CEDU: Ne bis in idem – Riapertura indagini

CLASSIFICAZIONE

NE BIS IN IDEM – SANZIONI AMMINISTRATIVE – DOPPIO BINARIO

RIFERIMENTI NORMATIVI

CONVENZIONE EDU, PROTOCOLLO N. 7, art. 4

PRONUNCIA SEGNALATA – Corte E.D.U., 8 luglio 2019, Domanda n. 54012/10, Mihalache contro Romania

Abstract

Si tratta di una ulteriore sentenza della Corte EDU in tema di ne bis in idem; questa volta, l’argomento viene analizzato focalizzandosi sul problema della “duplicità del procedimento” in caso di riapertura delle indagini a seguito di una prima chiusura ad opera del pubblico ministero, che, peraltro, aveva comunque comportato l’applicazione di una sanzione qualificata come “amministrativa”.

Con ciò, oltre ai temi collegati alla questione specifica, quali il concetto di “provvedimento definitivo”, la sentenza non trascura le questioni ormai classiche sul tema, quale quella della natura sostanzialmente penale delle sanzioni formalmente amministrative, ed i criteri, di recente puntualizzati in sentenza quali A e B contro Norvegia, Johannesson contro Islanda e Bjarni Armasson contro Islanda, per individuare la duplicità dei procedimenti.

Data la quantità degli argomenti affrontati, la sentenza è articolata, densa di riferimenti giurisprudenziali e di spunti per l’analisi.

Si tratta di una sentenza, in ogni caso, complessa, come attestato dai pareri dei giudici a margine della stessa, ed in particolare da quello del giudice Pinto de Albuquerque che, sebbene formalmente non dissenziente, perché l’autore condivide la conclusione finale della decisione nel senso di ravvisare la violazione dell’art. 4 del protocollo n. 7, è comunque fortemente critico verso la motivazione utilizzata per giungere alla conclusione suddetta.

1. Il caso

E’ senz’altro indispensabile riportare la vicenda fattuale all’origine del caso, senza la quale non si possono comprendere le motivazioni di diritto della sentenza.

Il ricorrente Mihalache, cittadino romeno, nato nel 1975 e residente nella città di Tulnici, nella notte tra il 2 e 3 maggio 2008 veniva fermato dalla polizia mentre guidava la propria autovettura sulla pubblica via. Sottoposto a test alcolimetrico sulla base del respiro, che risultava positivo, veniva richiesto dalla polizia di essere accompagnato in ospedale per effettuare un prelievo di sangue per conferma della positività, ma egli rifiutava.

Veniva così aperto, in data 17 luglio 2008 da parte della Procura presso la Corte distrettuale di Focsani, un procedimento penale nei confronti del suddetto Mihalache per il reato di rifiuto di sottoporsi a prelievo biologico per verificare la positività alcoolica, ai sensi dell’art. 87 comma 5 dell’ordinanza governativa n. 195 del 2002 sulla condotta di guida dei conducenti di veicoli su strada.

Con provvedimento del 7 agosto 2008, tuttavia, il procuratore di Focsani decideva di archiviare il procedimento penale, per quella che si potrebbe definire inoffensività del fatto. Con l’archiviazione, però, imponeva al Mihalache il pagamento di una sanzione amministrativa di 1.000 Lei romeni (circa 250 euro).

Tale provvedimento non veniva impugnato ed il 15 agosto 2008 l’interessato provvedeva al pagamento della sanzione suddetta.

In seguito, in data 7 gennaio 2009, l’ufficio di Procura presso la Corte della Contea di Vrancea, ufficio sovraordinato rispetto alla Procura di Focsani, facendo uso dei poteri conferiti dal codice di procedura penale, rivalutava il fatto e, ritenendo che in esso fossero ravvisabili elementi di pericolosità sociale, annullava il provvedimento del 7 agosto 2008 (di archiviazione del procedimento penale con imposizione di una sanzione amministrativa) e riapriva il procedimento penale, restituendo gli atti al Procuratore di Focsani.

