Le novità sul procedimento di formazione tabellare introdotte dalla nuova Circolare

Nei nostri uffici,  in questo periodo,  è in corso il procedimento per la formazione delle tabelle per il triennio 2017/2019. La recente rivisitazione della circolare ha introdotto alcune novità, che sono state illustrate nel corso degli incontri promossi dalla Settima Commissione del Csm  con i Capi di Corte, i rappresentanti dei Consigli Giudiziari ed i Presidenti dei Tribunali. Ma la circolare è diretta a tutti i magistrati, che devono essere partecipi della fase di elaborazione del progetto tabellare, dal quale deriverà la qualità del loro lavoro e del servizio che renderanno nel corso del prossimo triennio ai cittadini che ci chiedono giustizia.Per chi avesse la pazienza, allego il testo del mio intervento sulle novità del procedimento tabellare, tenuto  in occasione dei citati incontri: ho provato a fare un punto sulle ragioni delle cd. tabelle, per me in primo luogo e tuttora la garanzia della indipendenza interna e del pluralismo. Valori, quelli dell’indipendenza interna e del pluralismo, e una occasione, quella del procedimento tabellare, da non disperdere. 
Francesco Cananzi…………….Sappiamo, e lo diamo ormai per assodato, come il sistema organizzativo preveda per tutti gli Uffici Giudiziari giudicanti di qualsivoglia tipo e grado la cd. Tabella di Organizzazione dell’Ufficio.A questo risultato si arriva attraverso un percorso storico di evoluzione dell’ordinamento giudiziario, che attraversa le fonti primarie e secondarie, che risponde all’interrogativo di chi dovesse normare l’organizzazione degli uffici giudiziari italiani.Occorre ridirci e ribadire che il primo valore che vuole essere preservato e per il quale nasce l’organizzazione tabellare è quello dell’indipendenza interna. Non si tratta di un valore assodato o scontato.Certo, i Costituenti posero attenzione soprattutto al profilo esterno dell’indipendenza, garantendola con il CSM nei confronti dei poteri legislativo ed esecutivo e però, non mancarono di declinare anche unprofilo – di non minore importanza – interno di indipendenza, affermando con l’art. 107 c. 3 che i magistrati si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni.Vi è stata una progressiva presa di coscienza, come accaduto per molti valori costituzionali, del principio del giudice naturale precostituito per legge, sancito dall’art. 25 della Carta.Le tabelle si pongono a servizio del giudice naturale, di fatto integrando la doppia riserva di legge degli artt. 108 e 25 cost. in tema di ordinamento giudiziario[1] e, per altro, sopperiscono alla presa d’atto dell’impossibilità di una disciplina normativa primaria che sia <così dettagliata e stringente, da annichilire il ruolo che per una serie di aspetti compete al Consiglio quale vertice organizzativo della magistratura ordinaria> (così la commissione Paladin). Aggiungo che anche gli interventi consiliari non possono annichilire il ruolo e l’autonomia degli uffici e dei loro dirigenti, ai quali va richiesta ragionevolezza e rispetto delle regole, lasciando ferma la discrezionalità fra le scelte possibili. Questo il modus operandi della Settima commissione.Ciò nella prospettiva di una idea di governo autonomo che abbia una direzione verticale – quella che parte dall’esercizio dell’autorganizzazione da parte del singolo magistrato e giunge alla valutazione del CSM, attraverso i passaggi noti del procedimento tabellare ed attraverso il ruolo dei consigli giudiziari – ed una dimensione orizzontale – che si nutra del metodo partecipativo dei magistrati, dei magistrati onorari, ed ora ancora più significativo degli avvocati,  per prefissare le regole della propria indipendenza interna, appunto le determinazioni tabellari. Il metodo tabellare deve garantire anche il pluralismo interno (Romboli), che è conseguenza dell’indipendenza interna: se il giudice non è più bocca della legge e se certamente la prevedibilità della decisione è un valore, è altrettanto necessario garantire l’automaticità e l’adeguata diffusività, ove possibile, delle assegnazioni degli affari, dalle quali possano scaturire orientamenti innovativi, evolutivi, fattori di progresso nel riconoscimento dei diritti e dei doveri.Garantire il giudice precostituito, dalla legge e nell’attuazione concreta dalle tabelle, vuol dire rispettare la diversità dei giudici ed il pluralismo delle decisioni, declinazione concreta del potere diffuso. E’ vero che lo Stato moderno si fonda, a ben vedere, sulla circolarità logica fra decidere, giudicare, e applicare la legge (N. Irti, un diritto incalcolabile).Ed è altrettanto vero che sussiste una esigenza di calcolabilità giuridica, identificata da Max Weber nel rilievo che il capitalismo ha bisogno di ” un diritto che si possa calcolare in modo simile a una macchina “( M. Weber, Storia