Nota redazionale su “I requisiti di forma-contenuto del ricorso per cassazione alla luce dell’art. 6 CEDU e del principio del giusto processo

di Franco De Stefano

ART. 6 CEDU E GIUSTO PROCESSO DI LEGITTIMITÀ: I REQUISITI DI CONTENUTO-FORMA DEL RICORSO PER CASSAZIONE

«È conforme ai principi dell’art. 6 CEDU sul giusto processo l’obbligo di specifica indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., interpretato nel senso che, a pena d’inammissibilità, gli stessi risultino da un’elencazione contenuta nel ricorso stesso, non essendo a tal fine sufficiente la presenza di un indice nel fascicolo di parte» (Cass. ord. 06/10/2017, n. 23452).

La Corte di cassazione affronta nuovamente le tematiche del giusto processo di legittimità, confrontandosi col requisito del ricorso per cassazione, cosiddetto di contenuto-forma, dell’indicazione di uno specifico elenco all’interno di quello ed escludendo la sufficienza degli indici nei singoli fascicoli di parte. Il requisito è vagliato alla luce dell’art. 6 della Convenzione e ritenuto del tutto compatibile con le finalità del giudizio di legittimità, nonché dell’art. 47 della Carta di Nizza.

In particolare, è ripresa la premessa di Cass. Sez. U. n. 10648 del 2017, quanto alla conformità alla Convenzione europea ed al corrispondente principio fondamentale del diritto al giusto processo contenuto nella richiamata Carta di Nizza dell’imposizione di requisiti di ricevibilità, o comunque, condizionanti l’accesso al tribunale, soprattutto ove si tratti di impugnazioni e di impugnazioni per legittimità (alla stregua di CEDU 15/09/2016, Trevisanato): in particolare, sulla necessità (espressa già da Cass. ord. 8845 del 2017 e Cass. Sez. U. n. 25513 del 2016) della continua ricerca di un punto di equilibrio, che, con riguardo ai limiti alle impugnazioni, consenta di bilanciare la esigenza funzionale di porre regole di accesso alle impugnazioni con quella a un equo processo, da celebrare in tempi ragionevoli.

La conclusione è stata però di segno opposto, per l’ontologica differenza dell’improcedibilità, che consegue ad un inadempimento di oneri formali successivi all’instaurazione del giudizio di legittimità, dall’inammissibilità, che deriva da vizi intrinseci ed originari dell’atto che dovrebbe validamente instaurarlo; a giustificare il diverso approdo, vanno quindi ritenuti conformi ai principi del giusto processo – e tutt’altro che un inutile o sterile formalismo – quei requisiti di contenuto-forma del ricorso per cassazione interpretati in modo particolarmente stringente: sia in relazione alla struttura del giudizio di cassazione, sia perché in Italia la Corte di Cassazione è accessibile senza filtri conosciuti in altri ordinamenti, sia perché fanno parte della stessa ragione dell’azione esercitata con il relativo mezzo di impugnazione, sicché tutto ciò realizza un ragionevole contemperamento fra il necessario formalismo e l’effettività della tutela.

In linea di principio, si ricava (Cass. Sez. U. 13453 del 2017) immanente al sistema un monito della Corte EDU ad ancorare le sanzioni processuali a canoni di proporzionalità, chiarezza e prevedibilità e, dunque a far prevalere le interpretazioni dirette a consentire al processo di giungere al suo sbocco naturale, senza enfatizzare un fin de non recevoir non riscontrabile nei dati convenzionali di riferimento dell’art. 6 CEDU (su cui v. pure Cass. 7645 del 2014); e ad analoga conclusione, fondata sulla necessaria proporzionalità della sanzione in rito della preclusione dell’accesso al giudice, è pervenuta la ancora più recente Cass. Sez. U. 27199 del 2017 (sull’interpretazione non formalistica del novellato art. 342 c.p.c.).

La conformità ai principi dell’art. 6 CEDU di alcune peculiarità del giudizio di legittimità è stata già esaminata ed ha condotto all’abbandono di precedenti interpretazioni, anche consolidate, in quanto eccessivamente od ingiustificatamente formalistiche, dalle richiamate Cass. Sez. U. 10648 del 2017 (in tema di improcedibilità) e Cass. Sez. U. 25513 del 2016 (in tema di contenuto dei ricorsi per cassazione avverso ordinanze di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis e 348-ter c.p.c.). Va segnalata pure Cass. Sez. 26338 del 2017, che applica un’interpretazione non formalistica delle norme processuali in nome appunto del diritto di accesso al giudice (che può essere limitato soltanto nella misura in cui sia necessario per perseguire uno scopo legittimo) sancito dall’art. 6 § 1 CEDU: e che degrada da inammissibile ad affetta da mero errore materiale la procura speciale ad impugnare che, sebbene non congiunta materialmente all’atto, individui la pronuncia impugnata, sia corredata di data certa successiva alla stessa e provenga inequivocabilmente dalla parte ricorrente.

Con interpretazione in senso opposto, ha avuto esito positivo la verifica di conformità degli approdi ermeneutici ai principi della Convenzione nei casi esaminati, tra le altre, da: Cass. Sez. U. 25629 del 2016 (legittimità della non sindacabilità delle sentenze del Consiglio di Stato per violazione delle norme europee), Cass. ord. 4541 del 2017 (legittimità della cameralizzazione istituzionalizzata di cui alla novella del 2016), Cass. ord. 26936 del 2016 (legittimità del necessario richiamo dei motivi di appello nel ricorso ex artt. 348-bis seg. c.p.c.) Cass. 15019 del 2016 (legittimità del rilievo ufficioso, non previamente sottoposto alle parti, di questioni di rito in grado di definire il ricorso), Cass. ord. 18619 del 2016 (legittimità di un’interpretazione restrittiva della revocazione delle sentenze di Cassazione), Cass. ord. 22629 del 2017 e Cass. ord. 8472 del 2016 (legittimità dell’esclusione delle impugnazioni delle sentenze di Cassazione, alla stregua del principio della certezza del diritto).

In tali ipotesi si è fatta leva sulla compresenza del molteplice requisito elaborato dalla CEDU per la legittimità dei filtri in sede di accesso (anche se nell’ordinanza 4541 del 2017 il riferimento è a CEDU, 21/06/2016, Tato Marinho c/ Portogallo, quello corretto va fatto a CEDU, 21/06/2016, Ramos Nunes de Carvalho e Sá c/ Portogallo, della stessa data, ai punti 92, 93 e 95, ove riferimenti alla giurisprudenza precedente, benché la decisione sia stata rinviata – in sostanza, appellata – alla Grande Camera; in senso analogo, v. pure la richiamata CEDU 15/09/2016, Trevisanato), identificato: a) nell’assenza di questioni di credibilità del tribunale o della corte; b) nell’assenza della necessità di ricostruire un fatto o di assumere prove; c) in particolari esigenze di una trattazione rapida dell’affare; d) nell’esclusivo coinvolgimento di punti di diritto; e) nell’alto tecnicismo dell’oggetto.

(a cura di Franco De Stefano)