Novità normative di diritto penale

RELAZIONE DEL MASSIMARIO SU LEGGE n. 68 22 MAGGIO 2015, RECANTE “DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DELITTI CONTRO L’AMBIENTE” (a cura di Pietro Molino)

LEGGE 22 MAGGIO 2015 n. 68 DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DELITTI CONTRO L’AMBIENTE (pdf)

RELAZIONE SULLA LEGGE 47/15 IN TEMA DI MISURE CAUTELARI  (di Vittorio Pazienza)

Nel rinviare, per un’ampia disamina delle novità introdotte dalla legge n. 47 del 16.4.2015 in tema, principalmente, di misure cautelari e di riesame, agli articoli a firma di David Mancini e di Renato Bricchetti (quest’ultimo estrapolato dalla rivista “Guida al Diritto”, n. 20, pagg. 46-50), segnalo che  in materia è riscontrabile un, probabilmente inconsapevole, contrasto di vedute tra la Cassazione  penale e la Corte europea diritti dell’uomo.
 

Invero, quest’ultima (Corte europea diritti dell’uomo, sez. II, 10/04/2007) ha escluso la sussistenza  di una violazione dell’art. 8 della CEDU nel caso in cui il giudice per le indagini preliminari abbia autorizzato l’esecuzione di intercettazioni ambientali mediante un provvedimento motivato per relationem  (precisamente, richiamando una nota della polizia giudiziaria menzionata nella richiesta del pubblico ministero). 


Viceversa, Cassazione penale, sez. II, 06/02/1996, n. 5052, ha statuito che: <<In tema di intercettazioni telefoniche, la motivazione del decreto autorizzativo del giudice per le indagini preliminari, lungi dall’essere un dato meramente formale che si limita a dare atto dell’avvenuto intervento dell’organo giurisdizionale, costituisce l’ineludibile garanzia che il provvedimento è stato emesso per effettive e gravi esigenze di giustizia che impongono il sacrificio del diritto costituzionalmente garantito alla riservatezza delle comunicazioni; di conseguenza, il decreto deve  precisare, sia pure in modo sommario, gli elementi di fatto che ne condizionano la legittimità, senza  che la motivazione possa esaurirsi nella mera perifrasi delle norme che disciplinano i presupposti di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova e nell’apodittica affermazione che gli indizi di reato sono gravi e che le intercettazioni appaiono assolutamente indispensabili (ovvero, nelle indagini relative a delitti di criminalità organizzata, che gli indizi sono sufficienti e le intercettazioni necessarie). Non è idonea a tal fine, pertanto, una motivazione che faccia riferimento alla richiesta  del pubblico ministero, che è un atto di parte, o al rapporto della polizia giudiziaria, che non può sostituirsi alla valutazione del giudice circa la sussistenza dei presupposti delle intercettazioni: la motivazione per relationem è consentita nel solo caso in cui il giudice non si limiti ad un mero rinvio, ma richiami gli argomenti addotti dal pubblico ministero in modo da far emergere che essi sono stati criticamente valutati e recepiti, sempre che siano indicati espressamente gli elementi di fatto per i quali si fa ricorso all’atto di indagine in questione.>>.

In un momento storico in cui, sbandierando la necessità di uniformarsi a presunte sollecitazioni provenienti dal diritto comunitario, il legislatore italiano ha provveduto ad inasprire la legge sulla responsabilità civile dei magistrati (sul punto, si rimanda all’articolo uscito su questo stesso portale un mese fa), fa specie che proprio in un ambito in cui i rischi di colpa si annidano maggiormente la Suprema Corte nazionale appare più rigorosa dei colleghi europei.(Andrea Penta)

VALUTAZIONE AUTONOMA DEL QUADRO INDIZIARIO DA PARTE DEL GIUDICE (articolo di Renato Bricchetti su “Guida al Diritto”)

Fatto di lieve entità di David Mancini

Per anni si è discusso circa la sproporzione, ai più evidente, tra la doverosa attuazione del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale ed il notevole dispendio di risorse umane e finanziarie che l’ordinamento mette in campo per lo svolgimento di indagini e la celebrazione dei conseguenti gradi di giudizio in relazione a fatti costituenti reato, la cui concreta rilevanza in termini di pregiudizio per i beni giuridicamente protetti e per l’intera comunità è particolarmente esiguo.

Il decreto legislativo n. 28 del 16 marzo 2015 ha introdotto l’articolo 131 bis c.p., prevedendo una speciale causa di non punibilità per i fatti di particolare tenuità. Tuttavia, come spesso accade, la previsione normativa ha tralasciato di disciplinare diversi aspetti, che puntualmente verranno rimessi alle decisioni giurisprudenziali.