economica ecc., 1919-1922, trad. it., Roma 1993, p. 298): tale esigenza, però,  non può divenire una pretesa assoluta, in quanto deve coniugarsi con il pluralismo intellettuale che contraddistingue la nostra società e che ha costituito, per certi versi, la cifra più avanzata della magistratura italiana e le ha consentito, attraverso il giudizio in cui si applica la legge, di raggiungere equilibri sempre più avanzati in sede di poliforme tutela di diritti vecchi e nuovi. L’indipendenza della magistratura, la sua professionalità ed il suo pluralismo al servizio del progresso del paese, come prefigurato dai Costituenti. Ciò che può mettere insieme, ciò che può fare sintesi tra pluralismo e certezza del diritto è il principio di specializzazione, che richiama ad una professionalità e ad una interazione mirata nel dibattito giurisprudenziale e dottrinale, della quale anche l’avvocatura si avvantaggia, come anche i cittadini.La via da percorrere, quindi,  non è quella lesiva del principio di indipendenza interna, quale potrebbe essere quella di attribuire tutti gli affari ad un medesimo giudice per evitare contrasti di giurisprudenza o per mere ragioni di efficienza, bensì quella più democratica, forse meno immediata ma potenzialmente più giusta nell’esito finale, di una distribuzione diffusa, temperata dalla specializzazione e dal dialogo fra i giudici promosso dai presidenti di sezione. Il procedimento tabellare ha assunto poi, nel tempo, a fronte del crescere della domanda di giustizia, anche un ulteriore valore, che non sopravanza il primo dell’indipendenza interna e ne deve comunque risultare servente: quello del  razionale uso delle risorse, strumentale all’efficienza, dove efficienza vuole dire capacità di contemperare qualità e quantità della risposta di giustizia.E bene, in tempi di risorse limitate il tema delle prioritàselezionate alla luce dei valori costituzionalie sovranazionali (procedimenti a rischio cd. Legge Pinto, cioè ragionevole durata del processo; procedimenti di protezione internazionale, diritto di asilo, ecc. ) nel civile come nel penale, è centrale per avere anche un’organizzazione giudiziaria costituzionalmente orientata.Per selezionare le priorità, per definire una organizzazione adeguata a risorse date e per raggiungere gli obiettivi conseguenti fondamentale è il metodo: non è più il tempo di imposizioni autoritative, da uomo solo al comando.Il sistema tabellare deve servire a conciliare il massimo possibile di partecipazione con il massimo possibile di efficienza (così Pizzorusso).Il tema della partecipazione è allora centrale e non rinunciabile nel procedimento tabellare proprio come presupposto per l’efficienza: perché le scelte organizzative siano adeguate occorre che vi sia da parte di tutti gli attori del procedimento una piena consapevolezza delle prerogative loro affidate e del diritto/dovere di partecipazione.Il rischio che corriamo è che, convinti come siamo che vi sia un eccesso di burocrazia, e che tutto si faccia perché nulla cambi, si rinunci all’esercizio dei diritti di partecipazione.La realtà ci dice che in molti uffici giudiziari, invece,  si fa e si cambia in meglio!Calamandrei diceva della libertà che è come l’aria e che ci si accorge della sua esistenza quando viene a mancare. Fatte le debite proporzioni, credo ciò valga anche per i diritti/doveri di partecipazione nell’ambito del procedimento tabellare.Le innovazioni nel procedimento tabellare introdotte con la nuova circolare per il 2017/2019 sono tese per un verso a ridurre passaggi formali e dunque a semplificare e razionalizzare, per altro verso arendere effettiva la partecipazione.Nel senso della razionalizzazione vanno:-         la definizione del rapporto fra DOG e Progetto Tabellare, risultando il Documento il luogo delle ragioni delle scelte organizzative e la cornice all’interno della quale si colloca il Progetto tabellare, che declina nel dettaglio la proposta organizzativa (artt. 6, 8);-         il rapporto fra DOG e programmi di gestione ex art. 37 DL 98/11  dei procedimenti civili, ove questi ultimi sono strumenti annuali di attuazione del DOG; i programmi di gestione si sono rivelati strumenti straordinari proprio per avere consapevolezza degli affari pendenti, per stabilire delle priorità ultralegali, per coinvolgere i magistrati tutti in un progetto comune e condiviso. Il Consiglio ha chiesto facoltativamente agli uffici giudiziari di procedere ad analoghi programmi anche per il penale. Credo debba fare di più il Consiglio, perché una piena consapevolezza delle pendenze, la declinazione in concreto delle priorità legali ex art. 132 bis disp. Att c.p.p.,   avrebbe evitato il grave episodio della prescrizione del delitto di violenza sessuale presso la Corte di appello di Torino. Occorrono risposte di sistema, da parte del legislatore e dell’esecutivo per le corti di appello, che hanno subito l’incremento delle sopravvenienze con il passaggio al giudice unico in primo grado, senza aumento della pianta organica. Ma la magistratura a risorse date deve fare la sua parte con responsabilità.