Parere del CSM sul decreto antiterrorismo

SESTA COMMISSIONE
ORDINE DEL GIORNO EX ART. 45, CO. 3 R.I.
SEDUTA DEL 18 MARZO 2015 – ORE 10.00

INDICE


PARERI……………………………………………………………………………………..


PARERI


1) – 3/PA/2015 Sesta Commissione – Nota pervenuta in data 5 marzo 2015 dal Ministro della Giustizia con cui trasmette, per il previsto parere, limitatamente alle parti riguardanti l’Amministrazione della giustizia, il testo del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 10 febbraio 2015, concernente:

“Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazioni allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione”.
(relatore Consigliere MOROSINI)

– 58/VV/2015 Settima Commissione – Nota in data 19 gennaio 2015 con la quale il Segretario Generale comunica che il Comitato di Presidenza, nella seduta in data 16.1.2015, presa in esame la nota pervenuta in data 13.1.2015 dalla Settima Commissione, ha autorizzato l’apertura di una pratica, eventualmente con esame congiunto con la Sesta Commissione, finalizzata alle valutazioni sui moduli organizzativi adeguati al contrasto del terrorismo nazionale ed internazionale nell’ambito dell’organizzazione degli uffici giudiziari.
(relatore Consigliere ARDITURO)

La Sesta e Settima Commissione propongono al Plenum di approvare la seguente
delibera:

«I. – Premessa .

I drammatici fatti di Parigi del 7 gennaio ripropongono la sfida che il terrorismo internazionale da tempo ha lanciato alla comunità mondiale. Le nuove forme di terrorismo di matrice islamica, connotato da formazioni molto mobili sul territorio, senza una base precisamente localizzata e con una spiccata propensione alla commissione di reati di criminalità organizzata, rendono indilazionabile un potenziamento delle forme di coordinamento stabile tra uffici di procura e necessaria l’individuazione di referenti centrali per l’interlocuzione con gli organi investigativi sovranazionali.

Per questi motivi, nel gennaio scorso, le Commissioni Sesta e Settima del CSM chiedevano l’apertura di una pratica sul tema: “Interventi per il potenziamento delle forme di coordinamento investigativo in materia di terrorismo internazionale e per l’individuazione di referenti centrali nell’interlocuzione con le Autorità estere”.

L’11 febbraio 2015, il CSM deliberava un’iniziativa di approfondimento sul tema del contrasto al terrorismo internazionale, strutturata sul duplice versante del confronto interno alla magistratura e di quello che coinvolge gli altri attori istituzionali, in vista di una risoluzione generale sui temi sopra menzionati.

Il 18 febbraio 2015, veniva emanato il Decreto-legge n. 7, avente ad oggetto “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione”.

Così, l’originaria iniziativa dell’organo di governo autonomo si trasformava in una
preziosa occasione di riflessione sui contenuti delle novità normative e del disegno di legge di conversione, in vista della formulazione di un parere. E, per questo motivo, nella seduta congiunta del 3 marzo 2015, le Commissioni Sesta e Settima hanno deliberato di richiedere all’ Ufficio Studi del CSM un contributo in merito al citato decreto-legge.

L’apporto consultivo del C.S.M. – che, nel caso di specie, è stato formalmente sollecitato dal Ministro della giustizia – poggia, in questo caso, non solo sull’articolato parere dell’Ufficio Studi, pervenuto in data 12 marzo 2015, ma anche sui frutti di un momento di dialogo tra diversi attori istituzionali, avvenuto nei giorni del 2 e 3 marzo 2015, del quale lo stesso C.S.M. è stato ideatore ed organizzatore: ciò che, a prescindere dagli aspetti di merito, rappresenta univoca e feconda indicazione metodologica.

Si rammenti che al confronto hanno partecipato, oltre a tutti i procuratori distrettuali italiani, il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, il procuratore generale presso la Corte di Cassazione e il Procuratore nazionale antimafia, esponenti dei seguenti organi istituzionali: rappresentanti dei ministeri della Giustizia, degli Affari esteri, della Difesa, dell’Economia e delle Finanze; il sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega ai servizi di sicurezza; i rappresentanti del DIS, dell’AISI e dell’ AISE; i rappresentanti del R.O.S. dei carabinieri e della DIA; i rappresentanti di Eurojust; il Garante per la protezione dei dati personali; il rappresentante della Scuola della Magistrato; il magistrato di collegamento della Divisione Terrorismo del Consiglio d’Europa; il magistrato di collegamento con gli Stati Uniti d’America; il rappresentante di collegamento con la Francia.

II. L’impianto generale dell’ intervento legislativo

Il decreto legge in esame è stato approvato al dichiarato scopo di conformare l’ordinamento nazionale alle indicazioni provenienti da primari consessi sovranazionali, quale il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (cfr. risoluzioni nn. 2170 del 15 agosto 2014 e 2178 del 24 settembre 2014, a più riprese richiamate nel testo del decreto-legge e nel disegno di legge di conversione), nonché a vincolanti fonti normative di matrice europea (quale il Regolamento UE n. 98/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2013, relativo all’immissione sul mercato e all’uso di precursori di esplosivi). Sicuramente apprezzabile appare, sotto questo profilo, l’intendimento dell’Esecutivo di incamminarsi, con significativa inversione di tendenza, sulla strada del recupero dell’endemico ritardo nell’implementazione di discipline ed accordi sottoscritti nell’ambito della cooperazione internazionale; ritardo che, secondo quanto unanimemente ritenuto dagli esperti del settore intervenuti nel workshop del 2-3 marzo, ha arrecato non marginale pregiudizio all’attuazione delle strategie di contrasto al terrorismo su scala planetaria.

Va rilevato come l’atto normativo in esame contenga, oltre a disposizioni (artt. 1-4, 6- 10, 20, commi 1-5) di carattere sostanziale, processuale, ordinamentale o, comunque, connesse ad attribuzioni e compiti del C.S.M., ulteriori misure – afferenti, rispettivamente, a “potenziamento e proroga dell’impiego del personale militare appartenente alle forze armate” (art. 5), “missioni internazionali delle forze armate e di polizia” (artt. 11-16), “iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione” (artt. 17-19) ed alla copertura finanziaria (art. 20, commi 6-7) – che, per intuibili ragioni di sintesi, non saranno, in questa sede, oggetto di esame.

In termini di inquadramento generale, va evidenziato come il decreto legge n.7, posto in essere sull’onda dei drammatici fatti parigini del gennaio 2015, si inserisca in una precisa linea di tendenza che ha visto il Legislatore interno attivarsi, a più riprese, in particolare negli anni 2001 e 2005, in conseguenza di emergenze contingenti piuttosto che curare la predisposizione di un corpus normativo organico ed autonomo (1)
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(1) In specie, dopo l’11 settembre 2001 vennero emanati tre Decreti-legge con i quali il Governo intese dare attuazione alle misure deliberate in seno all’Unione europea, con modifiche del codice penale e del codice di procedura penale, rimodulando le norme già esistenti per fronteggiare il terrorismo interno. Si tratta
rispettivamente dei: d.l. 28.9.2001, n. 353 conv. in l. n. 415 del 2001; d.l. 12.10.2001, n. 369 conv. in l. n. 431 del 2001; d.l. 18.10.2001, n. 374 conv. in l. n. 231 del 2001.
Nella circostanza, il principale profilo di novità riguardò l’introduzione del reato di “associazione con finalità di terrorismo internazionale” (art. 270-bis c.p.), che fu accompagnato, sul versante della procedura penale, dall’inserimento di tale fattispecie criminosa tra quelle assoggettate ad una disciplina derogatoria, sotto molti profili, rispetto a quella ordinaria (sulla competenza a svolgere indagini incidendo sull’art. 51, comma 3-quater, c.p.p.; sui termini di durata delle indagini preliminari e sulla eventuale proroga ex artt. 406, comma 5-bis e 407, comma 2, n. 4, c.p.p.; sulla duplice presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere novellando l’art. 275, comma 3, c.p.p.) .
Inoltre, vennero estese anche alle indagini relative al terrorismo internazionale alcune misure della legislazione antimafia in materia di: intercettazioni telefoniche, ambientali e di flussi informatici; intercettazioni preventive su autorizzazione del p.m.; attività sotto copertura; misure di prevenzione personali e patrimoniali; l’impiego del sistema della videoconferenza per l’esame e la partecipazione a distanza degli imputati detenuti e dei collaboratori di giustizia.
L’attentato di Madrid del 2004 e, soprattutto, quello londinese del luglio 2005 spinsero, poi, il Legislatore all’incisiva novella operata dal D.L. 27 luglio 2005, n. 144, conv. con modificazioni nella L. 31 luglio 2005, n. 155 (c.d. decreto Pisanu), per effetto del quale è stata, tra l’altro, enunciata la nozione di “condotta con finalità di terrorismo” destinata a ridurre al minimo il rischio di contrasti interpretativi (art. 270- sexies c.p.) e sono state introdotte le nuove fattispecie di arruolamento e di addestramento con finalità di terrorismo anche internazionale (artt. 270-quater e quinquies c.p.).
Nella medesima sede, si è inteso intervenire sugli apparati di polizia e di intelligence mediante la previsione dei colloqui investigativi – finalizzati a consentire agli organi della polizia di sicurezza e/o giudiziaria di acquisire da persone detenute o internate informazioni utili per lo svolgimento di indagini in materia di terrorismo – e del permesso di soggiorno a fini investigativi, da rilasciare agli stranieri che abbiano collaborato con l’autorità rendendo informazioni utili ai fini della prevenzione o dell’accertamento dei reati.
La novella del 2005, diversamente da quella del 2001, ha privilegiato, in ossequio alla filosofia che anima gli interventi legislativi di altri Stati europei, l’ottica della prevenzione rispetto a quella della repressione e, dunque, della giurisdizione: essa ha rafforzato le competenze di forze di polizia ed agenzie informative, sicché, per logica derivazione, hanno acquistato maggior peso le correlate scelte dell’autorità politica.
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Il sistema risultante dagli innesti operati dalla normativa precedente degli anni 2001 e 2005 appariva, peraltro, incompleto in ragione dell’assenza di misure volte ad accentrare le funzioni di coordinamento investigativo intese alla più efficace conduzione delle indagini distribuite sul territorio nazionale tra le ventisei procure distrettuali: in questo senso si espresse, al tempo, lo stesso C.S.M. che, nella risoluzione approvata dall’Assemblea Plenaria il 12 luglio 2006, ebbe a rilevare che “…la costituzione di un organismo di coordinamento (n.d.r.: definito nel documento “D.N.A.T.”, cioè “Direzione Nazionale Anti Terrorismo”) è ormai necessaria. Essa è anzi urgente, in quanto occorre dare risposta alle esigenze derivanti dal contrasto del terrorismo internazionale”.

