Rassegna Cassazione civile maggio/giugno 2019 a cura di Andrea Penta

Nel bimestre in esame numerose e significative sono state le pronunce delle Sezioni Unite.

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che la grave violazione di legge, fonte di responsabilità ai sensi dell’art. 2, lett. a) della l. n. 117 del 1988, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 18 del 2015, va individuata nelle ipotesi in cui la decisione appaia non essere frutto di un consapevole processo interpretativo, ma contenga affermazioni ad esso non riconducibili perchè sconfinanti nel provvedimento abnorme o nel diritto libero, e pertanto caratterizzate da una negligenza inesplicabile, prima ancora che inescusabile, restando pertanto sottratta alla operatività della clausola di salvaguardia di cui all’art. 2, comma 2 della legge citata, ipotesi che può verificarsi in vari momenti dell’attività prodromica alla decisione, in cui la violazione non si sostanzia negli esiti del processo interpretativo, ma ne rimane concettualmente e logicamente distinta, ossia quando l’errore del giudice cada sulla individuazione, ovvero sulla applicazione o, infine, sul significato della disposizione, intesa quest’ultima come fatto, come elaborato linguistico preso in considerazione dal giudice che non ne comprende la portata semantica (Sez. Unite, sentenza n. 11747 del 3 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore L. Rubino).  

Con la stessa pronuncia, hanno affermato che, in tema di responsabilità civile dello Stato per danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, la presenza di una motivazione non è condizione necessaria e sufficiente ad escludere sempre la ammissibilità di un’azione di responsabilità per grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile, ma è di certo ausilio alla comprensibilità della decisione e quindi, di regola, è un elemento per escludere, alla luce del testo originario della l. n. 117 del 1988, la stessa sindacabilità della scelta decisionale, in quanto consapevole frutto del processo interpretativo; per contro, non tutti i casi di mancanza della motivazione, ancorchè la pronunzia si ponga in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, sono fonte di responsabilità, purchè la scelta interpretativa sia ugualmente riconoscibile.

Decidendo su altra questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che il rifiuto di procedere alla trascrizione nei registri dello stato civile di un provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero ed un cittadino italiano, se non determinato da vizi formali, dà luogo ad una controversia di stato, da risolversi mediante il procedimento disciplinato dall’art. 67 della legge n. 218 del 1995, in contraddittorio con il Sindaco, in qualità di ufficiale dello stato civile, ed eventualmente con il Ministero dell’interno, legittimato a spiegare intervento nel giudizio, in qualità di titolare della competenza in materia di tenuta dei registri dello stato civile, nonché ad impugnare la relativa decisione (Sez. Unite, sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore G. Mercolino).  

A risoluzione di contrasto, hanno affermato che l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie (S.U., sentenza n. 15895, del 13 giugno 2019, Pres. F. Tirelli, Est. M.G. Sambito).

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che nel giudizio avente ad oggetto il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero ed un cittadino italiano, il Pubblico Ministero riveste la qualità di litisconsorte necessario, ai sensi dell’art. 70, comma 1, n. 3 c.p.c., ma è privo della legittimazione ad impugnare la relativa decisione, non essendo titolare del potere di azione, neppure ai fini dell’osservanza delle leggi di ordine pubblico (Sez. Unite, sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore G. Mercolino).

Le Sez. U. hanno affermato che, ai fini del decorso degli interessi in ipotesi di ripetizione di indebito oggettivo, il termine “domanda” di cui all’art. 2033 c.c., non va inteso come riferito esclusivamente alla domanda giudiziale ma comprende, anche, gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell’art. 1219 c.c. (S.U., sentenza n. 15895, del 13 giugno 2019, Pres. F. Tirelli, Est. M.G. Sambito).

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che, in tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, deve essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico (Sez. Unite, sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore G. Mercolino).

Con lo stesso provvedimento, hanno affermato che il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983 (Sez. Unite, sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore G. Mercolino).

A risoluzione di contrasto, hanno affermato che, in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi  (Sez. Unite, sentenza n. 11748 del 3 maggio 2019, Presidente P. Curzio, Estensore A. Cosentino).

