “favor rei” ed il principio dell’uguaglianza.
È opportuno precisare che la retrodatazione della “lex mitior” rinviene un riconoscimento anche a livello comunitario ed europeo. La Carta di Nizza, oltre a prevedere al I comma dell’art. 49 il principio della irretroattività, dispone che “parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima”.

Quanto alla trattazione della questione di diritto intertemporale posta dalla riforma 190 del 2012 in relazione ai delitti di corruzione e concussione, importante diventa la relazione tra i casi di “abolitio criminis”, disciplinati dal secondo comma, e le ipotesi di “abrogatio sine abolitio”, collocate nell’ambito del comma IV[25]. Laddove la legge posteriore abroghi una precedente norma incriminatrice, quest’ultima non trova più applicazione in quanto il fatto non è più previsto dalla legge come reato; la norma abrogatrice, inoltre, prevale sul giudicato di condanna eventualmente formatosi, provocandone la cessazione dell’esecuzione e degli effetti penali. Diversamente, nell’ipotesi di cui al comma IV, l’ applicabilità della legge posteriore di contenuto favorevole per il reo incontra il limite dell’intervenuta sentenza irrevocabile di condanna; ove il giudicato non si sia formato, la disposizione migliorativa trova applicazione, fermo restando che il fatto in precedenza commesso non perde la sua efficacia penale, in quanto non si verifica la sostanziale abrogazione della fattispecie astratta. La configurazione di un’ “abolitio criminis” o di un‘”abrogatio sine abolitio”è agevole nelle ipotesi in cui venga emanata una legge che si limita a modificare il titolo del reato, ovvero interviene ad alterare i minimi e/o i massimi edittali della pena; in queste ipotesi è operativo l’art. 2, comma quarto, c.p., versandosi in un caso di successione meramente modificativa di leggi penali.

Quanto fin ora esaminato rinviene applicazione in relazione ai delitti interessati dalla recente riforma legislativa, diretta a fronteggiare il fenomeno della “corruttela” (d.lgs. n. 190/2012). Per quanto attiene alla fattispecie concussiva,  l’art. 317 c.p., ante vigente rispetto al decreto Legislativo n. 190/12, puniva “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, danaro od altra utilità”, prevedendo quale pena la reclusione da quattro a dodici anni. A seguito della riforma, la condotta induttiva è stata traslata in una nuova ed autonoma fattispecie di reato: l'”induzione indebita a dare o promettere utilità”, incriminata ai sensi dell’art. 319 quater c.p., mentre l’art 317 c.p. è stato circoscritto alla sola “concussione per costrizione”.

Relativamente alla fattispecie induttiva il legislatore ha provveduto ad inserire nell’incipit dell’art. 319 quater c.p. una clausola di sussidiarietà (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) e a differenziare il trattamento sanzionatorio rispetto alla concussione per costrizione ( colui che “induce” è infatti punito con la reclusione, non più da quattro a dodici anni, ma da tre a otto anni).
Da ultimo, è stata prevista, quale elemento di grande novità rispetto alla previgente disciplina, la punibilità anche dell’indotto ex  comma II, art. 319 quater c.p., dandosi vita, secondo un certo orientamento, ad una fattispecie plurisoggettiva necessaria. Relativamente all’art. 317 c. p. nuova formulazione, il legislatore ha, invece, provveduto ad espungere dalla categoria dei soggetti chiamati a rispondere del reato l’incaricato di pubblico servizio, prevedendo inoltre, un aggravio di pena (non più una reclusione da quattro a dodici anni ma da sei a dodici anni).

Con la riforma in esame si è inteso, dunque, scindere due condotte, quella concussiva  per costrizione e quella concussiva per induzione( anche se il nomen iuris dell’art. 319 quater c.p. non contiene il termine “concussione”) sul presupposto di una loro  ontologica differenza.
L’induzione, invero, rappresenta un quid minus rispetto all’azione del “costringere” taluno, in quanto tra l’indotto e colui che suggestiona a dare o promettere non si rinviene una soggezione psicologica tanto pregnante quanto quella riscontrabile in capo al “costretto”.
L’indotto ha, invero come già osservato, una capacità di resistere al comportamento del soggetto attivo, rinvenendosi in capo ad egli un margine di scelta, pur minimo, nell’orientarsi verso il dare o promettere, o il resistere all’induzione.[26]

Le innovazioni apportate dalla riforma hanno posto diverse questioni di diritto intertemporale.
In primo luogo,  la giurisprudenza si è interrogata sul rapporto intercorrente tra la condotta induttiva di cui all’art. 317 c.p, vecchia formulazione, ed il nuovo art. 319 quater c.p:  se debba, cioè, tra esse ravvisarsi una “continuità normativa” ovvero un’ipotesi di “abolitio criminis”.
La giurisprudenza opta per la prima soluzione. Invero,  raffrontando la vecchia e la nuova fattispecie astratta, non si rinviene una eterogeneità degli elementi costitutivi, il legislatore riformista essendosi limitato a trasporre il contenuto del precetto in una nuova norma [27].

Con riguardo alla punibilità oggi prevista anche per l’indotto ex art 319 quater, II comma ,nel rispetto del principio della irretroattività della norma di nuova incriminazione, la condotta di questi potrà rilevare penalmente, soltanto se posta in essere successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 190/12.  Ulteriore problematica si pone relativamente all’incaricato di pubblico servizio, non più considerato soggetto agente del reato di concussione per costrizione; ci si chiede, infatti, se quest’ultimo debba essere considerato non più punibile per aver commesso la condotta penalmente rilevante ex art. 317 c.p. prima dell’intervenuta riforma. A tal riguardo si ritiene configurarsi una vera e propria ipotesi di “abolitio criminis”, con la conseguenza che la non punibilità non incontra il limite del giudicato di condanna. A conclusioni opposte si perviene laddove si opti per l’operatività dell’art. 2, comma IV, c.p.; in tal caso l’applicabilità della disposizione più favorevole è preclusa dall’intervenuta condanna con sentenza irrevocabile.

Nell’ ipotesi in cui un incaricato di pubblico servizio ponga in esse una fattispecie astrattamente corrispondente alla condotta descritta dall’art. 317 c.p, nuova formulazione, a seguito dell’entrata in vigore della riforma, il suo comportamento non rileverà penalmente quale condotta concussiva; l’incaricato di pubblico servizio potrà, tuttavia, risultare punibile alla stregua della fattispecie di reato comune dell’estorsione ex art. 629 c.p. aggravata ex art. 61, n. 9. c.p. [28].

A comporre i contrasti sorti in giurisprudenza ed in dottrina sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 24 ottobre -marzo 2014, 12228  che si sono pronunciate anche sulle problematiche di successioni di leggi penali nel tempo.

La parte conclusiva della motivazione della sentenza è dedicata, infatti, ai profili di diritto intertemporale e, cioè, alla connessa questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite, diretta a stabilire se la riforma della concussione abbia comportato o meno una parziale abolitio criminis in relazione ai fatti di induzione, espunti dall’ambito applicativo dell’incriminazione.

La soluzione è negativa: nessuna abolitio criminis. La riforma ha solo comportato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, co. IV c.p. (con salvezza pertanto dei giudicati), una successione di leggi meramente modificative della disciplina di fatti che continuano ad essere previsti dalla legge come reato. In relazione ai fatti antecedentemente commessi e ancora sub iudice andrà applicata la disciplina più favorevole al reo.

