Le misure di prevenzione al banco di prova dell’emergenza da Covid 19: riflessioni sparse

di Francesco Balato

SOMMARIO:

1. Il decreto Cura Italia e le problematiche relative alle misure di prevenzione; – 2. Gli aspetti problematici delle misure personali; – 3. La richiesta di revoca delle misure di prevenzione durante il periodo di sospensione ex lege; – 4. Le rivalutazioni di pericolosità sociale di cui all’art. 14, comma 2 ter, codice antimafia; – 5. Le misure patrimoniali: questioni aperte; – 6. I sequestri e il periodo di rinvio ex lege; – 7. Questioni relative alle fasi esecutive dei sequestri o dei dissequestri; – 8. I procedimenti di prevenzione patrimoniale diversi dalla coppia sequestro/confisca: alcuni nodi sull’art. 34 bis codice antimafia; – 9. Taluni aspetti controversi sulla fase di gestione dei beni in sequestro; – 10. Qualche breve spunto per il futuro delle misure di prevenzione.

1. Il decreto Cura Italia e le problematiche relative alle misure di prevenzione

Con la recente emergenza sanitaria causata dall’avvento del coronavirus, il legislatore, intervenuto con il decreto legge17 marzo 2020, n. 18, ha dettato all’art. 83, disposizioni in tema di attività giurisdizionale allo scopo di sospendere immediatamente le attività degli uffici giudiziari dove si registra un forte rischio di contagio, esponenziale se si pensa all’altissima affluenza degli accessi, nonché di dettare disposizioni per il futuro dell’azione giurisdizionale nel periodo di (verosimile) calo dell’emergenza.

Come noto il legislatore, muovendosi lungo questa direttrice, ha stabilito una precisa periodizzazione all’attività giurisdizionale che è stata sostanzialmente suddivisa in due diversi intervalli temporali.

Un primo periodo – di recente prorogato fino al prossimo 11 maggio dal decreto legge 8 aprile 2020, n. 23 – nel quale in sintesi l’insieme delle attività giurisdizionali (salvo talune eccezioni) viene rinviato ex lege (comma 1), con sospensione di tutti i termini sostanziali e processuali rilevanti (comma 2); e un secondo periodo che inizia al termine del primo e nel quale è prevista, nella sostanza, una regolamentazione delle future attività degli uffici giudiziari per adeguarle, in maniera possibilmente rigorosa, all’emergenza sanitaria nel lungo periodo (comma 6).

La citata disciplina ha interessato anche il settore delle misure di prevenzione che ha trovato una collocazione topografica, nell’ambito della regolamentazione di cui al decreto, nel novero delle materie cui è riservato un regime d’eccezione rispetto alla regola del rinvio ex lege.

Nell’ambito, infatti, delle eccezioni al regime del rinvio ex lege, l’art. 83 contempla due categorie di affari, ossia una prima di tipo “forte”, in relazione alla quale l’attività giurisdizionale conferente non è soggetta a rinvio e, come tale, deve essere trattata normalmente; una seconda, di tipo “più soft”, in cui la trattazione degli affari risulta subordinata alla richiesta “espressa”, affidata alle parti interessate ovvero ai loro difensori.

La materia prevenzionale trova collocazione in questa seconda categoria, in quanto il legislatore ha previsto che non soggiacciano al rinvio di ufficio “i procedimenti per l’applicazione o nei quali sono disposte misure di prevenzione” purché ne sia richiesta “espressamente” la trattazione dal proposto o dai suoi difensori.

La formulazione legislativa e, più in generale, la complessiva regolamentazione della materia danno luogo a talune problematiche che in questa sede – senza alcuna pretesa di esaustività – si cercherà di evidenziare anche per favorire una possibile interpretazione uniforme sul piano nazionale e – soprattutto, si badi – allo scopo di non tradire la ratio della normativa introdotta con il DL n. 18/2020 che va chiaramente rinvenuta (come da più parti già espresso[1]) nell’esigenza di evitare, il più possibile, il propagarsi del contagio mediante adeguate e stringenti misure che consentano un rigoroso distanziamento sociale.

