Provvedimento Corte EDU 25.10.2018 Provenzano vs. Italia su “Insufficienza assistenza sanitaria”

[CLASSIFICAZIONE]

DIVIETO DI TRATTAMENTI INUMANI O DEGRADANTI – REGIME SPECIALE PREVISTO DALL’ART. 41 BIS O.P. – DETENUTO AFFETTO DA PATOLOGIA INVALIDANTE – ASSISTENZA SANITARIA PRESTATAGLI DALL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA – VIOLAZIONE – ESCLUSIONE – PROROGA DI TALE REGIME IN DIFETTO DI ADEGUATA VALUTAZIONE DELLE CONDIZIONI PERSONALI – VIOLAZIONE

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione,artt. 27, comma terzo e 13, comma quarto;

Convenzione EDU, art. 3;

Normativa nazionale:L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41 bis

[SENTENZA SEGNALATA]

Corte e.d.u., Sez. I, 25 ottobre 2018 (n. 55080/13)

Divieto di tortura e di trattamento inumano o degradante – Art. 3, Convenzione e.d.u. – Regime speciale dell’art. 41 bis, legge n. 354 del 1975 – Detenuto affetto da patologia invalidante – Asserita insufficienza dell’assistenza sanitaria prestatagli durante il periodo di detenzione – Esclusione – Proroga del predetto regime detentivo in difetto della valutazione delle condizioni personali di salute – Violazione.

Abstract. La Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza in esame, pronunciandosi sul caso riguardante il detenuto Bernardo Provenzano, oggi deceduto, in cui si discuteva della legittimità della decisione delle autorità italiane di prorogare il regime previsto dall’art. 41 bis, della legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario) nei confronti del medesimo nonostante questi fosse affetto da una patologia che rendeva difficile la prosecuzione del relativo regime detentivo speciale, pur escludendo che vi fosse stata una violazione dell’art. 3 della Convenzione EDU con riferimento all’asserita insufficienza dell’assistenza sanitaria prestatagli durante il periodo di detenzione, ha tuttavia ritenuto violata la predetta norma convenzionale per aver il nostro Paese consentito – in difetto di un’adeguata valutazione delle sue condizioni personali di salute – la prosecuzione del predetto regime speciale detentivo fino alla sua morte, malgrado la malattia invalidante da cui questi era affetto.

La violazione a carico dell’Italia ha in definitiva riguardato solo l’obbligo ‘procedurale’ a carico dello Stato per non aver offerto in concreto gli strumenti per verificare che il regime speciale dell’art. 41 bis o.p. fosse stato applicato in coerenza con il parametro CEDU. Diversamente, è stata esclusa la violazione della predetta norma convenzionale quanto al fatto che lo Stato italiano avesse introdotto un istituto contrastante con la Convenzione e.d.u.

1. Il caso

Il caso, deciso il 25 ottobre u.s., traeva origine da un ricorso (n. 55080/13) contro l’Italia, presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione e.d.u., da Bernardo Provenzano, ora deceduto, cittadino italiano nato nel 1933.

Il Provenzano era stato arrestato nel 2006. Successivamente era stato ritenuto colpevole di numerosi reati di estrema gravità, riportando numerose condanne all’ergastolo. Dopo il suo ar-resto, era stato ristretto in regime detentivo di rigore, previsto dall’art. 41 bis della legge n. 354 del 1975, regime restrittivo che impedisce ai detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 4-bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. Tale regime penitenziario prevede in particolare numerose restrizioni sulle possibilità di visita da parte dei familiari del detenuto, il divieto di utilizzare il telefono ed il controllo della corrispondenza. Il regime per il Provenzano era stato esteso ogni anno fino al 2010, poi ogni due anni fino al 2016. Egli era stato detenuto nelle strutture carcerarie di Parma e Milano. A causa del progressivo deterioramento delle sue condizioni di salute durante il periodo di detenzione, si era verificato anche un considerevole decadimento delle facoltà intellettive.

Alla fine del 2013 egli era stato permanentemente costretto a restare a letto ed era alimentato artificialmente con un sondino gastrico. Era stato poi ospedalizzato nel 2014 nell’ala detenuti dell’ospedale civile San Paolo a Milano, in cui era rimasto fino alla sua morte, avvenuta nel 2016. Fra il 2013 e il 2016 aveva inutilmente avanzato istanze alle Autorità preposte richiedendo la sospensione dell’esecuzione della pena per motivi di salute nonché la revoca del regime detentivo speciale cui era sottoposto. Le Autorità italiane, basandosi su relazioni mediche e su una perizia redatta da alcuni esperti appositamente nominati, avevano ritenuto che egli stesse ricevendo un trattamento sanitario appropriato, sia durante il periodo di detenzione scontato a Parma che durante il periodo di detenzione ospedaliera di cui aveva beneficiato nell’ospedale di Milano. Inoltre, le Autorità italiane avevano ritenuto che il regime speciale fosse ancora giustificato a tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica.

2. Invocando in particolare l’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Con-venzione EDU, il Provenzano si era lamentato dell’insufficiente assistenza sanitaria in carcere, nonché per la decisione delle autorità italiane di prorogargli il periodo detentivo in regime di carcere “duro” fino alla sua morte, malgrado la patologia invalidante da cui era affetto.

Il ricorso era stato presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo il 25 luglio 2013. Il Provenzano era deceduto il 13 luglio 2016, ma la causa era proseguita per volontà del figlio con dichiarazione comunicata alla Corte EDU l’11 agosto dello stesso anno.

3. La Corte di Strasburgo ha, anzitutto, escluso che potesse ritenersi violato l’art. 3 della Convenzione EDU per la sola decisione delle autorità italiane di far scontare al Provenzano la propria pena in carcere sotto il regime speciale previsto dall’art. 41 bis, citato.