L’indagato veniva informato di tale provvedimento.

La Procura di Focsani esercitava allora l’azione penale, ed il 24 marzo 2009 rinviava a giudizio il Mihalache per il reato di rifiuto di sottoporsi ad accertamento biologico per verificare lo stato di ebbrezza.

La Corte distrettuale di Focsani il 18 novembre 2009 condannava Mihalache alla pena di un anno di reclusione con sospensione condizionale.

Il 10 febbraio 2010 la Corte della Contea di Vrancea rigettava l’appello proposto dall’imputato.

Quest’ultimo ricorreva alla Corte d’Appello di Galati lamentando la violazione del principio di divieto di “ne bis in idem”, per il fatto che il primo procedimento era terminato il 7 agosto 2008 con l’archiviazione in sede penale e l’imposizione di una sanzione amministrativa.

La Corte d’Appello rigettava l’istanza perché riteneva che tale provvedimento del 7 agosto 2008 non costituisse una decisione definitiva.

Quanto alla sanzione amministrativa che era stata pagata nell’agosto 2008, il Procuratore capo di Focsani chiedeva, il 10 marzo 2013, alle autorità fiscali che tale somma fosse rimborsata al Mihalache; tale rimborso sarebbe potuto avvenire a seguito della presentazione di un’istanza da parte dell’interessato, circostanza di cui egli veniva informato, ma lo stesso non sottoponeva alcuna domanda in tal senso.

Egli ricorreva, invece, alla Corte EDU per sentir dichiarare la violazione dell’art. 4 del protocollo n. 7.

2. Analisi della Corte

2.1. Il quadro normativo

I giudici di Strasburgo espongono, per prima cosa, le norme nazionali e sovranazionali che vengono in rilievo nel caso di specie.

Poichè la vicenda di fatto, sopra esposta, si presenta articolata, numerose norme vengono infatti in rilievo. Norme della Costituzione romena sull’azione del pubblico ministero, norme del codice della strada e del codice penale nazionale, norme del codice di procedura penale. In particolare, si evidenzia l’art. 10 del cod. proc. pen. romeno, secondo il quale un procedimento penale non può essere iniziato o proseguito se una precedente decisione è divenuta definitiva (“res judicata”).

Sul punto viene poi ricordato il rapporto esplicativo al protocollo n. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo il quale una decisione si deve considerare definitiva (“res judicata”) quando nessun ulteriore rimedio ordinario è attuabile nei suoi confronti, o perché la parte ha esaurito tutti tali possibili rimedi, o perché ha lasciato spirare il termine per esercitarli.

La sentenza menziona poi, tra gli strumenti sovranazionali, l’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che afferma che nessuno può essere processato o condannato nuovamente in un procedimento penale per un reato per i quale egli “has already been finally acquitted or convicted” all’interno dell’Unione, e l’art. 54 della Convenzione Attuativa dell’Accordo di Schengen (CAAS) secondo la quale “a person whose trial has been finally disposed of in one Contracting Party may not be prosecuted in another Contracting Party for the same acts…”, dove la prima parte della frase si potrebbe tradurre liberamente in “una persona il cui processo è stato definito con decisione divenuta definitiva”.

Viene, quindi, in rilievo l’art. 4 protocollo n. 7, secondo il quale:

1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato.

2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.

La Corte afferma che l’analisi non può che partire dal primo comma dell’art 4, ed in particolare dai seguenti tre requisiti

a) la natura penale di entrambi i procedimenti

b) l’identità dei fatti

c) la duplicazione dei procedimenti

2.2. Natura penale dei due procedimenti

Il primo aspetto, in realtà, non presenta particolari problemi.

