Relazione dell’Ufficio del Massimario su “Intercettazioni telefoniche di conversazioni in lingua straniera”

di Pietro Molino

Rel. n. 62/16   Roma 12 dicembre 2016

OGGETTO: 673101 PROVE – MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA – INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI – IN GENERE– Conversazioni in lingua straniera – Nomina interprete – Operazioni di ascolto, traduzione e trascrizione – Omessa indicazione delle generalità dell’ausiliario nel verbale di esecuzione delle attività – Inutilizzabilità – Configurabilità – Contrasto di giurisprudenza.

RIF. NORM.: Cod. proc. pen.  artt. 142, 143, 191, 268, 271, 348; Disp. att. cod. proc. pen. art. 89.

1. La terza sezione penale, con decisione assunta nella udienza in camera di consiglio dell’4 novembre 2015 (depositata il 7 luglio 2016), n. 28216, Serban, Rv. 267448, ha affermato il principio di diritto così massimato: “Sono inutilizzabili le conversazioni in lingua straniera qualora non siano indicate, nel verbale di esecuzione delle operazioni di intercettazione, le generalità dell’interprete che ha proceduto all’ascolto, traduzione e trascrizione. (In motivazione, la S.C. ha osservato che la mancata indicazione del nominativo del traduttore impedisce il controllo sulla capacità tecnica di svolgere ed eseguire adeguatamente l’incarico affidatogli)”. Nella sentenza (capofila di un gruppo di pronunce assolutamente speculari sul piano giustificativo: cfr. Sez. 3, n. 28217/16; sez. 3, 28218/16, entrambe non massimate), il collegio dichiara di voler dare continuità a quell’orientamento –  espresso in Sez. 3, n. 49331 del 9 dicembre 2013, Muka ed altro, Rv. 257291 – che in passato ha già sostenuto l’inutilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni alloglotte prive di indicazione, nel relativo verbale, delle generalità dell’interprete, a causa della impossibilità di desumere l’idoneità tecnica dell’ausiliario. Si fa richiamo altresì a Sez. 1, n. 12954 del 27 marzo 2008, Li ed altri, Rv. 240273, secondo la quale nel caso di incertezza assoluta sul nominativo dell’interprete intervenuto in occasione delle operazioni di intercettazione di conversazioni telefoniche, si verifica un’ipotesi di nullità delle medesime, la quale, peraltro, data la sua caratteristica di nullità relativa deve essere immediatamente eccepita, rimanendo sanata in caso contrario.

Con motivazioni identiche, nella più recente giurisprudenza di legittimità:

–      Sez. 3, n. 31454 del 04/11/2015 (dep. 21/07/2016), Burcea, Rv. 267738 (così massimata ufficialmente: “L’omessa indicazione, nel verbale di esecuzione delle intercettazioni, delle generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, traduzione e trascrizione delle conversazioni, rende inutilizzabili tali operazioni per l’impossibilità di desumere la capacità dell’ausiliario di svolgere ed eseguire adeguatamente l’incarico affidatogli”);

–      Sez. 3, n. 926 del 10/11/2015, Tota ed altri, non massimata, ove la Corte – richiamando espressamente l’insegnamento della sentenza 49331/2013, Muka – rimarca la precisa volontà del codice di rito di rendere note le generalità dei soggetti terzi della cui collaborazione la polizia giudiziaria ed il pubblico ministero si avvalgano nel corso delle indagini, al fine di rendere verificabile da parte della difesa, sin dalla fase delle indagini preliminari, sia l’attività investigativa sia le attività tecniche attraverso le quali la stessa si è svolta.  

2. La sentenza Serban è consapevole della esistenza di opposto indirizzo – espressa efficacemente in Sez. 6, n. 24141 del 13 giugno 2008, El Arbaoui, Rv. 240372 – per il quale, essendo la traduzione delle conversazioni oggetto di captazione un’attività logicamente e cronologicamente successiva alla loro intercettazione, essa esula rispetto al novero delle operazioni previste dall’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., con la conseguenza che la indicazione del nominativo dell’interprete non fa parte di quelle che devono essere annotate nel verbale delle operazioni previsto dall’art. 268, comma 1, del codice di rito.