Uno dei principali tratti distintivi dell’apparato legislativo di contrasto al terrorismo
internazionale risiedeva, d’altro canto, nell’assenza di previsioni relative all’uso nei
procedimenti penali dei risultati conoscitivi conseguiti dai Servizi informativi e di sicurezza.
Ciò costituiva il precipitato di una precisa opzione politica volta a mantenere intatto il nitido confine, che, in linea di principio, deve separare la ricerca e l’assunzione di informazioni effettuate dai Servizi dall’attività investigativa svolta dal Pubblico ministero. Si è sempre ritenuto, infatti, che questa sia l’unica soluzione compatibile con il quadro costituzionale italiano, nel quale l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione penale dall’esecutivo sono salvaguardate, tra l’altro, attraverso la previsione della diretta disponibilità della polizia da parte dell’Autorità giudiziaria (art. 109 Cost.), regola questa che persegue l’evidente obiettivo di escludere che l’esecutivo, attraverso il canale della polizia, possa in qualche modo condizionare l’accertamento processuale.
Uno sguardo d’insieme sui contenuti del Decreto-legge in esame, ne rivela, innanzitutto, l’ambizione di assecondare e facilitare l’azione preventiva e di accrescere, al contempo, efficienza e completezza della risposta giurisdizionale.
Da un canto, viene ribadita, una volta di più, la centralità delle attività informative in relazione a fenomeni criminali di portata mondiale, radicati in realtà territoriali in cui poco più che illusoria è la prospettiva di contare sugli ordinari strumenti di cooperazione, sì da affidare alle agenzie compiti imprescindibili, la cui esecuzione presuppone l’apprestamento di un idoneo catalogo di garanzie funzionali.

Dall’altro, si incide sull’architettura ordinamentale attribuendo – in adesione ad una
delle possibilità che erano state, al riguardo, prospettate – alla preesistente Direzione Nazionale Antimafia compiti di coordinamento in materia di antiterrorismo senza, tuttavia,replicare tale schema a livello distrettuale.
Tangibile si palesa, dunque, lo sforzo finalizzato ad accrescere i margini di sicurezzaed efficienza operativa, a fronte del quale si pone, tuttavia, la necessità di cogliere, inconcreto, la declinazione della riaffermata separazione tra prevenzione e giurisdizione.

Su questo campo coesistono, infatti, l’opinione di chi reputa che l’attribuzione alla
D.N.A. di compiti di coordinamento investigativo rischi di tradursi in vuota enunciazione diprincipio se non accompagnata dal conferimento di competenze e poteri e quella che, al contrario, privilegia un approccio ispirato ad una prudente ottica garantistica; tali linee di pensiero, in qualche occasione, si pongono in chiave francamente dialettica, ciò che accade, ad esempio, con riferimento alla concreta articolazione e disciplina dei “colloqui personali con detenuti ed internati” promossi e posti in essere dalle agenzie di informazione.

Sin da ora è opportuno peraltro segnalare che il nuovo corpus legislativo interviene a riposizionare l’asse di equilibrio tra esigenze di sicurezza e tutela della privacy, in presenza dirischi di attentati terroristici.
Da ultimo, in sede di premessa, si impongono brevi notazioni sul metodo procedurale seguito per l’emanazione di un atto normativo che, indubbiamente, presenta in alcune sue disposizioni riflessi ordinamentali.
In effetti, sarebbe auspicabile, nei limiti in cui sia possibile, tentare di non rispondere alle esigenze di adeguamento del tessuto normativo, che, di volta e in volta, si pongono, con lo strumento della decretazione d’urgenza, laddove questa in qualsivoglia modo innovi l’organizzazione degli uffici giudiziari. Ciò comporta l’adesione ad opzioni che potrebbero, in linea ipotetica, persino, giungere a condizionare l’esercizio stesso delle funzioni giurisdizionali. D’altronde, l’Ordinamento giudiziario assume un decisivo rilievo costituzionale, spettando ad esso l’attuazione alle garanzie di indipendenza ed autonomia riconosciute alla magistratura dalla legge suprema. E risulta di tutta evidenza come l’introduzione con la normativa d’urgenza di modifiche di disposizioni dell’Ordinamento giudiziario, non consenta, per evidenti vincoli temporali, l’adozione di scelte adeguatamente discusse e, soprattutto, precedute dalla piena ed efficace interlocuzione con il C.S.M., come previsto dalla legge n.10 del 1958, pur nel rispetto delle prerogative del Parlamento.

III. L’estensione dell’area di punibilità alle condotte preparatorie agli atti di terrorismo anche internazionale.

Il capo I (articoli da 1 a 8) reca misure volte ad attualizzare la vigente disciplina degli strumenti normativi in materia di prevenzione e repressione dei fenomeni terroristici, in particolare quelli di matrice internazionale.
L’art. 1 modifica l’assetto di alcuni reati in materia di terrorismo nel dichiarato intento di estendere, in attuazione della risoluzione dell’ONU n. 2178 (2014), l’area della punibilità e consentire un più efficace e completo intervento repressivo.
Detta norma propone una pluralità di previsioni che presentano il pregio di delineare con nitore i confini della rilevanza penale delle fattispecie e di consentire, per tale via, il superamento di indirizzi ermeneutici restrittivi.

In dettaglio, il comma 1 integra l’art. 270-quater del codice penale, concernente il
reato di arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale, prevedendo la rilevanza penale anche per la condotta del reclutato (e non solo del reclutato come prima del decreto), in precedenza sanzionata solo in caso di partecipazione alla associazione finalizzata al terrorismo. Tuttavia, la condotta del reclutato non può esaurirsi nella prestazione del mero assenso al compimento di reati con finalità terroristiche, rispetto al quale può trovare applicazione solo la misura di sicurezza di cui all’art. 115 del codice penale. Il comportamento punibile consiste, piuttosto, nel mettersi seriamente e concretamente a disposizione come milite, e quindi soggiacendo a vincoli di obbedienza gerarchica, per il compimento di atti di terrorismo, pur al di fuori e a prescindere dalla messa a disposizione con assunzione di un ruolo funzionale all’interno di una compagine associativa tradizionalmente intesa.

In questo senso, il mettersi in viaggio, o l’apprestarsi a un viaggio, per raggiungere i luoghi ove si consumano azioni terroristiche dovranno assumere i connotati di “atti idonei e non equivoci” della esplicazione di un precedente reclutamento, ossia di immissione volontaria e consapevole in una milizia, votata al compimento di azioni terroristiche.
Nella prospettiva del legislatore d’urgenza, l’estensione dell’art. 270-quater c.p. all’arruolato soddisfa gli obblighi assunti sul piano internazionale, giacché il viaggio – riguardato dal punto di vista di chi lo organizza o chi lo effettua – è suscettibile di assumere i tratti oggettivi dell’estrinsecazione di una pregressa, o comunque almeno contestuale, condotta di reclutamento. Con ogni probabilità, si tratta di una fattispecie destinata ad essere ravvisata in un numero assai limitato di casi, rispetto alla quale spetterà alla concreta esperienza giurisdizionale la precisa determinazione.

Al fine di dare completa attuazione alla richiamata risoluzione n. 2178 dell’ONU, viene poi introdotta, con l’inserimento nel codice penale dell’art. 270-quater.1, una nuova ipotesi di reato destinata a punire, al di fuori dei casi di cui agli artt. 270-bis e 270-quater, l’organizzazione, il finanziamento e la propaganda di viaggi finalizzati al compimento di condotte con finalità di terrorismo.
Al pari di quella sopra descritta, la fattispecie incriminatrice ha natura residuale, in
quanto afferisce alle ipotesi in cui sia insufficiente la prova dell’inserimento del soggetto nell’associazione terroristica.
L’adeguamento ai dettami della risoluzione dell’ONU si completa, infine, attraverso
l’intervento sull’art. 270-quinquies del codice penale, che punisce l’addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale. Su tale ipotesi di reato, che, sino ad oggi, postulava un rapporto necessariamente duale tra addestratore e addestrato, viene innestata una nuova fattispecie di reato che rende punibile anche l’auto-addestramento, cioè la condotta di chi si prepara al compimento di atti di terrorismo, attraverso una ricerca e un apprendimento individuali e autonomi delle «tecniche» necessarie a perpetrare simili atti.

In questo senso, il primo comma prevede che le pene previste per il reato in questione si applichino anche al soggetto che acquisisce autonomamente o da terzi istruzioni sull’utilizzo di esplosivi, armi, sostanze chimiche o nocive, nonché sulle tecniche per il compimento di atti di violenza o sabotaggio.
La nuova condotta incriminata, al pari di quella già oggi sanzionata dall’art. 270-
quinquies, è connotata dal dolo specifico, essendo, in specie, prevista la punibilità di chi, avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo, pone in essere condotte con le medesime finalità.