Su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che, in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall’art. 75, comma 3, c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651-bis, 652, e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato (S.U., sentenza n. 13661, del 21 maggio 2019, Pres. G. Mammone, Est. A.M. Perrino).

A risoluzione di contrasto, hanno affermato che lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza, purchè la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio contro fattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integrino uno sviluppo oggettivamente anomalo (Sez. Unite, sentenza n. 13246 del 16 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore F. De Stefano).

A risoluzione di contrasto su questione ritenuta anche di massima di particolare importanza, hanno affermato che, ai sensi dell’art. 111, comma 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, la prescrizione dell’azione per conseguire le prestazioni INAIL resta sospesa per tutta la durata della liquidazione amministrativa della prestazione e fino all’adozione di un provvedimento di accoglimento o di diniego da parte dell’Istituto, e che, con il decorso del termine di 150 gg. previsto dall’art. 104, o di 210 gg., di cui all’art. 83 dello stesso decreto, è rimossa la condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria con facoltà per l’assicurato di agire in giudizio a tutela della posizione giuridica soggettiva rivendicata (Sezioni Unite, sentenza 7 maggio 2019, n. 11928, Presidente S. Petitti, Relatore F. Garri).

Su questione di massima di particolare importanza, in tema di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, hanno affermato che, ai sensi dell’art. 31, comma 3, T.U. immigrazione, approvato con il d.lgs. n. 286 del 1998, il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero; nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto dell’istanza di autorizzazione all’esito  di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con il suo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario, ma non assoluto (S.U., sentenza n. 15750, del 12 giugno 2019, Pres. G. Mammone, Est. A. Giusti).

Molto prolifica è stata altresì, nel periodo, la Prima Sezione.

Ha affermato che, in caso di nascita mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita, l’art. 8 della legge n. 40 del 2004 sullo status del nato con PMA si applica – a prescindere dalla presunzione ex art. 234 c.c. – anche all’ipotesi di fecondazione omologa post mortem avvenuta utilizzando il seme crioconservato del padre, deceduto prima della formazione dell’embrione, che in vita abbia prestato, congiuntamente alla moglie o alla convivente, il consenso, non successivamente revocato, all’accesso a tali tecniche ed autorizzato la moglie o la convivente al detto utilizzo dopo la propria morte (Prima Sezione civile, sentenza n. 13000 del 15 maggio 2019, Pres. M. Acierno, est. E. Campese).

Ha, inoltre, rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., le seguenti questioni in tema di protezione internazionale e di immigrazione: a) se la normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e delle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, trovi applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge o se, per converso – come ritenuto da Sez. 1, ord. 19 gennaio 2019, n. 4890 –  le domande in parola debbano essere scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione; b) se il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al su richiamato art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, debba o meno fondarsi – come ritenuto da Sez. 1 ord. 23 febbraio 2018, n. 4455 –  su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Sezione 1, Ord. 3 maggio 2019, n. 11749, Pres. A Genovese, Est. A. Lamorgese).

Ha, ancora, affermato il seguente principio di diritto: «L’art. 31 della Convenzione di New York, che prevede la non espellibilità di un apolide se non nei casi di documentata sussistenza dei motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico, si estende in via analogica anche alle situazioni di apolidia di fatto e/o nelle more del procedimento per accertare lo stato di apolidia, quando la situazione del soggetto emerge chiaramente dalle informazioni o dalla documentazione delle autorità pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale può ravvisarsi un collegamento significativo con il soggetto interessato» (Prima Sezione civile, sentenza n. 16489 del 19 giugno 2019, Pres. F.A. Genovese, est. G. Bisogni).