Le problematiche in discorso investono tanto il settore delle misure personali, quanto quello delle misure patrimoniali, per cui in relazione a ciascuna di queste partizioni del sistema di prevenzione si cercherà di fornire qualche spunto interpretativo.

2. Gli aspetti problematici delle misure personali

Taluni aspetti d’interesse investono, in primo luogo, il settore delle misure personali.

Va rilevato, anzitutto, come la disposizione del decreto legge, nell’utilizzare la locuzione “i procedimenti per l’applicazione o nei quali sono disposte misure di prevenzione”, sembra lasciare intendere che il riferimento oggettivo della regolamentazione è ai procedimenti di prevenzione già avviati, sia stata o meno adottata qualcuna delle misure di prevenzione previste dal codice antimafia, ipotesi quest’ultima prevista invece dalla seconda parte del sintagma.

Non si fa riferimento a distinzioni, per cui si è autorizzati a ritenere che nel novero delle misure siano ricomprese tutte quelle contemplate dal sistema, incluse sia quelle personali che patrimoniali.

L’aspetto di rilievo va, dunque, rintracciato nell’elemento procedimentale, giacché, facendosi riferimento al procedimento per l’adozione di una misura di prevenzione o nel cui ambito una misura sia stata disposta, il minimo comune denominatore è rappresentato dal dato della presenza di “un procedimento” di prevenzione in corso.

Come noto, l’inizio del procedimento di prevenzione presuppone generalmente che vi sia stato il deposito di una proposta finalizzata all’applicazione di una misura e tale proposta viene tradizionalmente formulata dai cosiddetti proponenti istituzionali, oggi contemplati dall’art. 5 del codice antimafia e coincidenti con il Questore, il Procuratore nazionale antimafia e anti terrorismo, il Procuratore della Repubblica (quello circondariale ovvero distrettuale, a seconda dei casi) e il Direttore nazionale della Direzione investigativa antimafia.

Vi sono però anche ipotesi nelle quali il procedimento di prevenzione (o, se si preferisce, il sub-procedimento interno ad esso) prende le mosse da un’istanza formulata dalla parte privata (come quelle finalizzate alla revoca delle misure già in essere, sia personali che patrimoniali, ovvero all’applicazione del controllo giudiziario delle aziende, ovvero ancora alla rivalutazione della pericolosità sociale), le quali ipotesi pure sembrano rientrare nella dizione normativa e, precisamente, nella parte dei “procedimenti in cui sono disposte misure di prevenzione”.

Ciò posto, quando è pendente una proposta finalizzata all’applicazione di una misura di prevenzione personale, si è astrattamente nel pieno ambito operativo della disposizione; tuttavia, si tratta di distinguere l’ipotesi in cui sia stata già fissata un’udienza per la trattazione – al termine della quale, come noto, potrà essere applicata la misura (salvo le ipotesi di applicazione, in via d’urgenza, da parte del Presidente del Tribunale, con convalida successiva) -, rispetto a quelle in cui la proposta, sia pure depositata dal proponente, non abbia ancora visto la fissazione di un’udienza.

Ora, in quest’ultimo caso, non essendovi ancora conoscenza del procedimento per il soggetto “proposto”, ovvero il suo difensore, tecnicamente non vi sarà alcun soggetto legittimato a chiedere espressamente la trattazione, giacché come visto né il proposto, né il suo difensore sono a conoscenza dell’incipiente procedimento, nonostante questo già penda con il deposito della proposta.

Dunque, in questa ipotesi – e salvo che il procedimento sia in istruttoria per la misura  personale congiunta a quella patrimoniale e si attenda la decisione sull’intera regiudicanda, ipotesi questa nella quale il proposto è già a conoscenza del procedimento -, non vi potrebbe essere spazio per la trattazione, in quanto la legge non assegna agli organi proponenti il diritto potestativo ad ottenere la trattazione del procedimento.

Nessuna questione sembra invece porsi quando vi sia una proposta depositata e sia già stata fissata l’udienza per la trattazione.

In questo caso si è nella piena operatività della disposizione, sicché il proposto per l’applicazione (ad esempio) della sorveglianza speciale, ben potrebbe chiedere (anche se l’opzione pare improbabile, visto il normale atteggiamento dilatorio della parte) la trattazione della procedura ai sensi della disposizione in parola.

Vi è ancora l’ipotesi della misura personale disposta ed eseguita e, in relazione alla quale, però potrebbero originarsi – proprio per le difficoltà legate al periodo – talune problematiche nell’attività di concreta esecuzione, soprattutto da parte dell’autorità di pubblica sicurezza che incontra anch’essa difficoltà operative sul piano del controllo dei sottoposti.

Inoltre, quanto a questi ultimi, potrebbe riproporsi il problema – in caso di violazione delle prescrizioni legate alla misura (si pensi a quelle relative all’obbligo di distanziamento sociale, pure introdotte dal legislatore dell’emergenza) – delle conseguenze (eventualmente anche penali) discendenti dalla violazione dell’obbligo, gravante sui sottoposti, di rispettare le leggi e vivere onestamente, sui quali si è di recente esercitata, anche con pronunzia di incostituzionalità[2], la giurisprudenza sia interna[3] che sovranazionale[4]

3.  La richiesta di revoca delle misure di prevenzione durante il periodo di sospensione ex lege

Restando sul terreno concernente la cognizione, sembrano del pari problematiche le ipotesi di revoca della misura personale richiesta dalla parte ovvero, ancora, le ipotesi di rivalutazione della pericolosità sociale regolata dall’art. 12, comma 2 ter del codice antimafia.

Quanto al primo aspetto, cioè alla istanza di revoca anticipata della misura di prevenzione personale, si tratta anzitutto di comprendere se la stessa rientri nella locuzione normativa.

Quest’ultima, come visto, postula la presenza di un procedimento “per l’applicazione della misura” o in cui sia “disposta una misura di prevenzione”.

In caso di istanza di revoca, vi è da chiedersi se si sia in presenza di un “procedimento in cui sia disposta una misura di prevenzione”, cioè se penda un procedimento con misura adottata.

La risposta non sembra del tutto scontata ed è collegata all concetto di “termine” del procedimento di prevenzione, giacché se questo viene inteso come concluso con l’applicazione della misura, allora l’istanza di revoca metterebbe in moto un nuovo procedimento.

Ma con ogni probabilità, l’istanza di revoca di una misura personale afferisce a un “procedimento in cui sia (già) disposta una misura di prevenzione”.

In tale prospettiva l’istanza di revoca si inquadrerebbe, comunque, in un procedimento in cui risulta disposta una misura e, dunque, provenendo l’istanza dal sottoposto alla stessa (non proposto, in questo caso, ma sottoposto) si dovrebbe procedere alla trattazione e, quindi, nel caso in cui non sia stata ancora fissata l’udienza, provvedere alla relativa fissazione, o alla trattazione del fascicolo all’udienza già fissata.

Del resto, nel caso di revoca proposta a misura ancora pendente, pare esservi anche un’apprezzabile interesse della parte a vedere ricontrollata la sua posizione, onde, se del caso, ottenere la rimozione anticipata del controllo.

Diversamente, nel caso in cui la revoca fosse proposta a misura già ultimata, trattandosi tecnicamente di un procedimento definito, in cui non vi è più una misura in essere, la richiesta di revoca, in questo caso, si atteggerebbe a meccanismo propulsivo per l’inizio di un nuovo procedimento, sicché, considerando anche la ratio delle indicate disposizioni, non pare sussistere la condizione per dar seguito nell’immediato alla istanza di fissazione che potrà essere tranquillamente posticipata dopo il periodo di rinvio ex lege.

4. Le rivalutazioni di pericolosità sociale di cui all’art. 14, comma 2 ter, codice antimafia

Altra situazione che solleva dubbi è quella della rivalutazione della pericolosità sociale prevista dall’art. 14, comma 2 ter del codice antimafia.

Come noto con tale disposizione il legislatore, adeguandosi ai precetti elaborati da Corte costituzionale n. 291/2013, ha imposto – in caso di detenzione da definitivo protrattasi per un periodo superiore ai due anni – che il Tribunale reiteri il giudizio di pericolosità sociale in ordine alla persona cui la misura di prevenzione sia stata applicata ma non eseguita o la cui esecuzione sia stata sospesaproprio a causa dello stato detentivo.  

La disposizione stabilisce che il giudizio possa celebrarsi d’ufficio, ma nulla esclude che la parte chieda – anche per ragioni anticipatorie – di ottenere subito la rivalutazione.

In questo caso, vi è da chiedersi se si verta o meno nell’ipotesi di eccezione al rinvio ex lege prevista dal decreto.

Tecnicamente, anche in questo caso, sembrerebbe non venire in rilievo – in senso stretto – l’ipotesi di un “procedimento in cui sia disposta una misura di prevenzione”, in quanto il procedimento dovrebbe ritenersi definito con l’applicazione della misura, a meno di non voler – anche qui – intendere in senso ampio l’espressione e, quindi, considerare sussistente un “procedimento”, sempre e comunque quando vi sia una misura in essere e non ancora (interamente) eseguita.

Ad ogni modo, comunque si interpreti tale locuzione, laddove si prescelga – in un’ottica restrittiva, più vicina (sembrerebbe) allo scopo di evitare la celebrazione di udienze in presenza – si dovrebbe quanto meno provvedere (anche d’ufficio) a una sospensione dell’efficacia della misura nelle more della rivalutazione, in quanto un problema provocato dal sistema non dovrebbe ricadere sulle legittime pretese della persona.

Ulteriore problema, in tale ultimo caso, sarebbe quello di comprendere poi eventualmente a quando rinviare il giudizio di ri-valutazione.

5. Le misure patrimoniali: questioni aperte

Similmente a quelle personali anche il comparto delle misure patrimoniali fa registrare talune problematiche interpretative.

Esse sembrano afferire tanto alle misure dei sequestri di prevenzione, quanto a quelle diverse dalla tradizionale coppia sequestro/confisca, investendo in particolare (ma solo in via esemplificativa) l’istituto del controllo giudiziario delle aziende di cui all’art. 34 bis, del codice antimafia.

6. I sequestri e il periodo di rinvio ex lege

Quanto ai sequestri, il problema forse più spinoso concerne proprio la possibilità per il Tribunale di emetterli nella fase di rinvio ex lege.

In effetti, nel caso del sequestro, sembra non venire in rilievo anzitutto la previsione legislativa dei procedimenti nei quali è disposta una misura di prevenzione, appunto perché la misura non è ancora stata emessa. Con la proposta di prevenzione invece può ritenersi già pendente un procedimento, sicché sembra ricorrere l’altra della opzioni testuali eccettuative: quella, appunto, dei “procedimenti per l’applicazione di una misura di prevenzione”.

Il problema però in questo caso è che manca la possibilità di una richiesta di “procedere”, in quanto i proponenti istituzionali non godono del diritto potestativo – concesso solo al proposto e ai difensori – di chiedere la trattazione, cioè che il Tribunale decida sul sequestro; e va, peraltro, tenuto in considerazione che il comma 2 dell’art. 83 stabilisce che nel periodo di rinvio ex lege, risultano sospesi anche i termini per l’adozione delle decisioni giudiziarie, e sicuramente il sequestro riflette una decisione in attesa di emissione a seguito del deposito della relativa proposta.

Dall’altro versante (malgrado la sospensione investa – ai sensi del comma 2 dell’art. 83 – l’attività giudiziale in generale e non solo le udienze), trattandosi di un’attività cartolare, da emettersi inaudita altera parte, non vi sarebbero i tradizionali problemi legati alla celebrazione dell’udienza, salva la necessità di riunire il collegio per la decisione.

E comunque, ulteriori problemi da tenere in debita considerazione potrebbero originarsi in fase di esecuzione, in quanto la materiale apprensione dei beni oggetto di sequestro potrebbe comportare lo svolgimento di attività sul territorio poco in linea con l’esigenza di proteggere la salute degli operatori (amministratore giudiziario, p.g. chiamata ad eseguire), ciò che pare costituire la direttrice logica della legislazione in oggetto.

Sull’aspetto esecutivo si tornerà anche in seguito.

Va ancora tenuto presente che esistono poi situazioni in cui l’adozione di un sequestro si rivela di imperiosa urgenza, come nelle ipotesi di cui all’art. 22 del codice antimafia che prevede la possibilità che il sequestro venga adottato dal Presidente del Tribunale per poi essere convalidato, in seguito, dal Collegio. E in questa situazione di emergenza, non è esclusa la possibilità che i proponenti prescelgano il sequestro di prevenzione per colpire forme di criminalità che mirino ad approfittare, ad esempio, della contingenza per lucrarvi[5].

Andrebbe inoltre tenuto in considerazione che vi sarebbero problemi per la fissazione dell’udienza di comparizione, normalmente fissata con decreto contestuale o inserita nel medesimo decreto di sequestro, in quanto richiederebbe poi (se ricadente nel periodo di rinvio ex lege) un’istanza di trattazione del proposto ovvero del difensore di quest’ultimo (non dei terzi).

Vi sarebbe anche da chiedersi quali conseguenze deriverebbero – in caso di emissione del sequestro – sui termini di efficacia dello stesso: se, in particolare, si possa parlare di sospensione dei termini di efficacia del sequestro emesso in tale frangente temporale.

Sul punto va rilevato che non vi è, in verità, una norma nell’articolato in esame, né tanto meno nel sistema in generale che consenta la sospensione dei termini di efficacia del sequestro, in quanto quella di cui al comma 9 assegna questo effetto – nell’ambito del secondo periodo (quello definito più soft) – ai provvedimenti di rinvio disposti dal capo dell’ufficio, nel quadro dei poteri lui attribuiti, e fatta salva comunque la possibilità eccettuativa della richiesta di trattazione della parte che, anche in questo caso, paralizzerebbe la sospensione del termine di cui all’art. 24 del codice antimafia.

7. Questioni relative alle fasi esecutive dei sequestri o dei dissequestri

Si accennava prima al problema della fase esecutiva concernente i sequestri.

Ci si chiede se la norma sul rinvio operi anche quanto alla fase esecutiva del sequestro.

A tal proposito, rileva nuovamente la circostanza che l’articolato legislativo non pare aver inteso sospendere le sole udienze (in tal senso, soprattutto il comma 2 dell’art. 83) e inoltre che l’aver il legislatore disegnato l’oggetto del diritto potestativo della parte in termini di richiesta di “procedere” e non in termini di richiesta di celebrazione dell’udienza, sembra escludere che la sospensione dell’attività riguardi solo quella di udienza.

Dunque, in questo senso, anche l’attività di esecuzione del sequestro o del dissequestro – inquadrandosi, in senso lato, nell’ambito del procedimento di prevenzione con regole  precise dettate all’uopo dal codice antimafia – dovrebbe anch’essa essere intesa, a rigore, come sospesa, ai sensi dei primi due commi dell’art. 83 del decreto legge.

Sul punto va osservato – quanto poi alle eccezioni – che se ha un senso immaginare una richiesta di “procedere” per il dissequestro, in caso ad esempio di rigetto della confisca, non pare potersi dire la stessa cosa per l’esecuzione del sequestro, in quanto anche questa attività, per quanto si è detto, dovrebbe essere sospesa nella prima fase e non sembra immaginabile una richiesta di procedere del proposto, anche perché normalmente non dovrebbe ancora sapere di essere destinatario di sequestro.

Questo spinge ancora di più a considerare come sospesa tout court l’adozione e l’esecuzione di sequestri nel periodo di rinvio ex lege.

Peraltro, al netto di queste osservazioni, va pure tenuto nel debito conto cosa significhi mettere in atto l’esecuzione del sequestro (ovvero dello speculare dissequestro), in quanto si tratta di attività che postulano di regola un’azione materiale di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore o dell’avente diritto (in caso di dissequestro), con tutte le conseguenti problematiche di rischio contagio, ancor più elevate laddove i beni abbiano diversa collocazione territoriale.

8. I procedimenti di prevenzione patrimoniale diversi dalla coppia sequestro/confisca: alcuni nodi sull’art. 34 bis codice antimafia

Anche le procedure patrimoniali diverse dalla tradizionale coppia sequestro/confisca sembrano sollevare talune problematiche cui è opportuno accennare.

Un discorso a sé merita la procedura di controllo giudiziario delle aziende di cui all’art. 34 bis del codice antimafia che, al comma 6, come noto, prevede la possibilità di accesso all’istituto su istanza di parte.

In caso di istanza presentata nel periodo di rinvio ex lege, ovvero già presentata e in relazione alla quale fosse stata già fissata l’udienza, vi sarebbe in primo luogo da verificare se si tratta di attività collocabili nell’ambito della locuzione utilizzata dal legislatore.

Può ragionevolmente affermarsi che con l’istanza di applicazione del controllo giudiziario, inizi sicuramente un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione, per cui il profilo obiettivo della norma sembra certamente soddisfatto.

Il fatto poi che la misura sia stata proposta a istanza di parte può ritenersi di per sé satisfattivo del requisito della richiesta di procedere?

Sul punto sembrerebbe di doversi rispondere negativamente perché la legge impone la richiesta “espressa” di trattazione. In questo caso occorrerebbe dunque una richiesta espressa di trattazione, cioè una istanza diversa da quella, a suo tempo, formulata per l’applicazione dell’istituto.

Altra situazione si verifica in caso di chiusura della procedura di controllo giudiziario, in relazione alla quale – se si immagina (in quanto la legge nulla dispone sul momento di conclusione del procedimento) che al termine del periodo di controllo si debba adottare un provvedimento conclusivo che sancisca l’esito positivo (o meno) della vigilanza del Tribunale -, si pone il problema anche qui di stabilire se si possa o meno procedere.

Anche in tal caso, trattandosi di un procedimento che ha visto l’applicazione di una misura di prevenzione (tale è secondo Sezioni unite Ricchiuto[6] il controllo giudiziario delle aziende), nessun problema vi è in ordine al requisito oggettivo della norma.

Occorrerebbe quindi, ai fini del procedere, la richiesta espressa di trattazione, ma una volta che questa sia stata presentata, nel peculiare periodo di emergenza sanitaria, sarebbe forse opportuno che la conclusione del procedimento avvenisse con il solo provvedimento  finale (in assenza di udienza, che invece lo scrivente, in tempi normali, riterrebbe utile, anche al fine di assicurare un contraddittorio orale sulla fase conclusiva della misura specularmente a quella genetica), in modo tale da assecondare le finalità della legislazione di evitare il più possibile gli assembramenti in udienza.

Quanto invece alla prosecuzione dell’attività del controllore, anche qui – così come per l’amministrazione giudiziaria che consegue al sequestro – vi sarebbe da chiedersi se l’attività in sé debba considerarsi sospesa.

Anche in tal caso la risposta interseca il problema di chiarire (a monte) cosa debba intendersi per “attività sospesa” (ai sensi del comma 5) e per “richiesta di procedere” (comma 3, che rinvia ai commi 1 e 2), e se si ritiene che la stessa si riferisca solo all’attività di udienza e  a quella giurisdizionale, allora nessuna questione dovrebbe porsi per l’attività dell’amministratore (o del controllore) giudiziario che non patirebbe sospensioni, anche in assenza di una richiesta esplicita di procedere ad opera della parte.

Non pare, tra l’altro, sostenibile che l’attività di gestione – quanto meno quella ordinaria – possa essere sospesa, laddove la si possa continuare anche con strumenti da remoto e senza particolari esposizioni a rischio dell’amministratore giudiziario.

9. Taluni aspetti controversi sulla fase di gestione dei beni in sequestro

Si è prima fatto cenno alle attività di gestione da parte dell’amministratore giudiziario dei compendi in sequestro.

Al quesito se l’attività gestoria possa includersi nell’ambito di quelle oggetto di sospensione, dovrebbe, similmente a quanto affermato per il controllo giudiziario, darsi risposta negativa, pur dovendosi necessariamente cercare di conciliare le esigenze della gestione con quelle concernenti la tutela della salute di tutte le parti del procedimento.

Vertendosi in tema di attività materiale-gestionale, quella della amministrazione giudiziaria potrebbe essere continuata mediante l’utilizzo – ove possibile – di tutte le cautele opportune a renderla immune da rischi di contagio.