Per questa via, l’area della punibilità viene estesa ai terroristi che operano sganciati da sodalizi e da organizzazioni (cosiddetti lupi solitari), in ossequio ad una linea di tendenza seguita anche da altri Paesi europei, quali la Francia, dove è stata introdotta la fattispecie di impresa terroristica individuale. Ciò comporta un inedito arretramento della soglia della rilevanza penale sino al compimento di atti meramente preparatori, che interpellerà la capacità dell’interprete di assicurare il rispetto del principio di necessaria offensività della condotta –

Infine, in coerenza, con quanto previsto dalle modificazioni, operate dall’art. 2, riguardanti i reati di cui agli artt. 302 e 414 c.p., viene introdotta una circostanza aggravante di pena, da applicarsi a condizione che le condotte di addestramento siano perpetrate attraverso il ricorso a strumenti telematici.

IV. La rilevanza penale dell’attività di proselitismo e il controllo, anche giurisdizionale, dei siti internet.

L’art. 2 del provvedimento, concernente l’attività di proselitismo posta in essere dai foreign fighterse dalle organizzazioni che compiono condotte con finalità di terrorismo, di cui all’art. 270-sexies del codice penale, contiene misure finalizzate a reprimere le azioni realizzate mediante lo strumento telematico, idoneo a raggiungere un numero sempre maggiore di potenziali combattenti.

Dette misure, integrative di quanto previsto dall’art. 7-bis del Decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, mutuano, in parte, il modello, già positivamente sperimentato, relativo al contrasto della pedopornografia sul web.

Più in dettaglio, con il comma 1 si prevede l’aumento della pena (rispettivamente di un terzo e fino a due terzi) della reclusione per i reati di istigazione e apologia del terrorismo, di cui agli artt. 302 e 414, quarto comma, del codice penale, quando tali fatti sono commessi attraverso strumenti telematici e informatici.

Il comma 2 prevede l’istituzione e il costante aggiornamento di una black list dei siti internet – alimentata dalle segnalazioni dei competenti organi di polizia – utilizzati per le attività di cui all’art. 270-bis e per le finalità di cui all’art. 270-sexies del codice penale, comprese quelle di proselitismo, di arruolamento dei foreign fighters, nonché di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale.

La black list è aggiornata dal Servizio polizia postale del Dipartimento della pubblica sicurezza, già individuato dal citato art. 7-bis del Decreto-legge n. 144 del 2005 anche per le operazioni sotto copertura relative alla creazione di siti nelle reti di comunicazione, nonché ai fini della prevenzione e della repressione delle attività terroristiche o di agevolazione delterrorismo.

Il comma 3 prevede l’obbligo per i fornitori di connettività di inibire l’accesso ai medesimi siti individuati con provvedimento dell’Autorità giudiziaria procedente (formula che, si nota incidentalmente, consente di ricomprendere il Pubblico ministero), attraverso la creazione di appositi filtri.

La disposizione, che non prevede sanzioni nel caso in cui il destinatario dell’ordine
non lo esegua, va letta in combinazione con quella, di maggiore incisività, prevista al successivo comma 4, in base alla quale il Pubblico ministero, quando procede per i delitti di cui agli artt. 270-bis, 270-ter, 270-quater e 270-quinquies c.p. commessi con finalità di terrorismo e vi sono concreti elementi per ritenere che detti reati sono compiuti per via telematica, ordina, con decreto motivato, ai fornitori dei servizi di hosting o di altri connessi alla rete internet, di rimuovere i contenuti riguardanti i predetti delitti.

L’ordine va immediatamente adempiuto e comunque nell’arco di quarantotto ore; in caso di sua inosservanza, l’Autorità giudiziaria dispone l’interdizione all’accesso al dominio internet nelle forme e con le modalità del sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p..

L’oscuramento del sito per effetto di decreto di sequestro preventivo non è, però,
ammesso con riferimento alle pagine web di testate giornalistiche telematiche regolarmente registrata, prodotti editoriali che, a differenza degli altri spazi comunicativi (blog, mailing list, chat, newsletter, e-mail, newsgroup, messaggi istantanei, ecc.), godono delle guarentigie previste per la stampa dall’art. 21 Cost., per come di recente confermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (informazione provvisoria su sentenza del 29.1. 2015, Fazzo).

V. Le contravvenzioni relative all’immissione sul mercato o all’uso di precursori
di esplosivi.

L’art. 3 mira ad adeguare l’Ordinamento interno alle disposizioni del Regolamento
(UE) n. 98/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2013, relativo all’immissione sul mercato e all’uso di precursori di esplosivi, che sottopone la circolazione e l’uso delle predette sostanze a una serie di obblighi e di restrizioni, stabilendo che, fatta eccezione per i soggetti che esercitano attività commerciali o di impresa, i precursori di esplosivi soggetti a restrizioni non possano essere messi a disposizione di soggetti privati e che questi ultimi non possano introdurli, detenerli o usarli.

La norma di fonte europea prescrive, inoltre, agli operatori economici di segnalare al punto di contatto nazionale, previamente individuato dallo Stato membro, le transazioni sospette, le sparizioni e i furti aventi ad oggetto le sostanze elencate negli allegati dello stesso Regolamento, ovvero le miscele o gli altri preparati che le contengono, materiali che, sovente di uso comune, possono essere facilmente utilizzati per il compimento di atti di matrice terroristica o comunque violenta.
Atteso, ancora, che il Regolamento de quo richiede che le violazioni di tali divieti e
obblighi siano puniti con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, l’art. 3 del D.L. n. 7/2015 introduce nel codice penale due nuovi reati contravvenzionali.

Trattasi di una opzione di criminalizzazione che esclude, come segnalato dal Procuratore Nazionale Antimafia, la possibilità di attivare le metodologie investigative riservate ai reati di maggiore gravità e che, peraltro, non si palesa del tutto coerente dal punto di vista sistematico.
A questo proposito, è agevole notare, sulla premessa che gli artt. 678-bis e 679-bissono inseriti nel libro III del codice penale, relativo ai reati di natura contravvenzionale e, in particolare, nella sezione relativa alle “contravvenzioni concernenti la prevenzione di infortuni nelle industrie o nella custodia di materia esplodenti“, come il contenuto delle disposizioni non afferisca alla prevenzione degli infortuni ed appaia, di conseguenza, poco pertinente rispetto alle finalità di tale sezione del codice.

In particolare, con il nuovo art. 678-bis viene punita la messa a disposizione di privati delle sostanze che contengono da sole o in miscele i precursori di esplosivi in concentrazioni superiori ai valori limite indicati nell’allegato I al predetto Regolamento.
L’art. 679-bis, in analogia con quanto previsto in tema di omessa denuncia di materie esplodenti, sanziona poi, con l’arresto fino a dodici mesi ovvero con l’ammenda fino a 371 euro, l’omessa denuncia dei furti o delle sparizioni delle sostanze in argomento.
L’omessa segnalazione all’Autorità delle transazioni sospette riguardanti i precursori di esplosivo è, da ultimo, punita a titolo di illecito amministrativo.
La transazione si intende sospetta quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 9,paragrafo 3, del Regolamento, condizioni modulate sulla base dei dati che gli operatori economici, che effettuano la vendita dei materiali, sono tenuti ad annotare nel registro delle operazioni già oggi previsto dall’art. 8 del testo sovranazionale.

VI. Le misure di prevenzione personale e patrimoniale nel contrasto a fenomeni
terroristici.

L’art. 4 del disegno di legge di conversione del Decreto-legge n. 7 del 2015 opera in primo luogo interventi integrativi e modificativi della disciplina dei presupposti e delle modalità di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali e personali previste dal D.Lgs. n. 159 del 6 settembre 2011 (cd. Codice antimafia). La finalità, esplicitata nella relazione di accompagnamento del testo normativo proposto, è quello di estendere ai fenomeni criminali di matrice terroristica il sistema cd. del “doppio binario” di misure preventive e sanzionatorie già sperimentato nell’Ordinamento in relazione alla criminalità mafiosa.

Il primo comma della norma integra l’art. 4, comma 1, lett. d) del codice antimafia
che, nel testo attualmente vigente, stabilisce che le misure di prevenzione contemplate nella medesima legge possano essere applicate anche a “coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale”.

Il testo in discussione ne propone l’integrazione nel senso che siano oggetto di applicazione delle misure anche coloro che pongano in essere atti preparatori a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’art. 270-sexies del codice penale. In continuità e coerenza con quanto stabilito alle norme incriminatrici che precedono, l’intervento è mirato a prevenire ed impedire l’azione dei cd. foreign fighters, cioè coloro che, secondo la relazione di accompagnamento al d.d.l. “senza essere cittadini o residenti, si recano in Paesi dove agiscono questi sodalizi (di carattere terroristico, capaci di attrazione e proselitismo, n.d.r.) per combattere al loro fianco o per commettere azioni terroristiche”.

L’estensione a tali soggetti delle misure di prevenzione personali, quali in primo luogo la sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza, eventualmente accompagnata dall’obbligo o divieto di soggiorno è quindi evidentemente finalizzata a prevenire l’espatrio verso i Paesi in cui operano le organizzazioni terroristiche cui si intende aderire. Per rendere più efficace e diretto lo strumento preventivo, la proposta di legge introduce anche la misura provvisoria del ritiro del passaporto da parte del Questore, allo scopo di evitare che il periodo di tempo necessario all’adozione dei provvedimenti di urgenza da parte del Presidente del Tribunale già previsti dall’art. 9 D.Lgs. n. 159/11, “possa essere sfruttato dal soggetto interessato per allontanarsi dal territorio dello Stato” (cfr rel. accompagnamento).

Si prevede, con l’introduzione del comma 2-bis del citato art. 9, un provvedimento
urgente sottoposto a convalida, sullo schema delle misure di prevenzione in materia di prevenzione della violenza sportiva – art. 6 comma 3 della legge 13 dicembre 1989 n. 401 – di cui saranno applicabili i principi elaborati dalla giurisprudenza. Più in particolare, si tratta del temporaneo ritiro del passaporto e nella sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento con provvedimento del Questore, adottato unitamente alla presentazione della proposta di applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e
dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale. Esso, insieme alla proposta, deve essere comunicato immediatamente al Procuratore distrettuale che, se non ne dispone la cessazione, ne chiede la convalida, entro 48 ore, al Presidente del Tribunale. Il Presidente del Tribunale decide entro 48 ore, ferma restando l’inefficacia del provvedimento cautelare se la convalida non interviene entro 96 ore dall’adozione.

Si è quindi disegnato un settore residuale di intervento, autonomamente rilevante,
relativo ad atti che, apprezzabili per la rilevanza esterna obbiettiva e la evidente finalizzazione criminosa, restino tuttavia nell’ambito della preparazione del delitto senza integrare la fattispecie di reato, neppure nella forma tentata.

Quest’ultima scelta è coerente con l’impostazione dogmatica tradizionale che individua nel settore della prevenzione un sistema alternativo ed autonomo rispetto a quello della repressione penale, precisamente orientato all’obbiettivo di impedire che condotte delittuose siano commesse, e quindi applicate sulla base di indizi di pericolosità contemplati da specifiche norme di legge e non collegate all’accertamento di condotte specifiche di reato.

Tale opzione si distingue dalle soluzioni adottate nel contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso ove il Legislatore ha inteso articolare l’arsenale dello Stato, nel contrasto a gravi fenomeni delinquenziali, attraverso la possibilità di un ricorso, per gli stessi fatti, sia a strumenti preventivi che repressivi. Ma l’indicazione proprio la soluzione del decreto legge in commento appare maggiormente in sintonia con i principi generali.

Quanto agli strumenti di prevenzione di cui all’art. 9 del Codice antimafia, è stata
segnalata, già nella struttura attuale della norma, la mancata previsione di un termine di durata della misura di limitazione della libera circolazione stabilita in via provvisoria dal Presidente del Tribunale. Tale lacuna, cui fino ad ora ha supplito la giurisprudenza (cfr. Cass., sez. I, 23 aprile 2004, n. 26268), rischia di provocare problemi di compatibilità con i principi costituzionali e convenzionali in materia di libertà di circolazione, e potrebbe essere utilmente colmata in sede di conversione della norma.

Ulteriore novità dell’art. 4 del disegno di legge in commento consiste, alla lettera c), nell’estensione della circostanza aggravante prevista dall’art. 71 del Codice antimafia – relativa all’essere stato il reato commesso da parte di soggetto sottoposto a misura di prevenzione personale – anche ai reati di matrice terroristica o, comunque, con finalità diterrorismo.
La lettera d), che inserisce l’art. 75-bis del D.Lgs. n. 159/2011, prevede un’autonoma fattispecie di reato punibile con la reclusione da uno a tre anni, della condotta di chi violi le prescrizioni contenute nei provvedimenti di prevenzione provvisoria d’urgenza adottati dal Questore e dal Presidente del Tribunale ai sensi dell’art. 9 del medesimo codice. Per tale reato è previsto l’arresto in flagranza, giustificato probabilmente dalla concretezza del pericolo di allontanamento.

D’altra parte, i limiti edittali della pena sono inferiori a quelli minimi stabiliti dall’art. 280 c.p.p. per l’applicazione di misure cautelari custodiali, cosicché potrebbe risultare sproporzionata la privazione temporanea della libertà che non può avere alcun seguito oltre i termini della convalida dell’arresto.

Né, allo stato, sembra potersi fare applicazione dell’istituto processuale di cui al quinto comma dell’art. 391 c.p.p. che consente l’applicazione di misura custodiale oltre i limiti edittali della pena per il reato – ove l’arresto sia stato convalidato in ipotesi specifiche – in quanto la fattispecie in commento non sembra rientrare tra i casi individuati dalla norma, da interpretarsi in maniera necessariamente restrittiva in ragione della compressione che da essi deriva dei fondamentali diritti di libertà individuali.

E’ opportuno che, in sede di conversione, il Legislatore ponga rimedio a tale profilo
problematico, prevedendo analoga eccezione alla regola generale dell’art. 280 c.p.p. ovvero, all’opposto, eliminando la previsione di arresto che, non potendo essere seguito da misura cautelare custodiale, finisce per realizzare una compressione della libertà personale fortemente limitata nel tempo e quindi, in ultima analisi, inutile ed ingiustificata.

Il comma 2 dell’art. 4 del disegno di legge di conversione interviene sull’art. 13 del testo unico di cui al Decreto legislativo n. 286 del 1998, estendendo l’applicazione dell’espulsione amministrativa per motivi di terrorismo – anche a coloro che pongono in essere atti preparatori alla partecipazione all’attività di organizzazioni terroristiche in territorio straniero, ed aggiornando i riferimenti normativi alle disposizioni del Codice antimafia.

Infine, la norma modifica il termine di deposito dei verbali relativi alle operazioni di intercettazione preventiva disciplinate dall’art. 226 delle Norme di attuazione del codice di procedura penale – D.Lgs. n. 271/91 – allungandolo a dieci giorni nell’ipotesi in cui sussistono esigenze di traduzione.

VII. Il rilascio di permessi di soggiorno per esigenze di giustizia.

L’art. 6 del disegno di legge di conversione del Decreto-legge n. 7 del 2015 modifica alcune norme del Decreto-legge n. 144 del 2005 – convertito con modificazioni dalla legge n. 155 del 2005.
Il comma 1, lettera a), modifica l’art. 2, comma 1 integrando la previsione della possibilità ivi prevista per il Questore di rilasciare permessi di soggiorno a stranieri non comunitari irregolari quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento relativi a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico, vi sia l’esigenza di garantire la permanenza nel territorio dello Stato dello straniero che abbia offerto all’autorità giudiziaria o agli Organi di polizia una collaborazione significativa, anche su richiesta dei direttori dei servizi di informazione. Tale istituto, alle condizioni e secondo la procedura descritta, viene esteso dalla novella anche all’ipotesi in cui la collaborazione del cittadino straniero sia necessaria in relazione ad attività illecite riconducibili alla criminalità transnazionale. Si tratta di previsione senz’altro utile al fine di arricchire il materiale conoscitivo acquisibile per l’attività di indagine.

VIII. Le novità in materia di trattamento dei dati personali da parte delle forze di
polizia.

L’art. 7 del Decreto-legge in oggetto detta nuove norme in materia di trattamento di dati personali da parte delle Forze di polizia.
La disposizione interviene a sostituire integralmente l’art. 53 del Decreto-legislativo del 30 giugno 2003, n. 196, cd. Codice della privacy.
Il significato della novella deve essere ricercato nella volontà, ben desumibile anche dalla Relazione di accompagnamento al D.L., di agevolare l’azione delle Forze di polizia nella raccolta dei dati e nell’analisi delle informazioni acquisite, quale presupposto imprescindibile per un’efficace azione di contrasto di fenomeni come il terrorismo e, più in generale, di quelli capaci di mettere a repentaglio la sicurezza pubblica nel Paese.

In questa prospettiva, la norma è presumibilmente volta ad eliminare una certa rigidità della previsione di cui all’art. 53, comma 1, nella misura in cui la stessa impediva alle Forze di polizia di acquisire dati e informazioni personali, qualora ciò non fosse espressamente previsto da norme di rango primario.
In altri termini, il Legislatore ha avvertito come eccessivamente restrittivo il perimetro con cui la legge consentiva il trattamento dei dati da parte delle Forze di polizia, con ritenute conseguenze pregiudizievoli sull’attività di prevenzione e di repressione dei reati, nonché ditutela della sicurezza pubblica.

L’intervenuta modificazione dell’art. 53, eliminandosi il menzionato connotato di rigidità, viene peraltro a livellare questo istituto con la disciplina, di cui all’art. 47 del codice, che disciplina i trattamenti di dati personali per ragioni di giustizia, norma che non richiede appunto che i predetti trattamenti siano previsti da specifiche disposizioni di legge. Ciò appare rispondente a corretti canoni di razionalità, tenuto anche conto che la normativa europea prevede, per la tutela dei dati personali, limiti ed eccezioni analoghi, sia per i trattamenti per finalità di giustizia, sia per quelli per finalità di polizia.

Lo ius superveniens, peraltro, sembra ripristinare un migliore rapporto di coerenza
anche con il successivo art. 54, il quale consente alle Forze di polizia e alle autorità di pubblica sicurezza di acquisire dati, per finalità di polizia, anche sulla base di previsioni contenute in atti regolamentari.
Al fine, quindi, di superare le indicate problematicità che rischiavano di condizionare negativamente l’azione di prevenzione delle Forze di polizia, l’art. 7, come si accennava, riscrive integralmente l’art. 53 del codice, sul modello di quanto stabilito dai precedenti artt. 46 e 47 per i trattamenti di dati personali in ambito giudiziario. La nuova versione del citato art. 53 definisce, al comma 1, la nozione di finalità di polizia in rapporto ai trattamenti di dati personali. La norma specifica che si intendono effettuati per finalità di polizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati all’esercizio di compiti di prevenzione e di tutela
dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché ai compiti di polizia giudiziaria svolti, ai sensi del codice di procedura penale, per la prevenzione e la repressione dei reati. Il comma 2 stabilisce che le Forze di polizia e gli altri Organi di Pubblica Sicurezza sono esentati dall’osservare le citate disposizioni del codice quando i trattamenti di dati personali sonoeffettuati:

a) dal Centro elaborazione dati (CED) di cui all’art. 8 della legge 1 aprile 1981, n. 121, ovvero dalle Forze di polizia sui dati destinati a confluire nel medesimo CED;
b) da Organi di Pubblica Sicurezza o da altri soggetti pubblici nell’esercizio delle
attribuzioni conferite da disposizioni di legge o di Regolamento.
Il risultato voluto dal Legislatore, di mantenere immutato il contenuto di specialità
della fattispecie agevolatoria, solo semplificandone e slargandone l’ambito applicativo, sembra dunque efficacemente perseguito attraverso una misura regolativa idonea a semplificare e razionalizzare l’istituto.