In tema di amministrazione di sostegno, dopo aver ribadito che la procedura di nomina dell’amministratore non presuppone che la persona interessata versi in uno stato d’incapacità d’intendere o di volere, essendo sufficiente che sia priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, ha stabilito che la designazione anticipata dell’amministratore di sostegno da parte dello stesso interessato, in vista della propria eventuale futura incapacità, prevista dall’art. 408, comma 1, c.c., non ha esclusivamente la funzione di scegliere il soggetto che, ove si presenti la necessità, il giudice tutelare deve nominare, ma ha altresì la finalità di consentire al designante, che si trovi ancora nella pienezza delle proprie facoltà cognitive e volitive, di impartire delle direttive vincolanti sulle decisioni sanitarie o terapeutiche da far assumere in futuro all’amministratore designato; tali direttive possono anche prevedere il rifiuto di determinate cure, in quanto il diritto fondamentale della persona all’autodeterminazione, in cui si realizza il valore fondamentale della dignità umana, sancito dall’art. 32 Cost., dagli art. 2, 3 e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalle convenzioni internazionali, include il diritto di rifiutare la terapia, come nell’ipotesi di aderente alla confessione religiosa dei Testimoni di Geova, che in sede di designazione anticipata abbia preventivamente manifestato la sua irrevocabile volontà di non essere sottoposto, neanche in ipotesi di morte certa ed imminente, a trasfusioni a base di emoderivati (Sezione Lavoro, 15/5/2019, n. 12998 – Presidente A. Valitutti, estensore R. Caiazzo).

Ha, infine, affermato – ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c. – il seguente principio di diritto: «le prescrizioni presuntive di cui agli artt. 2954 ss. c.c. sono fenomeni di natura probatoria, sostanziandosi in presunzioni di “avvenuto pagamento”; non dà perciò luogo a prescrizione presuntiva la fattispecie in cui una frazione del tempo stabilito dalla norma di legge fondante la stessa sia decorsa dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, pur se prima che il creditore abbia presentato domanda di insinuazione nel relativo passivo» (Prima Sezione civile, sentenza n. 16123 del 14 giugno 2019, Pres. A. Didone, est. A.A. Dolmetta).

Alla Seconda Sezione si deve la pronuncia con la quale, in tema di compensi professionali, sono stati rimessi gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, profilando la questione di massima di particolare importanza, se, nell’attuale quadro normativo, esclusa la possibilità di proporre la domanda in via ordinaria o ai sensi degli artt. 702 bis e ss. c.p.c., resti tuttora impregiudicata la possibilità di chiedere i compensi per attività svolte in più gradi in un unico processo innanzi al giudice che abbia conosciuto per ultimo della controversia, ovvero, se residui la sola alternativa di proporre più domande autonome dinanzi ai singoli giudici aditi per il processo o di cumularle davanti al tribunale competente ex art. 637 c.p.c., con salvezza del foro del consumatore (Sesta Sezione civile, Sottosezione Seconda, ordinanza n. 16212 del 17 giugno 2019, Pres. P. D’Ascola, est. G. Fortunato).

La Terza Sezione si segnala per tre pronunce.

Con la prima ha chiarito che, nel giudizio civile di rinvio innanzi alla Corte d’appello civile ex art. 622 c.p.p., a seguito di annullamento (su impugnazione della parte civile) di sentenza di assoluzione disposto dalla Corte di cassazione penale ai soli effetti civili, la Corte d’appello competente per valore deve applicare le regole, processuali e probatorie, proprie del processo civile e, conseguentemente, adottare, in tema di nesso eziologico tra condotta ed evento di danno, il criterio causale del “più probabile che non”, e non quello penalistico dell’alto grado di probabilità logica e di credenza razionale (Sezione 3, Sentenza 12 giugno 2019, n. 15859, Pres. coest. G. Travaglino, Rel. coest. A. Tatangelo).

Con la seconda ha affermato che il creditore del condominio che disponga di un titolo esecutivo nei confronti del condominio stesso ha facoltà di procedere all’espropriazione di tutti i beni condominiali, ai sensi degli artt. 2740 e 2910 c.c., ivi inclusi i crediti vantati dal condominio nei confronti dei singoli condomini per i contributi dagli stessi dovuti in base a stati di ripartizione approvati dall’assemblea, in tal caso nelle forme dell’espropriazione dei crediti presso terzi di cui agli artt. 543 ss. c.p.c. e senza che entri in gioco il principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali (Sezione 3, Sentenza 14 maggio 2019, n. 12715, Pres. F. De Stefano, Rel. A. Tatangelo).

Infine, ha sollevato innanzi alla CGUE, ex art. 267 del TFUE, le seguenti questioni pregiudiziali:

1)         se osti agli artt. 14 TFUE (già art. 7D Trattato, poi art. 16 TCE) e 106 paragr. 2, TFUE (già art. 90 Trattato, poi art. 86, paragr. 2, TCE) ed all’inquadramento nello schema del servizio di interesse economico generale (SIEG) una normativa come quella prevista dal combinato disposto dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992 con l’art. 2, commi 18-20, della l. n. 662 del 1996, alla stregua della quale viene istituita e mantenuta – anche successivamente alla privatizzazione dei servizi di  “bancoposta” erogati da Poste Italiane s.p.a. – una riserva di attività (regime di monopolio legale) a favore di Poste Italiane s.p.a. avente ad oggetto la gestione del servizio di conto corrente postale dedicato alla raccolta del tributo locale ICI, tenuto conto dell’evoluzione della normativa statale in materia di riscossione delle imposte, che almeno a far data dall’anno 1997, consente al contribuente ed anche agli enti locali impositori, di avvalersi liberamente di modalità di pagamento e riscossione dei tributi (anche locali) attraverso il sistema bancario;

2)         qualora l’istituzione del monopolio legale dovesse essere riconosciuta rispondente alle caratteristiche del SIEG, se osti agli artt. 106, paragr. 2, TUEF (già art. 90 Trattato, poi art. 86, paragr. 2, TCE) e 107, paragr. 1, TUEF (già art. 92 Trattato, poi art. 87 TCE), secondo l’interpretazione di tali norme fornita dalla Corte di Giustizia con riferimento ai requisiti intesi a distinguere una misura legittima – compensatoria degli obblighi di servizio pubblico – da un aiuto di Stato illegittimo, una normativa come quella risultante dal combinato disposto degli artt. 10, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992, 2, commi 18-20, della l. n. 662 del 1996 e 3, comma 1, del d.P.R. n. 144/2001, che attribuisce a Poste Italiane s.p.a. il potere di determinazione unilaterale dell’importo della “commissione” dovuta dal Concessionario (Agente) della riscossione del tributo ICI, ed applicata su ciascuna operazione di gestione effettuata sul conto corrente postale intestato al Concessionario/Agente, tenuto conto che Poste Italiane s.p.a. con delibera del consiglio di amministrazione n. 57/1996 ha stabilito detta commissione in Lire 100 per il periodo 1.4.1997-31.5.2001 ed in Euro 0,23 per il periodo successivo all’1.6.2001;

3)         se osti all’art. 102, paragr. 1, TUEF (già art. 86 Trattato, poi art. 82, paragr. 1, TCE), come interpretato dalla Corte di Giustizia, un complesso normativo quale quello costituito dall’art. 2, commi 18-20, della l. n. 662 del 1996, dall’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 144 del 2001 e dall’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992, dovendo necessariamente assoggettarsi il Concessionario (Agente) al pagamento della “commissione”, così come unilateralmente determinata e/o variata da Poste Italiane s.p.a., non potendo altrimenti recedere dal contratto di conto corrente postale, se non incorrendo nella violazione dell’obbligo prescritto dal citato art. 10, comma 3, e nel conseguente inadempimento all’obbligazione di riscossione dell’ICI assunta nei confronti dell’ente locale impositore (Terza Sezione Civile, ordinanza 23 maggio 2019 n. 14080, Presidente A. Amendola, Relatore S. Olivieri).

La Sezione Lavoro ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite in ordine alla risoluzione del potenziale contrasto con l’interpretazione resa dalla medesima Sezione con la sentenza n. 3177 del 2019 in ordine all’inquadramento del collaboratore fisso che svolga attività giornalistica in modo esclusivo, ai fini dell’iscrizione nell’elenco dei giornalisti, con conseguente nullità del contratto in caso di iscrizione al solo elenco dei pubblicisti (Sez. L, ordinanza interlocutoria n. 14262 del 24 maggio 2019, Pres. F. Balestrieri, Rel. C. Ponterio).