-         la nuova disciplina sui tempi del procedimento, distinguendo per omogeneità di disciplina fra uffici di piccole e medie dimensioni ed uffici di grandi dimensioni  con la finalità potenziale anche di differenziare nel tempo i carichi per le commissioni flussi e per i consigli giudiziari;-         la clausola aperta per i nuovi presidenti che intendano effettuare variazioni all’indomani del proprio insediamento; nel segno di una più piena partecipazione ed informazione: –          si è previsto un maggiore coinvolgimento del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, come richiesto dal CNF per rendere effettivo il contributo: di fatto il Presidente ed il Consiglio dell’Ordine vengono equiparati ai magistrati quanto a fonti di conoscenze, poiché la segnalazione  viene preceduta da elementi di valutazione relativi al DOG;-         Si è prevista anche la comunicazione della segnalazione al procuratore della Repubblica, che evidentemente potrà far pervenire contributi facoltativi al Presidente del Tribunale   Nel segno della semplificazione:-         La natura eventuale dell’interlocuzione con la commissione flussi, sia nella fase preliminare (art.13) da parte del dirigente, sia anche nella fase del parere reso dal CG: ciò non attesta la superfluità del ruolo della CF, bensì la necessità di ricorrere al parere della Commissione solo nel caso di necessità, evitando anche che vi sia una eccessivo rallentamento nella trattazione delle pratiche per un passaggio solo formale.-         In ossequio al principio di trasparenza, è stato previsto che la nomina dei componenti della Commissione flussi venga effettuata a seguito di interpello operato dal Consiglio giudiziario che ne indica il numero e i relativi criteri di selezione, consentendo la partecipazione alla stessa nel medesimo distretto per non più di due volte anche non consecutive, salvo difetto di aspiranti.–         Di non poco momento è, poi, la previsione del coinvolgimento nei lavori di tale Commissione di due avvocati, uno per il settore civile, l’altro per il settore penale, scelti fra gli avvocati consiglieri giudiziari in carica.Sul punto va chiarito che in assemblea plenaria ero tra i firmatari di un emendamento soppressivo teso ad escludere la previsione della partecipazione obbligatoria del ceto forense alla Commissione flussi.Due le ragioni. Una prima tecnica, in quanto la commissione flussi è un organo tecnico-consultivo del consiglio giudiziario, per cui non ha granché senso che ad esso vi partecipino avvocati facenti parti del medesimo consiglio giudiziario: anzi, si viene a creare un corto circuito fra l’organo consultivo, che ha funzione servente e deve esprimere un parere, e il consiglio giudiziario, al quale è rimessa la valutazione anche di merito e politico-giudiziaria. Per giunta l’organo tecnico potrebbe rischiare di perdere in autonomia per la presenza oltre che del presidente (che funge già da necessario collegamento con il consiglio giudiziario) anche di altri componenti consiglieri giudiziari.L’altro profilo ha carattere squisitamente politico: consegue alla consapevolezza che l’analisi dei flussi e delle sopravvenienze costituisce un perno centrale e momento nevralgico nella gestione organizzativa degli uffici, che sarebbe stato preferibile se non altro rimettere alle scelte autoregolamentari dei singoli consigli giudiziari.Non si discute assolutamente il coinvolgimento dell’avvocatura nell’iter di organizzazione degli uffici: ne è dimostrazione il favor assegnato alla giusta partecipazione della stessa al procedimento tabellare, come si è visto, bensì dell’opportunità della presenza dell’avvocatura in quell’organo per ragioni tecnico-politiche.Certo le proposte che si affacciano, di ulteriore ingresso dell’avvocatura nell’ambito della valutazione di professionalità dei magistrati, lasciano oltremodo perplessi, anche perché non si prevede la sospensione degli avvocati componenti della consiglio giudiziario dall’attività professionale, come invece accade per i componenti laici  del Csm.  