Invero, la pregressa imposizione di una espressa previsione legislativa fondativa
dell’attribuzione in ordine al trattamento dei dati, può, in alcuni casi, aver rallentato l’esigenza di continuo adeguamento degli strumenti investigativi all’evoluzione tecnologica.
Come ben evidenziato dal Garante della Privacy nell’audizione parlamentare sul D.L., la velocità con cui la tecnica (e con esso il crimine) si evolve richiede oggi, molto più di 11 anni fa (quando fu emanato il Codice), altrettanta celerità nel mutamento delle tecniche investigative. I tempi di questa rapida evoluzione non possono essere evidentemente i tempi connessi al procedimento legislativo.
E’ opportuno, dunque, segnalare che il vero nucleo di novità introdotto dal D.L. risiede nello scardinamento del sistema di fonti suscettibili di legittimare la raccolta di dati, sino ad oggi limitato alla legge ordinaria. Con l’entrata in vigore del nuovo corpus, invece, il trattamento potrà fondarsi anche su norme regolamentari e sullo specifico decreto del Ministro dell’interno ricognitivo dei vari trattamenti svolti per fini di prevenzione e repressione dei reati.

Il “declassamento” di rango della norma attributiva del potere incide ovviamente su tutti gli ambiti investigativi e preventivi e non solo su quello propriamente antiterroristico.
La delicatezza del nuovo meccanismo starà chiaramente proprio in questo, cioè che, ove risultasse necessario l’utilizzo di un nuovo specifico strumento investigativo, non ancora tipizzato dalla legge, il Governo o lo stesso Ministro potranno legittimarne l’uso ex se, disciplinandone le caratteristiche.
Le possibili criticità del nuovo meccanismo, rispetto ai diritti di libertà costituzionalmente previsti, sembrano non allarmanti, dato che le nuove fonti secondarie di legittimazione dovranno pur sempre corrispondere a specifiche attribuzioni della polizia previste ex lege. Pertanto, l’ambito di discrezionalità non è indiscriminato, ma è comunque circoscritto in apicibus, all’interno di un sistema in cui l’azione dell’autorità di Pubblica Sicurezza, proprio perché idonea a incidere su diritti fondamentali, è rigidamente disciplinata dalla legge.

Pur all’interno di una strategia di flessibilizzazione, rimane peraltro pienamente condivisibile l’intervenuta tipizzazione espressa delle attività riconducibili alle finalità di polizia (prevenzione, oltre che repressione dei reati, pubblica sicurezza in senso stretto, attività di polizia giudiziaria), idonea a supportare istanze di certezza e chiarezza, tanto necessarie in un ambito così delicato.

In fase attuativa, la tenuta del sistema, in termini di ricerca di nuovi punti di equilibrio tra sicurezza e libertà, richiederà particolare attenzione in sede di approvazione dei Regolamenti e di emanazione dei decreti istitutivi di questi nuovi, eventuali, trattamenti.
Probabilmente, in sede di conversione, potrebbe essere opportuna da parte del Legislatore una chiarificazione sul ruolo, in subiecta materia, del Garante per la riservatezza.
Dato un certo margine di equivocità del tessuto regolativo, sarebbe quindi opportuno che, in sede di conversione, il Legislatore prendesse più chiara posizione sul punto, auspicabilmente strutturando una più incisiva interlocuzione consultiva col Garante. Invero, anche in occasione dell’incontro tenutosi presso il C.S.M. il 2 e 3 marzo u.s., è stata da più parti condivisa l’esigenza di una più forte traiettoria di equilibrio tra istanze diverse, obiettivo perseguibile attraverso la massima espansione degli istituti di garanzia, posto che il corretto trattamento e la protezione dei dati non è solo presidio di libertà dei singoli, ma anche una condizione strutturale della cyber security.

Come sopra si accennava, è rimasta, invece, immutata la norma dell’ultimo comma dell’art. 53, secondo cui, con decreto del Ministro dell’interno sono individuati i trattamenti non occasionali di cui al comma 2 effettuati con strumenti elettronici e i relativi titolari.
Per quanto si diceva, la conservazione della disposizione risulta senz’altro apprezzabile, dato che alcuni princìpi in materia di protezione dei dati personali si applicano all’attività delle Forze di polizia e di alcuni altri soggetti pubblici sulla base di adattamenti necessari in ragione della specificità dell’attività svolta. È pertanto necessaria, per disposizione di legge, una ricognizione analitica ed esaustiva di tali trattamenti, aggiornabile agilmente nel tempo.

Peraltro, l’inclusione o meno di un trattamento nel testo del decreto assume rilievo ai fini delle garanzie e dei diritti degli interessati.
Certamente, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 7, poiché nel decreto non devono più essere elencati solo i trattamenti di dati effettuati in base a “espressa” disposizione di legge che preveda “specificamente” il trattamento, nei limiti e con le modalità eventualmente stabiliti (art. 53, comma 1, D.Lgs. n. 196/2003 previgente), non sarà più necessario riscontrare, come avvenuto sino ad oggi, l’indefettibile presupposto che, per ciascuno dei trattamenti individuati, vi sia piena ed effettiva coincidenza fra quanto indicato nel decreto e l’espressa disposizione di legge legittimante.

In un’ottica d’insieme, ferma restando la necessità, unanimemente condivisa, di ampliare le basi di conoscenza e migliorare le correlate tecniche di elaborazione, rimane altrettanto indeclinabile esigenza, di rango non inferiore, di evitare eccessivi e non indispensabili sacrifici dei valori di riservatezza e privatezza, suscettibili di essere irrimediabilmente compromessi da una poco ponderata ed indiscriminata gestione dei flussi informativi che, peraltro, rischia di rivelarsi, per come insegna l’esperienza, poco fruttuosa in chiave propriamente investigativa oltre che poco rispettosa dei diritti fondamentali.

Sotto questo aspetto, non privi di fondamento appaiono i richiami alla recente giurisprudenza della Corte Suprema degli U.S.A.(2) e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (3), operati dal Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, in occasione dell’incontro del 3 marzo 2015.
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(2) Che, da ultimo, a maggio 2014 ha esteso alla perquisizione dei cellulari le tradizionali garanzie previste per le misure limitative della libertà personale, affermando che “il costo della privacy è il valore della democrazia”.

(3) Il riferimento attiene alla nota decisione con cui è stata annullata la Direttiva sulla c.d. Data Retention ed a quella sul c.d. diritto all’oblio in relazione alle attività dei motori di ricerca su Internet.
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IX. L’attività dei servizi informativi in materia di terrorismo.

Nell’ambito di una valutazione generale dei contenuti del Decreto-legge, si rileva la chiara volontà del legislatore di migliorare l’azione preventiva al fenomeno attraverso un rafforzamento degli strumenti di intervento e delle garanzie di status degli appartenenti ai servizi informativi. Esigenza tanto più significativa in quanto le caratteristiche del terrorismo internazionale impongono attività di acquisizione di informazioni e di dati anche in realtà territoriali e governative dove la cooperazione internazionale in ambito investigativo è carente o addirittura impossibile da realizzarsi in concreto e con prospettive di buon andamento. In tali contesti il lavoro preventivo ed informativo assume centralità, e deve essere oggetto di una regolamentazione idonea a tutelare, per un verso lo status degli agenti e per altro le garanzie generali di tenuta del sistema ordinamentale – anche nei rapporti internazionali con altri Stati ed istituzioni sovranazionali – e dei diritti fondamentali di libertà singoli.

In questo contesto l’art. 6 del disegno di legge di conversione del Decreto-legge n. 7 del 2015 modifica alcune norme del Decreto-legge n. 144 del 2005 – convertito con modificazioni dalla legge n. 155 del 2005- recante “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale“. In particolare il comma 1, lettera b), introduce nell’art. 4 del D.L. 144 del 2005 una norma temporanea volta a consentire, fino al 31 gennaio 2016, ai servizi di informazione di effettuare colloqui personali con i soggetti detenuti o internati, al fine di acquisire informazioni per la prevenzione dei delitti con finalità terroristica di matrice internazionale. La norma, mutuando la disciplina già stabilita al comma 2 nel medesimo art. con riferimento al diverso istituto delle intercettazioni preventive di comunicazioni, precisa che tali colloqui sono effettuati su richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri, formulata anche a mezzo del Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) e previa autorizzazione del Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, concessa quando sussistono specifici e concreti elementi informativi che rendano assolutamente indispensabile l’attività di prevenzione. È, inoltre, previsto che dello svolgimento del colloquio sia data comunicazione scritta al Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, che provvederà alla relativa annotazione in un registro riservato, e ne venga informato il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir). Si
tratta di innovazione che si inserisce nella cornice normativa disciplinante l’attività del personale addetto al DIS e ai servizi di informazione per la sicurezza, istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, come da ultimo disciplinata dalla legge n. 124 del 2007 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto).

Sul punto va innanzitutto rilevato che va condivisa la prudenza che sembra orientare lo stesso legislatore in ordine a tale nuovo istituto nella misura in cui esso risulta introdotto quasi a livello sperimentale con una norma dalla vigenza temporanea, fino al 31 gennaio 2016. Le ragioni di tale prudenza appaiono di immediata percezione per la estrema problematicità – quasi ontologica – del contatto che si instaura fra il personale dei servizi informativi e soggetti in regime di restrizione della libertà personale. Del resto l’istituto dei colloqui investigativi con detenuti ed internati non è certamente nuovo in quanto previsto dall’art. 18 bis ord. pen., ma tale previsione si riferisce al contesto molto più garantito e fisiologico delle indagini di polizia giudiziaria e con riferimento ai colloqui effettuati dai responsabili di livello almeno provinciale degli uffici o reparti della polizia di stato o arma dei carabinieri (4.)
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(4) Sul punto va registrata una lacuna colmabile in sede di conversione del decreto intervenendo sull’art. 18 bis. Ord. Pen., attraverso l’estensione dell’obbligo di comunicazione di tali ufficiali di polizia giudiziaria al P.N.A: dell’esito dei colloqui investigativi, già previsto per i colloqui in materia di criminalità organizzata, anche
a quelli nella materi di cui all’art. 51 co. 3 quater. L’esito di tali colloqui ultimi vengono comunicati al Procuratore Nazionale Antimafia In base a tale disciplina il PNA può fare colloqui investigativi anche con riferimento alla materia del terrorismo ma non ha notizia dei colloqui eseguiti dai servizi né gli vengono comunicate le autorizzazioni eventualmente date agli organi di polizia (tale comunicazione è limitata ai casi di colloqui con soggetti indagati o imputati di uno dei reati di cui all’art. 51 comma 3 bis.
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Fatte queste considerazioni di premessa, che andranno opportunamente verificate alla scadenza del 31 gennaio 2016, va rilevato che in coerenza con tale quadro normativo di riferimento, il nuovo istituto conferma la scelta legislativa di separazione tra le attività investigative condotte dalla polizia giudiziaria nel procedimento penale sotto il coordinamento dell’autorità giudiziaria e l’attività informativa preventiva di cui sono titolari i Servizi di intelligence. Se la prima, infatti, è finalizzata all’accertamento ed alla punizione delle condotte di reato secondo un procedimento formalizzato nel rigoroso rispetto dei diritti fondamentali e delle prerogative di difesa di coloro che siano sottoposti ad indagine, la seconda ha come oggetto l’assunzione, in maniera deformalizzata e flessibile, di informazioni utili ad indirizzare le scelte di politica ed amministrazione affidata al potere esecutivo, in un contesto più ampio ed in rapporto ad una molteplicità di soggetti anche non istituzionali che si muovono in un quadro spesso sopranazionale. La scelta di separazione va senz’altro apprezzata nella misura in cui si rivela capace di garantire la integrità e la funzionalità autonoma e piena di ciascuno dei due sistemi di intervento, che potrebbero viceversa essere pregiudicati nell’operatività e negli esiti ove vi fosse contaminazione dagli atti assunti, ovvero delle regole, dei principi e delle logiche proprie dell’altro. In questo senso va ulteriormente condivisa la soluzione di affidare il potere, in sede amministrativa, di autorizzare l’attività di raccolta di informazioni con modalità invasiva dell’altrui sfera di libertà – intercettazioni e colloqui preventivi – verificandone la ricorrenza dei presupposti, al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, autorità che non è titolare di funzioni giudiziarie di investigazione diretta. Per lo stesso motivo, del resto, sono rigorosamente individuati e selezionati i canali ed i filtri – limitatissimi – per cui il patrimonio di conoscenze acquisito nell’attività preventiva può rifluire nei procedimenti giudiziari.

Di contro, è proprio tale indiscutibile scelta di separatezza degli ambiti di intervento, che impone una diversa e più approfondita riflessione sulla opportunità di un momento di contatto e di informazione, almeno in termini di scenari di riferimento, fra il sistema dell’intelligence e quello delle indagini. Questo necessario approfondimento non ha trovato risposte nell’articolato normativo del Decreto Legge e potrebbe essere oggetto di intervento in sede di conversione. Appare infatti chiaro che le stesse finalità complessive dell’intervento normativo, volte al miglioramento dell’efficienza del contrasto al temibile e pericoloso fenomeno del terrorismo, impongano soluzioni capaci di evitare duplicazioni, sovrapposizioni e contrasti fra le attività di prevenzione e quelle di repressione giudiziaria. Per semplificare, occorre aggiungere al principio della separatezza quello della comunicazione, quantomeno in termini di scenari informativi, fra le due attività. Tanto più nel momento in cui, come si vedrà, il Legislatore sceglie la strada del coordinamento investigativo nazionale affidato al Procuratore nazionale antimafia (che diviene anche Antiterrorismo), e nella consapevolezza che, soprattutto in certe zone del Paese, attività di matrice terroristica ed attività in senso ampio di stampo mafioso possono trovare elementi di contatto e di sovrapposizione. In questa logica sono emersi richiami a diverse ipotesi come quella di creare un momento di contatto informativo fra il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma ed il Procuratore nazionale (preventivo o successivo all’autorizzazione delle intercettazioni preventive o dei colloqui investigativi), prevedere la partecipazione (diretta o indiretta) del P.N.A. all’attività del C.A.S.A. (Comitato analisi strategica antiterrorismo (5)), o che ne sia comunque informato con riferimento agli scenari generali delle analisi e delle attività condotte, eventualmente anche attraverso un ufficiale di collegamento con il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS).
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(5) Si tratta di un tavolo permanente tra polizia giudiziaria e Servizi di intelligence, di condivisione e valutazione delle informazioni relative alla minaccia terroristica interna ed internazionale, costituito nel 2004 con Decreto del Ministro dell’Interno.
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Quanto alle garanzie di tutela del personale dei servizi di informazione, il D.L. interviene con l’art. 8, introducendo talune utili disposizioni volte al rafforzamento delle “garanzie funzionali” e della tutela dell’anonimato del personale dei Servizi di informazione e
sicurezza interna ed esterna, individuati, nel nostro ordinamento, dall’Agenzia informazioni e
sicurezza interna (AISI), dall’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e dal
Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS).

In particolare il comma 1, integrando il comma 2-bis dell’art. 497 cod. proc. pen. (rubricato Atti preliminari all’esame dei testimoni), consente al personale dei Servizi di indicare, in occasione della deposizione resa in un procedimento penale avente ad oggetto le attività da essi svolte “sotto copertura”, le generalità, anch’esse “di copertura”, utilizzate nel corso di tali operazioni, così estendendo le analoghe garanzie già previste per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, anche esteri, nonché per gli ausiliari e le persone interposte, che abbiano svolto attività sotto copertura, nell’ottica di garantire l’esigenza di tutela dell’anonimato dei soggetti impegnati nelle attività informative e contestualmente di evitare di ricorrere a discutibile istituto della testimonianza anonima. La garanzia viene estesa anche
al di fuori delle ipotesi disciplinate dall’art. 497 , comma 2 bis, c.p.p. dalla contestuale modifica dell’art. 27 della legge n. 124/2007 (“Tutela del personale nel corso di procedimenti giudiziari“), cui il comma 2 dell’art. in commento, ha aggiunto un comma 3-bis, tale da consentire l’utilizzazione dell’ identità “di copertura” in ogni stato o grado del procedimento tutte le volte che ciò sia necessario mantenere segrete le loro vere generalità nell’interesse della sicurezza dello Stato o per tutelarne l’incolumità.

Il comma 2 dell’art. 8, inoltre, modifica l’art. 17, comma 4, della legge n. 124/2007 (rubricato Ambito di applicazione delle garanzie funzionali), estendendo anche ad alcuni delitti con finalità di terrorismo, le condotte di rilevanza penale che il personale dei Servizi di informazione per la sicurezza può essere autorizzato a commettere ai sensi del successivo art. 18. Si tratta anche in questo caso di una scelta da condividere con riferimento all’indicazione di ulteriori condotte di reato contigue alla fattispecie associativa prevista dall’art. 270-bis cod. pen. e ad altre ipotesi delittuose tipiche dei fenomeni terroristici, quali: la partecipazione ad associazioni sovversive (art. 270, comma 2, cod. pen.), l’assistenza agli associati (art. 270-ter, cod. pen.), l’arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-quater, cod. pen.), l’organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo (art. 270-quater.1, comma 2, introdotto dall’art. 2 del Decreto-Legge in esame), l’addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270-quinquies, cod. pen.), l’istigazione a commettere uno dei delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato (art. 302, cod. pen.), la partecipazione a banda armata (art. 306, comma 2), l’istigazione a commettere delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità o apologia degli stessi delitti (art. 414, comma 4, cod. pen.)(6).
………………….
(6) Non secondaria, sul punto, la cosiderazione che le fattispecie incriminatrici appena elencate, ora ricomprese tra quelle scriminabili ai sensi dell’art. 17, non sono state incluse tra quelle per le quali non può essere opposto il segreto di stato: ciò che potrebbe determinare situazioni di sovrapposizione tra le attività dei Servizi di informazione e quelle della polizia giudiziaria.
………………….


X. Il coordinamento nazionale delle indagini nei procedimenti per i delitti di terrorismo, anche internazionale. Le Procure distrettuali ed i rapporti con la procura Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo.

Occorre in questa sede far riferimento alla fondamentale funzione svolta dalla magistratura italiana per far fronte ad emergenze drammatiche come quelle del terrorismo interno, anche attraverso una capacità di auto-organizzazione che ha spesso anticipato gli interventi normativi di settore. Ciò è accaduto, come è stato ricordato, perché è stato espresso un eccellente livello di professionalità in termini di specializzazione, lavoro di gruppo, coordinamento spontaneo tra uffici giudiziari, raccordo effettivo e leale con la polizia giudiziaria, capacità di gestione dei collaboratori di giustizia, e rispetto delle garanzie degli imputati. In particolare l’esperienza del coordinamento spontaneo fra magistrati ed investigatori della polizia giudiziaria dei diversi uffici, prima nell’esperienza del terrorismo interno e, più recentemente, in quella del terrorismo internazionale, ha dimostrato la capacità della magistratura di far fronte, attraverso l’organizzazione e la condivisione del lavoro e delle informazioni, alla mutevolezza dei fenomeni criminali senza attendere l’intervento normativo ed anzi anticipandone le soluzioni. Tali soluzioni di coordinamento, sperimentato dalla fine degli anni settanta, anticiparono anche quelle poi ritenute prevalenti ed esemplari del coordinamento fra i magistrati antimafia.