Ha, inoltre, sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 74 del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui richiede ai cittadini extracomunitari, ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità, anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, ai sensi dell’art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998, con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 31 e 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della CFDUE (Sez. L ordinanza interlocutoria n. 16163 del 17 giugno 2019, Pres. A. Manna, Rel. E. D’Antonio).

Infine, nello stesso solco, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 125, della l. n. 190 del 2014, nella parte in cui richiede ai cittadini extracomunitari, ai fini dell’erogazione dell’assegno di natalità, anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, ai sensi dell’art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998, con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 31 e 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della CFDUE (Sez. L ordinanza interlocutoria n. 16164 del 17 giugno 2019, Pres. A. Manna, Rel. E. D’Antonio).

La Sezione Tributaria merita di essere segnalata per tre pronunce.

In tema di aiuti di Stato illegittimi – nella specie costituito dal credito d’imposta introdotto dall’art. 8 della l. n. 388 del 2000 (poi modificato dall’art. 1, comma 1223 l. n. 296 del 2006), riconosciuto in automatico, in dichiarazione mediante compensazione, alle imprese che avessero effettuato nuovi investimenti in aree svantaggiate – con tre coeve ordinanze interlocutorie, ha sollevato rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del TFUE sull’interpretazione del comma 1223 dell’articolo unico della l. n. 296 del 2006, oggi trasfuso nell’art. 16-bis, comma 11, della l. n. 11 del 2005 (che impone all’impresa una dichiarazione sostitutiva di atto notorio di non rientrare tra coloro che hanno ricevuto e successivamente non rimborsato precedenti aiuti “bocciati” dalla Commissione) e dell’art. 4, comma 1, del Dpcm 23 maggio 2007 (laddove preclude tour court l’accesso al beneficio all’impresa che abbia ricevuto l’aiuto, anziché limitarsi a sospenderne l’erogazione), con riferimento all’art. 108, comma 3, TFUE – come interpretato dalla giurisprudenza unionale (cd. impegno Deggendorf) – alla decisione C (2008)380 della Commissione europea (che sospende la fruizione dell’agevolazione ai beneficiari di un ordine di recupero) ed al principio comunitario di proporzionalità (secondo cui gli atti delle istituzioni comunitarie non debbono superare i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di che trattasi). (Sez. Tributaria, ordinanza interlocutoria n. 13342 del 4 dicembre 2018, dep. il 17 maggio 2019, Presidente M. Cristiano, Estensore M. Cirese)  

In tema di imposte ipotecarie e catastali, quale organo di ultima istanza, con due coeve ordinanze interlocutorie, ha sollevato rinvio pregiudiziale ai sensi degli artt. 234 e 267 del TFUE domandando alla Corte di giustizia UE se le disposizioni del Trattato in materia di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali ostino all’applicazione della disciplina agevolativa soggettiva di cui all’art. 35, comma 10-ter, del d.l. n. 223 del 2006 (conv., con modif., in l. n. 248 del 2006) – di stretta interpretazione (e, quindi, insuscettibile di applicazione analogica) – nella parte in cui limita ai fondi di investimento immobiliare “chiusi” (caratterizzati da un numero di quote prestabilito ed invariabile nel tempo) la riduzione delle imposte ipo-catastali, precludendo l’estensione del beneficio anche a quelli aperti (caratterizzati dalla variabilità del patrimonio e sottoscrivibili in ogni momento). (Sez. Tributaria, ordinanza interlocutoria n. 15432 del 6-21 dicembre 2018, dep. il 7 giugno 2019, Presidente C. Di Iasi, Estensore A. Penta)  

Infine, in tema di debiti tributari, dando applicazione, in plurime cause, al disposto dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 119 del 2018, conv., con modif., in l. n. 136 del 2018 – che prevede l’annullamento dei singoli carichi entro i mille euro (cd. “saldo e stralcio”) – ha affermato l’operatività ipso iure dello stralcio, senza necessità del consequenziale provvedimento di sgravio da parte dell’agente della riscossione, con conseguente nullità iure superveniente delle cartelle impugnate e declaratoria di estinzione del processo (Sez. Tributaria, ordinanza n. 15471 del 17 aprile 2019, dep. il 7 giugno 2019, Presidente D. Chindemi, Estensore M. Vecchio).