Tanto vale per la concussione per costrizione posta in essere dal pubblico ufficiale, per la concussione per costrizione realizzata dall’incaricato di pubblico servizio, che è oggi inquadrabile nell’estorsione, ovvero nella violenza privata o nella violenza sessuale, aggravate ai sensi dell’art. 61, n. 9 c.p.; per la concussione per induzione, inquadrabile oggi nell’induzione indebita, senza che la prevista punibilità del privato indotto muti la struttura dell’abuso induttivo.

La nuova fattispecie di cui all’articolo 319 quater c.p.,  in effetti,  prevede un trattamento sanzionatorio più favorevole e di conseguenza si applica anche ai fatti di induzione consumatisi nella vigenza del vecchio 317 cp, in ossequio ai principi scolpiti nell’articolo 2, comma IV cp, in maniera di successione di norme penali.[29]

Quanto all’applicazione concreta della disposizione più favorevole, la Suprema Corte -nella sentenza Sez. VI, 8/2/2013, Breccia,non depositata ed oggetto ad oggi di sola “informazione provvisoria”- sembra essersi orientata nel ritenere che l’inquadramento della condotta sotto il profilo della costrizione oppure sotto quello dell’induzione non è questione attinente alla qualificazione giuridica del fatto ma è questione di merito sottratta alla cognizione della Corte di Cassazione, fuori del caso di mancanza o di manifesta illogicità della motivazione costituente oggetto di specifica deduzione.

Ne deriva che la riconduzione della condotta stessa, operata dal giudice di merito, all’una piuttosto che all’altra delle due ipotesi non può essere affrontata dal giudice di legittimità ove non espressamente dedotta dal ricorrente in forza di un interesse; e che la stessa non può, in difetto di ciò, essere autonomamente presa in esame ai fini della riconduzione della condotta alla previsione del nuovo art. 317 cp, che trova ora applicazione alla sola ipotesi di costrizione, o non piuttosto a quella dell’art. 319-quater  che trova la sua applicazione nell’ipotesi di induzione, dovendo aversi riguardo esclusivo a tal fine nell’inquadramento già operato dal giudice di merito, sempre che esso non sia stato specificamente posto in questione sulla base di motivi ammissibili.

Quando, però, il giudice di merito non ha proceduto alla qualificazione giuridica del fatto ma quest’ultimo risulta precisamente ricostruito, in modo che sia chiaro il comportamento materiale del pubblico agente incriminato, la Corte, in più di un’occasione, ha operato direttamente la riconduzione della fattispecie concreta all’ipotesi di concussione o di induzione.[30]

Momento consumativo del reato di cui all’aricolo 319 quater cp e tentativo.

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza 12 aprile 2013, n. 16566 precisa ulteriormente i confini della fattispecie di induzione indebita, di cui all’art. 319-quater c.p., come introdotto dalla legge anticorruzione n. 190 del 2012.

In particolare, nel reato di concussione, così come in quello di induzione indebita si pone il problema del momento consumativo, dovendosi distinguere il caso in cui il privato accetti di promettere, con la riserva mentale di rivolgersi alla polizia giudiziaria, ed il caso in cui egli effettivamente si rivolga alla polizia giudiziaria, organizzando una consegna controllata del denaro.

Il reato di induzione indebita è consumato con la promessa del pagamento e non con l’effettivo pagamento, con la conseguenza che il fatto che quest’ultimo avvenga sotto il controllo della polizia giudiziaria, senza alcuna possibilità per il pubblico ufficiale di arrivare a detenere in modo autonomo il denaro od altra utilità corrispostagli, non è significativo al fine di ritenere che il reato sia consumato o meno. “Il discrimine è dato, invece, dall’essere intervenuta la denunzia o, comunque, il comportamento teso ad allertare le forze dell’ordine prima o dopo la “promessa”, momento di consumazione del reato”.

Quanto alla riserva mentale di futura denunzia, come confermato anche da altra giurisprudenza di legittimità, non è dato rilevante in quanto non impedisce, nel frattempo, la conclusione dell’accordo.[31]

Nel caso di specie su cui si è pronunciata la Corte, la promessa venne effettuata prima della presentazione della denuncia alla Guardia di Finanza, cui fece seguito, il giorno seguente, la predisposizione dell’appostamento in occasione della consegna all’imputato di una prima tranchedella somma di denaro richiesta.

Secondo il dominante indirizzo giurisprudenziale: “nel delitto di concussione la predisposizione dell’azione di polizia con la collaborazione della vittima, allo scopo di sorprendere in flagranza di reato il funzionario disonesto, non assume alcuna rilevanza giuridica allorquando, essendosi verificata in precedenza la promessa, il reato risulti già consumato” [32]

Viceversa, “solo nell’ipotesi in cui la sequenza “abuso – induzione – metus – promessa” si arresti prima di quest’ultimo passaggio, che rappresenta il momento consumativo, il reato deve ritenersi tentato e non consumato, sussistendo i presupposti degli atti idonei diretti in modo non equivoco a commetterlo“[33]. Deve ritenersi del tutto irrilevante la sollecitazione di un intervento della polizia giudiziaria dopo l’effettuazione della promessa, poichè la relativa richiesta del soggetto passivo, in tal caso, è avvenuta successivamente al perfezionamento del reato.

La giurisprudenza di legittimità ritiene integrato il delitto di concussione anche nell’ipotesi in cui la promessa di denaro, fatta dal privato al pubblico ufficiale, sia sorretta dalla speranza che un efficace intervento delle forze dell’ordine ne impedisca l’adempimento, non potendosi ritenere sufficiente ad escludere il metus publicae potestatis la sola circostanza che il soggetto passivo si sia rivolto alla forze di polizia per sottrarsi alle pretese dell’autore del reato[34].

Il delitto si consuma nel momento in cui il privato effettua la promessa, laddove la successiva dazione diventa un post-factum irrilevante. La dazione individuerà il momento consumativo del reato solo allorché essa sia immediata e non sia preceduta da autonoma promessa. Va evidenziato come, con riferimento al previgente art. 317 c.p., non siano mancate prese di posizione diverse che, nel caso in cui alla promessa sia seguita la dazione, si assisterebbe ad un aggravamento del disvalore della fattispecie con conseguente spostamento del momento consumativo.

Circa il tentativo, va evidenziato come l’attribuzione nell’economia della fattispecie alla promessa di un disvalore analogo a quello assunto dalla dazione ha determinato a sua volta l’anticipazione del momento consumativo del reato con la conseguenza che integra già di per sé l’ipotesi consumata la condotta abusiva del pubblico ufficiale che induca il privato ad effettuare una promessa, a prescindere poi dalla percezione da parte sua della stessa. Allo stesso modo, nel caso in cui la promessa o la dazione avvengano a distanza, la semplice spedizione della somma richiesta comporterà la consumazione del reato a prescindere dalla ricezione della stessa proprio da parte del soggetto agente. L’ipotesi tentata sarà invece configurabile nel caso in cui il pubblico ufficiale abbia realizzato, con abuso delle qualità o dei poteri, atti idonei diretti in modo non equivoco a indurre taluno a dare o promettere denaro o altra utilità, indipendentemente dal realizzarsi in capo al privato di uno stato di soggezione [35].

Per dettagliare maggiormente il confine si evidenzia un caso recente sempre risolto dalla giurisprudenza di legittimità  in cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente non è configurabile l’induzione consumata, ma solo quella tentata [36]. Del resto, si tratta di un’interpretazione che la giurisprudenza ha utilizzato in tema di concussione, là dove ha sempre ritenuto che debba qualificarsi come tentata la fattispecie in cui il soggetto passivo effettui la promessa di una prestazione, nei confronti del pubblico ufficiale, all’unico scopo di favorire la prosecuzione delle indagini, dal momento che in tal caso non si perfeziona la sequenza che dovrebbe collegare la promessa e, dunque, la consumazione del reato, almetus provocato dalla condotta dell’agente [37].

Induzione indebita e truffa aggravata.

Altra distinzione che ha impegnato la giurisprudenza è quella tra la concussione per induzione (vecchio art. 317 c.p.) e la truffa aggravata ex art. 61 n. 9 c.p., per avere, il soggetto agente, commesso il fatto “con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio”. A ben vedere, il problema si poneva solo per la concussione per induzione, poiché una condotta di coartazione da parte del funzionario esclude a priori la riconducibilità del fatto all’art. 640 c.p.

Attesa l’intervenuta riforma approvata con L. 6 novembre 2012, con cui è stata espunta dall’art. 317 c.p. la concussione per induzione, tale problematica potrebbe porsi con riferimento ai rapporti tra la truffa aggravata e la nuova fattispecie inserita all’art. 319-quater c.p.  Il discrimen tra i due delitti veniva individuato nelle modalità dell’azione posta in essere dal pubblico ufficiale: doveva ravvisarsi concussione tutte le volte che l’abuso della qualità o della funzione assumeva una preminente importanza prevaricatrice che induceva il soggetto passivo all’ingiusta dazione che egli sapeva non dovuta; sussisteva invece truffa aggravata quando la qualità o i poteri del pubblico ufficiale concorrevano solo in via accessoria alla determinazione della volontà del soggetto passivo, convinto con artifizi o raggiri ad una prestazione che egli credeva dovuta[38].

Proprio su quest’ultima notazione insiste la giurisprudenza, affermando che “la distinzione tra concussione e truffa va individuata nel fatto che nella concussione il privato mantiene la consapevolezza di dare o promettere qualcosa di non dovuto, mentre nella truffa la vittima viene indotta in errore dal soggetto qualificato circa la doverosità oggettiva delle somme o delle utilità date o promesse”[39]. La previsione della punibilità del privato nell’ipotesi di cui all’art. 319-quater c.p. esclude che, d’ora in poi, il mero inganno possa essere classificato come condotta induttiva, dal momento che non appare coerente con le finalità del nostro ordinamento punire chi abbia corrisposto denaro o altra utilità al pubblico funzionario perché da lui indotto in errore sulla doverosità del pagamento, dovendo al contrario ravvisarsi in tale ipotesi unicamente una truffa aggravata a danno del privato, da considerare quindi quale vittima del raggiro.

 La concussione verso l’estorsione

Secondo un’altra interpretazione fornita dalla Suprema Corte[40], l’effetto della nuova normativa è “quello di lasciare il più grave reato di concussione per le situazioni sostanzialmente corrispondenti alla estorsione”. Seguendo il ragionamento della Corte, l’ induzione indebita ricorre “in quei casi in cui al privato non venga minacciato un danno ingiusto e possa, anzi, avere persino una convenienza economica dal cedere alle richieste del pubblico ufficiale laddove costui ‘induca’ al pagamento quale alternativa alla adozione di atti legittimi della amministrazione, dannosi per il privato”.”Difatti – prosegue la Corte – , in una situazione in cui, pur a fronte di un comportamento prevaricatore, il pubblico ufficiale prospetta una situazione comunque vantaggiosa per il caso di corresponsione di quanto richiesto, si rientra certamente nell’ambito del comportamenti esigibili”.”È, infatti, esigibile che il privato resista ad una tale pretesa, ancorché il complesso della situazione abbia fatto ragionevolmente optare per un livello di sanzione inferiore a quella del soggetto pubblico; ed è ‘rimproverabile’ il privato nel caso in cui questi abbia, invece, optato per cedere alle richieste del pubblico ufficiale, senza però rischiare un danno ingiusto ma ottenendone, comunque, un vantaggio”.

Attraverso la pronuncia numero 12736[41] – depositata il 18 marzo 2014 – la seconda Sezione Penale della Corte di cassazione ha delineato le differenze tra concussione ed estorsione aggravata dall’art. 61 n. 9 cod. pen. (ossia la circostanza aggravante comune dell’avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio).

I giudici di legittimità hanno affermato che:

si ha concussione in tutte le ipotesi in cui la costrizione (ossia la minaccia) del pubblico ufficiale si concretizzi con il compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, strumentalizzato per perseguire illegittimi fini personali;

si configura, invece, l’estorsione aggravata dall’art. 61 n. 9 cod. pen. quando l’agente ponga in essere, nei confronti di un privato, minacce diverse da quelle consistenti nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, sicché la qualifica di pubblico ufficiale si pone in un rapporto di pura occasionalità, avente la funzione di rafforzare la condotta intimidatoria nei confronti del soggetto passivo.

Tale soluzione – concludono i giudici – trova un pur implicito riscontro nell’esame della casistica giurisprudenziale: in tutte le fattispecie in cui il pubblico ufficiale assume atteggiamenti minatori facendo leva su atti del proprio ufficio, infatti, si è sempre ritenuto che quelle ipotesi fossero sussumibili nell’art. 317 cod. pen.

Al contrario, si è ritenuta la sussistenza della aggravante di cui all’art. 61 n. 9 cod. pen. nelle ipotesi in cui la qualifica di pubblico ufficiale costituisca un’occasione che ha avuto la sola funzione di agevolare il delitto.

La Corte di legittimità, poi, individua con precisione argomentativa il discrimen tra le due fattispecie in gioco: la concussione di cui all’art. 317 c.p. e l’estorsione aggravata di cui all’art. 629 e 61 n. 9 c.p.

Nella concussione, il comportamento costrittivo è di natura qualificata perché non ogni comportamento minatorio tenuto dal pubblico ufficiale può essere sussunto nel paradigma normativo dell’art. 317 c.p., ma solo quello sinallagmaticamente riconducibile ad un atto o comportamento formalmente validi dell’ufficio pubblico in cui l’agente esercita la sua funzione. Nell’estorsione, invece, ogni comportamento minatorio è idoneo ad integrare la fattispecie normativa.

 Ancora, nella concussione, la qualità di pubblico ufficiale costituisce un requisito essenziale della fattispecie e vi deve essere un rapporto oggettivo di causalità fra la suddetta qualifica e il comportamento abusivo; l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p., invece, contempla anche l’ipotesi di un mero nesso di occasionalità fra la funzione di pubblico ufficiale e il comportamento abusivo. Quanto appena detto consente, quindi, di affermare che fra l’estorsione aggravata e la concussione vi sia un rapporto di species a genus, nel senso che la concussione prevede una particolare ipotesi di “costrizione” qualificata. 

Differenza tra la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio ex art. 319 c.p. e l’induzione indebita ex  art.319 quater c.p.

L’ art. 319  c.p. punisce il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, con la reclusione da quattro a otto anni[42].

Il delitto di corruzione è ravvisabile anche nel caso di tenuità della somma o dell’utilità, perché la lesione giuridica prodotta dal reato attiene al prestigio e all’interesse della P.A. e prescinde pertanto dalla proporzionalità o dall’equilibrio fra l’atto d’ufficio e la somma o l’utilità corrisposta[43].