Anche molte polemiche si sono sollevate, circa l’opportunità di diminuire la portata sanzionatoria del diritto penale in relazione a vicende che, nell’intimo sentire delle persone coinvolte, non sarebbero poi così irrilevanti. Si è anche detto che si agisce con mezzi ridotti, non avendo il coraggio di porre in essere un serio piano di depenalizzazione.

Ad ogni modo, fermi restando gli orientamenti che la Suprema Corte adotterà, in linea generale non può ritenersi errato ricondurre il diritto penale alla sua funzione residuale, come extrema ratio nella composizione dei conflitti sociali.

Le “profezie” dell’ANM e alcune criticità applicative del nuovo art. 131 bis c.p.

Nel parere reso dalla commissione di studio su diritto e procedura penale, propedeutico all’audizione dell’Associazione Nazionale Magistrati alla Camera dei deputati, sullo schema di decreto legislativo in esercizio della delega attribuita con l’art. 1 lett. m) della legge 28 aprile 2014 n. 67, si manifestava piena adesione all’introduzione di uno strumento normativo specifico, che desse la possibilità di definire in modo alternativo alla sentenza penale di condanna situazioni di evidente, palese, minima consistenza offensiva e che,tuttavia, risultassero sussumibili astrattamente in specifiche fattispecie incriminatrici. Si concordava sul fatto che l’istituto non avrebbe comportato la depenalizzazione di alcuna categoria di illecito penale, essendo rimesso comunque al magistrato, attraverso un procedimento interamente giurisdizionalizzato, l’apprezzamento, caso per caso e in concreto, della non punibilità. In effetti, esigenze di giustizia quotidianamente sperimentate nelle aule giudiziarie, dove la stridente contraddizione di un’applicazione di sanzioni previste dalla legge ma in relazione a fatti di dimensioni minime, costituisce una delle principali disfunzioni del sistema giustizia.

Non sono mancate voci di dissenso (per certi versi anche comprensibili, in assenza di un’efficace azione parallela di depenalizzazione del legislatore) da parte di chi ha ritenuto che un tale intervento normativo corrispondesse di fatto ad un ulteriore arretramento della funzione del diritto penale e della certezza della pena.

Tuttavia, in concreto, a prescindere da valutazioni di politica criminale, il terreno su cui è intervenuto il decreto legislativo n. 28 del 16 marzo 2015, in linea con quanto si legge nella relazione illustrativa della bozza del decreto, è costituitodalla considerazione che l’irrilevanza del fatto va ricondotta non all’inoffensività del fatto (che già trova riconoscimento normativo nella previsione dell’art. 49 comma 2 c.p.) ma ai “principi generalissimi di proporzione e di economia processuale”. Di tali principi va riconosciuta la dignità costituzionale e, d’altra parte, l’individuazione di criteri oggettivi definiti, ma al tempo stesso dotati di opportuna flessibilità, dovrebbe consentire un’applicazione dell’istituto, compatibile col rispetto del principio di obbligatorietà dell’azione penale.

Ad ogni modo una serie di valutazioni critiche relative a possibili disfunzioni (che puntualmente, almeno in parte finora, si sono verificate) erano già state evidenziate in sede di parere. Non è stata prevista una disciplina transitoria; l’introduzione di una nuova causa di non punibilità, di natura sostanziale, dovrebbe tuttavia trovare applicazione anche ai procedimenti in corso nei vari gradi di giudizio.

E’ stato segnalato, inoltre, che problemi potrebbero porsi con i processi pendenti in Corte di cassazione, perché la particolare tenuità del fatto è tipico apprezzamento di merito, precluso al giudice di legittimità, il quale, qualora ritenga, anche su sollecitazione di motivi nuovi della parte interessata, non palesemente incongruo un possibile giudizio di particolare tenuità del fatto, dovrebbe annullare la sentenza d’appello e rinviare per nuovo giudizio sul punto.

Prosegue il parere dell’ANM rilevando: … “inoltre, deve essere evidenziata la prevista modifica dell’art. 652 c.p.p., introdotta dall’art. 3 lett. c) dello schema di decreto. Essa prevede che la sentenza che assolva l’imputato perché non punibile ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale fa stato nel successivo giudizio (civile o amministrativo) di danno. La previsione sembra coerente con la qualificazione della speciale tenuità del fatto come causa di non punibilità: non punibilità che può essere dichiarata solo quando sia stata acquisita la prova sia della sussistenza del fatto che della sua riferibilità all’imputato.

Tuttavia, questa disciplina dovrebbe indurre il legislatore ordinario (la causa di non punibilità è prevista dalla legge delega e in quanto tale vincola il legislatore delegato), ad una riflessione che possa condurre ad un auspicato ripensamento sull’inquadramento della speciale tenuità del fatto come causa di non punibilità, piuttosto che di improcedibilità dell’azione penale.

Infatti, quando la speciale tenuità del fatto è rilevata, richiesta e deliberata nella fase delle indagini preliminari, i due aspetti (sostanziale e procedimentale) con l’archiviazione in definitiva si sovrappongono, posto che certamente il decreto di archiviazione non fa stato nel giudizio civile, sicché l’indagato ha anch’egli interesse immediato all’attestazione della speciale tenuità, che equivale ad una chiusura della pendenza per improcedibilità, essendo sostanzialmente priva di alcuna conseguenza pregiudizievole.

Tutt’altra cosa è quando vi sia stato il positivo esercizio dell’azione penale e sia iniziata la fase del giudizio. In questo caso, la deliberazione di non punibilità ex art. 131-bis c.p. recupera la sua natura sostanziale, comportando sia gli eventuali effetti civili di cui al nuovo 652 c.p.p., sia l’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale. La conseguenza è che viene meno ogni collaterale e positivo effetto deflattivo per i casi in cui l’imputato comunque contesti la propria responsabilità. Ciò potrebbe comportare l’espletamento di tutti i gradi di giudizio (compreso quello di legittimità), prima di giungere al riconoscimento della colpevolezza dell’imputato, che solo a quel punto potrebbe essere dichiarato non punibile per la speciale tenuità del fatto da lui commesso. Ciò costituisce ulteriore ragione di riflessione sull’inadeguatezza complessiva del nostro sistema nel conciliare esigenze di giustizia ed esigenze di efficacia (che, lo si deve ricordare, è, per ripetuto insegnamento della Corte delle leggi, essa stessa principio costituzionale in materia di giustizia). Del resto, non può non evidenziarsi che i corrispondenti istituti del processo minorile e del giudice di pace, prima richiamati, sono appunto strutturati come cause di improcedibilità.

Il proscioglimento per improcedibilità a cagione della particolare tenuità del fatto non farebbe stato nel processo civile o amministrativo di danno ma la persona offesa o danneggiata conserverebbe comunque la possibilità di rivolgere l’eventuale pretesa risarcitoria nella sede propria del giudizio civile; nei loro confronti potrebbe parlarsi eventualmente di un pregiudizio di mero fatto, che non comporterebbe però alcuna concreta lesione di diritti. Infine, va osservato che la previsione dell’inserimento della sentenza che attesta la particolare tenuità del fatto nel casellario giudiziale appare coerente rispetto al requisito della non abitualità dei comportamenti. Tuttavia, la lettera f) dell’art. 3 dPR 313/2002 fa riferimento ai provvedimenti giudiziari definitivi, il che parrebbe escludere l’iscrizione del decreto di archiviazione ex art. 131-bis c.p.. In proposito deve osservarsi che mentre la relazione allo schema sembra dare per scontato che anche il decreto di archiviazione ex art. 131-bis c.p. debba essere iscritto nel casellario (implicitamente dando rilievo autonomo alla locuzione “quelli che… etc” – che sgancerebbe l’intera fattispecie procedimentale dal presupposto della definitività), il parere tecnico dell’ufficio studi della Camera avverte che per giungere a quel risultato occorrerebbe un’ulteriore specifica previsione che chiarisca in tal senso la disposizione dell’art. 4 dello schema.

Infine, va richiamata l’attenzione su una possibile disfunzione, dalle conseguenze particolarmente invasive: l’entità della pena edittale che permette poi l’applicazione della causa di non punibilità potrebbe determinare casi di arresto in flagranza seguiti poi dalla richiesta di archiviazione: pericolo che potrebbe essere evitato o almeno ridotto con l’inserimento del riferimento all’art. 131-bis c.p. “in coda” all’art. 385 c.p.p.”.

Di recente, quasi a seguire le previsioni contenute nell’intervento consultivo dell’ANM, con la sentenza della terza sezione (8 aprile 2015 n. 15449) la Corte di Cassazione è intervenuta sul neonato art. 131 bis c.p.p.. In primo luogo, la nuova disposizione sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto sarebbe applicabile anche in relazione ai reati che prevedono soglie di punibilità, come nel caso dei reati tributari (e segnatamente nel caso specifico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte di ammontare superiore a 50.000 euro, ex art.  11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74). Secondo la Corte la presenza di soglie di punibilità, abbastanza diffusa nel diritto penale speciale, non equivale ad una  presunzione di rilevanza penale  per i fatti che si pongono al di sopra delle soglie medesime e non esclude in via di principio l’applicazione della causa di non punibilità di cui al nuovo articolo 131 bis c.p.. Se è vero che le soglie costituiscono l’unità di misura della rilevanza dell’offesa, è altrettanto vero che nel caso in cui i fatti  siano di poco superiori rispetto alle soglie di punibilità vi è la possibilità di considerare l’offesa di particolare tenuità, anche alla luce della considerazione che l’offensività va valutata in concreto ad opera del giudice.