Alla luce dei “criteri Engel” e richiamando propria giurisprudenza (A e B contro Norvegia, Johannesson e altri contro Islanda), la Corte ritiene che il procedimento che si chiuse il 7 agosto 2008 con l’archiviazione e l’imposizione di una sanzione “amministrativa” era di natura “penale” perché afferiva senza dubbio ad un fatto di natura penale (il rifiuto di sottoporsi a prelievo biologico per accertare lo stato di ebbrezza).

La sanzione comminata al Mihalache con tale provvedimento del 7 agosto 2008, per quanto definita “amministrativa”, aveva finalità punitiva e deterrente, per cui rientrava nel concetto di “materia penale”.

Nessun dubbio, poi, sul fatto che il secondo procedimento, definito con la condanna ad un anno di reclusione, fosse di natura penale, attenendo all’accertamento di un reato.

2.3. Concetto di “idem”

Ugualmente, nel caso di specie è evidente che i fatti per i quali il ricorrente è stato sottoposto ai due procedimenti riconosciuti come penali siano esattamente gli stessi; si discuteva in entrambi di un preciso fatto storico, il rifiuto di sottoporsi ai prelievi biologici per accertare lo stato di ebbrezza, posto in essere nella notte tra il 2 ed il 3 maggio 2008.

2.4. Duplicazione di procedimenti (bis)

Il Governo della Romania nella specie aveva prospettato alla Corte che il complesso dei procedimenti relativi al medesimo fatto rappresentasse, nella sostanza, una singola, unitaria, risposta sanzionatoria da parte dello Stato, come se non vi fosse stata alcuna soluzione di continuità tra la chiusura del primo procedimento, in data 7 agosto 2008, e la sua riapertura, dovendo tale meccanismo essere visto in un’ottica complessiva ed unitaria, come espressione di un’unica volontà investigativa e punitiva da parte dello Stato.

L’interessato assumeva, invece, che il primo procedimento fosse stato chiuso in maniera definitiva, cioè che fosse intervenuta una “final decision”, e che quindi egli fosse stato in seguito sottoposto una seconda volta ad indagine penale per lo stesso fatto.

La Corte, in effetti, richiamandosi al concetto che si potrebbe definire come di “risposta sanzionatoria integrata” cui era stato fatto riferimento nelle sentenze A e B contro Norvegia e Johannesson contro Islanda, ritiene che nella specie esso sia mancato, e che vi sia stata, pertanto, duplicazione di procedimenti.

Punto nodale per giungere a tale conclusione è l’analisi se il provvedimento di chiusura del primo procedimento, quello del 7 agosto 2008 di archiviazione e di imposizione di una sanzione “amministrativa” (ma in realtà di natura penale) fosse una “final acquittal or conviction”, per restare al tenore letterale della formulazione dell’art. 4, comma 1, del protocollo 7 (No one shall be liable to be tried or punished again in criminal proceedings under the jurisdiction of the same State for an offence for which he has already been finally acquitted or convicted in accordance with the law and penal procedure of that State).

Sulla questione, argomento decisivo è quello per cui il provvedimento del 7 agosto 2008 non era solo di archiviazione del procedimento penale (circostanza che, in realtà, secondo la precedente giurisprudenza della Corte non rientrerebbe nella norma in questione, non trattandosi di una assoluzione – “acquittal” -, ed al riguardo la Corte cita tra gli altri i casi Margus, Smirnova e Smirnova, Harutyunyan), ma era anche sostanzialmente di condanna, avendo irrogato una sanzione, e cioè la pena pecuniaria di 1.000 Lei romeni, circa 250 euro.

2.5 La definitività del primo provvedimento

Posto, quindi che si può ritenere che nella specie nel primo procedimento il Mihalache fosse stato condannato (“convicted”), da ciò consegue la necessaria analisi di un altro tema connesso, e cioè se tale condanna potesse ritenersi definitiva (“final”).