In tema di corruzione, l’accettazione di piccole regalie d’uso può escludere soltanto la configurabilità del reato di corruzione per il compimento di un atto d’ufficio, giammai quello di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, poiché solo nel primo caso è possibile ritenere che il piccolo donativo di cortesia non abbia avuto influenza nella formazione dell’atto.

Nella struttura del delitto di corruzione, dato che fra l’illecito compenso e l’atto amministrativo “venduto” deve intercorrere un rapporto di sinallagmaticità e quindi una certa proporzione, l’atto o il comportamento amministrativo oggetto dell’illecito accordo, se non individuato ab origine deve essere almeno individuabile; va precisato peraltro che, poiché la individuazione ben può essere limitata al genere di atti da compiere, detta individuazione si realizza anche quando la controprestazione della promessa o della dazione di denaro o di altra utilità sia integrata da un generico comportamento del pubblico ufficiale, purché rientrante nella competenza o nella sfera di intervento dello stesso e suscettibile di specificarsi in una pluralità di atti singoli, non preventivamente fissati o programmati, ma appartenenti pur sempre al genus  previsto, giacché anche in tal caso la consegna di denaro al pubblico ufficiale deve ritenersi eseguita in ragione delle funzioni dello stesso e per retribuirne i favori [44].

La fattispecie prevista dall’articolo 319 quater cp,  richiama il reato  di “concussione per induzione” ponendosi in una posizione intermedia tra la concussione e la corruzione. Ed invero, il reato in commento si differenzia dalla concussione per quanto attiene:

il soggetto attivo, che può essere, oltre al pubblico ufficiale, anche l’incaricato di pubblico servizio;

le modalità per ottenere o farsi promettere il denaro o altra utilità che, nell’ipotesi criminosa in questione, consiste nella sola induzione;

la punibilità anche del soggetto che dà o promette denaro o altra utilità.

Rientra, infatti, nell’induzione ai sensi dell’319 quater  la condotta del pubblico ufficiale che prospetti conseguenze sfavorevoli derivanti dalla applicazione della legge per ottenere il pagamento o la promessa indebita di denaro o altra utilità. In questo caso è punibile anche il soggetto indotto che mira ad un risultato illegittimo a lui favorevole.

La condotta di “induzione” richiesta per la configurazione del delitto di “induzione indebita a dare o promettere utilità” di cui all’319 quater c.p  si realizza nel caso in cui il comportamento del pubblico ufficiale sia caratterizzato da un “abuso di poteri o di qualità” che valga a esercitare una pressione o persuasione psicologica nei confronti della persona cui sia rivolta la richiesta indebita di dare o promettere denaro o altra utilità, sempre che colui che dà o promette abbia la consapevolezza che tali utilità non siano dovute.[45]

Il risultato della riforma compiuta con la l. n. 190/ 2012 si coglie, dunque, nel fatto che la fattispecie di concussione per induzione, prevedendo la punibilità del privato indotto, è diventata un’ipotesi più prossima alla corruzione che alla concussione.

Da un canto le Sezioni Unite ( cfr. la citata sentenza ‘Maldera’) hanno mantenuto la distinzione, da un lato,  fra il reato di concussione e quello di induzione indebita a dare o promettere utilità intesi come reati “in contratto” – ossia quei reati nei quali la modalità prevaricatrice di una delle parti nella tenuta della contrattazione incentri su di sé la illiceità della pattuizione-  e dall’altro, con le fattispecie corruttive, intese tutt’ora come reati “contratto” – nei quali la pattuizione di per sé stessa incentra su di sé tutta l’illiceità della fattispecie- .

Infatti, i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea a costringere o a indurre “l’extraneus”, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la “par condicio contractualis” ed evidenzia l’incontro libero e consapevole della volontà delle parti.

D’altro canto, però, proprio attraverso la richiamata interpretazione del delitto di cui all’art. 319-quater c.p. e della sua distinzione con l’odierna concussione (per costrizione), l’induzione indebita è stata attratta nell’orbita del “minisistema corruttivo”, potendo essere ricondotti nell’orbita dell’art. 319 quater c.p. fatti concreti che ricadevano tradizionalmente nel campo della corruzione[46].

Tanto risulta in particolare dal tenore di alcuni passaggi motivazionali della pronuncia delle Sezioni Unite nella quale si afferma che la fattispecie di cui all’art. 319 quater c.p. si colloca “pur nell’ambito di un rapporto intersoggettivo asimmetrico, in una logica negoziale che è assimilabile a quella corruttiva” e che essa postula “la necessaria convergenza … dei processi volitivi di più soggetti attivi e la punibilità dei medesimi”. Con la L. 190/2012, però, il legislatore ha inciso profondamente anche sul quadro normativo della disciplina in materia di corruzione, allo scopo di predisporre un sistema precettivo e sanzionatorio adeguato alla ‘corruzione sistemica’, la quale aveva indotto la giurisprudenza a dilatare i confini dell’art. 319 c.p., al fine di assicurare un’adeguata ‘copertura’ punitiva ai fatti ad essa riconducibili.

Il confine fra induzione indebita e corruzione

La nuova fattispecie, per quanto si è anche sino a questo momento evidenziato, si pone al centro fra la concussione – i cui caratteri distintivi oggi con la corruzione dovrebbero essere più chiari, atteso che l’azione dell’agente è particolarmente marcata dall’utilizzo di una forma di violenza morale – e la  corruzione[47]. La Corte ha chiarito quale sono gli ambiti differenziali fra il delitto di induzione e quello di istigazione alla corruzione; quest’ultima presuppone un rapporto partitario fra i soggetti che manca nella fattispecie di nuovo conio, in quanto questa resta sempre un delitto che si caratterizza per un rapporto di prevaricazione del pubblico agente. Così, secondo la giurisprudenza di legittimità [48] “Sussiste il delitto di istigazione alla corruzione, previsto dall’art. 322 cod. pen., e non di induzione punita dall’art. 319 quater cod. pen., ove fra le parti si instauri un rapporto paritario diretto al mercimonio dei poteri.”

La distinzione fra i delitti di cui all’art. 322 (o 319) c.p. e 319 quater cod. pen. appare, almeno in astratto, chiara anche quando la condotta del pubblico agente abbia la forma della sollecitazione; il discrimen è da individuarsi nella preesistenza all’azione sollecitatoria di un abuso di funzioni o di poteri da parte del pubblico agente: ‘La sollecitazione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio rivolta al privato a dare o promettere denaro o altra utilità, pure se espressa con la prospettazione di evitare un pregiudizio derivante dall’applicazione della legge, mediante un atto contrario ai doveri di ufficio integra, nel caso sia rifiutata, il delitto di istigazione alla corruzione punito dall’art. 322 cod. pen., o, se accolta, quello di corruzione punito dall’art. 319 cod. pen.; la medesima sollecitazione integra, invece, il delitto induzione, punito dall’art. 319 quater cod. pen., quando sia preceduta o accompagnata da uno o più atti che costituiscono estrinsecazione del concreto abuso della qualità o del potere dell’agente pubblico”[49].

Nella prospettiva di delineare il confine fra corruzione ed induzione può essere anche utile riprendere quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che la nuova fattispecie, rubricata come “Induzione indebita a dare o promettere utilità”, pur facendo riferimento alla condotta di due soggetti, non integra propriamente un reato bilaterale, come nel caso della corruzione, perché le due condotte del soggetto pubblico e del privato si perfezionano autonomamente. Il soggetto pubblico continua ad essere punito perché “induce taluno a dare o a promettere indebitamente” denaro o altra utilità; il soggetto privato è quindi punito perché, essendo stato in tal modo indotto, “dà o promette” denaro o altra utilità.