E’ per questo che, dopo i terribili fatti del 2001, ed i primi interventi normativi ad essi conseguenti, le 26 Procure Distrettuali competenti in materia di terrorismo ed eversione ex art. 51 c. quater c.p.p., su iniziativa di alcuni magistrati esperti in quel settore, hanno assunto la decisione di organizzare spontaneamente il loro coordinamento, per elaborare indirizzi strategici e giurisprudenziali in materia, per intensificare i rapporti di coordinamento e fare il punto sul livello della cooperazione internazionale ( si tratta di iniziative a cui hanno via via partecipato anche rappresentanti di Eurojust ed altri Paesi Europei e che per un certo periodo
si sono fisicamente svolti nella struttura del Consiglio Superiore della Magistratura).

Nel frattempo la magistratura ha più volte chiesto un intervento normativo volto ad
introdurre istituti di coordinamento nazionale delle indagini in materia di terrorismo.

Con risoluzione adottata dall’Assemblea plenaria del 12.7.2006, anche il Consiglio
Superiore della Magistratura, dopo un approfondito esame della normativa e delle prassi internazionali, nonché delle esigenze concretamente imposte dal fenomeno del terrorismo internazionale, si era categoricamente espresso sul punto, a favore dell’istituzione di una Procura Nazionale Antiterrorismo, autonoma o inglobata nella Procura Nazionale Antimafia.

A questa indicazione ha aderito il Decreto-Legge in commento, che al capo II, intitolato “Coordinamento nazionale delle indagini nei procedimenti per i delitti di terrorismo, anche internazionale“, introduce, con gli artt. 9 e 10, una pluralità di disposizioni che conferiscono al Procuratore Nazionale Antimafia anche le competenze in materia di coordinamento delle attività di contrasto giudiziario al terrorismo anche internazionale, adeguando, corrispondentemente, numerose previsioni del codice di procedura penale e del cd. codice antimafia. Le modifiche introdotte sia gli assetti organizzativi della Direzione Nazionale Antimafia (e Antiterorrismo), sia ed il complesso delle sue attribuzioni, anche nel rapporto con le Procure distrettuali e con la polizia giudiziaria. Di conseguenza, il Consiglio Superiore della Magistratura se ne occuperà non solo in questa sede consultiva, ma soprattutto in sede di normazione secondaria in ordine all’impatto delle novità legislative in materia di organizzazione.

Dunque, la Direzione Nazionale Antimafia è stata pertanto ribattezzata, dall’art. 10 del Decreto-legge in commento (che ha sostituito l’art. 103 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159), come “Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo”; e l’Organo preposto al vertice della struttura giudiziaria di nuova istituzione è stato individuato nel Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo, che ha preso il posto del “Procuratore Nazionale Antimafia” (ciò che ha comportato la necessità di una serie di minuti interventi di adeguamento normativo alla nuova denominazione).
A livello territoriale l’organizzazione delle strutture giudiziarie requirenti nella materia antiterrorismo è stata invece differenziata e distinta rispetto a quanto avviene nella materia antimafia. L’attuale assetto degli organismi giudiziari antimafia è, infatti, caratterizzato dalla presenza di strutture territoriali, quali le direzioni distrettuali antimafia (cd. D.D.A.), costituite come articolazioni della Procura della Repubblica distinte dai singoli gruppi di lavoro esistenti all’interno delle stesse, le quali vengono coordinate dalla Direzione Nazionale Antimafia. Si tratta di articolazioni che sono destinatarie di una precisa normativa primaria e di una dettagliata disciplina secondaria del CSM. Nella materia antiterrorismo, invece, la scelta del Governo è stata quella di confermare l’assetto previgente, con il quale le funzioni antiterrorismo erano state devolute alle Procure distrettuali, senza peraltro procedersi alla costituzione di organismi inquirenti e requirenti ad hoc (7)
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(7) Coerentemente con questa scelta l’art. 10 (rubricato Modifiche al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante: Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), stabilisce, al comma 3 lett. a), la modifica dell’art. 105, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (rubricato “Applicazione di magistrati del pubblico ministero in casi particolari“), statuendo che il procuratore nazionale possa applicare temporaneamente alle procure distrettuali, i magistrati appartenenti alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, quelli appartenenti alle direzioni distrettuali antimafia «oltre che quelli addetti presso le procure distrettuali alla trattazione di procedimenti in materia di terrorismo anche internazionale», per la trattazione dei procedimenti relativi ai delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. penale, di particolare complessità o che richiedano “specifiche esperienze e competenze professionali“.
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Il decreto continua dunque a rimettere le relative competenze in capo al Procuratore della Repubblica distrettuale, il quale potrà modulare l’organizzazione dell’ufficio, e quindi l’attribuzione delle relative competenze in capo ai singoli sostituti, in funzione sia delle concrete manifestazioni assunte localmente dalla criminalità terroristica, sia delle risorse, umane e materiali, disponibili. Si tratta di una scelta sulla quale il dibattito scaturito nell’immediatezza della formulazione del D.L. è stato particolarmente vivace, in quanto le diverse opzioni (inglobamento nelle D.D.A. o gruppi di lavoro autonomi) presentano indubbiamente vantaggi e svantaggi. Utilizzare le D.D.A. avrebbe probabilmente avuto il merito di semplificare e rendere automaticamente operante e coerente il complesso normativo di riferimento, quanto a poteri, attribuzioni, rapporti con la Direzionale nazionale Antimafia ed Investigativa e gestione della Banca dati. Di contro, non è
dubbia la circostanza che le materie investigative di riferimento sono assai diverse, soprattutto per come si esplicano nelle diverse realtà territoriali e distrettuali, dove si coniugano con distinte modalità di attuazione delle condotte e del rapporto con altre fattispecie illecite (si pensi al rapporto con i delitti di immigrazione, di contraffazione, di armi, di traffico di stupefacenti ecc..), tanto da consigliare la creazione di volta in volta di moduli organizzativi elastici e gruppi di lavoro interdisciplinari, soluzioni queste che si scontrerebbero con le rigidità organizzative proprie delle Direzioni Distrettuali Antimafia. In questo senso, e nell’ottica di preferire la scelta del legislatore d’urgenza, la considerazione che dal monitoraggio effettuato dal C.S.M. con la collaborazione dei Procuratori Distrettuali è emersa la attuale esiguità (che non può ch auspicarsi resti tale come conseguenza delle caratteristiche del fenomeno in atto) del numero dei procedimenti pendenti in materia di terrorismo internazionale.
Il collegamento ed il rapporto fra le Procure distrettuali antiterrorismo e la Direzione nazionale antiterrorismo dovrà attuarsi innanzitutto attraverso la creazione ed implementazione di una banca dati nazionale, sul modello di quanto accaduto con la nota banca dati SIDDA-SIDNA in uso in materia di criminalità organizzata che elabora a livello centrale le informazioni, relative alle indagini preliminari ed ai procedimenti pendenti o espletati presso le singole Direzioni distrettuali, con riferimento ai reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p.. Un sistema che, dunque, si fonda sulla implementazione delle banche dati esistenti a livello locale presso le Direzioni distrettuali, le quali vengono collegate ad una banca dati centrale capace di elaborare le varie informazioni pervenute, e che costituisce un modello di gestione del dato a fini conoscitivi ed investigativi di assoluta e riconosciuta eccellenza nel panorama internazionale. Infatti il D.L. prevede che “il Procuratore Nazionale Antimafia e antiterrorismo, nell’ambito delle funzioni previste dall’art. 371-bis, accede al registro delle notizie di reato, ai registri di cui all’art. 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55, e alle banche dati istituite appositamente presso le Procure distrettuali, realizzando se del caso collegamenti reciproci”, con una estensione che pare configurare l’accesso, da parte della Procura Nazionale Antimafia, a tutte le altre banche dati istituite presso le Procure distrettuali: non solo a quelle relative ai procedimenti di competenza delle D.D.A. ex art. 51, comma 3-bis cod. proc. pen., e quelle afferenti ai delitti previsti dal comma 3-quater in materia di terrorismo, ma anche ai delitti, consumati o tentati, previsti dal comma 3-quinquies (8).
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(8) Si tratta dei delitti di cui agli artt. 414-bis, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609- undecies, 615-ter, 615-quater, 615-quinquies, 617-bis, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 640-ter e 640-quinquies del codice penale).
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Orbene, nell’ambito di una generalizzata positiva valutazione in ordine al rafforzamento del sistema della centralizzazione delle banche dati in materia investigativa e giudiziaria, è evidente che la realizzazione concreta di un sistema da utilizzare in materia di antiterrorismo dovrà essere oggetto di puntuale disciplina da parte del Procuratore nazionale nell’ambito della cornice normativa secondaria e sotto il controllo del C.S.M., anche per la risoluzione dei problemi che la scarna normativa primaria non risolve, in particolare con riferimento alle modalità organizzative con cui verrà realizzato il collegamento tra il sistema informativo della Procura nazionale antimafia e le banche dati delle Procure distrettuali concernenti i procedimenti in materia di terrorismo. Nell’ottica della preannunciata soluzione di utilizzare direttamente il sistema SIDDA-SIDNA dovranno verificarsi in concreto le soluzioni di implementazione, di accesso e di gestione ad opera di gruppi di lavoro distrettuali antiterrorismo esterni alle Direzioni Distrettuali Antimafia.

In questo ambito, in sede di conversione appare necessario modificare l’art. 102 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (cd. codice antimafia), a mente del quale il Procuratore distrettuale o un suo delegato deve curare che i magistrati addetti alla D.D.A. ottemperino all’obbligo di assicurare la completezza e la tempestività delle reciproche informazioni. Stando alla formulazione espressa della disposizione, infatti, tale obbligo continua a permanere in capo ai soli magistrati delle D.D.A., mentre esso non è stato esteso ai magistrati competenti sulla materia del terrorismo. In mancanza, sarà il CSM a verificare l’esistenza di gli spazi per colmare la lacuna normativa.