Per stabilire ciò, la Corte compie una lunga digressione in cui, in sintesi, appare ritenere discriminante verificare se la condanna fosse soggetta ad un “ordinario mezzo di impugnazione” (“ordinary remedy”), più che a mezzo di impugnazione straordinari, ed in cui fa nuovamente uso – come nel caso A e B contro Norvegia – del concetto di “prevedibilità” della possibile esistenza di un doppio procedimento, collegato in questo caso all’esaurimento degli ordinari mezzi di impugnazione, giungendo alla conclusione per cui, nonostante alcuni aspetti non chiari della vicenda di fatto ed altri propri della legge nazionale criticabili sulle modalità di impugnazione del suddetto provvedimento, che lo stesso fosse diventato “definitivo” perché non impugnato dall’indagato, che ne era venuto a conoscenza.

A questo punto, così, la Corte ha elementi per ritenere che Mihalache fosse stato in effetti sottoposto ad un secondo procedimento dopo essere stato già condannato, con provvedimento definitivo, in un primo procedimento, sempre di natura penale.

2.6. Il rimborso della prima sanzione e la riapertura del procedimento

Prima, però, di giungere alla conclusione di violazione del divieto di “ne bis in idem”, la particolarità del caso ha imposto ancora l’analisi di due elementi: il fatto che, a seguito della seconda condanna, le autorità si fossero attivate per fare rimborsare la sanzione pagata a seguito della prima, ed il fatto che la seconda condanna fosse intervenuta a seguito di riapertura dell’indagine penale, un’ipotesi che, in realtà, lo stesso art. 4 del protocollo 7 prende in considerazione nel comma 2 come non integrante violazione del divieto di “ne bis in idem”.

Sul primo punto, la Corte afferma che la volontà di rimborsare alla parte la prima sanzione è irrilevante, perché la violazione dell’art 4 è integrata anche dalla sola instaurazione di due procedimenti distinti per lo stesso reato, e non necessariamente dall’esservi verificate due condanne.

Sul secondo aspetto, la Corte evidenzia che l’art. 4 comma 2 contempla l’ipotesi di un nuovo procedimento, a seguito di riapertura dell’indagine, come non in violazione del divieto, solo in presenza di condizioni precise e come situazione eccezionale.

Le condizioni sono che siano emerse nuove prove o se successivamente alla decisione del primo procedimento emergono fatti che rivelano carenze decisive, tali per cui, senza di esse, la conclusione avrebbe potuto essere diversa.

Nessuna delle due ipotesi ricorre nella specie, dove il nuovo procedimento è stato aperto esclusivamente sulla base di una diversa valutazione della gravità e della pericolosità sociale del medesimo fatto da parte della Procura di Vrancea, sovraordinata rispetto a quella di Focsani.

La Corte conclude, così, per la violazione nella specie dell’art. 4 del protocollo n. 7.

3. Conclusioni

Essendo, come detto, la sentenza molto articolata e ricca di considerazioni e citazioni, è ovvio che la stessa si presti ad una serie di commenti.

Una prima considerazione, già compiuta in occasione di altre sentenze, è che oggi più che mai la decisione se vi è stata violazione del divieto di ne bis in idem non può essere slegata dalle circostanze fattuali del caso concreto, che acquista quindi sempre più importanza.

Nel caso di specie, la sentenza è l’occasione per ribadire alcuni principi già affermati di recente in alcune decisioni, come, in particolare, quello per cui non si ha violazione del divieto in caso di risposta sanzionatoria integrata da parte dello Stato, quando cioè i due procedimenti, per le loro caratteristiche concrete, appaiono espressione della medesima potestà sanzionatoria, elemento che non è stato ravvisato in questo caso.

Tuttavia, come notato, per esempio, nell’opinione, formalmente adesiva ma sostanzialmente critica, del giudice Pinto de Albuquerque, la decisione “ha perso l’opportunità di chiarire i concetti di “condanna” e “assoluzione” ai fini dell’applicazione del protocollo n. 7” e rivela quanto il criterio dei “procedimenti integrati” – che escludono la violazione del divieto, una cui spia può essere la “connessione anche temporale sufficientemente stretta” – possa essere insidioso.