Invece, nella corruzione, tipico reato bilaterale, il soggetto pubblico “riceve” denaro o altra utilità, o “ne accetta la promessa”, sulla baste di un accordo che intercorre necessariamente con il privato [50]. Dunque, in base alla fattispecie di cui all’art. 319-quater c.p., i due soggetti si determinano autonomamente e in tempi almeno idealmente successivi: il soggetto pubblico avvalendosi del metus publicae potestatis  e il privato subendo il metus publicae potestatis con la consapevolezza, però, di riceverne un vantaggio non dovuto; mentre la fattispecie corruttiva si basa su un accordo, normalmente prodotto di una iniziativa del privato.

La circostanza attenuante della particolare tenuità prevista dall’art. 323 bis cp.

L’art. 323 bis è stato introdotto dalla legge 26 aprile 1990, n. 86, intitolata “Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione” per consentire l’adeguamento della sanzione al fatto concreto, quando esso si presenti di “particolare tenuità”.

Successivamente, lo stesso art. 323 bis è stato modificato dall’art. 6, 2° comma, della legge 29/9/2000, n. 300 che vi ha inserito gli opportuni riferimenti alle nuove figure di reato di cui agli articoli 316 ter e 322 bis c.p.

In base a tale disposizione, alcuni delitti del capo I del titolo II del codice penale subiscono un’attenuazione di pena qualora il fatto concreto, considerato nel suo insieme e nell’ambito della situazione in cui è stato commesso, risulti avere un impatto particolarmente lieve.

L’attenuante in esame ha il chiaro intento di favorire un miglior adeguamento della pena alla carica offensiva particolarmente modesta di alcune condotte.

Prima facie potrebbe perciò apparire un mero doppione dell’art. 62 bis c.p.  [51], anche se un’indagine più approfondita dimostra l’infondatezza di tale impressione.

Tanto poiché le circostanze attenuanti generiche possono fondarsi su elementi diversi dalla particolare tenuità del fatto, e, dunque, possono concorrere con l’attenuante in commento.

Pertanto, è legittimo il diniego dell’attenuante ex art. 323 bis c.p. nel caso in cui sia stata riconosciuta quella di cui all’art. 62  n. 4, cp (concernente non solo i delitti contro il patrimonio ma anche tutti quegli altri delitti che, comunque, offendano il patrimonio), in quanto, mentre la prima si riferisce al reato nella sua globalità, la seconda prende in considerazione il solo aspetto del denaro o del lucro che deve essere connotato da particolare tenuità.[52]

Ed ancora, qualora la circostanza speciale di cui all’art. 323 bis c.p. venga riconosciuta esclusivamente in ragione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato, in essa rimane assorbita quella del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62 comma primo n. 4[53].

Gli articoli richiamati dalla norma in esame riguardano il peculato mediante profitto dell’errore altrui, la malversazione a danno dello Stato, la concussione, la corruzione per atto di ufficio, la corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, la corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio, l’istigazione alla corruzione e l’abuso d’ufficio.

In tutti questi reati, dunque, se il fatto è di particolare tenuità, si applica una pena diminuita in misura non eccedente un terzo (art. 65 n. 3 c.p.[54]).

L’art. 323 bis contiene una circostanza speciale indefinita, che non ha il suo fondamento su qualche specifico fattore attenuativo del disvalore (la cosiddetta “tenuità del danno”), ma sulla modesta portata contingente degli elementi costitutivi del reato globalmente intesi.

Si tratta di un’attenuante speciale, ad effetto comune, riferibile solo ad alcuni dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Essa ha inoltre, come si è detto, un carattere sostanzialmente indefinito ed è modellata in termini identici all’attenuante prevista per una serie di altri reati (ricettazione, reati concernenti armi, stupefacenti).

La circostanza dell’art. 323 bis c.p. non è, pertanto, applicabile ai rimanenti delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione che non siano espressamente elencati al suo interno.

Nessun dubbio sul carattere tassativo dell’indicazione legale: evidentemente il legislatore ha ritenuto che nei casi rimanenti non sia possibile il configurarsi di un fatto di particolare tenuità.

Procedendo ora all’analisi del contenuto della circostanza attenuante di cui all’art. 323 bis, va rilevato che la “particolare tenuità” del fatto non può essere desunta dalla sola lieve entità dell’eventuale offesa al patrimonio.

La circostanza attenuante in esame è, piuttosto, subordinata alla valutazione del fatto nella sua globalità (fatto tipico e colpevolezza) e, quindi, non soltanto alla verifica delle conseguenze di carattere patrimoniale, non risultando la circostanza collegata né al profitto conseguito dall’agente, né al danno cagionato alla P.A.

La valutazione deve essere compiuta alla stregua di tutti i parametri, oggettivi e soggettivi, che, secondo l’art. 133, comma 1, c.p. [55] consentono di valutare la “gravità del reato”: in particolare, avendo riguardo alle modalità della condotta e alla gravità del danno o del pericolo.[56] Pertanto, l’attenuante concerne il fatto illecito in tutti i suoi profili, compreso quello psicologico e possono rilevare , di conseguenza, anche i motivi sottesi alla condotta dell’agente.[57]

Il giudicante, pertanto, nel concedere l’attenuante speciale in commento, non potrà non valutare , nell’ipotesi del reato continuato, la vicenda nel suo complesso e non solo con riferimento all’entità della violazione più grave autonomamente considerata.[58]

Roberta D’Onofrio

Con la collaborazione della tirocinante d.ssa Francesca Bucci


[1] “La nuova disciplina dei reati contro la P.A.” di R. Garofoli, in Diritto Penale Contemporaneo, 15/01/2013

[2] Per una panoramica anche sull’aspetto preventivo: “Le misure sanzionatorie amministrative e penale della legge anticorruzione” di B. Bevilacqua, Diritto Penale Contemporaneo, 28/05/2013

[3] Ex plurimis, PULITANÒ, Legge anticorruzione,in Cass. pen., 2012, suppl al vol. 11,7; GAROFOLI, La nuova legge anticorruzione, tra prevenzione e repressione, in www.penalecontemporaneo.it,, 14. SPADARO – PASTORE, Legge anticorruzione (l. 6 novembre 2012, n. 190),in Il Penalista,speciale riforma, 2013, 41. 

[4] Fiandaca- Musco, I delitti contro la pubblica amministrazione.

[5] “I delitti contro la pubblica amministrazione” a cura di S. F. Fortuna, Giuffrè Editore 2010, addenda 2012

[6] “I delitti contro la pubblica amministrazione” a cura di S. F. Fortuna, Giuffrè Editore 2010, addenda 2012

[7]http://www.diritto.it/docs/36901-gli-elementi-costitutivi-del-delitto-di-induzionedare-o-promettere-utilit-art-319-quater-c-p-ed in-particolare-i-caratteri-distintivi-rispettoal-delitto-di-concussione-art-317-c-p, Andrea Dublino

[8] Così, PALAZZO, Concussione, corruzione e dintorni: una strana vicenda, in www.penalecontemporaneo.it, 4. Alle stesse conclusioni, PELLISSERO, Le istanze di moralizzazione dell’etica pubblica e del mercato nel “pacchetto” anticorruzione: i limiti dello strumento penale,in Dir. pen. e proc. 2008, 282. 

[9]  Cfr. in tal senso Cass. Sez VI, 5 dicembre 2012, n. 3251 5.

[10] Anche la dottrina sembra concordare su questa soluzione; così PALAZZO, Gli effetti <preterintenzionali> delle nuove norme penali contro la corruzioneLa legge anticorruzione, a cura di MATTARELLA- PELLISSERO, Torino, 2013, 18 secondo cui l’art. 319 quater non presenta novità strutturali, risultando da una semplice operazione di distacco, di separazione dalla vecchia concussione; in senso problematico, Relazione n. III/11/2012 del 15 novembre del 2012dell’Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione, cit., 8. 

[11] I delitti contro la pubblica amministrazione, i delitti dei pubblici ufficiali, Mario Romano, Giuffrè editore , Milano 2013.

[12] BALBI, Alcune osservazioni, cit. Fortemente critico sulla riformal’A., secondo cui: «la riforma…ben difficilmente segnerà una tappa davvero significativa, e apprezzabile, nell’evoluzione del nostro sistema penale. Quello che fa pensare, alla luce di tutto ciò, è l’inspiegabile consenso sociale addensatosi su di un testo normativo di medio spessore e di modesto impatto. Certo, la definizione mediatica di decreto anticorruzione ha svolto la sua parte, quasi che non esprimersi a favore di esso sembrasse costituire una forma di connivenza nei confronti di politicanti corrotti. Lascia sempre un po’ di amarezza pensare che tanta voglia di legalità proveniente dal corpo sociale possa essere così facilmente veicolata su obiettivi più o meno casuali.». Di opinione contraria, DOLCINI, VIGANÒ, Sulla riforma, cit., secondo cui: «ci pare opportuno ancora una volta ribadire…un complessivo apprezzamento per la riforma progettata, che affronta finalmente, seppur in modo parziale in ragione delle difficili contingenze politiche, un nodo essenziale per il futuro del paese: sulla base di un disegno di politica criminale magari non ambizioso, ma quanto meno chiaro e razionale. Di questi tempi, non è poco.». Critico il giudizio di PALAZZO, Concussione, corruzione e dintorni, cit. ; secondo l’A. infatti: «Se legiferare significasse procedere frigido pacatoque animo, l’attuale vicenda della riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione ne sarebbe un’evidente smentita. Ma soprattutto lo sconcerto prodotto dalla raffica di notizie di reato delle ultime settimane e la giusta attenzione dedicata dalla stampa quotidiana ai conati legislativi, con un occhio sempre sospettosamente rivolto ai processi in corso per smascherare temute “trappole” eventualmente nascoste tra le pieghe delle nuove norme, hanno messo nell’ombra la stranezza diciamo così- che questa vicenda rivela ad un osservatore un po’ più distaccato.»; FIANDACA, L’induzione indebita a dare o promettere utilità (art.319-quater c.p.): una fattispecie ambigua e di dubbia efficacia, cit., in cui l’A. scrive «Che il nuovo assetto di disciplina dei reati contro la pubblica amministrazione rifletta un disegno politico-criminale davvero razionale o ragionevole, è in realtà controvertibile […]. Dubbi legittimi investono anche la plausibilità tecnica e l’efficacia della nuova fattispecie di cui all’art. 319-quater c.p., che viene a incrementare il ventaglio delle possibili opzioni qualificatorie di forme di condotta tra loro molt contigue e dai confini non di rado assai fluidi, con conseguente aumento delle incertezze applicative e del concreto rischio di arbitrio giudiziale. Né mancano ulteriori obiezioni […], che insistono nell’evidenziare la contraddizione tra la punibilità del privato indotto e la sua possibile disponibilità a denunciare i comportamenti subiti e, nel contempo, gli effetti negativi sulla prescrizione derivanti dalla previsione (sempre nell’ipotesi di cui all’art. 319-quater c.p.) di un trattamento punitivo inferiore a quello riservato alla concussione. Sembrano, dunque, esservi ragioni per ripensare la pur recente riforma. Ma pensare di poter procedere a una riforma della riforma sarebbe, in un frangente politico assai incerto e fragile come l’attuale, assai poco realistico».

[13] In www.dirittopenalecontemporaneo, R. Garofoli, La nuova disciplina dei reati contro la PA.

[14] La scelta si fonda sull’assunto che solo il pubblico ufficiale è in grado di ingenerare il metus publicae potestatis; su punto si vedano le illuminanti indicazioni che vengono dallo stesso Ministro della giustizia in carica al momento dell’approvazione della l. n. 190; secondo, infatti, SEVERINO, La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen e proc. 2013, 9 la scelta di estendere la soggettività attiva del reato di concussione all’incaricato di pubblico servizio mal si attaglia “alla struttura soggettiva della fattispecie, incentrata su forme di coazione psicologica riportabili esclusivamente ai poteri coercitivi tipici della pubblica funzione”. In senso critico rispetto alle ragioni di fondo della scelta, SEMINARA, I delitti di concussione ed induzione indebita  ,cit., 388 secondo cui la scelta normativa non tiene conto della circostanza che, in seguito alla progressiva dilatazione giurisprudenziale della categoria degli incaricati di pubblico servizio risulta difficilmente sostenibile l’idea di un metuslegato esclusivamente ai poteri coercitivi propri della pubblica funzione. 

[15]://www.diritto.it/docs/36901-gli-elementi-costitutivi-del-delitto-di-induzionea-dare-o-promettere-utilit-art-319-quater-c-p-ed-in-particolare-i-caratteri-distintivi-rispettoal- delitto-di-concussione-art-317-c-p Andrea Dublino

[16] Cass. pen., sez. VI, 21.2.2013, n. 8695, Nardi, rv. 254114.

[17] Cass. pen., sez. VI, sent. 3 dicembre 2012 (dep. 22 gennaio 2013), n. 3251, Pres. Agrò, Rel. Paternò Raddusa, Imp. Roscia; In termini sovrapponibili anche Sez. VI, n. 7495 del 03/12/2012, (dep. 15/02/2013), Gori, Rv. 254021

[18] Sentenza Corte di Cassazione del 31 luglio 2013, n. 18368, Alla stessa conclusione aderisce anche Sez. VI, n. 11944,25/2/2013 (dep. 14/3/2013), De Gregorio, Rv. 254446secondo cui “La costrizione, che costituisce l’elemento oggettivo del reato di concussione di cui all’art. 317 cod. pen, così come modificato dall’art. 1, comma 75 della l. n. 190 del 2012, sussiste quando il pubblico ufficiale agisca con modalità ovvero con forme di pressioni tali da non lasciare margine alla libertà di autodeterminazione del destinatario della pretesa, il quale decide, senza che gli sia stato prospettato alcun vantaggio diretto, di dare o promettere un’utilità, al solo scopo di evitare il danno minacciato; essa si distingue dall’induzione, che integra il reato di cui all’art. 319 quater cod. pen., che si verifica, invece, quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio agisca con modalità o forme di pressione più blande, tali da lasciare un margine di scelta al destinatario della pretesa, che concorre nel reato perché gli si prospetta un vantaggio diretto”.

[19] Corte di Cassazione, Sezione Unite Penali, sentenza 24 ottobre – 14 marzo 2014, n. 12228.

[20] Corte di Cassazione, Sezione Unite Penali, sentenza 24 ottobre – 14 marzo 2014, n. 12228.

[21] V., SEMINARA, La riforma dei reati di corruzione e concussione come problema giuridico culturale, in Dir. pen. proc., 2012, 1235 ss. (per il quale la riforma è stata ispirata dalle Convenzioni internazionali che hanno un modello unisoggettivo della corruzione attiva e passiva); e cfr., DOLCINI – VIGANÒ, Sulla riforma in cantiere dei delitti di corruzione, in Dir. pen. cont., Riv. trim., 2012, 1, 2012, 232 ss.

[22] Per approfondimento, Il commento alla sentenza , di Simone Farina.

[23] Fiandaca-Musco, Diritto Penale parte generale, Giuffrè editore, 2013

[24] Ferrando Mantovani, Diritto penale, Cedam 2013.

[25] F. Mantovani, Diritto penale, Cedam 2013

[26] tra gli altri, T. Padovani, Metamorfosi e trasfigurazione, cit., p. 788; M. Romano, I delitti contro la Pubblica Amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali. Commentario sistematico, III ed., 2013, p. 234; S. Seminara, I delitti di concussione e induzione indebita, in B.G. Mattarella, M. Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, 2013, 383. M. Ronco, L’amputazione della concussione e il nuovo delitto di induzione indebita: le aporie di una riforma, in Arch. pen., 2013, p. 47 s. Sia consentito rinviare, inoltre, a G.L. Gatta, La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, 2013, p. 221 s.

[27] Per una disamina completa, Dalle sezioni <unite il criterio per distinguere concussione e induzione indebita: minaccia di una danno ingiusto vs prospettazione di un vantaggi indebito, G. L. Gatta, in www. Dirittopenalecontemporaneo.it, 17 marzo 2014 

[28]Relazione dell’Ufficio del massimario della Cassazione, cit., nella quale però si dubita della possibilità di applicazione di norma estranea al sistema chiuso dei reati contro la P.A.; DOLCINI-VIGANÒ,op. cit., 16; VIGANÒ, “La riforma dei delitti di corruzione“,in Libro dell’anno del diritto, Treccani, 2013; SEMINARA,op. cit., 1242. 

[29] V., Cass., Sez. VI, 11 gennaio 2013, G., in Dir. e giust. online, 2013, (secondo la quale: «Nell’art. 319-quater c.p., è stata isolata e resa autonomamente punibile la condotta di induzione del pubblico ufficiale o dell’incarico di un pubblico servizio, già compresa nella fattispecie di concussione di cui all’art. 317 c.p., ora ristretta, con riferimento soggettivo al solo pubblico ufficiale, alla condotta costrittiva. Il mede-simo art. 319-quater, al co. 2, ha introdotto la responsabilità penale del privato “indotto”, che, per effetto della condotta del soggetto pubblico, si risolve a dare o promettere denaro o altra utilità. La nuova fattispecie, rubricata, come detto, “Induzione indebita a dare o promettere utilità”, pur facendo partita-mente riferimento alla condotta di due soggetti, non integra propriamente un reato bilaterale, come nel caso della corruzione, perché le due condotte del soggetto pubblico e del privato si perfezionano auto-nomamente. Il soggetto pubblico continua ad essere punito perché “induce taluno a dare o promettere indebitamente”, denaro o altra utilità; il soggetto privato è (ora) punito perché essendo stato in tal modo indotto, “da o promette” denaro o altra utilità, o “ne accetta la promessa  “, sulla base di un accordo che intercorre necessariamente con il privato. Dunque, in base all’art. 319-quater, i due soggetti si determi-nano autonomamente, e in tempi almeno idealmente successivi: il soggetto pubblico avvalendosi del – e il privato subendo il – metus publicae potestatis; mentre la fattispecie corruttiva si basa su un accordo, normalmente prodotto di una iniziativa del privato. La esclusione della natura bilaterale della nuova fattispecie di cui all’art. 319-quater contribuisce a risolvere, in senso positivo, il problema della continui-tà normativa tra la ipotesi descritta dal comma primo di questo articolo e quella, del tutto analoga, allora ricompresa nel più ampio paradigma della concussione»).

[30] E in quest’ultimo caso ha annullato con rinvio al giudice di merito, per le determinazioni quoad poenam (Sez. VI, n.13047 del 25/02/2013, dep. 21/03/2013, Piccino) o senza rinvio quando ha considerato decorsi i termini di prescrizione (Sez. VI, n. 8695 del 04/12/2012, dep. 21/02/2013, Nardi); se, invece, la riconduzione nella fattispecie necessitava di attività valutative tipiche del giudice di merito, ha annullato con rinvio anche perché venissero effettuati i necessari accertamenti (Sez. VI, n. 3251 del 03/12/2012, dep. 22/01/2013, Roscia

[31] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, n. 20914 del 30 maggio 2012, Rv. 252786.

[32] ex plurimis : Cass. pen., Sez. VI, n. 11384 del 11 marzo 2003, rv. 227196. Viceversa, solo nell’ipotesi in cui la sequenza abuso – induzione – metus – promessa si arresti prima di quest’ultimo passaggio, che rappresenta il momento consumativo, il reato deve ritenersi tentato e non consumato, sussistendo i presupposti degli atti idonei diretti in modo non equivoco a commetterlo (Sez. 6, n. 10355 del 07/06/2007, dep. 06/03/2008, Rv. 238912). La Suprema Corte afferma anche che ‘Nè, del resto, può tralasciarsi di considerare che la giurisprudenza di legittimità ritiene integrato il delitto di concussione finanche nell’ipotesi in cui la promessa di denaro fatta dal privato al pubblico ufficiale sia sorretta dalla speranza che un efficace intervento delle forze dell’ordine ne impedisca l’adempimento, non potendosi ritenere sufficiente ad escludere il metus publicae potestatis la sola circostanza che il soggetto passivo si sia rivolto alla forze di polizia per sottrarsi alle pretese dell’autore del reato’ (Sez. 6, 17303 del 20/04/2011, dep. 05/05/2011, Rv. 250066).

[33]  ex plurimis: Cass. pen., Sez. VI, n. 10355 del 6 marzo 2008, rv, 238912

[34] Cass. pen., Sez. VI, 17303 del 5 maggio 2011, rv. 250066

[35] In questo senso, Cass. Sez. VI, n. 13047 del 25/02/2013, (dep. 21/03/2013), Piccinno, Rv. 254467secondo cui “È consumato il delitto di indebita induzione, di cui all’art. 319-quater cod. pen., quando dopo aver promesso il pagamento di una somma di denaro, si sollecita l’intervento della polizia giudiziaria affinché l’effettiva dazione avvenga sotto il controllo della stessa.”;in termini, con riferimento specifico alla riserva mentale di non voler poi adempiere, Sez. VI, n. 16154 del 11/01/2013, (dep. 08/04/2013 ), Pierri, Rv. 254541, secondo cui “Ai fini della consumazione del delitto di induzione indebita di cui all’art. 319-quater cod. pen., come introdotto dall’articolo 1, comma 75 della l. n. 190 del 2012, è sufficiente la promessa di denaro o altra utilità fatta dall’indotto al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, senza che abbia rilevanza alcuna né la riserva mentale di non adempiere nè l’intendimento di sollecitare l’intervento della polizia giudiziaria affinché la dazione avvenga sotto il suo controllo.”