Questi i tratti salienti delle modifiche al procedimento tabellare nella direzione di una maggiore efficienza e semplificazione, fermo restando che la centralità del sistema tabellare è nel metodo di lavoro che miscela partecipazione dei magistrati ed assunzione di responsabilità dei dirigenti degli uffici.La partecipazione garantisce una programmazione che non sia alla cieca, calata dall’alto, ma condivisa, in modo da consentire un’assunzione di responsabilità anche da parte dei magistrati coinvolti nel raggiungimento degli obiettivi e dell’obiettivo finale, a risorse date, di una giustizia quantitativamente e qualitativamente sostenibile. Gli studiosi dell’attività consiliare, interrogandosi sul  fondamento dogmatico della attività di normazione secondaria del Consiglio, l’hanno rinvenuta direttamente nell’art. 104 cost.  che definisce la magistratura come un «ordine autonomo», oltre che indipendente da ogni altro potere. L’attribuzione costituzionale dell’autonomia alla magistratura significa – così Volpe nella voce <ordinamento giudiziario> dell’Enc. Del Diritto –  che essa è un’organizzazione dotata di capacità normativa rilevante sul piano generale delle fonti del diritto dello Stato. Pertanto i suoi organi sono legittimati ad esprimersi anche mediante tipici atti normativi a contenuto astratto e generale (oltre che per mezzo di concreti provvedimenti). L’esperienza italiana di governo autonomo della magistratura per diffusività, policentrismo e diffusività potrebbe costituire un modello anche per altyre esperienze di governo! E’ una grande esperienza di democrazia e policentrismo quella del governo autonomo e lo può essere ancor di più se interpretata in modo autentico e non burocratico, valorizzando il movimento di sistole e diastole che muove idee e progetti dal basso verso l’alto per poi essere ridistribuiti verso il basso.Tra gli organi giudiziari, la Costituzione (art. 105 e 107) assegna al Consiglio le funzioni più importanti per quanto riguarda sia l’organizzazione sia l’indipendenza dei magistrati. Queste competenze riservate conferiscono poteri a tal punto vasti e rilevanti che, grazie anche alla forma e al contenuto normativi in cui possono essere esercitati, il Consiglio è in grado di elaborare e svolgere un indirizzo di politica giudiziaria, di delineare e di perseguire l’attuazione di un disegno generale di governo della magistratura.Dipende dalla concreta capacità “politica” dei diversi consessi consiliari se l’esercizio delle competenze si risolva in interventi episodici e contingenti oppure risulti espressione coerente e sistemica di una politica dell’organizzazione e del funzionamento della magistratura.Non spetta a noi esprimere giudizi sul lavoro di questo Consiglio, sul suo esercizio dei poteri nell’ambito dell'” amministrazione “o di strategia di “politica giudiziaria”, di governo della magistratura.Ma possiamo auspicare che il sistema del governo autonomo diffuso ed anche i Consigli giudiziari – che vi partecipano da protagonisti –  abbiano a cuore non una mera attività  di amministrazione ma una volontà di fare politica giudiziaria.In Italia abbiamo bisogno di più politica, di politica forte, più forte dell’economia, che sembra sempre più condizionare le politiche anche giudiziarie. Posso concludere questo intervento con la consapevolezza che al Consiglio abbiamo chiaro che quello dell’autonomia, il darsi norme per regolare la propria attività, è un percorso che nasce dal lavoro del singolo magistrato, passa attraverso le riunioni di ufficio, la responsabilità e la discrezionalità illuminata e condivisa del dirigente, con la consapevolezza che all’autonomia corrisponda la responsabilità.Credo che se un filo rosso possa cogliersi negli interventi consiliari, spesso di soft lawproprio per garantire il rispetto dell’autonomia organizzativa degli uffici, questo attraversi gli ambiti della partecipazione ai progetti e alle scelte organizzative (art. 275), del coordinamento fra uffici giudicanti e requirenti e di gradi diversi (cfr. risoluzioni sulle priorità in materia penale),  della leale – ma non per questo meno franca e sincera –collaborazione con il Ministero.Sono certo che lo spirito che i nostri dirigenti metteranno e che chiederanno di mettere  ai propri giudici nella redazione del progetto tabellare 2017-2019, lo spirito dei Consigli giudiziari chiamati ad analizzare tali progetti,  sarà quello di raccogliere la sfida – fra mille difficoltà e fatiche, con la, per molti versi insostenibile, penuria di mezzi e di uomini a disposizione  –  di continuare a garantire l’indipendenza interna ed il pluralismo, con un metodo partecipato e condiviso, lontano dalle logiche dell’uomo solo al comando, che sappia declinare l’organizzazione alla luce delle priorità valoriali costituzionali, coniugando l’autonomia dell’organizzazione con la responsabilità di chi vuole rendere il migliore servizio possibile ai cittadini ed agli stranieri che ci chiedono giustizia.[1] La natura di riserva di legge relativa solo all’esecutivo e non anche nei confronti del Csm scaturisce dalla circostanza che le fonti primarie legittimano e richiedono l’intervento tabellare (fra gli altri, art. 7 bis del R.D. n. 12/1941 ed ancora nell’art. 10 bis della L. 195/1958 che regolamenta e disciplina la costituzione ed il funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura).