Rassegna Cassazione civile febbraio marzo 2018

di Andrea Penta

Nel bimestre in esame numerose e significative sono state le pronunce emesse dalle Sezioni Unite.

Molto attesa era quella con la quale è stato affermato che la costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune diviene per accessione, ai sensi dell’art. 934 c.c., di proprietà comune ai comproprietari del suolo, salvo contrario accordo, traslativo della proprietà del suolo o costitutivo di un diritto reale su di esso, che deve rivestire la forma scritta “ad substantiam”. II consenso alla costruzione manifestato dal comproprietario non costruttore, pur non essendo idoneo a costituire un diritto di superficie o altro diritto reale, gli preclude lo “ius tollendi”. Ove lo “ius tollendi” non sia o non possa essere esercitato, i comproprietari del suolo sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprietà, le spese sopportate per l’edificazione dell’opera (Sez. U. Civili, sentenza n. 3873 del 16 febbraio 2018, Pres. R. Rordorf, est. L. Lombardo).

In materia di lavoro, è stato statuito che, qualora sia accertata l’illegittimità dell‘interposizione di manodopera  e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’omesso ripristino del rapporto imputabile al committente determina il suo obbligo di corrispondere le retribuzioni, salvo gli effetti dell’art. 3 bis d.lgs. n. 276 del 2003, a decorrere dalla messa in mora (Sez. U. Civili, sentenza 7 febbraio 2018, n. 2990, Pres. R. Rordorf, est. E. D’Antonio).

Nel medesimo ambito, risolvendo una questione di massima di particolare importanza, hanno ritenuto la natura previdenziale del trattamento pensionistico erogato dai fondi pensioni integrativi, escludendo che ad esso si applichi il divieto di cumulo previsto dall’art. 16, comma 6, della I. n. 412 del 1991 in quanto corrisposto da datori di lavoro privati. Ne consegue che ai relativi accessori non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria e nell’ammissione allo stato passivo del fallimento, o della liquidazione coatta amministrativa, del datore di lavoro esso non è assistito da privilegio (Sez U. Civili, sentenza n. 6928 del 20 marzo 2018, Pres. G. Mammone, est. L. Tria).

Ugualmente molto attesa era la decisione in tema di rito applicabile alle controversie instaurate da un avvocato per il compenso professionale dovutogli. A tal riguardo, le Sezioni Unite, risolvendo questioni di massima di particolare importanza, hanno affermato che:

1)      è esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui agli artt. 702 bis e segg. c.p.c.;

2)      la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, sia se introdotta ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull’an debeatur quanto se non vi sia;

3)      una volta introdotta, essa resta soggetta al rito di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, anche quando il cliente sollevi contestazioni riguardo all’an;

4)      soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli in via riconvenzionale o di compensazione o di accertamento pregiudiziale, l’introduzione di una domanda ulteriore e la sua esorbitanza dal rito di cui all’art. 14 comporta − sempre che non si ponga anche un problema di connessione ai sensi degli artt. 34, 35 e 36 c.p.c., e, se è stata adita la corte di appello, il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di primo grado, che ne impone la rimessione ad esso − che si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario (Sez. U civili, sentenza n. 4485 del 23 febbraio 2018 Pres. G. Canzio, Est. R. Frasca).

In tema di colpa medica, le Sezioni unite hanno chiarito che l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio dell’attività medico chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche ” lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni  delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche ” lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta delle linee guida  o di buone pratiche clinico – assistenziali non adeguate alla specificità  del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee – guida o buone pratiche clinico – assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire  e delle speciali difficoltà dell’atto medico (Sezioni unite, sentenza n. 8770/18, u.p. 21/12/2017, dep. 22/02/2018, Pres. G. Canzio, Rel. M. Vessichelli ).

Nel medesimo periodo estremamente prolifera è stata la Prima Sezione.

