La tutela della vulnerabilità. Riflessioni penalistiche e buone prassi per emersione e prevenzione dei reati. Riduzione del danno e tutela delle vittime nel processo penale

di Valentina Santoro

Per vulnerabilità si può genericamente intendere la condizione di debolezza che caratterizza, per così dire “strutturalmente” o “funzionalmente”  la persona offesa dal reato e, più in generale, il teste nel processo penale.

Le disposizioni contenute nel codice di rito poste a tutela della “vittima” del reato e del teste vulnerabile sono state recentemente introdotte o integrate anche e soprattutto sulla scorta dell’evoluzione della normativa e della giurisprudenza sovranazionali, con particolare riferimento a quelle di matrice europea[1].

Gli interventi normativi che hanno implementato nel codice di rito le disposizioni sul teste vulnerabile si inquadrano in un contesto più ampio, nell’ambito del quale è stato attribuito alla persona offesa un rilievo centrale all’interno del processo penale, con il conseguente riconoscimento di diritti e poteri significativi e, talvolta, determinanti, soprattutto con riferimento ai delitti commessi con violenza alla persona o con violenza determinata dai cosìdetti “motivi di genere”.

Nello sforzo di operare una estrema sintesi, e di tracciare le linee di uno schema operativo che guidi il p.m. durante la fase delle indagini per delitti che coinvolgano soggetti“vulnerabili”, è utile selezionare le principali fonti normative che hanno determinato la profonda trasformazione del nostro codice di rito.

Con la legge n. 172/2012  l’Italia ha ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2007 per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale (cd. Convenzione di Lanzarote).

LaDirettiva2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, invece, è stata solo parzialmente recepita dall’ordinamento italianocon il d.lgs. 204/2007: l’Italia ha riconosciuto  infatti unindennizzo solo alle vittime di particolari categorie di reati e in forza di determinate, specifiche leggi[2].Ciò, almeno fino all’istituzione del Fondo di rotazione per la solidarieta’ alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali violenti nonche’ agli orfani per crimini domestici, avvenuta con la recentissima legge n. 4/2018.

La Convenzione del Consiglio d’Europa del 11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica(cd. Convenzione di Istanbul), è stata ratificata dall’Italia con il d.l. 14 agosto 2013  n. 93 convertito in l. 15 ottobre 2013, n. 119.Tale Convenzione prende in considerazione tre forme di violenza: quella nei confronti delle donne, quella domestica e la violenza di genere, accomunando la violenza fisica a quella psicologica[3].

Con il d.lgs. 24 del 4 marzo 2014l’Italia ha dato attuazione alla Direttiva n. 2012/29/UE sulla tratta di esseri umani. All’art. 1 il decreto definisce lo stato di debolezza del soggetto, per accertare il quale dispone che si debba tener conto “ della specifica situazione delle vittime vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, gli anziani, i disabili, le donne, in particolare se in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le persone con disturbi psichici, le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica, sessuale o di genere”.

Con il d.lgs. n. 212 del 15 dicembre 2015il legislatore italiano ha recepito all’interno del nostro ordinamento la Direttiva 2012/29/UEdel Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI[4]. Obiettivo primario della Direttiva, è di assicurare a tutte le vittime di reati parità di condizioni in materia di informazione, assistenza e protezione. Tale Direttiva è la fonte europea di riferimento che ha contribuito a innovare maggiormente il nostro codice di rito, in quanto le novità normative contenute nel decreto legislativo che l’ha recepita sono il frutto della trasposizione sul piano interno di alcuni principi in essa contenuti: dalla definizione di vittima del reato, al diritto all’informazione, alla presunzione di vulnerabilità dei minori, all’individualizzazione della protezione della vittima che, secondo la Direttiva, deve dipendere da un profilo oggettivo o soggettivo. La vulnerabilità può infatti dipendere sia dal tipo di reato di cui si è vittima (delitti di criminalità organizzata, delitti commessi in ambito familiare etc.) o da una condizione di debolezza intrinseca della persona (l’essere minore, o infermo di mente, ad esempio). Le due condizioni, ovviamente, possono sovrapporsi (si pensi alla violenza di genere o ai delitti sessuali commessi ai danni di minori)[5].

Occorre specificare che in tutta la normativa sovranazionale su richiamata si fa riferimento alla “vittima” del reato, nozione che risulta essere sicuramente più estesa di quella di persona offesa dal reato e danneggiato dal reato che, invece, sono presenti nel nostro codice di rito[6]. L’art. 2 della Direttiva 2012/29/UE definisce, infatti,  la vittima come “persona fisica che ha subìto un danno, anche fisico, mentale o emotivo o perdite economiche causati direttamente dal reato”.

Ad esito del processo di implementazione della normativa comunitaria nell’ordinamento nazionale,  e di adeguamento della legislazione alle esigenza di tutela della vittima/ persona offesa/teste vulnerabile, dettate anche da un’emergenza che nell’ultimo decennio si è rivelata statisticamente rilevantissima e molto allarmante, oltre che mediaticamente imponente, si è creato, per così dire, un micro-sistema processuale a parte per una  categoria, non proprio omogenea,  di delitti che vede al centro del sistema stesso la persona vulnerabile, quale p.o. o semplice teste. Questo, a seguito di interventi normativi anche resi “a singhiozzo” dal legislatore nazionale e non sempre coerenti o esaustivi.

Nel nostro ordinamento la vulnerabilità è intesail più delle volte in maniera presunta – e dunque, per così dire,  strutturale- nei minori[7], per i quali il codice di procedura penale prevede una serie di disposizioni ad hoc al fine di tutelarne la sfera psicofisica, talvolta a  prescindere dalla categoria di reati nei quali sono coinvolti  e dal ruolo procedimentale o processuale che assumono.

Con riferimento alla fase delle indagini, vengono in rilievo in primo luogo le disposizioni inerenti l’escussione dei minori nelle prime fasi dell’acquisizione della notitiacriminis.

L’art. 351 co. 1 ter c.p.p. prevede che, quando procede in relazione ad alcuni reati particolarmente delicati (nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 572600600-bis600-ter600-quater600-quaterco.1600- quinquies601602609-bis609-quater609-quinquies609-octies609-undecies e 612 bis del codice penale) la polizia giudiziaria assuma informazioni da persona minorenne, anche quando la stessa non sia persona offesa, avvalendosi dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria nominato dal pubblico ministero[8]. Tale disposizione  è stata introdotta a seguito del recepimento della Convenzione di Lanzarote[9](che si pone in continuità con le linee guida contenute nella Carta di Noto).

Nella prassi investigativa, la polizia operante, anche su disposizione orale del p.m., procede spesso a  nominare quale ausiliario di p.g. lo psicologo comunale di riferimentoche sia prontamente reperibile, soprattutto nei casi in cui si debba procedere d’urgenza e il p.m. non abbia avuto il tempo di conferire incarico all’esperto. In quest’ottica, è buona prassi per le Procure predisporre, con l’ausilio dei Comuni o degli Ordini professionali di riferimento, dei turni di reperibilità anche per questi professionisti da diffondere alle ff.oo. e alle strutture ospedaliere territoriali.

Parallelamente il legislatore è intervenuto sull’art 392 co. 1 bis c.p.p prevedendo che, nel caso si proceda per gli stessi delitti richiamati dall’art. 351 co. 1 ter c.p.p., si possa richiedere l’incidente probatorio per l’ assunzione della testimonianza della persona minorenne al di fuori degli stringenti presupposti previsti dall’art. 392 co 1 c.p.p..L’importanza di procedere all’assunzione della testimonianza del minore attraverso lo strumento dell’incidente probatorio è ormai un dato acquisito, ed è di immediata utilità laddove il minore sia anche persona offesa dal reato, in quanto in tal modo si evita- o, quanto meno, si attenua-  quel processo di cd. vittimizzazione secondaria che è connaturato alla rievocazione dei fatti – da parte della p.o. o del teste vulnerabile- durante processo penale[10].

L’art. 398  co. 5 bis c.p.p., infatti, prevede che, sempre con riferimento ai casi in cui si proceda per i reati richiamati dagli artt. 351 co. 1 ter c.p.p e 392 co. 1 bis c.p.p., “il giudice, ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minorenni, con l’ordinanza di cui al comma 2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno. A tal fine l’udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’abitazione della persona interessata all’assunzione della prova. Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva”.

In molti Tribunali sono stati creatiad hoc degli ambienti separati dedicati all’ascolto delle persone minorenni, spesso forniti di doppia camera con vetro-specchio, onde sottrarre il minore al contatto sia con gli indagati che con i difensori e con lo stesso pubblico ministero. Anche in alcuni uffici delle forze dell’ordine sono state create stanze simili, attrezzate (anche esteticamente) per l’ascolto del minore con modalità protette.

Tali particolari modalità previste per le persone informate sui fatti minorenni, sono a presidio sia della genuinità della deposizione che della tutela della sfera psicofisica del teste.

Diversamente per le persone maggiorenni[11], per le quali i presidi posti a garanzia dell’ascolto in fase di indagine dei minori sono subordinati a presupposti diversi.

Innova l’ordinamento in questo senso, il d.lgs. 212/2015 che, come sopra detto, ha recepito la Direttiva  2012/29/UE, e ha introdotto l’art. 90 quater c.p.p., definendo espressamente lo stato di vulnerabilità rilevante ai sensi delle disposizioni codicistiche e riferendolo sempre alla persona offesa dal reato.

In particolare, la norma statuisce che: “ agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato”.

La norma non chiarisce quando- cioè in quale fase del processo o del procedimento penale- debba essere attribuita la condizione di particolare vulnerabilità alla persona offesa dal reato, né da quale soggetto processuale debba essere dichiarata[12]: se dal p.m., dal giudice, dalla  polizia giudiziaria all’inizio dell’indagine o da altri soggetti (ad esempio servizi sociali che abbiano preso contatto con la p.o. o dai quali sia partita, ad esempio, segnalazione, etc).

Nella prassi, la vulnerabilità viene considerata in concreto, al fine di motivare il ricorso a determinati istituti giuridici: ad esempio, il p.m. che procederà a chiedere al g.i.p. l’incidente probatorio per l’escussione di  un teste che considera particolarmente vulnerabile, specificherà nella richiesta i criteri per i quali tale condizione è ritenuta sussistente nel caso di specie, con riferimento ai parametri di cui all’art. 90 quater c.p.p..

Dalla sussistenza/accertamento in concreto della condizione di particolare vulnerabilità discendono conseguenze processuali molto significative.

Lo stesso d.lgs. 212/2015,  all’art. 351 co. 1 ter c.p.p., in primo luogo, ha esteso le modalità di ascolto del minorenne all’assunzione di sommarie informazioni dal  maggiorenne,  subordinandolo al doppio presupposto che la persona sia anche persona offesa da uno dei reati di cui sopra e che versi “in condizione di particolare vulnerabilità”. Aggiunge che la polizia giudiziaria “in ogni caso assicura che la persona offesa particolarmente vulnerabile, in occasione della richiesta di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona sottoposta ad indagini e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessità per le indagini”.

Stessa previsione, naturalmente, per l’escussione innanzi al p.m. (ex art. 362 co. 1 bis c.p.p.)

Parallelamente, l’art. 392 co. 1 bis c.p.p, come modificato dalla l.172/2012prevede che si possa procedere  con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma1. Con il d.lgs. 212/2015 tale possibilità è stata estesa alla persona offesa che versi “in condizione di particolare vulnerabilità”. 

In senso corrispondente, con il d.lgs. 24/2014 si è prevista, all’art. 398 c.p.p. comma 5 terla possibilità che il giudice, su richiesta di parte, applichi le modalità di ascolto cd. protetto quando fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano maggiorenni “in condizione di particolare vulnerabilità”, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede ;al  comma 5-quater specifica che, fermo quanto previsto dal comma 5-ter, quando occorre procedere all’esame di una persona offesa che versa in condizione di particolare vulnerabilità si applicano le diposizioni di cui all’articolo 498, comma 4-quater,,cioè l’ascolto in modalità protetta previsto per la fase dibattimentale.

Con quest’ultima disposizione si ampliano le ipotesi di reato per le quali la condizione di particolare vulnerabilità – prevista quindi sia per i minorenni che per i maggiorenni- legittimano l’assunzione della prova testimoniale con l’incidente probatorio, in un senso che si adegua maggiormente alle previsioni delladecisione quadro del Consiglio dell’unione europea 2001/220/GAI  (comunque mai recepita dall’Italia) e alla sentenza della Corte di Giustizia CE emessa il 16 giugno 2005[13]per la quale gli artt. 2,3,e 8 della decisione quadro richiamata vanno interpretati nel senso della possibilità per il giudice nazionale di autorizzare i minori vittime di reato a rendere deposizioni secondo modalità idonee  a garantire un adeguato livello di tutela (assicurato, appunto, dalla forma dell’incidente probatorio) .

E’ stato, altresì, aggiunto un ultimo periodo all’art. 134 c.p.p., che consente – anche al di fuori dei casi di assoluta indispensabilità – la riproduzione audiovisiva delle dichiarazioni della persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità (anche al chiaro scopo di consentire al giudice una valutazione globale del comportamento e delle dichiarazioni della persona offesa).

Durante la fase dibattimentale, i presidi a garanzia del teste vulnerabile sono contenuti negli artt. 190 bis e 498 co. 4 quater, come modificati dal d.lgs., 212/2015.

Il comma 1-bis dell’art. 190-bis c.p.p., estende il limite previsto per il ri-esame della persona offesa che sia stata già sentita (già previsto al primo comma per i reati di cui all’art. 51 co. 3 bis c.p.p.) con incidente probatorio o in dibattimento quando il  teste sia minore degli anni sedici  o lapersona offesa versi  in condizione di particolare vulnerabilità (quando si procede per uno dei reati previsti dagli articoli 600bis, primo comma, 600-ter600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater 1 , 600-quinquies609-bis609-ter609-quater609-quinquies e 609-octies del codice penale): in tali casi, il riascolto è ammesso ‹‹solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze››.

L’art. 498, comma 4-quater, c.p.p., estendendo le modalità di ascolto protetto all’esame della persona offesa che versi in condizione di particolare vulnerabilità, su richiesta della stessa persona offesa (o del suo difensore) e a prescindere dal titolo di reato per il quale si procede, come previsto dal comma precedente per l’esame della p.o. minorenne o della persona offesa maggiorenne in condizioni di infermità mentale (con la limitazione, però, ad alcuni reati[14]).

Tali previsioni a tutela delle persone offese/testi particolarmente vulnerabili si incrociano con altre disposizioni codicistiche che più in generale, come sopra detto, tutelano la persona offesa del procedimento penale.

Risulta allora opportuno, data la rilevanza dell’attribuzione della condizione di vulnerabilità, che vengano specificate – anche attraverso forme di cooperazione tra Procura- servizi socio assistenziali di riferimento, ASL e Forze dell’ordine territoriali- le modalità con le quali individuare la persona offesa particolarmente vulnerabile, onde consentire che il procedimento penale sin dal suo inizio consenta di attivare gli strumenti processuali previsti a tutela di tale particolare condizione.

E’ un dato ormai acquisito che la anche la persona offesa dei reati di stalking e maltrattamenti, oltre che  dei delitti contro la libertà sessuale, sia in condizioni di particolare vulnerabilità (si tratta di quelli che per definizione sono i reati-spia del vero e proprio femminicidio[15]).