[36] Cfr. la  sentenza della CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE – 20 novembre 2015, n.46071. Nella specie, T. sin dal primo incontro ha concretamente manifestato l’intenzione di resistere alla induzione propostagli da S. , tanto è vero che all’incontro di 29.2.2012 si è presentato con il registratore tascabile e subito dopo ha depositato una prima denuncia ai Carabinieri. Dalla stessa narrazione dei fatti contenuta nella sentenza emerge chiaro l’atteggiamento di T. che non soggiace alle ‘pressioni’ di S. – che agisce in concorso con V. .In questo caso, l’agente pubblico – tramite S. – ha abusato della sua qualità, ma ha posto in essere un tentativo di induzione del privato a dare o a promettere indebitamente un’utilità, senza riuscire nel suo intento, perché, l’evento non si è verificato proprio per la resistenza del privato (Sez. VI, 11 aprile 2014, n. 32246, Sorge).

[37] cfr., Sez. VI, 21 gennaio 2003, n. 11384, Zangrilli; Sez. VI, 7 giugno 2007, n. 10355, Bruno.

[38] Cfr. Relazione n. III/11/2012, cit.. 24 Relazione n. III/11/2012, cit. 15

[39] Cass. pen. Sez. VI, 16/12/2005, n. 2677

[40] Cfr. Cass.pen.  n. 16566/2013

[41]CassazionePenale,Sez.II,18marzo2014(ud.26febbraio2014),n. 12736Presidente Gallo, Relatore Rago

[42] Scopo dell’incriminazione della corruzione impropria è di evitare il danno che deriva all’amministrazione dalla venalità dei soggetti ad essa preposti, venalità che, anche quando non porta al compimento di atti illegittimi, nuoce alla dignità e al prestigio dell’amministrazione medesima, poiché getta discredito e sospetto sul suo funzionamento. (ANTOLISEI, 2003, 329). In tema di corruzione, l’accettazione di piccole regalie d’uso può escludere soltanto la configurabilità del reato di corruzione per il compimento di un atto d’ufficio, giammai quello di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, poiché solo nel primo caso è possibile ritenere che il piccolo donativo di cortesia non abbia avuto influenza nella formazione dell’atto. (Fattispecie relativa a regalie di vario genere – somme di danaro, buoni di benzina, ceste natalizie, cene, sconti per acquisti, ecc. – effettuate da titolari di imprese di autotrasporti e da autotrasportatori in favore di ufficiali ed agenti della Polizia stradale, per ottenere un trattamento meno rigoroso in occasione dei controlli su strada, ovvero l’omissione di ogni ,  Cass.pen. sez VI, 9 giugno 2009, n. 23776.

[43] Cass. pen., Sez. 6, n. 7495 del 03/12/2012 – dep. 15/02/2013, Gori ed altro, in C.E.D. Cass. Rv. 254020, che ha stabilito che, in tema di concussione, integra il requisito della costrizione qualunque violenza morale, attuata con abuso di qualità o di poteri che si risolva nella prospettazione, esplicita o implicita, di un male ingiusto, recante alla vittima undanno patrimoniale o non patrimoniale.

[44] (Cass. Pen., sez. VI, sentenza 19 novembre 1997, n. 3444, Cunetto, in Cass. pen., 1999, 3131).

[45] Cass. pen., Sez. U, n. 7, 11/05/1993 – dep., Romano, C.E.D. Cass. Rv. 193747, in cui la S.C. ha stabilito che il termine”utilità” indica tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale o nonpatrimoniale, oggettivamente apprezzabile, consistente tanto in un dare quanto in un “facere” e ritenuto rilevante dallaconsuetudine o dal convincimento comune. Cass. pen., Sez. 6, n. 7495 del 03/12/2012 – dep. 15/02/2013, Gori ed altro, in C.E.D. Cass. Rv. 254020, che ha stabilito che, in tema di concussione, integra il requisito della costrizione qualunque violenza morale, attuata con abuso

di qualità o di poteri che si risolva nella prospettazione, esplicita o implicita, di un male ingiusto, recante alla vittima undanno patrimoniale o non patrimoniale.

6 Cass. pen., Sez. 6, n. 3093 del 18/12/2012 – dep. 21/01/2013, P.G. e Aurati, Rv. 253947

[46] GARGANI, Le fattispecie di corruzione tra riforma legislativa e diritto vivente: il ‘sentiero interrotto’ della tipicità del fatto, in Diritto penale e processo, Diritto penale, Editoriale, 9/2014.

[47] R. Garofoli, La nuova disciplina dei reati contro la PA, in www.dirittopenalecontemporaneo.it

[48] Cfr. Cass Sez. VI, n. 3251 del 03/12/2012, (dep. 22/01/2013), Roscia Rv. 253937;

[49] Così, Sez. VI, n. 16154 del 11/01/2013, (dep. 08/04/2013), Pierri, Rv. 254540;

[50] Cfr. Cass. Sez. VI, n. 17285 dell’11/1/2013, dep. 15/4/2013, Vaccaro;Così, Relazione n. III/11/2012 del 15 novembre del 2012 dell’Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione, cit., 7 19 corruzione perché la nuova norma non delineerebbe un’unica fattispecie di “reato contratto” (come avviene per la corruzione)

[51]Il giudice, indipendentemente dalle circostanze prevedute nell’articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell’applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62″.

[52] Cfr. cass.pen. sez. VI 2012/7919, nella specie, con riferimento alla contestazione del peculato continuato per uso indebito del telefono di ufficio, il diniego dell’attenuante di cui all’art. 323 bis è stato giustificato dalla particolate gravità del fatto per l’elevato numero di telefonate effettuate in un ristretto arco di tempo.

[53] Cfr. cass.pen. sez. VI, n 3428 del 2011.

[54]Quando ricorre una circostanza attenuante [c.p. 62], e non è dalla legge determinata la diminuzione di pena, si osservano le norme seguenti:(……)le altre pene sono diminuite [c.p. 63] in misura non eccedente un terzo [c.p. 132; disp. att. c.p. 18 quindi, insieme alle ragioni che lo hanno determinato e alla personalità del suo autore, giacché queste si riverberano sul dato oggettivo e finiscono per delinearne gli esatti contorni”. Come è stato affermato in un’altra pronuncia, Cass. 29/10/1997, inCass.Pen. 1998, 2940, ai fini della configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 323 bis “non può assumere rilievo…la mera considerazione delle sole conseguenze patrimoniali della condotta criminosa”. In applicazione di tale principio la Cassazione ha annullato la sentenza di merito che – sull’unico rilievo della lieve entità del danno cagionato alle persone offese – aveva riconosciuto la sussistenza dell’attenuante predetta a favore di un appartenente alle forze dell’ordine imputato di concussione nei confronti di due cittadini extracomunitari. 

[55]Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione”.

[56] Giova peraltro riferire, per completezza di indagine, che nel d.d.l. 2441/1988, presentato dal Ministro di Grazia e Giustizia il 7 marzo 1988 alla Camera dei Deputati, la disposizione in esame era imperniata solo su criteri oggettivi (ossia, per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per l’entità del profitto, del danno o del pericolo); quella originaria previsione è però caduta nel corso dei lavori parlamentari.

[57] Cfr. sent, Cass. Pen. Sez. VI 03/26998 : fattispecie di peculato nella quale l’indebita appropriazione di buoni-pasto era stata intesa dal pubblico dipendente in una situazione di generale tolleranza quale forma di compenso per rilevanti servizi prestati volontariamente verso l’ente di appartenza.

[58] Cfr. cass.pen. sez. VI 13/30821, fattispecie nella quale la corte ha ritenuto legittimo il diniego dell’attenunate in un caso di appropriazione multipla e continuata da parte del comandante dei vigili urbani dei proventi delle infrazioni stradali.

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