Proseguendo nel solco di una precedente pronuncia a Sezioni Unite (est. Giusti), ha affermato che l’adottato ha diritto, nei casi di cui all’art. 28, comma 5, della l. n. 184 del 1983, di conoscere le proprie origini, accedendo alle informazioni concernenti non solo l’identità dei genitori biologici, ma anche quella delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo loro interpello mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle dette informazioni o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto (Sez. 1, sentenza 20 marzo 2018, n. 6963, Pres. S. Di Palma; Relatore M. Acierno).

La stessa Sezione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sez. U in ordine ad una pluralità di questioni di massima di particolare importanza sottese alla decisione relativa all’efficacia, nell’ordinamento interno, del provvedimento giurisdizionale canadese di riconoscimento della doppia genitorialità ad una coppia omoaffettiva maschile, unita in matrimonio nello Stato estero. Sono state sottoposte al vaglio delle Sez. U: la legittimazione ad agire in giudizio del PG presso la Corte di appello, del Sindaco e del Ministero dell’Interno, la nozione di ordine pubblico e la configurabilità della carenza assoluta di potere giurisdizionale in capo alla Corte d’appello che, ex art. 67 l. n. 218 del 1995, ha ritenuto efficace e trascrivibile il provvedimento in oggetto (Sez. 1 civile, ord. interlocutoria n. 4382 del 22 febbraio 2018, Pres. M. C. Giancola, Rel F. A. Genovese).

Ha, inoltre. affermato che, in caso di intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, il fiduciante, il quale lamenti che la definitiva uscita dalla società del fiduciario, a seguito del mancato esercizio del diritto di opzione, sia dipesa dalla falsità della situazione patrimoniale, redatta dagli amministratori e sottoposta all’assemblea per l’abbattimento e la ricostituzione del capitale sociale, ex art. 2447 c.c., è legittimato ad esperire l’azione individuale del terzo di cui all’art. 2395 c.c. per il risarcimento del danno a lui direttamente cagionato dalla lesione al diritto al ritrasferimento della partecipazione sociale (Sez. 1, ordinanza n. 3656, del 14 febbraio 2018, Pres. A. Ambrosio, Rel. L. Nazzicone).

Ha ancora rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sez. U della questione di massima di particolare importanza, oggetto altresì di contrasto, riguardante la proponibilità dell’azione revocatoria nei confronti di un soggetto già fallito  (Sezione Prima civile, ord. interlocutoria 25 gennaio 2018, n. 1894, Presidente A. Didone, Relatore M. Cristiano).

Non mero prolifica è stata la Seconda Sezione.

In primo luogo, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), della l. n. 89 del 2001, come introdotto dall’art. 55, comma 1, lett. a), n. 2, del d. l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 6, 13 e 46, della CEDU, nella parte in cui, relativamente ai giudizi penali in cui il termine di durata ragionevole di cui all’art. 2 bis della legge n. 89 del 2001 sia superato in epoca successiva alla sua entrata in vigore, e per la loro intera durata, subordina la proponibilità della domanda di equa riparazione alla presentazione dell’istanza di accelerazione (Sez. 2, ord. 31 gennaio 2018, n. 2438, Presidente S. Petitti, Relatore M. Criscuolo).

Sulla stessa falsariga, la Sezione ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 117, comma 1, Cost. ed ai parametri interposti degli artt. 6, par. 1, e 45, par. 1, della CEDU, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), della l. n. 89 del 2001, come introdotto dall’art. 55, comma 1, lett. a), n. 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, nella parte in cui qualifica l’istanza di accelerazione quale condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata dei giudizi penali  (Sez. 2, Ordinanza 16 marzo 2018, n. 6568, Pres. S. Petitti, Rel. G. Chiesi).

Ha, inoltre, opportunamente chiarito che, ove col ricorso per cassazione si denunci la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, processuali o sostanziali, il principio di specificità dei motivi, ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., va letto in correlazione col disposto dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., con conseguente inammissibilità, per difetto di tale requisito, del motivo che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la “ratio decidendi” della sentenza impugnata con la giurisprudenza della Corte e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare tale giurisprudenza  (Sezione Sesta-Seconda Civile, Ordinanza 2 marzo 2018, n. 5001, Presidente F. Manna, Relatore L.G. Lombardo).