Non vi è dubbio che la nuova disciplina sia applicabile retroattivamente, in quanto più favorevole al reo, riguardo ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 131-bisc.p.. L’applicabilità dell’art. 2 c.p. viene ancorata dalla Corte alla natura sostanziale dell’istituto, trattandosi senza dubbio di causa di non punibilità, rispondente a ragioni di politica criminale per cui un determinato fatto, che resta reato, vada esente da pena in ragione della particolare tenuità dell’offesa arrecata. Ulteriore e rilevante questione di diritto intertemporale affrontata, seppure in via generale, è quella della verifica delle condizioni di applicabilità della disciplina dell’art. 131-bisc.p., con riferimento alla norma incriminatrice nella versione vigente al tempo della commissione del fatto.

Il reato tributario in esame nel caso di specie è stato riformato nel 2010, dopo la commissione del fatto. All’epoca della commissione del fatto la pena comminata per quel reato era la reclusione da sei mesi a quattro anni, mentre dopo la riforma del 2010, la pena, nell’ipotesi di imposte di ammontare superiore a 200.000 euro (come nel caso di specie) è quella della reclusione da uno a sei anni (con un limite edittale che non ammette l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p.). La Corte ha ammesso, in via di principio, l’applicabilità dell’istituto in esame, in una simile situazione. Tuttavia, non si comprende come poter combinare tale ammissione – seppur in via generale –  con l’obbligo per il giudice di  individuare la legge le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, operando una scelta tra quella complessivamente vigente al tempo del fatto o al tempo del giudizio. Secondo l’orientamento di legittimità non è dato operare una combinazione degli aspetti favorevoli di entrambe le leggi, creandone di fatto una “terza”, frammentaria e non prevista dal legislatore.

La sentenza citata tocca alcune questioni di carattere processuale, Si ritiene che  la particolare tenuità del fatto può essere proposta (per la prima volta) anche nel giudizio di legittimità.  Inoltre, sempre con riferimento all’oggetto del giudizio di legittimità, secondo la Corte l’esame va circoscritto alla sussistenza in astratto dei presupposti di applicabilità dell’istituto (particolare tenuità dell’offesa e non abitualità del comportamento), attraverso un giudizio che deve fondarsi necessariamente su quanto accertato nel giudizio di merito e risultante dalla motivazione della sentenza impugnata.

Qualora sussistano in astratto i presupposti di applicabilità dell’art. 131-bisc.p. la conseguenza sarà che la Cassazione si pronuncerà all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, salvo che in motivazione del giudizio di merito vi siano giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto. In tal senso si esprime la sentenza citata laddove rileva che nel giudizio di merito vi era stata l’inflizione di una pena superiore al minimo edittale, la mancata concessione delle attenuanti generiche e la mancata reiterazione dei benefici di legge, in presenza di un precedente penale (non specifico) – chiaramente indicativi di un apprezzamento sulla gravità dei fatti addebitati…che consentono di ritenere non astrattamente configurabili i presupposti per la richiesta di applicazione dell’art. 131-bisc.p..  

Ulteriore conseguenza dei dubbi interpretativi riguardanti la nuova disciplina dell’art. 131 bis c.p. è data dalle recentissime tre informazioni provvisorie rese all’udienza pubblica del 7 maggio 2015 da parte della terza sezione penale della Corte di cassazione.

All’esame delle Sezioni Unite della Suprema Corte viene demandato di decidere :

a)se il concorso formale di reati escluda l’applicabilità dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto in relazione alla previsione di cui all’art. 131 bis c.p.p., comma 3, ultima parte, c.p. come introdotto dal dlgs 16.3.2015 n. 28.

b)Se in sede di legittimità possa essere dedotta per la prima volta la questione dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. introdotta con normativa successiva alla presentazione del ricorso.

c)Se in caso di ritenuta ammissibilità della nuova prospettazione in sede di legittimità rientri nei poteri della corte la valutazione di meritevolezza ai fini dell’applicabilità dell’istituto o debba, in ogni caso, disporsi annullamento con rinvio.

d)Se a fronte di ricorso inammissibile perché infondato sia consentito alla corte valutare, anche d’ufficio, l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p.introdotto con normativa successiva alla presentazione del ricorso.

FATTO DI LIEVE ENTITA’ – RELAZIONE FIDELBO-CORBO

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