In tale prospettiva, l’accesso degli amministratori agli uffici giudiziari andrebbe ridotto al minimo indispensabile, se non sospeso totalmente, preferendosi – per le necessarie interlocuzioni con il giudice delegato – adoperare strumenti da remoto che contemplino la possibilità di firmare i provvedimenti autorizzativi del giudice delegato con modalità anche alternative alla firma tradizionale, magari mediante l’impiego della posta istituzionale che – con l’intermediazione “certificante” della cancelleria del Tribunale – potrebbe assolvere alla funzione di rendere certa la provenienza del provvedimento dal giudice delegato.

Laddove poi si richiedesse l’intervento del Collegio, potrebbero, ovviamente per l’attività decisoria in senso stretto, adoperarsi le modalità telematiche in fase di sempre maggiore sperimentazione e, quanto alle sottoscrizioni degli atti, cercare soluzioni che consentano il minor accesso possibile dei giudici presso l’ufficio giudiziario.

10. Qualche breve spunto per il futuro delle misure di prevenzione

Ora, nell’ottica di organizzazione del futuro lavoro dei Tribunali di prevenzione, facendo tesoro delle prassi sperimentate in questo periodo di necessaria contrazione delle attività, sarebbe il caso di ripensare totalmente il sistema e adeguarlo al progresso tecnologico già ora esistente.

In questa ottica, il giudizio di prevenzione che – malgrado le opportune eccezioni – resta un giudizio principalmente cartolare, dove le parti controvertono (quanto soprattutto alle misure patrimoniali) su aspetti tecnici di natura economico-contabile, bisognerebbe puntare tutto sul “processo telematico di prevenzione”, laddove dalla proposta alla formazione del fascicolo, tutto sia disponibile sulla piattaforma telematica e dove anche il provvedimento conclusivo (e quelli interlocutori) possano essere adottati in forma telematica, salve le attività di udienza che – al ritorno alla normalità – potranno essere celebrate in presenza, ferme le già esistenti possibilità di avvalersi dello strumento del video collegamento, qualora occorra assicurare la partecipazione del proposto che sia detenuto o recluso fuori sede.

Così come dovrebbe puntarsi alla piena e completa informatizzazione dell’attività delle cancellerie, che andrebbero dotate delle banche dati rilevanti (anche di quelle in uso alle forze di polizia) per la gestione dei beni e tutta l’attività collegata e, da ultimo, anche l’attività di gestione (spesso di inusitata complessità) dovrebbe essere organizzata in modalità telematica e necessariamente con l’utilizzo di supporto informatico con la predisposizione di firme digitali per i giudici, onde consentire sempre e comunque – salve le eccezioni – una compiuta supervisione da remoto delle procedure di amministrazione giudiziaria di pertinenza dei professionisti incaricati.

Soltanto così, e facendo virtù delle necessità derivanti da questo particolare periodo, si potrà assicurare un giusto e moderno processo di prevenzione che sia, anche il più possibile, ragionevolmente rapido nell’assolvimento delle istanze di prevenzione provenienti dal sistema.


[1] S. Beltrani, I procedimenti penali e i dd.ll. dell’emergenza COVID-19, in Ars Iuris, rivista online di Unità per la costituzione, www.unicost.eu

[2] La Corte Costituzionale, con sentenza 24 gennaio – 27 febbraio 2019, n. 25 (in G.U. 1ª s.s. 6/3/2019, n. 10), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 75, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”” e, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 75, comma 1, cod. antimafia, nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi.

[3] V., in tema di trasgressione, da parte del proposto, al divieto di partecipare a pubbliche riunioni, rilevante ai sensi dell’art. 75, D.Lgs 6 settembre 2011, n. 159, Cass. pen., Sez. Un., 28 marzo 2019 (dep. 18 novembre 2019), n. 46595, Pres. Carcano, Rel. Rocchi, ric. Acquaviva e altro.

[4] Corte Edu, Grande Camera, 23.2.2017, De Tommaso contro Italia.

[5] V. sul punto la direttiva del Ministero dell’Interno del 10 aprile 2020 avente ad oggetto “Emergenza Covid-19. Monitoraggio del disagio sociale ed economico e attività di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminosi e di ogni forma di illegalità, consultabile in www.interno.gov.it.

[6] Cass., Sez. un., sent. 26 settembre 2019 (dep. 19 novembre 2019), n. 46898, Pres. Carcano, est. Vessichelli.

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