Sul punto, i giudici europei hanno ritenuto che, alla luce della documentazione offerta dalle Autorità italiane, lo stato detentivo del ricorrente di per sé non potesse essere considerato incompatibile con il suo – anche se grave – stato di salute e con la sua età avanzata, né che, tenuto conto delle cure sanitarie somministrategli in carcere, la sua salute e benessere non fossero stati adeguatamente protetti.

4. Diversamente, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto violato l’art. 3 della Convenzione EDU per quanto concerneva la decisione delle Autorità italiane di mantenerne lo stato detentivo carcerario nel regime speciale previsto dall’art. 41 bis, O.P.

Sul punto, la Corte EDU ha rilevato che, relativamente al periodo fra l’emissione dell’ordine di prosecuzione del regime detentivo nel marzo 2012 ed il suo rinnovo nel marzo 2014, era provato che la salute del Provenzano si fosse considerevolmente deteriorata, tanto da richiedere un intervento neurochirurgico. La prova del suo deterioramento cognitivo, già presente nelle perizie medico – legali dal 2012 (tanto da essere stato descritto come “serio” in una perizia medico – legale di dicembre 2013) era data dalla difficoltà di esprimersi verbalmente, tanto che il modo di parlare del detenuto era stato descritto come incoerente ed incomprensibile.

La Corte in particolare ha stigmatizzato la circostanza che non si fosse prestata particolare attenzione, nel “rinnovare” il regime detentivo speciale nel 2014, al deterioramento cognitivo del Provenzano, malgrado la sua serietà e l’impatto potenziale che tale situazione patologica aveva sulla valutazione dell’esigenza di continuare a mantenere nei suoi confronti tale speciale regime restrittivo.

5. Venendo, poi, all’ordine del Ministro della Giustizia di prorogare il trattamento penitenziario previsto dall’art. 41 bis O.P. nel marzo 2016, tenuto conto della “serietà” della situazione, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che nel rinnovare il regime del c.d. carcere duro, si sarebbe dovuto motivare in maniera molto più dettagliata, illustrando le ragioni che militavano a favore della proroga di tale regime carcerario, ma soprattutto si sarebbe dovuto tener conto del deterioramento cognitivo del ricorrente che si era progressivamente evoluto.

Orbene, la Corte EDU ha rilevato che mentre tale provvedimento ministeriale forniva una descrizione dettagliata della storia criminale del Provenzano, del suo ruolo importante nel sodalizio criminoso, della continua operatività di tale organizzazione, diversamente, quanto al tema centrale della “necessità” di mantenere il regime detentivo speciale a fronte del progressivo deterioramento delle sue facoltà fisiche e mentali – se si eccettuano un paio di riferimenti alle relazioni della DDA di Palermo e della DNA -, non si faceva menzione alcuna della particolare situazione di decadimento intellettivo del ricorrente.

Inoltre, non sembrava esservi traccia nel testo del provvedimento di una valutazione esplicita e autonoma da parte del Ministro della Giustizia della situazione del ricorrente al momento dell’assunzione della decisione. Il limitato spazio dedicato a tali questioni e la mancanza di una valutazione esplicita ha reso quindi difficile alla Corte EDU accertare se, in che modo e fino a che punto tali circostanze fossero state ponderate dal Ministero della Giustizia al momento di valutare il rinnovo o meno delle restrizioni connesse al regime carcerario detentivo.

Di conseguenza, la Corte EDU ha concluso rilevando che il provvedimento ministeriale fosse insufficientemente motivato non emergendo una “rivalutazione effettiva” quanto al mutamento del quadro sanitario del ricorrente, in particolare con riferimento al suo decadimento cognitivo divenuto critico.

6. Alla luce di quanto sopra, la Corte EDU ha ritenuto che il Governo italiano non avesse dimo-strato in modo convincente che, tenuto conto delle circostanze particolari del caso, la proroga del regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis, legge n. 354 del 1975, fosse giustificata.

Da qui, l’accertata violazione dell’articolo 3 della Convenzione EDU, per il periodo successivo alla proroga del “carcere duro” disposta con provvedimento del Ministro del 23 marzo 2016.

7. Quanto alla compatibilità del regime del “41 bis” con l’art. 3 della Convenzione EDU, si ricorda che la Corte già ha avuto più volte l’opportunità di valutare il regime detentivo speciale in tantissimi casi ed ha concluso che, in relazione ai casi esaminati, l’imposizione del regime non comporta problemi rispetto all’articolo 3, anche quando è stato imposto per lungo periodo (vedi, ex multiscaso Enea c. Italia [GC] del 17 settembre 2009, n. 74912/01; caso Campisi c. Italia dell’11 luglio 2006, n. 24358/02; caso Paolello c. Italia (dec.) del 24 settembre 2015, n. 37648/02).

In tali casi, la Corte EDU ha ritenuto che, al fine di ritenere coerente l’applicazione estesa di determinate restrizioni nell’ambito del regime del “41 bis”, è necessario il raggiungimento di una soglia minima di severità richiesta per ricadere nell’ambito dell’articolo 3, il che dipende anche dalla durata, il che impone un esame alla luce delle circostanze di ogni caso, ciò comportando, tra l’altro, l’accertamento se il rinnovo o la proroga delle restrizioni sia o meno giustificato (vedi, tra le altre, oltre al caso Enea c. Italia, citato sopra, il caso Campisi, citato sopra; il caso Paolello, citato sopra, e, mutatis mutandis, il caso Ramirez Sanchez c. Francia [GC] del 4 luglio 2006, n. 59450/00).