In tal senso si era pronunciata anche, in precedenza, Sez. 6, n. 30783 del 27 luglio 2007, Barbu ed altri, Rv. 237088, ritenendo infondata l’eccezione di inutilizzabilità delle risultanze di intercettazioni telefoniche ove questa si basi unicamente sulla omessa indicazione nel verbale delle operazioni eseguite delle generalità dell’interprete traduttore, atteso che nessuna disposizione normativa ricollega a tale omissione la nullità o la inutilizzabilità della attività da questo svolta.

In quella occasione, la Corte aveva precisato che una tale omissione può essere semmai fonte di una mera irregolarità dell’atto, ma non suscettibile di sanzione endoprocessuale, posto che la verifica della capacità dell’interprete – operazione alla quale sarebbe strumentale la preventiva identificabilità personale del soggetto traduttore – è, viceversa, dato obbiettivamente rilevabile, al di là della identificazione della persona dell’interprete, in quanto desumibile dalla correttezza o meno della traduzione eseguita e trascritta.

La pronuncia Serban attesta altresì che l’opposta posizione è stata ribadita dalla Corte anche di recente, con la sentenza resa dalla Sez. 5, n. 25549 del 15 aprile 2015, Silagadze ed altro, Rv. 268024, così massimata: “L’omessa indicazione, nel verbale di esecuzione delle intercettazioni, delle generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, traduzione e trascrizione delle conversazioni, non è causa di inutilizzabilità di tali operazioni, sanzione prevista solo per i casi tassativamente indicati dall’art. 271 cod. proc. pen.”, ivi precisandosi che le “operazioni” di intercettazione, svolte ai sensi dell’art. 268 cod. proc. pen., sotto il diretto controllo della autorità giudiziaria, non debbono essere confuse con le operazioni ad esse successive, fra le quali vi è la loro verbalizzazione.

3. Ciò ricordato, il collegio della Serban spiega le ragioni della propria adesione al primo indirizzo sopra citato, osservando che quando le intercettazioni sono riferite a comunicazioni che si sono svolte fra persone parlanti un idioma diverso da quello italiano e si sia proceduto alla trascrizione in lingua italiana ed in forma sommaria del loro contenuto, ciò comporta la traduzione di esse precedentemente alla redazione del verbale.

Da tali presupposti si sottopone a rivisitazione critica la tesi – espressa nella menzionata Sezione 6, n. 24141 del 13 giugno 2008, El Arbaoui, Rv. 240372 – che viceversa colloca su due piani logicamente e temporalmente sfasati la redazione del verbale delle operazioni di intercettazione e l’operazione di traduzione del contenuto delle medesime.

La sentenza Serban trae dunque la conclusione che, avendo il traduttore delle conversazioni preso parte ad una delle operazioni in cui si articola l’attività di intercettazione, il suo nominativo va pertanto verbalizzato, essendo fra quelli che debbono essere indicati nel verbale redatto ai sensi del combinato disposto degli artt. 268, comma 1, cod. proc. pen. e 89 disp. att stesso codice.

Quanto alle conseguenze della eventuale inosservanza di tale dovere, la pronuncia fa riferimento, a mente dell’art. 271 cod. proc. pen., alla inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni eseguite in spregio a quanto previsto dall’art. 268, comma 1, cod. proc. pen. (il quale, prevedendo la redazione del verbale secondo le modalità disciplinate dall’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., deve intendersi violato, nel caso in cui il verbale non sia redatto secondo tali modalità), osservando che laratiosottesa alla previsione che richiede la indicazione dei nominativi dei soggetti che abbiano preso parte alle operazioni in questione è quella di consentire, previa la identificazione personale di tali soggetti, la verifica dell’esistenza di condizioni che, proprio in ragione della identità personale, possono essere tali da porre in dubbio la correttezza dello svolgimento delle operazioni stesse e la genuinità delle loro risultanze.

Redattore: Pietro Molino

Il vice direttore

Giorgio Fidelbo

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