XI. I poteri di coordinamento del Procuratore nazionale Antiterrorismo – le disposizioni processuali ed ordinamentali.

L’art. 9 del Decreto Legge (rubricato Modifiche al d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447, recante: “Approvazione del codice di procedura penale“), stabilisce al comma 4, lett. b) la modifica del comma 1 dell’art. 371-bis del cod. proc. pen. (ora rubricato Attività di coordinamento del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo) che nella sua nuova formulazione è così congegnato: “Il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo esercita le sue funzioni in relazione ai procedimenti per i delitti indicati nell’art. 51 comma 3- bis e comma 3-quater e in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia e terrorismo. In relazione ai procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis dispone della Direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l’impiego a fini investigativi“.

Tale disposizione presenta uno dei profili più problematici della disciplina di nuovo conio, atteso che la sostituzione delle parole «A tal fine» con le parole «In relazione ai procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis» ha determinato una evidente discrasia tra l’attribuzione, in capo al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, di una competenza di coordinamento in materia di terrorismo e la possibilità di disporre della direzione investigativa antimafia e dei “servizi centrali e interprovinciali delle Forze di polizia” e di “impartire direttive intese a regolarne l’impiego a fini investigativi“. Tale soluzione appare verosimilmente riconducibile alla scelta politica di riservare i compiti organizzativi, in questa delicata materia, in capo al Dipartimento della Pubblica Sicurezza ed ai vertici delle Forze di polizia. Di errore materiale nella riformulazione della norma sembra invece trattarsi (e diversamente sarebbe un grave arretramento nel contrasto) laddove il nuovo 371 bis sottrae la possibilità di disporre dei predetti servizi investigativi anche con riferimento ai “procedimenti di prevenzione antimafia“, per i quali tale potere era, invece, in precedenza previsto. Tale ipotesi appare confermata altresì dal fatto che la lettera h) del comma 3 dell’art. 371-bis, cod. proc. pen. abbia previsto, tra i procedimenti avocabili in caso di ineffettività del coordinamento, anche quelli relativi ai delitti di cui al comma 3-quater dell’art. 51, cod. proc. pen.; ciò che sembra quindi confermare l’ipotesi di un errore materiale nella riformulazione del comma 1, che va necessariamente corretto in sede di conversione.

Ma una correzione si impone, questa volta di sostanza, anche con riferimento alla
sopra citata sottrazione della disponibilità dei servizi centrali e interprovinciali di polizia, se non anche della direzione investigativa antimafia, per rendere effettivo il coordinamento del Procuratore nazionale. Sul punto vale anche considerare che tali funzioni di coordinamento, espressamente richiamate nel comma 2 dell’art. 371 bis, appaiono di fatto non compiutamente esercitabili o largamente compromesse dall’impossibilità di utilizzarsi tali servizi proprio nella materia del terrorismo, attesa la centralità in questo ambito del lavoro di elaborazione ed analisi del dato di conoscenza che direttamente da tai organi deve essere trasmesso alla Procura Nazionale anche al fine della effettiva formulazione di direttive intese a regolare l’impiego della polizia giudiziaria a fini investigativi per la completezza ed effettività delle investigazioni.
Si tratta di evitare che la funzione del coordinatore nazionale delle indagini antiterrorismo si riduca a mero simulacro, una etichetta di fatto priva di effettivi poteri. Del resto è semplice rilevare che il modello di coordinamento che prevede il previgente art. 371 bis c.p.p., sperimentato in materia antimafia, per i riconosciuti risultati conseguiti, non può che essere replicato nella materia antiterrorismo, attribuendo al Procuratore nazionale la disponibilità dei necessari poteri attraverso l’utilizzazione dei servizi centrali di polizia impiegati in materia terrorismo. E’ fortemente auspicabile, di conseguenza, la modifica in sede di conversione nel senso del ritorno alla previgente formulazione dell’art. 371 bis c.p.p, con il solo adeguamento nominalistico che aggiunge di volta in volta alla parola “antimafia”, quella “antiterrorismo”.

Occorre altresì prevedere all’art. 54 ter c.p.p., nel caso di un contrasto di competenza insorto tra diversi uffici del Pubblico ministero nei reati ex art. 51 co. 3 quater, da risolversi con decisione del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, la necessità di acquisizione dl parere del Procuratore Nazionale, coerentemente con quanto previsto per i reati indicati nell’art. 51 co. 3 bis c.p.p.. Si tratta di lacuna verosimilmente ascrivibile ad un errore materiale, considerato che invece è stato correttamente adeguata la norma, per certi versi speculare dell’ art. 54-quater, cod. proc. pen. nel caso di richiesta di trasmissione degli atti a un diverso Pubblico ministero avanzata dalle parti private.

Quanto alle disposizioni ordinamentali, va rilevato che contestualmente alla attribuzione delle nuove competenze, l’art. 10 del Decreto- legge n. 7/2015, modificando il d.lgs 6.09.2011 n.159, ha previsto la presenza, accanto al Procuratore Nazionale, di due magistrati con funzioni di Procuratore aggiunto, nonché, quali sostituti procuratori, di magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione di professionalità (comma 2), i quali “sono scelti tra coloro che hanno svolto, anche non continuativamente, funzioni di Pubblico ministero per almeno dieci anni e che abbiano specifiche attitudini, capacità organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti in materia di criminalità organizzata e terroristica” (comma 3).

Si tratta di norme sicuramente incomplete, che richiedono integrazioni in sede di conversione o normativa regolamentare accessoria, nella misura in cui esse non fanno riferimento all’ampliamento dell’organico dell’ufficio almeno nella misura di due unità da destinare al ruolo di procuratori aggiunti, e laddove non è specificata la qualifica che deve essere in possesso dei magistrati che concorrano all’assegnazione del posto di Procuratore Nazionale Antimafia ovvero ai due posti neo-istituiti di Procuratore aggiunto. Si tratta, queste ultime, di modifiche che devono intervenire necessariamente anche sul decreto legislativo n. 160 del 2006. Può suggerirsi un tessuto normativo in base al quale i sostituti svolgano funzioni requirenti di coordinamento nazionale per le quali sia richiesta la terza qualifica di professionalità, i procuratori aggiunti svolgano funzioni requirenti semidirettive di coordinamento nazionale per le quali sia prevista la quarta qualifica di professionalità, e il procuratore nazionale svolga funzioni direttive di coordinamento nazionale per le quali sia prevista la quinta valutazione di professionalità. Occorre prevedere poi in via generale per tutti i magistrati della Direzionale Antimafia e Antiterrorismo, con qualsiasi funzioni, che i criteri di valutazione per la nomina siano disgiunti e non congiuntivi, poiché altrimenti (se, ad esempio, si dovesse pretendere che ognuno abbia esperienze specifiche sia in materia di antimafia che di antiterrorismo) il campo degli aspiranti si ridurrebbe di gran lunga, anche a scapito della indubbiamente preminente – in fatto – della funzione di coordinamento antimafia. In questo ambito, oltre che in quello relativo alla istituzione e gestione della banca dati nazionale, sarebbe utile una norma di
attribuzione al C.S.M. di un potere regolamentare di dettaglio, tale da orientare al
momento dell’indizione del concorso le attitudini richieste in base alle concrete esigenze del momento dell’ufficio come rappresentate di volta in volta dal Procuratore Nazionale (necessità di magistrati esperti in criminalità organizzata e/o terrorismo).

XII. Ulteriori proposte di integrazione in sede di conversione.

L’espletamento della funzione consultiva richiesta dal ministero della Giustizia al C.S.M. in ordine al decreto Legge va inteso nel senso di includere anche segnalazioni in ordine a lacune relative alla stessa materia in trattazione. In particolare va rilevata la necessità di un ripensamento di sistema del ruolo di coordinamento che effettivamente va attribuito al Procuratore Nazionale. Ad ogni buon conto, rientra pienamente nei compiti del Consiglio Superiore, indipendentemente dalla richiesta di parere, formulare proposte di intervento normativo.
Ebbene ci si può limitare ad indicare i temi di un tale auspicabile intervento di completamento, che dia al tessuto normativo in via di approvazione definitiva i caratteri della completezza e sistematicità.

Deve pertanto segnalarsi l’opportunità:

1) dell’estensione al PNA del potere di proposta patrimoniale anche per le misure di prevenzione antiterrorismo attraverso una integrazione dell’art. 17 d.legs 359/2011;

2) della revisione della disciplina sui collaboratori di giustizia, che attualmente in materia di terrorismo prevede l’intervento dei Procuratori generali presso le Corti d’appello con funzioni di coordinamento, che a seguito dell’istituzione del Procuratore nazionale antiterrorismo vanno adeguatamente ripensati e rivisti attraverso la modifica della legge 45/2001;

3) della modifica dell’art. 47 d.legs 21.11.2007 n.231 in materia di “operazioni sospette” nel senso della trasmissione al PNA anche di quelle in materia di terrorismo, e non solo di quelle attinenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso.

4) della formale attribuzione in capo al Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo del ruolo di corrispondente nazionale (e/o punto di contatto) con Eurojust, nella materia del terrorismo, unitamente al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, che ha finito svolto tale ruolo.

5) dell’integrazione del comma 5 ter dell’art. 727 c.p.p. che prevede l’obbligo di trasmissione delle rogatorie al PNA nei procedimenti di cui all’art. 51 comma 3 bis
c.p.p., introducendo un analogo obbligo per le rogatorie relative ai reati ex art. 51 co. 3 quater., in considerazione della naturale connotazione transnazionale di tali fattispecie.

Infine, con riguardo alla norma che dispone i finanziamenti per le missioni internazionali e per la lotta al terrorismo internazionale, si segnala che l’utilizzo dell’espressione “Islamic State” può ingenerare equivoci sotto il profilo del diritto internazionale, laddove non sia preceduta dalla precisazione per cui quella espressione richiama la denominazione comunemente diffusa di una semplice organizzazione terroristica.
In altri termini, parrebbe opportuno sostituire l’espressione “contrasto alla minaccia terroristica dell’ Islamic State”di cui all’art.12 comma del decreto legge con l’espressione “contrasto alla minaccia derivante dalla organizzazione terroristica comunemente denominata Islamic State”.»

Il presente parere viene trasmesso al Ministro della Giustizia.

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