L’azione penale e il processo

Gli Approfondimenti

1. L’assetto attuale de1l’Ufficio del pubblico ministero, delineato dal d. lgs.106/2006 e dalle modifiche apportate dalla l. 269/2006, si presenta fortemente tendente alla “gerarchia” pur se stemperato dalle modifiche postume (e, forse, non in modo di pura facciata come pure si è sostenuto).

Nonostante le insistite modifiche ordinamentali si avvertono peraltro con una cena frequenza propositi di ulteriori nuove riforme tendenti all’elezione dei vertici dell’Ufficio dell’accusa, ovvero di introduzione del principio di discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale. Nella più rosea delle previsioni si ipotizza una definitiva separazione dei ruoli dell’accusa (la cui indipendenza si vorrebbe gelosamente conservare) da quelli del giudicante con creazione di due CSM a composizione e presidenza diverse, secondo un progetto che, per più versi, ricalca le proposte delle camere penali. Per non parlare delle ipotizzate riforme del codice di procedura penale che, se tradotte in diritto positivo, cambierebbero – a norme ordinamentali invariate – lo stesso “volto” del pubblico ministero come oggi lo conosciamo.

A questo va aggiunto che le attuali previsioni ordinamentali non consentono ai magistrati di tribunale ordinario di essere destinati alle funzioni monocratiche penali: la recente previsione di deroga appare davvero un “pannicello caldo” limitata com’è a un concorso; mentre l’ipotesi incentivi – pure messa in cam-po dal ministro della Giustizia – si é rivelata in parte un clamoroso insuccesso e in parte foriera di non commendevoli disparita destinate alla lunga a creare situazioni di disagio e di frizione all’interno dei singoli uffici.

L’insieme di queste cause ha prodotto una sorta di “fuga” dagli uffici del pubblico ministero rendendo in alcune aree del Paese impraticabile una risposta processuale ai fenomeni criminali proprio mentre una sottile polemica istituzionale sembra inseguire, anziché le soluzioni più adeguate alla risoluzione del problema, una logica mirante ad individuarne le “colpe”.

2. Di fronte a tale panorama vanno dunque dette con chiarezza alcune cose: ci sono principi dai quali non si può prescindere e perciò vanno ritenuti fuori discussione, al di fuori della logica del “meno peggio. . .”con quel che segue. Primo tra tutti, l’assetto costituzionale della Magistratura italiana. Elezione del PM, creazione di due CSM (con la pretesa di far restate indipendente il PM), trasferimenti di ufficio, discrezionalità dell’azione penale, affidamento delle indagini alla sola polizia giudiziaria, sono tutte ipotesi irrealizzabili senza uno stravolgimento dei cardini costituzionali sui quali è stata costruita l’istituzione Magistratura intesa come momento di controllo di legalità anche sui “debordamenti” di altri poteri.

La “separatezza” del PM rispetto al giudice, lungi dal realizzare una ipotizzata “patita” con la difesa sul piano ordina mentale, corre il rischio di creare (oltre che la terribile, sciagurata figura dell’accusatore “per partito preso”) un corpo separato e tanto poco “gestibile” da lasciate fondatamente supporre che essa non potrebbe non essere accompagnata da altre e più incisive riforme di ordinamento e/o processuali destinate inevitabilmente ad incidere o sul ruolo o sull’azione dell’organo dell’accusa. E quanto questo sia esiziale per la stessa autonomia ed indipendenza dei giudici e inutile sottolinearlo: anche le “anime belle” non dovrebbero far fatica a riconoscere che relegare il ruolo del PM a mero controllore della PG o fissate, dall’esterno, i paletti del suo intervento significa, inevitabilmente, condizionate anche il giudice.

Altrettanto censurabile appare la proposta processuale con la quale si ipotizza di restituite (?!) il potere di svolgete indagini alla sola polizia giudiziaria; l’ipocrisia è smascherata chiaramente dall’art. 109 della costituzione e si rivela per quella che è: un modesto escamotage diretto ad alimentare a piacimento la giurisdizione aggirando per via ordinaria le disposizioni costituzionali.

Più schiette, dunque, le altre proposte, seppure anch’esse irricevibili: la discrezionalità nell’azione penale, oltre a non comportate alcun serio beneficio in termini di “quantità” di processi (basta leggere leguidelinesdei procuratori anglosassoni per tendersene conto), porrebbe l’accusa e la polizia giudiziaria alla completa mercé dell’esecutivo che non potrebbe non essere considerato il responsabile ultimo di scelte discrezionalmente orientate. L’elezione dell’accusa, dal canto suo, oltre a produrre analoghi inconvenienti, ha il delizioso sapore dell’ossimoro se essa é davvero pensata per porre fine ad una presunta quanto fantasiosa ipotesi di “politicizzazione”.

3. D’altronde – e così veniamo alle cose delle quali si può e anzi si deve discutere – il contesto costituzionale è quello che deve orientare anche le scelte dell’autogoverno della magistratura.

Sul plano ordinamentale:

·le nomine dei dirigenti vanno effettuate con la consapevolezza del ruolo che Il designato deve rivestire, avendo presente che la cultura dell’organizzazione (alla quale gli aspiranti vanno se del caso educati) è il migliore antidoto a presunte ipotesi di riforma che vedano nella “eterodirezione” degli uffici giudiziari l’unica risposta plausibile;

la tematica delle vacanze non può essere ridotta alla banalizzazione del principio di inamovibilità (con conseguente improprio ed inutile ricorso al trasferimento d`ufficio: l’organico ai sempre quello) o agli incentivi economici e di carriera. Occorre che ci si renda conto che quella disposizione che vieta ai mot dl assumere tutti i ruoli penali monocratici e anacronistica per almeno tre buone ragioni:

  • perché il percorso formativo dei magistrati si è enormemente allungato e quindi si “arriva” all’incarico a età avanzata;
  • perché l’assetto organizzativo è profondamente mutato, come abbiamo già visto (nella deroga prevista dall’ultimo provvedimento normativo è richiesto l’assenso persino per il rinvio a giudizio);
  • perché è mutato completamente – forse è sfuggito – l’assetto processuale, sicché i PM non confezionano più prove né emettono provvedimenti restrittivi, limitandosi a fare richieste (peraltro controllate dal capo dell’Ufficio).  

Dunque nel nostro Paese si possono svolgere ruoli di grande importanza a una certa età, ma non si può andare a fare il sostituto. Se a questo si aggiunge che ciò che è negato al magistrato professionale possono farlo i magistrati ordinari il paradosso assume toni umoristici seppure molto amari. Occorre che il legislatore prenda atto di tali buone ragioni e si discuta di una parziale eliminazione di quel divieto, eventualmente lasciandolo in piedi per le sole attività che direttamente incidono sulle liberta dell’indagato (gip/gup);

  • la tematica dei rapporti interni alle Procure va vista in ottica costituzionale;ferme restando le prerogative dei dirigenti, occorre (proseguendo peraltro su una strada già intrapresa nel corso della precedente consiliatura) che le professionalità dei singoli siano opportunamente valorizzate attraverso una gestione degli uffici che sia il più collegiale possibile. In questo quadro va altresì valorizzata la componente onoraria dell’ufficio, rispetto alla quale occorre una vera e propria presa di coscienza. Nessun ufficio di procura potrebbe sopravvivere senza la presenza degli onorari cui sono assegnati compiti di udienza (e non solo). L’impegno dunque dovrebbe essere quello di un riconoscimento di tale attività e dell’eliminazione di certe lentezze burocratiche spesso registrate nella loro designazione.
  • sul piano procedurale può certamente accettarsi un dibattito sulle priorità. In realtà, esse sono già presenti nel nostro ordinamento almeno in due disposizioni (sul giudice unico e nel recente d.l. sicurezza), sicché il tema è sul tappeto. D’altronde, prima di essere introdotte normativamente, esse sono state oggetto di trattazione in più di un documento organizzativo proveniente da uffici di procura. Volerle ignorare significherebbe dunque voler ignorare la realtà; né ci si può far cogliere da una forma di horror o di retro pensiero in ragione del quale l’introduzione delle priorità è in fondo in fondo il primo “affaccio” di forme di discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale con quel che ne consegue. In realtà, le priorità portano allo scoperto criteri organizzativi che ognuno di noi è abituato quotidianamente a maneggiare. Lungi dall’incoraggiare forme di discrezionalità nell’esercizio dell’azione, essi possono assicurare, al contrario, la trasparenza nella gestione dei procedimenti (tempi e risorse) affidando alla mediazione della norma la scelta nelle cadenze delle singole materie e consentendo una forma di legalizzazione quanto mai opportuna nel convogliamento delle energie su determinate fasce di reato. Fermo restando – riteniamo – che nessuna forma di “priorità” possa consentire di ritenere accettabile un effetto “estintivo” come logica deliberata conseguenza della loro applicazione: una simile costruzione, infatti, farebbe davvero stavolta scivolare sul terreno della discrezionalità.
  • occorre seriamente discutere ed anzi fortemente sollecitare una riforma processualeche restituisca ordine e coerenza a uno strumento asfittico; rimeditare i singoli istit uti guardandoli in una logica di insieme ed eliminare le garanzie “finte” rafforzando al contempo quelle reali. Il tutto, prima che la sfiducia che ormai regna nei confronti del processo si traduca in definitiva disaffezione sociale (che potrebbe non essere priva di conseguenze) e poi persino normativa, come attestano taluni recenti interventi legislativi seppure operati in settori dove la “fuga dalla giurisdizione” appare assai più praticabile rispetto alla realizzazione della pretesa punitiva penale.

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