Ha reputato rilevante e non manifestamente infondata – in relazione agli articoli 24, 111 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento all’articolo 6 CEDU e all’art. 14, comma 3, lett. g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo in Italia con la l. n. 881 del 1977, nonché in relazione agli articoli 11 e 117 Cost., con riferimento all’articolo 47 CDFUE, – la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 187 quinquiesdecies T.U.F., nel testo originariamente introdotto dall’articolo 9, comma 2, lett. b), della l. n. 62 del 2005 – nella parte in cui detto articolo sanziona la condotta consistente nel non ottemperare tempestivamente alle richieste della CONSOB o nel ritardare l’esercizio delle sue funzioni  anche nei confronti di colui al quale la medesima CONSOB, nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza, contesti un abuso di informazioni privilegiate (Seconda Sezione Civile, ordinanza 16 febbraio 2018, n. 3831, Presidente S. Petitti, Relatore A. Cosentino).

Con riferimento alla Terza Sezione, meritano di essere segnalate tre pronunce.

Con la prima ha sollevato innanzi alla Corte di Giustizia UE, ex art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), la questione pregiudiziale concernente la contrarietà agli artt. 14 e 106, par. 2 del TFUE ed all’inquadramento nello schema del servizio di interesse economico generale (SIEG), degli artt. 10, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992, 2, commi 18-20, della l. n. 662 del 1996 e 3 comma 1 del DPR n. 144 del 2001, con i quali viene prevista una riserva di attività in regime di monopolio a favore di Poste italiane s.p.a., avente ad oggetto l’obbligo, per il concessionario, di apertura di un conto corrente postale per la riscossione dell’ICI, nonché, ove si ritenga tale monopolio legale rispondente alle caratteristiche dei SIEG, se il potere di determinazione unilaterale dell’importo della “commissione” attribuito al monopolista ed il relativo pagamento dovuto dal concessionario ostino agli artt.106, par. 2 e 107, par. 1, TFUE, come interpretati dalla Corte di giustizia, con riferimento ai criteri di distinzione tra una misura legittima compensatoria degli obblighi di servizio pubblico ed un illegittimo aiuto di Stato (Terza Sezione Civile, Ordinanza 6 marzo 2018, n. 5342, Pres. M.M. Chiarini, Est. S. Olivieri).

Con la seconda ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sez. U della questione, ritenuta di massima di particolare importanza, se per i contratti stipulati dalle aziende speciali partecipate dallo Stato, o dagli enti pubblici, sia o meno prescritto il requisito della forma scritta ad substantiam (Sez. 3, ord. 14 febbraio 2018, n. 3566, Pres. A. Spirito, Est. A. Pellecchia).

Con la terza ha affermato che la violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali, in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto, coincide con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere, una volta attestato il colpevole ritardo diagnostico della condizione patologica, l’assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno con liquidazione equitativa (Sez. 3 ord. n. 7260 del 23 marzo 2018, Pres. G. Travaglino, rel. M. Dell’Utri).

La Sezione Lavoro, adeguandosi all’interpretazione resa dalla Corte di Giustizia UE con sentenza del 19 luglio 2017 in causa C-143/16 (cd. Abercrombie), ha escluso che l’art. 34, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, la cui formulazione “ratione temporis” applicabile limita la stipula del contratto di lavoro intermittente ai soggetti con meno di venticinque anni di età, violi il principio di non discriminazione in base all’età , di cui alla Direttiva n. 2000/78/CE ed all’art. 21, n.1, della cd. Carta di Nizza, perseguendo tale norma la finalità di favorire l’accesso al mercato del lavoro (Sez. Lavoro, sentenza 21 febbraio 2018, n. 4223, Pres. V. Nobile, Est. G. Bronzini).