La normativa nazionale esaminata, infatti, prevede molti  istituti di protezione della persona offesa riferendoli soprattutto a questo tipo di reati, nei quali le “vittime” risultano essere per lo più donne (oltre che minori). Anche in questo ambito le disposizioni codicistiche sono il frutto dell’implementazione all’interno del sistema nazionale di principi e disposizioni provenienti da fonti anche di rango sovranazionale.

Importanza centrale assume la già ricordataConvenzione del Consiglio d’Europa del 11 maggio 2011  sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cd. Convenzione di Istanbul), ratificata dall’Italia con il d.l. 14 agosto 2013  n. 93 convertito in l. 15 ottobre 2013, n. 119: cuore centrale della Convenzione, l’assicurazione per queste categorie di vittime della partecipazione al procedimento e dell’informazionesugli sviluppi dello stesso, nonché della necessaria protezioneche possono ottenere.

Già con il d.l.. 11/2009, convertito nella legge 38/2009, si era previsto l’obbligo, per le forze dell’ordine,i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevessero dalle vittime del reato notizie sulla commissione del delitto di stalking,di dare  avviso alle persone offese dell’esistenza dei centri antiviolenza previsti sul territorioe,su richiesta delle pp.oo. stesse,di metterle in contatto con essi ; tale obbligo è stato esteso anche con riferimento ai delitti di maltrattamenti e di violenza sessuale; questo gruppo di delitti è tra quelli per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio a spese dello stato anche in deroga ai limiti di reddito(il gratuito patrocinio a prescindere dal reddito è previsto anche per le vittime di mutilazioni genitali femminili).

Lo stesso d.l. 11/2009 ha introdotto l’ istituto dell’ammonimento del Questore , che opera, però, solo in assenza di querela per il reato di stalking; ha previsto, quale  misura  cautelare, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla p.o. (art.282 ter c.p..) e i conseguenti obblighi di comunicazione previsti dall’art. 282 quater c.p.p. che, all’ultimo comma, inserito dal d.lgs. num. 9/2015, comprende l’informazione alla p.o. della facoltà di richiedere l’emissione di un Ordine di Protezione Europeo[16].

Con il d.l. 03/2013 convertito in l. 119/2013 si è data ulteriore attuazione alle disposizioni della Convenzione, prevedendo una serie di istituti specifici a protezione delle vittime di alcuni reati che le vedano in condizioni di vulnerabilità: nel caso  di maltrattamenti e stalking è prevista l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza (art. 380 co. 1 ter c.p.p.) e la notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. anche alla persona offesa; è stata, poi, estesa l’applicabilità della misura precautelare dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282 bis c.p.p. anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 280 c.p.p. nel caso di alcuni delitti che, appunto, vedano la persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilità[17].

La riforma Orlando ha, inoltre, previsto una serie di istituti a protezione delle persone offese di reati commessi genericamente “con violenza”.

In primo luogo,  l’obbligo di comunicare anche i provvedimenti di revoca e sostituzione delle misure cautelari nei procedimenti per delitti con violenza alla persona ai servizi socio assistenziali  e al difensore della persona offesa o, in mancanza, direttamente a quest’ultima (art. 299 co. 2 bis c.p.p.); al comma 3 ha inoltre previsto l’obbligo di instaurare il contraddittorio sulla richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, notificando alla p.o. la richiesta proveniente dall’indagato o dal p.m.[18].

Con l’introduzione del comma 3 bis dell’art 408 c.p.p. ha reso obbligatoria la comunicazione della richiesta di archiviazione del p.m. alla persona offesa nei delitti commessi con violenza alla persona, a prescindere dalla esplicita richiesta di avviso proveniente da quest’ultima; ha contestualmente elevato il termine per proporre opposizione alla richiesta di archiviazione.La Corte di Cassazione[19]a Sezioni Unite ha chiarito che, per reati commessi con violenza alla persona, debbano intendersi quelli commessi per il tramite di violenza  fisica ma anche psicologica , interpretando estensivamente il concetto di “violenza” contenuto nell’art. 408 co. 3 bis c.p.p. alla luce anche e soprattutto della normativa sovranazionale che dà nuova considerazione alla persona offesa dal reato e, in particolare, delle indicazioni contenute nella Direttiva 2012/29/UE, nella Convenzione di Lanzarote e nella Convenzione di Istanbul.

Tutti questi interventi normativi, allora, sono orientati a consentire la massima partecipazione possibile della persona offesa al procedimento penale, in linea con lo sforzo di dare maggiore protezione alle vittime particolarmente vulnerabili, e a quelle dei reati cd. “di genere”. Tutti questi temi si intrecciano tra loro, e non è possibile parlare di vulnerabilità prescindendo dalle norme che riguardano la persona offesa più in generale.

In quest’ottica, occorre considerare che, il d.lgs. 212/2015  ha introdotto nel codice di procedura penale alcune disposizioni che riconoscono alla persona offesa (considerata in generale, e non con riferimento ad alcuni reati)  il diritto di essere informata in merito al procedimento penale che la coinvolge[20].

Il nuovo articolo 90 bis c.p.p., recependo le indicazioni dell’art. 4 della Direttiva  2012/29/UE , ha previsto che la persona offesa ‹‹fin dal primo contatto con l’autorità procedente›› debba ricevere, in una lingua a lei comprensibile, una serie di informazioni riguardanti le modalità attraverso cui presentare denuncia/querela ed esercitare le facoltà e i diritti a lei riservati dalla legge nel corso del procedimento penale; il diritto di ricevere notizie circa lo stato del procedimento e l’eventuale richiesta di archiviazione la facoltà di avvalersi di servizi di consulenza legale gratuita, di interpretazione e traduzione, di richiedere l’adozione di misure specifiche di protezione e assistenza la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni patiti e il rimborso delle spese sostenute . Oggetto di informazione sono altresì la possibilità che il procedimento venga definito con la remissione di querela o attraverso la mediazione, nonché le facoltà spettanti all’offeso nel caso in cui l’imputato formuli richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, o qualora risulti applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Ulteriore informazione obbligatoria, quella relativa alla presenza di strutture sanitarie, case famiglia, centri antiviolenza e case rifugio presenti sul territorio: si generalizza, così, l’obbligo di informazione già previsto per le vittime dei reati di stalking, maltrattamenti e violenza sessuale.

Nella prassi, le forze dell’ordine e le Procure si sono dotate di modelli standard, anche tradotti in lingua straniera, che contengano le informazioni di cui all’art. 90 bis c.p.p., dovendosi ritenere che per “autorità procedente” debba intendersi non soltanto l’autorità giudiziaria, ma anche la polizia giudiziaria che acquisisce la notitiacriminis dalla persona offesa.

Anche l’art. 90-ter c.p.p. , introdotto dal medesimo d.lgs., rende obbligatori alcuni obblighi di informazione, in favore delle ‹‹vittime di delitti commessi con violenza alla persona›› laddove queste ultime ne abbiano fatto richiesta, con particolare riferimento alla   scarcerazione[21] o la cessazione della misura di sicurezza detentiva, l’evasione dell’imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell’internato alla misura di sicurezza detentiva.

Da ultimo, merita senza dubbio un cenno anche la legge num. 4/2018  che ha apportato ulteriori modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici[22]: per queste particolari categorie di persone offese e danneggiati dal reato, la normativa di nuova introduzione consente l’ammissione al patrocinio a spese dello stato indipendentemente dal reddito, consente, altresì, al pubblico ministero di chiedere il sequestro conservativo, in favore delle persone offese e a garanzia dei danni civili subiti da queste, in ogni stato e grado del processo (dunque, anche nella fase delle indagini preliminari); introduce disposizioni che hanno risvolti di natura patrimoniale (ad esempio, sulla reversibilità della pensione, sull’indegnità a succedere etc.), e si preoccupa di favorire il sostegno di natura psicologica e medica nei confronti delle vittime, anche in ragione del loro stato di vulnerabilità.

L’art. 11 della legge istituisce, infine, un Fondo di rotazione per la solidarieta’ alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali violenti nonche’ agli orfani per crimini domestici, colmando quella che era sicuramente una lacuna nel sistema di protezione delle vittime del reato (che comunque, nel nostro ordinamento, vengono risarcite in via principale attraverso l’istituto della costituzione di parte civile nel processo penale).  

Delineato sin qui molto sinteticamente il quadro normativo entro cui il p.m. (e, in generale, i soggetti del processo) deve muoversi al fine di preservare durante il procedimento anche le esigenze di tutela del teste o della persona offesa vulnerabile, occorre, però, osservare che la Direttiva Europea prevede quale forma di tutela della vittima/teste vulnerabile – al di là degli specifici strumenti processuali- anche la specializzazione degli operatori che si interfaccino con essi e che li utilizzino, oltre che un approccio di tipo interistituzionale a questo tipo di reati.

In linea con questa impostazione , il C.S.M. ha recentemente deliberato[23] delle linee guida per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica con la Risoluzione del 9 maggio 2018. La delibera è stata emanata dopo ampia istruttoria svolta dalla Settima Commissione, che ha raccolto dati utili relativi all’organizzazione delle Procure e dei Tribunali d’Italia con riferimento alla creazione di gruppi di lavoro specializzati nella materia, all’emanazione da parte dei organi direttivi degli Uffici di circolari interne e alla creazione di protocolli investigativi e protocolli d’intesa. Il CSM, esaminando gli esiti di tale istruttoria complessa e rilevando una disomogeneità tra gli uffici giudiziari d’Italia, ha inteso sintetizzare alcune linee guida e buone prassi da seguire nella trattazione dei procedimenti relativi  a reati di violenza domestica e di genere, in coerenza con quanto richiesto dalla normativa europea di riferimento (in particolare, la direttiva 2012/29/UE) e al contestuale scopo di effettuare non solo un’efficace repressione del fenomeno criminale ma anche un’azione di prevenzione del fenomeno e di supporto delle vittime dello stesso.

La Risoluzione prevede la centralità, a questi fini, di alcuni principi: la trattazione prioritaria, assicurata anche da protocolli tra Procure e Tribunali, dei reati di violenza di genere e domestica; la specializzazione dei magistrati e, per la fase delle indagini preliminari, anche del personale di polizia giudiziaria con la conseguente possibilità- per le Procure in primo luogo- di organizzare anche dei corsi di formazione per le forze dell’ordine nella materia (ma anche, eventualmente, della magistraturaonoraria); la creazione di forme di intervento integrato con gli enti locali, le strutture sanitarie, i servizi sociali, i centri antiviolenza e i soggetti del Terzo settore attivi sul territorio ma anche con i Consigli dell’Ordine degli avvocatidi riferimento,

Le forze dell’ordine[24] si sono dotate di alcuni protocolli investigativi utili alla trattazione di tali reati, che contribuiscano all’acquisizione in tempi rapidi di materiale sufficiente da sottoporre al vaglio dell’a.g. anche al fine di determinazioni urgenti quali adozione di misure cautelari a carico dell’indagato e così via[25].

Anche molte strutture sanitarie hanno aderito alla creazione di un “Codice Rosa”, spesso in adesione a protocolli tra Procure, Forze dell’Ordine, ASL e strutture del terzo settore, che prevede un “percorso di accoglienza” al pronto soccorso dedicato alle persone che subiscono violenza. Nel caso, ad esempio, in cui giunga in pronto soccorso una donna che abbia subito una violenza sessuale, si attiva in primo luogo personale socio-sanitario specializzato (infermieri, ostetriche, medici, assistenti sociali, psicologi) che permetta di prestare immediate cure mediche e sostegno psicologico a chi subisce violenza, nel fondamentale rispetto della riservatezza.  Contemporaneamente si comunica la notizia di reato all’a.g. e si compiono attività utili alla raccolta della prova (nel caso di violenza sessuale, ad esempio, si sottoporrà a prelievo di campioni biologici la p.o. onde acquisire campioni del DNA di terzi presenti sul copro della vittima).

Molte Procure d’Italia hanno già stipulato protocolli investigativi interni e protocolli d’intesa con i soggetti operanti sul territorio, onde favorire non solo l’attivazione immediata dei meccanismi di protezione delle persone offese e l’intervento tempestivo attraverso gli strumenti processual-penalistici, ma anche allo scopo di consentire una maggiore emersione del fenomeno della violenza di genere e domestica, attraverso l’accessibilità e  la fruibilità degli strumenti di protezione[26].

Tali protocolli d’intesa, come suggerito dalla Risoluzione, vanno stipulati anche con i Tribunali per i minori e con le sezioni civili dei tribunali, onde garantire una tutela a trecentosessanta gradi alle vittime dei reati, soprattutto quando le stesse siano minorenni.

Nella prassi, infatti, i procedimenti per delitti di violenza domestica e di genere si innestano su situazioni di pregressa conflittualità tra le parti, ed è statisticamente frequente che il nucleo familiare nell’ambito del quale è commesso il reato sia già stato segnalato ai servizi sociali territoriali, o alle forze dell’ordine, e che vi sia un procedimento in sede civile per la separazione, il divorzio tra coniugi o la regolazione dei rapporti con i figli.

Tutto questo, nella consapevolezza che il sistema giudiziario rappresenta “un attore fondamentale, ma non isolato nel contrasto del fenomeno”.


[1]Si cfr. L. Luparia (a cura di), Lo Statuto o statuto europeo delle vittime di reato- Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, CEDAM , 2016

[2] Si cfr. il dossier della Camera dei Deputati – Servizio Studi- XVII Legislatura- Il sistema di protezione delle vittime: principi sovranazionali enormativa nazionale- Dalla ratifica della Convenzione di Lanzarote al decreto legislativo n. 212 del 2015.

[3]Per un commento alle Convenzioni citate, si veda  S. Martelli, Le convenzioni di Lanzarote e Istanbul: un quadro d’insieme, in L. Luparia (a cura di), Lo Statuto o statuto europeo delle vittime di reato- Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, CEDAM , 2016

[4] Relativa alla posizione della vittima nel processo penale, e che ne valorizza il ruolo, imponendo  agli stati europei “un elevato livello di protezione” e un trattamento che ne “salvaguardi la dignità”.

[5] Cfr. Lorenzo Algeri,  “Il testimone Vulnerabile”, ed. Giuffrè.

[6] Per queste considerazioni, si cfr. anche Relazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo Servizio penale della Corte di Cassazione (Rel. III/02/2016 del 2 febbraio 2016) sul d.lgs. 212/2015

[7] Con il d.lgs.212/2015 all’art. 90 c.p.p., è stato aggiunto il comma 2-bis secondo il quale, in caso di incertezza in merito alla minore età della persona offesa, il giudice dispone anche d’ufficio una perizia, per stabilire se, ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, debbano subentrare i soggetti di cui agli artt. 120 e 121 c.p. nell’esercizio delle facoltà e dei diritti riconosciuti alla vittima minorenne. Qualora, nonostante la perizia, permangano dubbi, la minore età viene presunta (ma soltanto ai fini dell’applicazione delle disposizioni processuali). È stato inoltre modificato il terzo comma della disposizione, la quale ora prevede, in ottemperanza all’art. 2, par. 1, lett. b) della Direttiva, che – in caso di morte dell’offeso – i poteri e le facoltà ex lege possano essere esercitati anche da una persona legata alla vittima da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente.

[8]Con Sentenza n. 3651 del 10/12/2013 Cc.  (dep. 27/01/2014 ) la Corte di Cassazione ha statuito che  “L’inosservanza della disposizione di cui all’art. 351, comma primo ter, cod. proc. pen., secondo cui, nei procedimenti relativi a determinati delitti, la polizia giudiziaria, quando deve assumere sommarie informazioni da persone minori, si avvale dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero, non comporta la nullità delle dichiarazioni assunte, ma può assumere rilievo ai fini di una responsabilità disciplinare e può incidere sulla valutazione di attendibilità dei contenuti dichiarativi”.

[9] Che, all’art. 35, detta le regole per i “colloqui con il bambino” anche quando lo stesso sia semplice testimone dei fatti e non persona offesa.

[10] Per una approfondita  disamina dell’esame del teste vulnerabile, si veda Lorenzo Algeri,  “Il testimone Vulnerabile”, ed. Giuffrè.

[11]Cfr. G. Canzio, La tutela della vittima nel sistema delle garanzie processuali: le misure cautelari e la testimonianza “vulnerabile”, in Dir. Pen. proc.

[12]La direttiva, invece, all’art. 22, sembra configurare un procedimento a parte per la valutazione della condizione di vulnerabilità, affidandola ai servizi di assistenza delle vittime.

[13] C-105/03, resa nel noto caso “Pupino”, e che si esprime sul principio di interpretazione conforme al diritto comunitario, dichiarandolo valevole anche con riferimento alle decisioni quadro.

[14] Quando, cioè,  si procede per i reati di cui agli articoli 572600,600 bis600 ter600 quater600 quinquies601602,609 bis609 ter609 quater609 octies e 612 bis del codice penale

[15]Si veda Barbara Spinelli, “Il riconoscimento giuridico dei concetti femmicidio e femminicidio”, pubblicato in AA.VV., “Femicidio: dati e riflessioni intorno ai delitti per violenza di genere” Regione Emilia Romagna – Assessorato Promozione Politiche Sociali, A cura di C. Karadole e A. Pramstrahler, 2011

[16] Il d.lgs. 11 febbraio 2015 n. 9 ha dato attuazione alla Direttiva 2011/99/UE che ha istituito l’Ordine di Protezione Europeo (OPE) come misura di contrasto alla violenza, non solo di genere. Semplificando, l’OPE è una decisione con la quale l’autorità di un Paese dell’Unione dispone che gli effetti di una misura di protezione disposta a tutela di una persona vittima di un reato si estendano al territorio di un altro Paese nel quale la persona protetta risieda, o soggiorni, o dichiari di voler risedere o soggiornare.

[17] In particolare, il comma 6 prevede che “qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570571582, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate, 600600bis600ter600quater600 septies 1600 septies 2601602609bis609ter609quater609quinquies e 609octies e 612, secondo comma del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280, anche con le modalità di controllo previste all’articolo 275 bis .

[18]Si cfr. Cass. Sez. I, 29 ottobre 2015 n. 49339, secondo cui : “la nozione di “delitti commessi con violenza alla persona”, utilizzata dal legislatore nel comma 2-bis dell’art. 299 c.p.p., al fine di individuare l’ambito di notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione di misura cautelare, ai sensi del successivo terzo comma, evoca non già una categoria di reati le cui fattispecie astratte siano connotate dall’elemento della violenza (sia essa fisica, psicologica o morale) alla persona,  bensì tutti quei delitti, consumati o tentati, che in concreto, si sono manifestati in danno della persona offesa”.

[19]Cass. SS.UU. sent 29 gennaio 2016 (dep. 16 marzo 2016) num. 10959. Con tale sentenza, le Sezioni Unite si riferiscono alla cd. violenza di genere, lasciando, comunque, un margine di dubbio potendo far presumere, a contrario, di dover escludere dal novero dei delitti per i quali è obbligatorio l’avviso ex art. 408 co. 3 bis c.p.p. quelli commessi con violenza ma per motivi diversi da quelli “di genere”.

[20] Il medesimo d.lgs. ha, altresì, introdotto l’art. 143-bis c.p.p. (rubricato «Altri casi di nomina dell’interprete») che, con riferimento alla persona offesa che non conosca la lingua italiana, prevede sia l’assistenza di un interprete (comma 2) – anche mediante l’utilizzo delle tecnologie di comunicazione a distanza (comma 3) -, sia la traduzione gratuita di atti contenenti informazioni utili all’esercizio dei suoi diritti (comma 4). A completamento di quanto prescritto dall’art. 143-bis c.p.p., la novella ha introdotto, all’interno delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, l’articolo 107-ter, che contempla la possibilità, per la vittima alloglotta, di presentare denuncia o querela (e di ottenere l’attestazione di ricezione delle stesse) in una lingua conosciuta. 

[21] In merito alla interpretazione del termine “scarcerazione”, si confronti la Relazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo Servizio penale della Corte di Cassazione (Rel. III/02/2016 del 2 febbraio 2016) sul d.lgs. 212/2015.

[22] Sono tali “ I figli minori o i figli maggiorenni economicamente non autosufficienti rimasti orfani di un genitore a seguito di omicidio commesso in danno dello stesso genitore dal coniuge, anche legalmente separato o divorziato, dall’altra parte dell’unione civile, anche se l’unione civile e’ cessata, o dalla persona che e’ o e’ stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza

[23] Si cfr. Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica- delibera del 9 maggio 2018.

[24] Si cfr. il protocollo EVA , in uso alla Polizia di Stato, che serve per memorizzare ,costituendo un archivio apposito, tutti casi di primo intervento a causa di violenza domestica e di genere e costituisce, altresì,  un vademecum operativo da seguire in caso di primo intervento delle ff.oo.

[25] A livello operativo, è buona prassi, in caso di acquisizione della notitiacriminis da parte della polizia giudiziaria relativa ad un fatto di violenza sessuale o lesioni, (soprattutto commesse da persona estranea o sconosciuta alla p.o.), procedere al sequestroanche degli indumenti della vittima (o di ogni oggetto che possa essere stato utilizzato dall’aggressore durante la violenza), nonché al contestuale prelievo del materiale biologico sugli stessi indumenti/oggetti/luoghi. In ogni caso è opportuno procedere ad effettuare sopralluoghi  molto dettagliati, con riproduzione fotografica dei luoghi e degli oggetti. È opportuno il prelievo di tamponieffettuato nell’immediatezza  (o comunque entro poche ore dalla violenza sessuale): occorre, dunque, che la persona offesa venga invitata (se del caso, accompagnata) presso il presidio sanitario più vicino al fine di effettuare tali prelievi.

Se, in caso di violenza intra familiare, vi sono dei minori coabitanti con l’aggressore e di costui non è possibile disporre l’immediato allontanamento dall’abitazione familiare né l’arresto in flagranza, è opportuno mettere in sicurezza anche i minori, oltre che la p.o., contattando il centro antiviolenza più vicino o altre strutture accreditate disponibili.

Nel caso si dovesse procedere all’escussione di un minore che sia persona offesa dal reato o di una persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilità (ad es. disabile, minore) , è opportuno che l’escussione avvenga su delega del magistrato titolare a seguito dell’assunzione della direzione indagini da parte di quest’ultimo, dovendosi la pg limitare a raccogliere elementi investigativi aliunde,  idonei a trasmettere tempestivamente la notizia di reato al p.m. (al fine di evitare di escutere la p.o. vulnerabile più volte durante il procedimento); salvo, naturalmente, il caso in cui l’escussione della p.o. sia assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini o per eseguire misure precautelari.  In tali casi, l’escussione dovrà essere almeno fonoregistrata e assistita da uno psicologo infantile o comunque da un’assistente sociale, preferibilmente dello stesso sesso della persona escussa e specializzato nei reati contro le cd. fasce deboli.

E’ opportuno, altresì,  evitare qualunque comportamento che faccia da mediazione tra le parti (ad esempio in caso di violenza domestica) o che miri a riconciliare la p.o. con il suo aggressore .

Per i reati di cui agli artt. 572 c.p.  e 612 bis c.p., dovendosi ritenere che la pg operante possa cogliere in flagranza l’indagato in relazione ad un solo episodio maltrattante o persecutorio, è opportuno procedere all’escussione immediata, anche senza verbalizzazione, della p.o. che possa fornire utilmente dettagli in ordine all’abitualità o alla ripetitività dei comportamenti dell’indagato (e nel caso di stalking, anche  a raccogliere la querela- anche orale, inizialmente) . In questo caso, si procederà all’arresto in flagranza, provvedendo altresì a formalizzare denuncia  e a verbalizzare le s.i.t. della p.o. in un momento immediatamente successivo.

E’ importante che le azioni di protezione delle vittime di violenza domestica o di genere , nonché la trasmissione della notizia di reato appresa dalla pg operante, siano poste in essere – se il caso di specie lo imponga-  a prescindere dalla procedibilità d’ufficio del reato, potendo la querela essere proposta successivamente dalla p.o. e dovendo prevalere anche esigenze di tipo preventivo nel caso di commissione dei cd. reati-spia.

Durante l’escussione a s.i.t. della p.o.  risulta molto utile  procedere all’acquisizione in tempo reale di tutti gli elementi che la stessa possa fornire agli investigatori, comprensivi  di prove atipiche; acquisendo, altresì, oltre alla documentazione sanitaria in generale in possesso della p.o., anche l’eventuale registrazione degli accessi in pronto soccorso di questa e della conseguente refertazione.

Parimenti utile risulta l’acquisizione della schermata di sms inviati sul telefono cellulare della vittima, o di conversazioni avvenute tramite social network o applicazioni quali waths’app (in quest’ultimo caso, sarà possibile anche inviare tramite il telefono della vittima ad un indirizzo e-mail in uso alle ff.oo. intere conversazioni avvenute via waths’app): queste attività sono molto utili laddove si pensi che spesso le dichiarazioni della persona offesa costituiscono l’unica fonte di prova dichiarativa  fondante l’accusa.

Acquisendo, altresì, , oltre alla documentazione sanitaria in generale in possesso della p.o., anche l’eventuale registrazione degli accessi in pronto soccorso di questa e della conseguente refertazione .

[26] In quest’ottica, la risoluzione prevede anche la creazione- in linea con al Direttiva 2012/29/UE- di sportelli presso i Tribunali accessibili al pubblico ove poter interloquire con personale specializzato e ottenere i contatti con le strutture presenti sul territorio (strutture sanitarie, case-famiglia, case-rifugio, servizi sociali etc).