Ha, inoltre, affermato che il differimento di efficacia delle modalità di remunerazione introdotte dal d. lgs. n. 368 del 1999 ai medici iscritti alle scuole di specializzazione a partire dall’anno accademico 2006-2007 non determina una irragionevole disparità di trattamento rispetto ai medici iscritti in precedenza (Sez. L, sentenza n. 4449 del 23 febbraio 2018 Pres V. Di Cerbo, est. A. Torrice).

La Sezione ha altresì trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sez. U. della questione, ritenuta di massima di particolare importanza, relativa alla inclusione o meno nella nozione di superstiti delle vittime del dovere, di cui ai commi 562-565 della l. n. 266 del 2005, anche dei fratelli e sorelle non conviventi, né a carico della vittima, al momento del decesso, o piuttosto se tale estensione vada limitata ai superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (Sez. L., ord. 21 febbraio 2018, n. 4230, Presidente U. Berrino, Relatore D. Calafiore).

In tema di malattia professionale, ha precisato che la tutela assicurativa INAIL va estesa ad ogni forma di tecnopatia, fisica o psichica, che possa ritenersi conseguenza dell’attività lavorativa, sia che riguardi la lavorazione che l’organizzazione del lavoro e le sue modalità di esplicazione, anche se non compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi specificamente indicati in tabella, dovendo il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causalità tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata (Sezione Lavoro, ordinanza 5 marzo 2018, n. 5066, Presidente G. Mammone, Relatore R. Riverso).

Da ultimo, ha chiarito che, qualora l’assicurato, dopo l’entrata in vigore dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, subisca un infortunio osia affetto da una malattia professionale che aggravi una menomazione preesistente, determinata da uno o più eventi lesivi già indennizzati secondo la previgente disciplina, il nuovo grado di menomazione andrà valutato, secondo il principio di non unificazione dei postumi di  cui al comma 6, seconda parte, art. 13 cit., senza tener conto delle preesistenze, e senza che rilevi se il nuovo danno sia concorrente, coesistente o riguardi lo stesso apparato inciso dalla precedente menomazione, con conseguente erogazione di due autonome prestazioni (Sez. L, sentenza 13 marzo 2018, n. 6048, Pres. G. Mammone, Relatore R. Riverso).

La Sez. Tributaria ha affermato che l’art. 29, comma 1, del d.l. n. 185 del 2008 conv., con modif., in l. n. 2 del 2009, non contrasta con i principi vigenti in tema di legittimo affidamento, laddove introduce un tetto massimo al credito d’imposta fruibile anche per le spese di ricerca e di sviluppo  già sostenute al momento della sua entrata in vigore, in quanto detta tutela arretra quando l’intervento normativo è giustificato dalla salvaguardia di principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, nella specie riconducibili all’esigenza di mantenere il bilancio dello Stato all’interno dei parametri approvati (anche) in sede europea e, nel contempo, di rilanciare l’economia in una situazione eccezionale di crisi internazionale generalizzata (Sez. T, ordinanza n. 5733, del 9 marzo 2018, Pres. Cappabianca A., Rel. Venegoni A.).

Premesso che nel processo tributario la produzione di documenti nuovi in appello, consentita ex art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, deve avvenire entro venti giorni liberi antecedenti l’udienza di comparizione, l’inosservanza di detto termine può essere sanata ove il documento sia stato già prodotto, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, poiché nel processo tributario i fascicoli sono inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, sicché la documentazione ivi inserita entra automaticamente e “ritualmente” nel giudizio di impugnazione (Sezione Tributaria, sentenza 7 marzo 2018, n.  5429, Pres. A. Cappabianca A., Est. L. D’Orazio).

Ha, infine, affermato che, nell’ipotesi di interruzione del consolidato fiscale nazionale prima del triennio di scadenza  trova applicazione l’art. 124, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986, il quale sancisce il principio dell’esclusiva disponibilità delle eccedenze di imposta riportate a nuovo nell’ambito della tassazione di gruppo in capo alla società controllante, che, pertanto, è l’unica legittimata a chiederne il rimborso (Sez. T, sentenza n. 4155, del 21 febbraio 2018, Pres. Cappabianca A., Est. Condello P.A.P.).